mercoledì 29 dicembre 2021

Terenzio, "Adelphoe". 10

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III, 355-434.  Prima parte. I tellurici pedestri guardano sempre i propri piedi o i cellulari

Demea Syro Dromone
 
Demea è disperato perché ha saputo che il figlio suo buono Ctesifone una fuisse in raptione cum Aeschino 356
Di buono non resta che lui solo nella famiglia
Si domanda dove possa cercare quest’alreo ragazzo traviato e lo immagina abductum in ganeum, trascinato in una taverna o in un bordello
Ganeo-onis è il dissoluto, bordelliere e puttaniere.
 
Cfr. Tacito che descrive Petronio l’ elegantiae arbiter ,  il maestro di buon gusto alla corte di Nerone: “habebaturque non ganeo et profligator, ut plerique sua haurientium, sed erudito luxu.  Ac dicta factaque eius quanto solutiora et quandam sui neglegentiam praeferentia, tanto gratius  in speciem simplicitatis accipiebantur"  (Annales , XVI, 18), ed era considerato non un dissoluto o un dissipatore, come i più tra quelli che sperperano le proprie fortune, ma uomo dalla voluttà raffinata. Le sue parole e i suoi atti quanto più erano liberi e manifestavano una certa noncuranza di sé, tanto più piacevolmente erano presi come segno di semplicità.
E’ lo stile dell’aristocrazia europea di tutti i tempi (cfr. I Guermantes di Proust e L’uomo senza qualità di Musil. Ma anche certi particolare del romanzo di Manzoni).
 
Demea scorge Syro e intende domandargli dove sia il figlio. Poi però ci ripensa perché atque hic de grege illo est 362, fa parte della banda  e quel boia non dirà mai dov’è il padrone- numquam dicet carnufex (363).
Syro sta tornando dal mercato e parla con Dromone un puer garzone.
Sta ridendo alle spalle di Micione che gli ha dato il denaro per il nipote.
Syro  manda in casa il garzoncino Dromone perché prepari i pesci.
Demea teme per il figliolo che si rovini del tutto e finisca per arruolarsi in qualche legione straniera, di questo o quel diadoco, come facevano i greci poveri al tempo di Menandro e pure dopo.
Syro gira il coltello nella piaga di Demea dicendogli: “istuc est sapere, non quod ante pedes modost -videre, sed etiam illa quae futura sunt-  prospicere (386-388) la saggezza sta nel pre-vedere oltre i propri piedi. Avere davanti agli occhi una lunga prospettiva
Cfr. Sofocle Edipo re: "Ma quale male, caduto così il potere,/stando tra i piedi-ejmpodwvn , vi impediva di sapere questo?" (128-129) domanda Edipo a Creonte a proposito dell’uccisione di Laio non chiarita per tanto tempo.
Creonte risponde: “La Sfinge dal canto variopinto hJ poikilw/do;" Sfuvgx ci spingeva a guardare/quello che era lì tra i piedi- to; pro;" posi; skopein', e a lasciare perdere quanto non si vedeva" (130- 131).
Non alzare mai gli occhi al cielo significa perdere ogni prospettiva tranne quella dei propri piedi. O dei cellulari.


Bologna 29 dicembre 2021 ore 9, 28
giovanni ghiselli

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