giovedì 9 dicembre 2021

Plauto, Aulularia. Atto terzo scena sesta.

 

  


 

La mitologia e la scuola.

 

Euclione e Megadoro

 

Euclione fa i complimenti a Megadoro per il suo gustoso sermone sulla dote.

Si sente approvato per non avere dotato sua figlia.

Megadoro gli dà un consiglio che è quasi un rimprovero:

e meo quidem animo aliquanto facias rectius-si nitidior sis filiai nuptiis- 539-540 a mio parere faresti molto meglio a essere  più pulito per le nozze della figlia.

La pulizia viene raccomandata anche da chi non approva il lusso smodato né l’eleganza visibilmente ricercata.

 

Ovidio "si ferma alla proposta di un cultus  misurato che eviti gli eccessi del lusso e, nello stesso tempo, di una raffinatezza dannosa. Per l'uomo egli rifiuta un trattamento dei capelli e della pelle che lo renda simile agli eunuchi servitori di Cibele (Ars  I 505 sgg.): l'ideale virile è un equilibrio fra la mundities  e la robustezza data dagli esercizi del Campo Marzio (ibid. 513 sg.): Munditiae placeant, fuscentur corpora Campo;/sit bene conveniens et sine labe toga”. Dunque, né rusticitas  né effeminatezza"[1].

L'eleganza piaccia, siano abbronzati i corpi al Campo Marzio; la toga stia bene e sia senza macchie (vv. 511-512).

Inoltre i denti siano senza tartaro (careant rubigine dentes, Ars I, 513), i piedi abbiano calzari della loro misura[2], il taglio di barba e capelli sia buono, le unghie siano ben limate e senza sporcizia (Et nihil emineant et sint sine sordibus ungues, 517), non ci siano peli nella cavità delle narici, non ci siano cattivi odori nel fiato né addosso alla persona. "Cetera lascivae faciant concede puellae/et si quis male vir quaerit habere virum " (521-522), il resto lascia che lo facciano le ragazze lascive e chi, uomo presunto, desidera possedere un uomo. 

 

Euclione obietta che bisogna sapere adattare l’eleganza alla propria roba-pro re nitorem- e l’ambizione ai propri mezzi

 et gloriam pro copia (541). Quanti lo fanno mostrano di avere coscienza unde oriundi sint della loro origine.

 

Ho detto e scritto più volte che l’eleganza aristocratica rifugge dallo sfoggio della ricchezza, anzi tende a presentarsi con sovrana neglegentia, la spezzatura di chi non tiene conto del giudizio altrui, di chi non vuole apparire come gli altri né superiore agli altri perché sa di esserlo.

Testimoniano questo Tacito a proposito di Petronio, Manzoni, Proust e Musil.

l caso di Euclione magari è diverso perché la sua neglegentia è dettata dall’avarizia invece che dall’educazione e dal buon gusto.

 

Segue una excusatio non petita: dice che la casa sua e quella dei poveri come lui corrisponde alla scarsità dei mezzi posseduti.

Megadoro  non crede a tanta povertà, anzi pensa che i mezzi ci siano e augura al suocero che questi si accrescano con il favore degli dèi.

Euclione sospetta subito, e tra sé dice che la vecchia deve avere spifferato anus fecit palam 548 il segreto della pentola con il tesoro.

Megadoro domanda al genero perché si sia rannuvolato e si stia allontanando e isolando.

Euclione lo rimprovera di avergli riempito la casa di ladri: “Furum implevisti in aedibus misero mihi” (552). Procede poi con delle iperboli : “qui mi intromisti in aedis quingentos coquos- cum senis manibus, genere Geryonaceo” 553-554, tu hai introdotto in casa mia cinquecento cuochi con sei mani per ciascuno, della razza di Gerione.

 

Gerione

Nel primo stasimo dell’Eracle di Euripide  il coro di vecchi tebani vuole celebrare con un inno la corona delle fatiche uJmnh'sai stefavnwma movcqwn (356-357).

 Le virtù delle nobili fatiche sono una statua ai morti- toi'" qanou'sin agalma (358).

Le 12 fatiche di Eracle sono rappresentate nelle metope tempio di Zeus a Olimpia (460 a. C.),

Eracle distrusse con il fuoco la cagna dalle mille teste, dalle molte stragi, l’idra di Lerna tavn te muriovkranon- poluvfonon kuvna Levrna" – u{dran ejxepuvrwsen (419-421) e ne mise il veleno nei dardi. E’ un enorme serpente acquatico.

Con il veleno dell’idra Eracle uccise il triswvmaton both'r j  (424) il bovaro dai tre corpi di Eritìa, Gerione.

 

Virgilio pone Gerione e l’idra di Lerna tra i monstra all’ingresso dell’Averno.

Inoltre molti aspetti mostruosu di fiere diverse (variarum monstra ferarum)

 Sulla porta hanno la stalla i Centauri e le Scille bimembri

e Briareo con cento braccia e la belva di Lerna

che sibila orrendamente e armata di fiamme la Chimera,

e le Gorgoni e le Arpie e la forma di un'ombra dai tre corpi, et forma tricorporis umbrae (Eneide, VI, 285-289) cioè Gerione

Orazio menziona questo mostro quale ter amplum Geryonem (Odi, II, 14, 78)

 

Nella Divina Commedia Gerione è una sozza imagine di froda (Inferno XVII, 7; VIII cerchio i fraudolenti). Questo Gerione ha faccia d’uom giusto, serpente nel corpo che termina in una coda biforcuta e leone nelle zampe. Cfr. l’ibrido che rimanda spesso al primitivo a una fase precivile superata.

Questo vecchio che sfoggia povertà ha avuto un’educazione almeno nel campo della mitologia     

Euclione procede non senza dare prova di una conoscenza della mitologia il che fa pensare a conoscenze acquisite a scuola dove uno di famiglia molto povera non sarebbe potuto andare.

 

Nell’Areopagitico (del 356) Isocrate ricorda che nel tempo del potere dell’Areopago  I più poveri venivano indirizzati all'agricoltura e al commercio:" ejpi; ta;" gewrgiva" kai; ta;" ejmporiva"" (44). Gli abbienti invece si dedicavano alla ginnastica, ippica, caccia, e alla filosofia. 

 

Nemmeno Argo qui oculeus totus fuit ( Aulularia, 555) e  che doveva fissare Iò, avrebbe potuto sorvegliarli continua Euclione

 

Argo dagli innumerevoli occhi

 

Questo mito è raccontato da Eschilo nel Prometeo incatenato.

Il Terzo episodio (561-886) inizia con l’ingresso di Iò.

Chiede all’incatenato in che cosa ha fallato lui e in  quale terra sia giunta lei, l’errante. La ragazza dice crivei ti~ me tan; tavlainan oi\stro~ (v. 566), l’assillo mi punge infelice e lo spettro di Argo tellurico.

Iò teme vedendo lo spettro di Argo, il bovaro dagli innumerevoli occhi (fobou`mai –to;n muriwpo;n eijsorw`sa bouvtan (568-9)

Questo fantasma avanza con occhio perfido, neppure morto la terra lo ricopre, ma dà la caccia all’infelice e la fa errare digiuna lungo la sabbia della costa plana`/ te nh`stin (nh-e[dw) ajna; ta;n paralivan yavmmon (572-573).

Dove mi portano questi passi lungivaganti dice Iò.

Quindi domanda a Zeus in che cosa abbia sbagliato per essere aggiogata a tali tormenti. 

A sazietà mi hanno sfiancata i molto erranti errori (a[dhn me poluvplanoi planai-gegumnavkasin 585-6  e non so come sfuggire alle pene. Ascolti il grido della  vergine dalle corna di bue?

Poi racconta come è iniziata la sua storia.

Le giungevano o[yei~ e[nnucoi, visioni notturne (645)

Le dicevano tiv parqeneuvh/ darovn, ejxovn soi gavmou-tucei`n megivstou; (648-649). Perché rimani vergine a lungo quando ti è possibile ottenere le nozzee massime? Zeus ti desidera. Vai sul prato di Lerna

Io rivelò i suoi sogni al padre Inaco

Questi mandò indovini a Pito e a Dodona che riferivano oracoli ambigui e insensati.

Il responso finale è che Inaco deve cacciare la figlia agli estremi confini della terra. Il adre a[kwn contro voglia cacciò la figlia contro voglia a[kousan (v. 670).

Lo costringeva Dio;~ calinov~  il morso di Zeus (671)

La ragazza subì una metamorfosi : diviene cornuta (kerastiv~ , 674) e, punta dall’assillo dalla bocca aguzza (ojxustovmw-/ muvwpi crisqei`s j, 674-675), balzò verso la sorgente Cercnea (in Argolide) e la fonte di Lerna

Il pastore Argo la seguiva fissando i suoi passi con occhi fitti

Poi all’improvviso Argo muore e Io vaga di terra in terra.

 

Torniamo all’avaro che che non ha finito di lamentarsi di essere derubato.

E’ la volta della flautista che beve il vino di Euclione come una spugna.  Sarebbe capace di prosciugare da sola la fonte corinzia di Pirene si vino scatat (558) se venisse fuori il vino. Quindi accenna a lamentarsi delle provviste ma il genero lo interrompe: “Pol vel legioni sat est. Etiam agnum misi” 561, Polluce ce n’è abbastanza perfino per  una legione. Ho mandato un agnello.

 

Bologna 9 dicembre 2021 ore 9, 47

giovanni ghiselli

p. s.

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Oggi sarò all’Arci di Rovigo (viale Trieste, 29).

Dalle 18 alle 19, 30 presenterò un percorso sulle quintessenze delle tragedie greche. Ne sono fiero: lo giudicherei molto bello anche se non l’avessi preparato io. Se ci saranno domande, risponderò. Se il tempo non basterà per presentare le 50 pagine preparate, le dividerò in due incontri.

Elogio del liceo classico

Leggerò il meno possibile. Ne ricorderò gran parte siccome le tragedie greche hanno colpito la mia sfera emotiva oltre quella intellettuale fin da quando preparai le Troiane di Euripide per l’esame di maturità nell’anno scolastico 1962-1963 al liceo Terenzio Mamiani di Pesaro.

Dovevo studiare anche materie che non mi piacevano; prendevo voti alti pure in queste, ma oggi di matematica, fisica e chimica non ricordo niente, mentre delle tragedie greche so citare decine di versi a memoria.

Eppure dovevo studiare più a lungo le materie invise.

La conclusione è quella del Menone di Platone: “conoscere è ricordare” e noi impariamo bene solo quanto abbiamo già dentro o almeno ne siamo predisposti.

A quanti mi scrivono che bisogna studiare tutte le materie con il medesimo impegno, rispondo e ripeto che da ragazzo mettevo più impegno in quelle per le quali non ero portato e dotato, ma ora non ricordo nemmeno la tavola pitagorica.

Lo stesso vale per lo sport: ho coltivato corsa e bicicletta che mi piacevano e mi riuscivano bene. Mi piacciono e mi riescono ancora: mi danno gioia e salute. Gli sport che non mi piacevano né riuscivano, come il calcio e il tennis, li ho lasciati perdere.

Ho fatto dunque bene a iscrivermi a lettere classiche e a coltivare questo mio talento. Lo studio delle lingue e delle letterature classiche ha dato un senso alla mia vita. Una vita tutto sommato felice. Come lo sarà quella di quanti hanno coltivato disposizioni e  talenti diversi dai miei. Sono certo che ognuno deve coltivare i propri.

Ho scritto questo per rispondere a quanti considerano superato il liceo classico che io continuo a ritenere la migliore delle scuole, quella che dà una cultura generale degna di un uomo libero, quella che sviluppa il senso estetico e le capacità citiche dei ragazzi. L’unica che con il greco dà piena coscienza delle parole che si dicono.

Saluti

giovanni ghiselli

 

 

 

 

 

 

 



[1]A. La Penna, Fra teatro, poesia e politica romana , p. 201.

[2] Nec vagus in laxa pes tibi pelle natet " (v. 514), Mentre l' a[groiko" del IV dei Caratteri di Teofrasto è un tipo capace di portare la scarpa più larga del piede:" a[groiko" toiou'tov" ti" oiJ'o" meivzw tou' podo;" ta; uJpodhvmata forei'n.

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