Coro attori e teatro.
All'inizio nel dramma dovette essere di gran lunga preponderante la parte corale[1], poi, da Eschilo in avanti, questa si restrinse. Aristotele ricorda che già Eschilo portò il numero degli attori da uno a due, ridusse la parte del coro, e rese protagonista la parola (kai; ta; tou' corou' hjlavttwse kai; to;n lovgon prwtagwnistei'n pareskeuvasen, Poetica, 1449a, 15-18 ).
Infatti il dramma greco rispetto al melodramma moderno è logocentrico.
Con lovgo~ intendo più la parola parlata che quella scritta: “Il mondo greco era anzitutto il mondo della parola parlata”[2].
Ad Atene i drammi venivano rappresentati nel teatro di Dioniso situato sulle pendici meridionali dell'acropoli.
In origine era di legno, poi subì diversi sviluppi e cambiamenti, fino all'epoca dell'impero romano, quando vi si svolgevano combattimenti di gladiatori e forse anche naumachie. Meglio conservato e di struttura più unitaria è quello di Epidauro, creazione[3] di un singolo architetto: Policleto il giovane.
In ogni modo il teatro[4] era senza tetto e constava di tre parti: la prima era la càvea (koi'lon), la gradinata dove sedeva il pubblico; la seconda l'orchestra circolare, il luogo centrale sul quale danzava il coro, dove sorgeva l'altare di Dioniso e si trovava una piattaforma (logei'on ), forse leggermente elevata: questa era il palcoscenico sul quale recitavano gli attori e stava nella parte dell'orchestra più lontana dagli spettatori; infine, di seguito, si trovava la scena, in origine una tenda (skhnhv ) che consentiva ai personaggi di cambiarsi il costume senza essere visti dal pubblico, poi divenne l'edificio in fondo alla prospettiva del pubblico, un palazzo reale, un tempio, con una o più entrate, e due ali sporgenti (paraskhvnia), oppure una caverna. L'attore, abbiamo detto, recitava davanti alla scena, ma in certi casi appariva sul suo culmine o, impersonando un dio, su un un tetto mobile (qeologei'on), o anche sospeso in aria da una specie di gru (mhcanhv), e in tal caso era il deus ex machina.
“Dove agivano gli attori? Era riservato loro uno spazio distinto da quello del coro? Una testimonianza di Vitruvio (V 7, 2) riferisce che essi recitavano su di un logheion, una scena rialzata di alcuni metri rispetto alla sottostante orchestra ove stazionava il coro. La creazione di questa struttura, con una conseguente rigida spartizione degli spazi, è un prodotto dell’età ellenistica: essa interessò certamente anche il teatro di Dioniso, ma non prima del III sec.a.C.
Gli attori erano tutti maschi; ciascuno usava una maschera (provswpon, cfr. lat persona[5]) e poteva interpretare più parti in una stessa tragedia.
“Il medesimo attore interpretava nelle Baccanti i personaggi di Penteo e di Agave, con un sinistro effetto di ironia tragica, se si pensa al finale del dramma e alla possibilità che nella voce della madre che celebra il suo folle trionfo gli spettatori riconoscessero, al di là delle variazioni messe in atto dall’interprete, la medesima voce del figlio da lei dilaniato…nelle Baccanti un attore impersonava Dioniso e Tiresia, un altro Penteo e Agave, un altro ancora Cadmo, il servo e il primo Messaggero, mentre resta dubbia l’attribuzione del ruolo del secondo Messaggero ”[6].
Per quanto riguarda la grandezza (to; mevgeqo~), da racconti brevi e un linguaggio scherzoso, per il fatto che subì una trasformazione dal satiresco, la tragedia assunse tardi una forma solenne, e il metro da tetrametro divenne giambico (1449a, 21). All’inizio si usava il tetrametro per il fatto che la poesia era satiresca e piuttosto adatta alla danza, poi, sviluppatosi il dialogo, la stessa natura del parlato trovò il metro appropriato: mavlista ga;r lektiko;n tw'n mevtrwn to; ijambei'on ejstin (1449a, 25), infatti il giambo è il verso più adatto al parlato; un segno di questo è che noi nella conversazione diciamo moltissimi giambi, mentre gli esametri li usiamo raramente e solo quando usciamo dal tono della conversazione (1449a, 31).
La tragedia consta di sei parti qualitative (mevrh ei\nai e{x, kaq j o{ poiav ti~ ejsti;n hJ tragw/diva, 1450a, 10): racconto (mu'qo~), caratteri, linguaggio, pensiero, spettacolo visivo, musica.
[1] “Il coro originariamente è tutto”, J. Burckhardt, Storia della civiltà greca, 1, p. 1140.
[2] M. Finley, La democrazia degli antichi e dei moderni, p. 18.
[3] 350 a. C. ca.
[4] Etimologicamente è “il luogo da dove si guarda”.
[5] “Un’opinione accreditata e diffusa vuole inoltre che il nome latino di “maschera” (persona) non sia che il greco provswpon passato ai Romani attraverso l’etrusco (donde la diversità delle due forme)” . Prefazione di C. Questa a Plauto Anfitrione, p. 14.
[6] Di Marco, Op. cit p. 85 e p. 88
Nessun commento:
Posta un commento