venerdì 24 dicembre 2021

La storia di Päivi 2 e 3. Il film finlandese.

 

La storia di Päivi 2. La conversione dal sapere alla sapienza

 

Fino a Päivi, con i libri avevo avuto un rapporto di sottomissione, senza simpatia, se avevo dovuto studiarli a memoria per degli esami da sostenere davanti a inquisitori spesso privi di visione d’insieme della materia, non poche volte cooptati e sussunti per  motivi  vari, spesso estranei alle capacità e a meriti veri; oppure con gli autori avevo avuto relazioni simpatiche ma prive di metodo, cioè di una via (ojdov") che procedesse verso una meta.

Alla fine dell’anno scolastico 1973-1974  avevo avuto il trasferimento dalle medie alle superiori per l’autunno seguente.

 Dovevo sottomettermi a lunghi orari di studio, ma dopo Päivi l’avrei anche voluto con forza, per trarre dalle letture quanto poteva servire a migliorare me stesso, a potenziare la natura mia e dei discepoli miei. Lo studio se non potenzia la natura non è cultura. Questo mi ha insegnato, prima di Nietzsche,  Päivi, la luminosa, la Fedra, durante quel mese, passato il quale del resto diventerà una Medea, quando il parto imminente travagliava le viscere sue, e anche i nostri cervelli, come vedremo nell’esito tragico della vicenda. Resta comunque il fatto che l’ultima delle Finniche mie,  con la sua intelligenza e i suoi studi, seppe chiarirmi il caos da dove pullulavano ancora angosce deformi, antichi dolori, desideri cattivi, soffocati ma sempre malignamente attivi, bramosi di ostacolare il progresso mio verso la felicità. Dopo le belle esperienze con Elena e Kaisa ero regredito a relazioni ordinarie e volevo purificarmi, diventare quello che sono davvero, trovare il coraggio di apprezzare e valorizzare la mia estraneità dalle mode dal “si deve pensare, dire e agire così”.

Nell’insegnamento non dovevo fare quello che avevano fatto a me, fatto di me, un disgraziato e un ignorante.

Päivi autorizzò queste mie aspirazioni e mi avviò su questa strada indicandomi un metodo appunto.


 

La storia di Päivi. 3

Decadenza e morte dell’ethos politico dei primi anni Settanta

 

La vidi nell’ombroso cortile dell’Università il giorno del ricevimento del rettore, giovedì 25 luglio, verso le quattro del pomeriggio.
Nell’estate del ’74 Fulvio non c’era poiché stava vivendo la sua esperienza di marito e di padre a Parma da dove non poteva più muoversi; Claudio non c’era siccome in maggio l’avevano messo in galera, a San Vittore, incolpato di infamie su infamie; Luigino non c’era poiché aveva seguito su un traghetto, diretto chissà dove, un mozzo turco - cipriota, l’uomo e l’amore della sua vita.
Invece erano tornati là, nella puszta con me, oramai per la decima volta, Danilo, Ezio, Alfredo, Fausto, Silvano, e Bruno già sacro alla morte vicina [1
] Ora siamo nel dicembre del 2021 e nel frattempo sono morti anche Sandro, Alfredo, Silvano e Fulvio il più caro di tutti.

Quel pomeriggio di luglio, noi Italiani superstiti della Debrecen ’66, prossimi alla soglia dei trenta, cantavamo canzoni comuniste e partigiane come i reduci di una guerra perduta: la nostra rivoluzione giovanile era invecchiata, senza lasciare ai ventenni l’eredità di un ethos politico. Noi stessi eravamo variamente appassiti, quanto meno segnati da rughe evidenti nel volto e sul collo, mentre le mani erano percorse da grosse vene bluastre in rilievo. Alcuni avevano perduto i capelli, altri erano incanutiti, altri ingrassati; insomma noi eravamo ormai gli “ospiti antichi” dell’Università estiva di Debrecen, così ci salutò il rettore che ci aveva conosciuti ragazzi e battezzati quali matricole otto anni prima, così ci chiamavano anche i nuovi ventenni, poiché è proprio vero che noi mortali siamo come le foglie [2].


Il nostro gruppo di nati alla fine della seconda guerra mondiale, presentava personaggi ancora giovani, eppure avvizziti, piegati e ripiegati su se stessi, anche se non degradati proprio del tutto come sosteneva a gran voce il povero Bruno Pera, del resto non senza qualche ragione. Si erano comunque già appesantiti gli arti di tutti noi, e nel frattempo il sogno di realizzare presto su questa terra la giustizia, l’eguaglianza, il comunismo, o cristianesimo vero , perdeva forza, forma e colore nei nostri cervelli. La borghesia e il suo dio, il denaro, la mercificazione universale che riduce tutto a commercio, compresi gli affetti, stava prendendo di nuovo il sopravvento. Da cinque anni oramai le stragi facevano i loro massacri di vite umane e di simpatia, di fiducia tra gli umani.

Non riconoscevamo nei nuovi giovani i nostri eredi spirituali. 

 

giovanni ghiselli

 

p. s
Ieri sera ho visto per la seconda volta il film Scompartimento n. 6

Ci sono tornato perché l’attrice, Seidi Haarla, mi ha fatto tornare in mente Päivi e per trovare anche altro. Ebbene ho ritrovato, oltre il volto e lo stile della mia terza finlandese, l’atmosfera umana dei primi anni Settanta in Europa. Allora erano diffusa tra noi giovani la bene-volenza, la solidarietà, l’amicizia, l’amore.

I farabutti erano le eccezioni ed erano ributtanti. Adesso sono loro la maggioranza e sono quelli considerati normali, siccome usuali.

In questo film del regista finlandese Juho Kuosmanen c’è un solo profittatore ingrato e ladro, tutti gli altri sono buoni, generosi, ospitali, leali:  pronti ad aiutarsi a vicenda per simpatia umana, senza calcolo di lucro.

 

Tale era la vita nell’Italia e  nell’Europa dei miei ricordi negli anni compresi tra il 1968 e il 1972

 

 

 

 

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