Cala dall’alto Giove che chiude la commedia come deus ex machina
Bono animo es; adsum ausilio, Amphitruo, tibi et tuis.
E’ già annunciato il lieto fine: Giove è il pater omnipŏtens.
Non c’è più bisogno di indovini, aruspici, manda via tutti; sarò io a dire quello che è accaduto e quanto avverrà, molto meglio di loro perché sono Giove.
Il discredito nei confronti dei profeti risale a Euripide che scrisse un’Alcmena a noi non arrivata.
Disonesti, o per lo meno non attendibili come quelli di Sofocle, sono gli indovini di Euripide: nell'Ifigenia in Aulide Agamennone nel momento in cui, pentito, vorrebbe salvare la figlia, afferma che "tutta la razza dei vati è un malanno ambizioso[1] (filovtimon kakovn)", v. 520.
Nell'Elena il messaggero, dopo avere saputo dalla figlia di Zeus che a Troia Greci e Troiani hanno sofferto tanto per una nuvola (nefevlh~…pevri, v. 706) che aveva l’aspetto della bellissima donna, manifesta piena sfiducia nei profeti e negli oracoli:" Ho visto bene come sono vane le parole dei profeti e piene di menzogne….Allora perché consultiamo gli oracoli? agli dèi bisogna, sacrificando, chiedere i beni, e lasciare perdere i vaticini:infatti questa trovata non è altro che un'esca per la vita"(vv. 744-745 e vv. 754-756)[2].
Particolarmente odiosa a Euripide è la pretaglia e la gentaglia delfica. Nell'Andromaca il nostro autore rappresenta la morte di Neottolemo lapidato senza ragione dagli abitanti di Delfi sobillati da Oreste innamorato della frivola spartana Ermione.
Oreste è un personaggio negativo, mentre nelle Eumenidi, di Eschilo, abbiamo visto, era un Argivo caro agli Ateniesi.
Torniamo a Plauto
Giove dice ad Anfitrione che ha usufruito del corpo di Alcmena e con quel concubitus pur vagus, vagabondo, l’ha messa incinta. Ora l’onestissima signora con un solo parto ha dato alla luce due maschi contemporaneamente uno partu duos peperit simul (1138)
Uno è stato seminato da me, e con le sue imprese ti provvederà di una gloria immortale- eorum alter, nostro qui est susceptus semine,- suis factis te immortali adficiet gloria (1139-1140). Le corna a volta tornano utili all’eterno marito.
Tu devi tornare nella pace di prima con tua moglie Alcmena-Tu cum Alcmena uxore atiquam in gratiam- redi 1141-1142.
Ella non merita le infamanti accuse che le hai mosse: “mea vi subactast facere” (1143) è stata spinta sotto dalla mia potenza.
Il ganzo non vuole che l’amante lasci il marito siccome non ci pensa nemmeno a restare con lei né vuole avere rimorsi: se la tenga il consorte legittimo e mi lascino libero. Infatti: Ego in caelum migro (1143)
Anfitrione dice le ultime parole della commedia che sono di obbedienza totale sl volere di Giove.
“Faciam ita ut iubes et te oro, promissa ut serves tua.
Ibo ad uxorem intro; missum facio Teresiam senem.
Nunc, spectatores, Iovis summi causa clare plaudite” (1144-1146)
Giove con la sua vis ha goduto della donna, ha avuto il consenso del marito e ha esautorato Tiresia.
Fine dell’Amphitruo di Plauto. Se vi è piaciuto, applaudite anche me. I mie estimatori dicono che nel commentare i libri li arricchisco.
Bologna 25 dicembre 20, 53
Oggi tra le 12 e le 14 ho pedalato per un’ora e 20 minuti sotto la pioggia
Sto bene ma questa sera ho rinunciato alla corsa.
Potrò dunque mangiare solo pochino: un mezzo digiuno invece del cenone. Qualcuno mi compatirà. Io invece me ne compiaccio. Cenerò con amici lunedì e martedì. Per i solitari come me le feste della famiglia sono feste dello studio e della riflessione. Domani dovrò quasi digiunare perché pioverà e non potrò impiegare le mie forze somatiche, e anche perché i negozi sono chiusi e in casa non ho quasi nulla. Ieri sera per studiare mi sono mosso tardi di casa rispetto ai negozi che hanno chiuso in anticipo. Sicché lavoro molto ma poi resto a denti asciutti. Non voglio chiedere niente a nessuno. Studiare e scrivere mi piace molto
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Bene: anche oggi che è Natale almeno a cento lettori arriverò, e senza contare quelli di facebook.
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[1] La condanna della genìa dei profeti si trova già nell'Antigone di Sofocle, messa in bocca a Creonte:"Infatti tutta la razza dei profeti ama il denaro” (v.1055). Al che Tiresia risponde :" quella nata dai tiranni ama i lucri turpi " (v. 1056). In questa tragedia i fatti daranno ragione al profeta.
[2] Possiamo trovare un parallelo rovesciato nel pio Sofocle che invece condanna chi bestemmia gli oracoli: nell'Edipo re il protagonista, informato sulla morte del re di Corinto, esclama empiamente:"e allora, gli oracoli che c'erano, li ha presi/Polibo che giace presso Ade, ed essi non valgono nulla"(vv.971-972).
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