Perfidia e fides
Euclione si è avviato verso casa e Strobilo rimasto solo pensa come possa fregarlo.
Siamo già vicini all’età del ferro quando tutti, o quasi, cercano di danneggiare tutti.
Strobilo dunque ha sentito il segreto di Euclione e si rivolge a sua volta alla dea Fides quasi minacciandola: “Cave tu illi fidelis, quaeso, potius fueris quam mihi” (618) guardati dall’essere più fedele a quello che a me!
Quindi gli viene in mente che Euclione è anche il padre della ragazza amata dal proprio padrone. Questo non lo trattiene dal tentativo di derubarlo, anzi: “ibo hinc intro; perscrutabor fanum, si inveniam uspiam-aurum, dum hic est occupatus” (620- 621), quindi andrò dentro. Esplorerò il tempio, se troverò da qualche parte l’oro, mentre costui è occupato.
Quindi la promessa paradossale alla Fides che era la dea posta a tutela della lealtà, del rispetto del foedus del patto.
"Foedus e fides sono legati etimologicamente: foedus è "l'accordo", il trattato stipulato secondo le sacre regole della fides "[1].
Strobilo dunque prega la Fides perché lo aiuti a fregare il padre della ragazza amata dal suo padrone: “Sed si reppero, o Fides,-mulsi congialem plenam faciam tibi fideliam.-Id adeo tibi faciam; verum ego mihi bibam ubi id fecero” (621-623) ma se l’avrò trovato, o Fides, ti offrirò un orcio da un congio (3 litri e 28) pieno di vino mielato. Te lo offrirò davvero, ma poi, quando lo avrò fatto, me lo berrò per me.
Nel mondo carnevalesco e rovesciato degli schiavi plautini al posto del valore forte della fides troviamo quello della perfidia , la santa protettrice dei servi:" Perfidiae laudes gratiasque habemus merito magnas" (Asinaria, v. 545), abbiamo ragione di elogiare e ringraziare assai la mala Fede, dice lo schiavo Libano allo schiavo Leonida. Perciò Lupus est homo homini, non homo, quom qualis sit non novit” (Asinaria, 495), quando non si sa di che tipo sia, dice un mercante. Contro questo sentenza abbiamo la menandrea a[nqrwpo" ajnqrwvpw/ qeov" e Cecilio Stazio (230-167 a. C il Plocium con l’ uxor dotata) homo homini deus si suum officium sciat (fr. 265 Ribbeck).
La furberia degli schiavi che ha cambiato i costumi dei Romani diffondendo la menzogna e l’inganno.
Tacito descrive non senza ammirazione i "boni mores "(Germania, XIX, 4) di quella "gens non astuta nec callida "(XXII, 5) non astuta né scaltra. Tacito nota che i Germani rispettano la fides, la parola data in maniera perfino eccessiva: scrive che dopo avere perso tutto ai dadi (alea), con un ultimo lancio mettono in gioco la libertà personale, quindi, se perdono, mantengono la parola data e subiscono la schiavitù. Ebbene in questo caso ciò che loro chiamano fides è una forma di ostinazione in un vizio riprovevole: “ea est in re prava pervicacia”(Germania, 24).
Bologna 10 dicembre 2021 ore 20, 49
p. s.
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