lunedì 13 dicembre 2021

Fármakon quale vox media.


 

A proposito del virus e dei vaccini dei quali ho già assunto due dosi e quasi sicuramente mi farò iniettare la terza, voglio chiarire che non sono un denigratore dei farmaci ma nemmeno un loro assoluto assertore.

 Insomma ho spesso dei dubbi.

Già il termine favrmakon  è una vox media. Per oggi mi limito a raccogliere poche testimonianze su questo argomento.

 

Nel IV canto dell’Odissea, Telemaco e il  figlio di Nestore Pisistrato,  partiti da Pilo, arrivano a Sparta.

 I regnanti Elena e Menelao sono seduti a un banchetto di nozze, allietati (terpovmenoi) dall’aedo, divino cantore (qei`o~ ajoidov~, v. 17). C’erano anche due acrobati che roteavano in mezzo (ejdivneuon kata; mevssou~, v. 19). I due “stranieri” vengono annunciati e l’Atride ordina che siano subito accolti, come capitava a lui quando era un errante sulla lunga e difficile via del ritorno.

Menelao li fa lavare, li invita a tavola e offre loro del cibo; una volta sazi, i due ragazzi diranno chi sono. Mentre gli ospiti mangiano, l’Atride racconta che  aveva vagato per otto anni prima di raggiungere Sparta. Ha raccolto grandi ricchezze, è vero, ma rimpiange i compagni e amici a partire dal proprio fratello Agamennone assassinato. e dall’amico Odisseo del quale non conosce la sorte.  Telemaco a queste parole si commuove e versa lacrime, cercando di non darlo a vedere con il rialzare il mantello purpureo davanti agli occhi.

 In questo momento arriva Elena, simile ad Artemide, la dea vergine.

L’adultera, tornata a casa, si era rifatta una verginità.

  La figlia di Zeus riconosce Telemaco dalla somiglianza con il padre, e Pisistrato conferma l’identità del figlio di Odisseo.

Il Nestoride rivela anche le difficoltà nelle quali si trova  l’amico.

 Il re di Sparta risponde con parole di affetto e gratitudine per Odisseo compianto come eroe purtroppo ancora senza ritorno  "ajnovstimon"(v. 182).

Quindi tutti piansero: Elena, Telemaco, Menelao e Pisistrato che ricordava il fratello Antiloco (v. 187) caduto a Troia. Poi il figlio di Nestore parlò, e pur ricordando il fratello morto, invitò a non piangere dopo la cena.

 Il convito deve essere qualche cosa di allegro e piacevole, altrimenti è un festino guasto e degenerato. Menelao approva la saggezza di Pisistrato nel quale si riconosce il vero figlio di Nestore. Quindi riprendono tutti a mangiare. Poi interviene Elena gettando nel vino un favrmakon  quale antidoto al dolore, all'ira, e oblio di tutti i mali - kakw'n ejpivlhqon aJpavntwn-(vv. 220-221). L'aveva avuto in Egitto la cui terra produce farmaci, molti buoni e molti rovinosi, mescolati ("favrmaka, polla; me;n ejsqla; memigmevna, polla; de; lugrav", v. 230).

Qui la droga non sembra  creare effetti permanenti poiché chi la prende si anestetizza per un giorno ("ejfhmevrio" ", v. 223).

 

Buoni sono i favrmaka contro la sterilità promessi a Egeo  da Medea  nella tragedia di Euripide (Medea, v. 718).

La figlia di Eeta è nipote del Sole  e di Circe, terribile maga esperta di "kaka; favrmak  j (Odissea, X, 213)  e favrmaka luvgr  j" Odissea, X, 236,  farmachi cattivi e tristi, anch’essi forieri di oblio.

Circe droga i compagni di Ulisse mischiando i   favrmaka lugrav al cibo e alla bevanda.

Odisseo va al grande palazzo di Circe per liberare i compagni trasformati in porci dei quali ha avuto notizia da Euriloco che non si è fidato di entrare e ha visto da fuori la metamorfosi dei compagni. Quando Ulisse sta per giungere gli va incontro Ermes e gli dà un favrmakon ejsqlovn (Odissea, X, 287) un farmaco benefico, quale antidoto alla droga di Circe.

Si tratta dell’erba che gli dèi chiamano mw'lu: ha la radice nera e il fiore simile al latte (vv. 304-305).

 

Circe e Medea sono indicate quali modelli da imitare da Simeta una delle Incantatrici-Farmakeuvtriai-  del secondo Idillio di  Teocrito. Questa donna   vuole avvincere l'uomo che le sfugge (v. 3) e invoca Ecate la maestra di tutte le maghe nel preparare i favrmaka (15) che faranno tornare a lei l’amante sparito.

Nel Macbeth di Shakespeare Ecate rivendica il proprio ruolo di mistress of your charms (III, 5, 6) apparendo adirata alle tre streghe, le profetiche sorelle.

 

Sono streghe o maghe, denominazioni non necessariamente vituperose:"Persarum lingua magus est qui nostra sacerdos " si difende dall'accusa di magia  Apuleio nel De Magia  (25), nella lingua dei Persiani è mago quello che nella nostra il sacerdote.

 Nel romanzo dello stesso Apuleio del resto ci sono maghe terribili come quella ostessa anziana ma alquanto graziosa che mutò un suo amante fedifrago in un castoro "quod ea bestia captivitati metuens ab insequentibus se praecisione genitalium liberat " ( Metamorfosi , I, 9), poiché questo animale, temendo di essere preso, si libera dagli inseguitori con il recidersi i testicoli. Comunque queste donne, maghe o streghe o sacerdotesse, o addirittura mezze dèe, propinano quasi sempre droghe le quali portano dimenticanza all'uomo che per un motivo o per l'altro non deve ricordare. Ma Odisseo il quale sa bene che, se ricordare è dolore, pure dimenticare è dolore, evita le droghe e costruisce la sua identità sulla pienezza della coscienza.

 

 Bologna 13 dicembre 2021 ore 18, 26

giovanni ghiselli

 

p. s.

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