Plauto Aulularia atto quinto scena prima.
Strobilo esce di casa senza scorgere Liconide
Ringrazia gli dèi per le tante gioie di qualità che gli hanno donato.
Di immortales, quibus et quantis me donatis gaudiis!
Quadrilibrem aulam auro onustam habeo: quis me est ditior? 808-809, possiedo una pentola da quattro libbre piena di oro: chi è più ricco di me?
Una libbra equivale a circa 327 grammi.
Quis me Athenis nunc magis quisquam est homo cui di sint propitii?
Nessun uomo in Atene ha più di me il favore degli dèi.
Si sente un favorito degli dèi ed è felice.
La felicità degli schiavi e dei servi è data solo dai miseri quattrini
La loro religione è quella del denaro.
che costituiscono senz’altro la loro identità. Si pensi al post che ho pubblicato ieri sulla pizza di lusso. Anche la pizza riceve la sua identità dai soldi che costa
E’ l’uomo privo di bisogni spirituali.
C’è una satira (la IV) di Vittorio Alfieri contro il ceto medio che merita di essere letta. E’ l’antitesi della teoria della classe media di Euripide[1].
La satira è preceduta da un’epigrafe tratta dal Persa di Plauto: si tratta di una sequela di insulti lanciati dallo schiavo Tossilo contro il lenone Dordalo: “pecuniae accipiter avide atque invide,/procax, rapax, trahax-trecentis versibus/tuas inpuritias transloqui nemo potest” (vv. 409-411), avvoltoio avido di denaro e invido, sfacciato, ladrone, rapace, nessuno potrebbe raccontare le tue impudicizie nemmeno in trecento versi.
Alfieri li traduce così: “Aurivoro avvoltoio, invido ed avido/di te audace furace rapace/annoverar le porcherie, né il ponno carmi trecento.
LA SESQUI-PLEBE
1 Avvocati, e Mercanti, e Scribi, e tutti
2 Voi, che appellarvi osate il Ceto-medio,
3 Proverò siete il Ceto de' più Brutti.
4 Nè con lunghe parole accrescer tedio
5 Al buon Lettor per dimostrarlo è d'uopo;
6 Che in sì schifoso tema anch'io mi tedio. -
7 È ver, che molti prima, e alquanti dopo
8 Di voi, nel gregge social, si stanno:
9 Ma definisco io l'uom dal di lui scopo.
10 Certo è, che il vostro è di camparvi l'anno;
11 E d'impinguarvi inoltre a più non posso,
12 Di chi v'è innanzi, e di chi dietro, a danno.
13 Il Contadin, che d'ogni Stato è l'osso,
14 Con la innocente industre man si adopra
15 In lavori, che il volto non fan rosso.
16 Il Grande, e il Ricco, la cui man null'opra,
17 Spende il suo; quindi agli altri egli non nuoce,
18 Ed è men sozzo perch'ei già sta sopra.
19 Ma voi, cui l'esser poveri pur cuoce,
20 E l'aratro sdegnate, o ch'ei vi sdegna,
21 Bandita avete in su l'altrui la croce.
22 Onde voi primi, alta ragion m'insegna,
23 Ch'esser dobbiate infra le classi umane,
24 Qualor sen fa patibolar rassegna.
25 Le cittadine infamie e le villane
26 Veggo in voi germoglianti in fido innesto,
27 E in un de' Grandi le rie voglie insane.
28 De' ceti tutti, i vizi tutti; è questo
29 Il patrimonio eccelso di vostr'arte;
30 Ma non di alcun de' ceti aver l'onesto.
31 D'ogni Città voi la più prava parte,
32 Rei disertor delle paterne glebe,
33 Vi appello io dunque in mie veraci carte,
34 Non Medio-ceto, no, ma Sesqui-plebe.
Schopenhauer vede il borghese come "l'uomo privo di ogni bisogno spirituale... è per l’appunto ciò che viene chiamato…un filisteo. Costui è e rimane cioè l' a[mouso" ajnhvr", ossia l'uomo estraneo alle muse (Parerga e Paralipomena , Tomo I, p. 462).
Oscar Wilde nel De Profundis (del 1897) identifica il filisteo con il nemico della spiritualità. Cristo “capì che gli uomini non dovevano prendere troppo sul serio gli interessi materiali, quotidiani; che non essere pratici è una gran cosa; e che non occorreva angustiarsi eccessivamente per gli affari…la guerra più dura la muoveva ai filistei. La guerra che ogni figlio della luce deve combattere. Tutti eran filistei nel tempo e nella comunità in cui viveva. Nella loro cieca incapacità d’accogliere nuove idee, nella loro ottusa rispettabilità, nella loro tediosa ortodossia, nel loro culto dei meschini successi, nel loro preoccuparsi esclusivamente del lato grossolano, materiale dell’esistenza, nella loro ridicola presunzione e vanagloria, gli ebrei di Gerusalemme al tempo di Cristo corrispondevano esattamente ai nostri filistei britannici”[2].
Gozzano riabilita, non senza ironia, il mercante spregiato da altri poeti.
Il mercante, indocilis pauperiem pati, incapace di accettare una condizione modesta, e antitetico al poeta, si trova nella prima ode di Orazio (vv. 15-18) e nell'ode Alla Musa del Parini:"Te il mercadante che con ciglio asciutto/fugge i figli e la moglie ovunque il chiama/dura avarizia nel remoto flutto,/Musa, non ama" (vv. 1-4) Questa figura negativa del resto trova una rivalutazione, sebbene velata di ironia, in Gozzano :"Oh! questa vita sterile, di sogno!/Meglio la vita ruvida concreta/del buon mercante inteso alla moneta".[3]
Bologna 16 dicembre 2021 ore 9, 42
giovanni ghiselli
p. s.
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gianni
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