martedì 7 dicembre 2021

Plauto Aulularia Atto terzo scena quinta Il problema della dote alle figlie prima parte.

 

Megadoro Euclione  

 

Megadoro parla tra sé sull’argomento dote. La figlia di Euclione va bene: “Euclionis filiam- laudant” 475-476. La ragazza è reputata come si deve.

Il riscontro dell’approvazione sociale fa sempre un certo.

 effetto.

 

Megadoro si propone come modello perché non ha preteso la dote della ragazza creduta povera essendo invece lui ricco: “Nam meo quidem animo si idem faciant ceteri, -opulentiores pauperiorum filias-ut indotatas ducant uxores domum, -et multo fiat civitas concordior-, et invidia nos minore utamur quam utimur, et illae malam rem metuant quam metuunt magis, et nos minore sumptu simus quam sumus” (478-483) In effetti, almeno a parer mio, se altri facessero la stessa cosa cioè che i più ricchi sposassero le figlie senza dote dei più poveri, la cittadinanza sarebbe più concorde e noi saremmo meno soggetti all’invidia di come siamo e quelle avrebbero paura di comportarsi male più di quanta ne hanno ora e noi avremmo spese minori di adesso.

 

Euclione suggerisce una panacea contro le disuguaglianze che creano problemi alla città.

E’ una soluzione semplicistica e pure difficilmente realizzabile.

In questo progetto mancano l’intesa e l’amore . E’ come quando si parla di scuola senza nominarne la quintessenza: l’educazione.

 

 L’intesa tra i coniugi che è il principio vitale del matrimonio.

 Nell'Andria di Terenzio Panfilo, parlando con Miside, la serva dell'amata Glicerio, le chiede di riferire alla padrona che non la abbandonerà mai:" conveniunt mores. Valeant/ qui inter nos discidium volunt: hanc nisi mors mi adimet nemo "(696-697), i nostri caratteri vanno d'accordo. Vadano a farsi benedire quelli che vogliono una rottura tra noi: questa non me la strapperà nessuno tranne la morte.

 

Il termine discidium , dal verbo scindere , significa lo spezzarsi, o il taglio (cfr. discindere, tagliare) di un filo troppo teso in due parti i cui capi si possono riannodare; mentre il divortium implica il  volgersi altrove (divertere ) e non incontrarsi più.

Ma quando conveniunt mores i caratteri si accordano non ci sarà nemmeno discidium.

 

In modo simile a Terenzio, Kierkegaard afferma:" sincerità, apertura di cuore, rivelarsi, intendendersi, ecco il principio vitale del matrimonio, senza le quali cose esso è contrario alle regole della bellezza e, propriamente, amorale, perché così si separa ciò che l'amore congiunge, il sensuale e lo spirituale...L'intesa, ecco dunque il principio vitale del matrimonio"[1].

Analoga riflessione si trova in Svevo:"Se il giovine ama la ragazza, l'affare è certamente buono; se non l'ama, pessimo"[2].  Dote o non dote.

 

Mores del resto comprende anche le abitudini che sono condizionate dalle rispettive situazioni economiche e se queste sono molto differenti comportano abitudini diverse, cosa che  può portare problemi seri, grandi ostacoli all’intesa.

 

Il matrimonio è comunque una gara dura per gli esseri umani:"mevga" ga;r ajgw;n gavmo" ajnqrwvpwn", sostiene Antifonte sofista[3].

 

"Il problema del matrimonio è che finisce tutte le notti dopo che si è fatto l'amore, e bisogna tornare a ricostruirlo tutte le mattine prima della colazione" sostiene il dottor Urbino, "il marito" di un romanzo di Màrquez[4].

 

Nel primo romanzo della sua Ricerca Proust racconta le difficoltà dell’intesa tra due amanti che hanno esperienze e pure educazioni molto diverse tra loro

Nella parte seconda del primo volume,  Un amore di Swann, al ricco, colto e affinato ebreo borghese  arrivò un biglietto dalla cocotte Odette.

Questa aveva cercato di imporre “una parvenza di disciplina a certi caratteri informi, che per occhi meno parziali avrebbero forse notato il disordine della mente, l’insufficienza della educazione, la mancanza di franchezza e di volontà, Swann aveva scordato il portasigarette. C’era scritto: “aveste scordato anche il vostro cuore, non vi avrei lasciato riprenderlo”. (La strada di Swann, p. 237).

Odette aveva  colpito Swann perché aveva notato in quella donna  una somiglianza con Sefora, la figlia di Jetro, raffigurata da Botticelli nella Cappella Sistina (1481). E’ la vita talora che imita l’arte.

 

Torniamo al monologo di Megadoro

Le divites dotatae  (489) potrebbero sposare chi preferiscono- dum dos ne fiat comes  ma senza portare la dote a casa del marito.

In questo modo mores meliores sibi-parent , pro dote  quos ferant quam nunc ferunt” (492-493)  si procurerebbero da portare al posto della dote doti migliori di quelle che portano ora.

 

Sulle indotatae dal padre sentiamo  un poco di latino

Valerio Massimo ricorda che il senato liberalitate sua con la propria generosità sopperì alla mancanza di dote di Fabrizio Luscino e di Scipione perché questi condottieri non  avevano altro eredità da lasciare alle figlie praeter opimam gloriam che la grande gloria militare (Factorum et Dictorum memorabilium, IV, 4, 10).

.

La figlia di Scipione e i figli di lei, i Gracchi, ereditarono dal padre e dal nonno questa gloria senza denaro.

 

 Seneca nella Consolazione alla madre Elvia ricorda questi episodi e li commenta scrivendo: “O felices viros puellarum , quibus populus Romanus  loco suoceri fuit!” (12, 6), O beati i mariti di quelle fanciulle ai quali il popolo romano fece da suocero!

 

Bologna 7 dicembre 2021 ore 10, 5

giovanni ghiselli

p. s.

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[1]Enten-Eller (Aut-Aut) , Validità estetica del matrimonio , trad. it. Adelphi, Milano, 1981,  p. 163 del Tomo Quarto.

[2] Una vita , p. 208.  

[3]Intorno alla Concordia  fr. 49 Untersteiner.

[4] L'amore ai tempi del colera, p. 222.

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