giovedì 30 dicembre 2021

Terenzio, "Adelphoe". 14

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III, 4 (447-510) terza e ultima parte di questa quarta scena del terzo atto

 
Egione continua a raccontare a Demea la cattiva azione di Eschino. Il quale in un primo momento si comportò come doveva. Andò dalla madre della ragazza messa incinta da lui  lacrumans, orans, obsecrans - fidem dans, iurans se illam ducturum domum (472-473).
Fu perdonato, la cosa fu messa a tacere, gli si credette.
Ora che sono passati nove mesi da quando la ragazza sedotta si incinse, ille bonus vir, quel galantuomo si è trovato una suonatrice di cetra per conviverci, illam deserit (477) ed ecco che pianta l’altra.
Demea domanda all’amico se sia certo di quello che dice.
 
Egione indica la casa di Pamphila e Sostrata, testimoni sicuri   che confermeranno: “Mater virginis- ipsa virgo, res ipsa” la madre della ragazza, la ragazza in persona, il fatto in sé;  inoltre è già presente Geta “hic Geta – praeterea, ut captust servolorum, non malus - neque iners” (479-481), non un mascalzone né un incapace per essere un servo, anzi sostiene da solo tutta la famiglia. Puoi legarlo , portarlo via, farlo torturare. Non mentirà.
 
Sugli schiavi evidentemente gravavano pregiudizi negativi. Tra i Greci vengono parzialmente confutati da Euripide e radicalmente da Antifonte sofista
 
Nell'Elena  di Euripide si trova l'espressione "per gli schiavi nobili" (gennaivoisi douvloi~, v. 1641) che lascia  un’eco in Terenzio: propterea quod servibas liberaliter (Andria, v. 38), poiché facevi lo schiavo con animo libero.
 Del resto non è messa in discussione la sudditanza del servo il quale, anche se anche può essere un magnanimo o perfino uno  che può dare giudizi, se parla meglio di chi comanda (cfr. Elena, v. 1637),   deve comunque essere disposto all’abnegazione in pro del suo signore. Infatti lo schiavo dell’Elena sostiene davanti al suo re, Teoclimeno, che per gli schiavi nobili il gesto più glorioso è pro; despovtwn… qanei'n ( vv. 1640-1641), morire per i padroni.
Nello Ione, il vecchio schiavo-pedagogo rivendica dignità a molte persone del suo ceto: "una sola cosa porta vergogna ai servi: il nome: in tutto il resto un servo non è per niente peggiore dei liberi, se è una persona per bene". (vv. 854-856).
 
Antifonte sofista[1] nel Discorso sulla verità  va oltre Euripide: denuncia come innaturali le differenze che le leggi e le usanze stabiliscono tra gli uomini. "Le disposizioni delle leggi sono avventizie, quelle della natura necessarie. E quelle delle leggi dovute a un accordo non sono naturali. E quelle nate dalla natura non sono dovute a un accordo… La maggior parte delle determinazioni giuste secondo la legge si trovano in posizione ostile nei confronti della natura… quelli che provengono da una casata non illustre non li rispettiamo né onoriamo. In questo ci comportiamo come barbari gli uni verso gli altri. Infatti per natura, in tutto, tutti siamo costituiti  per essere uguali barbari ed Elleni… tutti di fatto inspiriamo nell'aria attraverso la bocca e le narici e tutti mangiamo con le mani "[2].
 
Seneca ha scritto una lettera dove condanna i maltrattamenti inflitti agli schiavi. Invero in queste commedie di Plauto e terenzio non sembrano trattati peggio del proletariato di oggi.
Leggiamo qualche parola di Seneca
Lettera 47 Bisogna essere benevoli con gli schiavi
servi sunt, immo homines.  Servi sunt immo contubernales. Servi sunt immo humiles amici. Servi sunt immo conservi si cogitaveris tantundem in utrosque licēre fortunae (1)
Non habemus illos hostes sed facimus (5)
Haec tamen praecepti mei summa est: sic cum inferiore vivas quemadmodum tecum superiorem velis vivere (11)
Servus est, sed fortasse liber animo (16)
Servus est : ostende quis non sit: alius libidini servit, alius avaritiae, alius ambitioni, omnes timori (17).
 
Torniamo a Terenzio
Geta conferma le parole di Egione e si dichiara disposto a essere torturato.
Dall’interno della casa  arrivano le grida di dolore della ragazza  che sta partorendo.
Egione parla umanamente a Demea: Panfila implora l’onestà della famiglia del seduttore e deve ottenere un aiuto volontario, non quello obbligato dalla legge. Demea e Micione devono porre rimedio al torto di Eschino ut vobis decet 491.
 
Faccio notare che decet secondo le grammatiche richiede comunque l’accusativo della persona cui si addice.
 
 Se non le aiuteranno loro, lo farà Egione stesso che ricorda la propria amicizia con il padre della ragazza. Hanno sopportato insieme il peso della miseria.
Perciò farà di tutto, fino a ricorrere alle vie legali experiar -497- perché l’ingiustizia sia riparata. Insomma non le abbandonerà
Demea risponde che ne parlerà con il fratello.
Egione lo avverte che se loro, ricchi come sono, non cancelleranno questo torto inferto a dei poveri diverranno malfamati.
quam estis maxume-potentes, dites, fortunati, nobiles,- tam maxume vos aequo animo aequa noscere-oportet, si vos voltis perhiberi probos (501-504), quanto più siete signori, ricchi, fortunati, nobili, tanto più è opportuno che riconosciate il giusto con animo giusto, se volete essere chiamati gente perbene.   E’ l’umanesimo  dell’ellenizzante circolo scipionico.
   
Nel Dyskolos di Menandro, il giova povero Gorgia diffida il ragazzo ricco Sostrato dal cercare di sedurre la sorella approfittando della superiorità economica:
"non è giusto
che il tuo tempo libero diventi un male per noi
che tempo libero non abbiamo. Sappi che il povero il quale
subisce ingiustizia è l'essere più arrabbiato del mondo- ptwco;" ajdikhqeiv" ejsti duskolwvtaton (293-296).
E' questo un invito a non esasperare il malessere dei poveri attraverso la loro umiliazione che invece va attenuata con il rispetto e la filantropia.
Vediamo la chiusura di questa scena.
Demea pomette che si farà giustizia degli Adelphoe.
Egione conferma che a Demea si addice farla decet te facere.
La persona cui si addice è in accusativo anche in Plauto quando è il soggetto dell verbo in dipendenza infinitiva.
Quindi Egione segue Geta in casa di Sostrata.
Demea lamenta la nimia licentia che va a cadere in aliquod magnum malum. Lui l’aveva predetto.
Chiude facendoci sapere che andrà dal fratello per dirgliene quattro.
 
Bologna 30 dicembre 3021 ore 19, 55
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Baci
gianni


[1] Attivo nella seconda metà del V secolo.
[2] Oxyrh. Pap. XI Fragmetum I

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