domenica 26 dicembre 2021

La storia di Päivi. 6 L’approccio riuscito. Ne ringrazio ancora gli dèi.


 

Ogni minuto che passava, mentre nel pomeriggio dell’estate  già declinante si allungavano rapidamente tutte le ombre, la necessità dalle mani d’acciaio mi spingeva, con forza sempre maggiore, a entrare in contatto con quella che mi appariva il mio stesso ideale di donna, anzi di essere umano.

“Tu sei nobile e seria - recitavo e pregavo - tu sicuramente leggi, impari e capisci, creatura. Tu parli di rado con voce soave. Non c’è in te alcuna traccia di posa, di civetteria, di menzogna. Io ho bisogno di te.

Cerca di capire anche questo. Noi due dobbiamo parlare: vedrai che, ispirato da te, riuscirò a dirti qualche cosa di interessante, di bello e degno della tua nobiltà”.

 

Mentre pregavo l’idolo mio, osservavo la ragazza reale, volendo significarle la mia profondità interiore e il bisogno che avevo dell’amore, dell’amore di lei.

Ma nonostante i grandi sforzi espressivi, non progredivo: dopo cinque minuti di quella scena, fin troppi, mi accorsi che non potevo colpire il bersaglio soltanto guardandola, seppure intensamente e con occhi pieni di intelligenza e ardenti di pathos, poiché lei non mi prestava attenzione; forse nemmeno si era accorta di me. Capii che dovevo andare a parlarle. Dovevo andare da lei, anche se non mi aveva notato, né guardato, dovevo proprio, dato che la splendidissima rossa vestita del colore di fiamma viva, con gli occhiali da vista e l’aria pensosa, poteva essere proprio colei che mi avrebbe spinto alle cose egregie che dovevo a me stesso, ai miei studenti, e a voi lettori cari[5]

Le arrivai vicino, la guardai a più riprese, aspettai che mi desse un’occhiata, e quando, come Dio volle, lo fece, le rivolsi la parola, in inglese ovviamente, con calma, a bassa voce, affinché comprendesse subito che ero diverso dal coro della gente fangosa, gracidante nella palude dei più, e che non mi presentavo per scherzo, cercando solo un’avventura amorosa con una straniera nordica e pure orientale, presumibilmente più libera in cose erotiche di un’italiana ancora inceppata da divieti e superstizioni, ma volevo una relazione profonda proprio con lei, lei sola, identificata con la felicità, ossia con il destino buono che doveva essere il mio.

 

 

 

[1] Cfr. quanto dice Giuliano Augusto quando si prepara ad attaccare Costanzo e parla ai soldati: quid agi oporteat bonis successibus instruendi (Ammiano Marcellino, Storie, 21, 5, 6).

[2] Cfr. la storia di Helena .

[3] Questa è la storia di Kaisa .

[4] Nel V dell’Iliade purpurea è la morte che prese il troiano Ipsenore colpito da Euripilo: “e[llabe porfuvreo~ qavnato~ kai; moi'ra krataihv” (v. 839, lo prese la morte purpurea e la moira possente. Questo verso viene ripetuto da Giuliano quando, il 6 novembre del 354 viene nominato Cesare dal cugino Costanzo. In quella circontanza risplendeva nel fulgore della porpora imperiale ( imperatorii muricis fulgore), i soldati lo avevano acclamato battendo gli scudi sul ginocchio, e, salito sul cocchio imperiale, procedeva verso la reggia.

[5] Oggi il “caro” si lesina, anche nel saluto epistolare, per diffidenza, grettezza, avarizia. Io l’ho sempre usato, come segno di cortesia almeno, spesso pure di affetto, e se chi lo riceve si spaventa o addirittura si offende, peggio per lui.


 


 

Dissi: “Senti, scusa, io non ti conosco, ma ti trovo interessante”.

“Proprio me?” domandò con straordinaria, elegante modestia.

L’abito letterario mi fece pensare alla Chauchat di Thomas Mann.

“Sì, appunto, proprio te, e mi piacerebbe se tu volessi parlare con me. Mi chiamo Gianni”.

Mi osservò senza sdegno né compiacimento. Era rimasta seria e sembrava incuriosita.

Infatti mi chiese: “Per quale ragione vuoi parlare con me?”.

“Perché in te c’è qualcosa di bello, di fine, di molto attraente. Penso che non conoscerti sarebbe un’occasione perduta. Per me di sicuro e forse anche per te. Considera che questo momento cruciale potrebbe non tornare mai più se mi mandi via. Per me sarebbe una perdita grande. Hai un bello stile. Come ti chiami e da dove vieni?”

Il mio destino che, come il suo, d’altra parte, conteneva il nostro vicendevole amore, mi fece dire tali parole comuni, banali, con l’aria della sicurezza e la forza della persuasione.

Päivi mi osservò di nuovo per un momento, poi, da par sua, cioè senza posare né gesticolare, molto semplicemente e direttamente, rispose: “Tu credi davvero che in me ci sia qualche cosa di buono? Forse ti sbagli. Comunque mi chiamo Päivi. Sono finlandese. D’accordo, parliamo, se vuoi. Anche tu non sembri ordinario. Forse quello speciale tra noi due sei proprio tu”.

Pensai che potesse parlare con un velo di ironia. Decisi di non tenerne conto.

“Quello che ho di speciale me lo suggerisci tu. E’ per la volontà di parlare con te e di piacerti che cerco di tirare fuori il meglio da quello che ho dentro.”

“ In effetti hai un modo di proporti che non mi dispiace. Sei un uomo per lo meno educato. Di che cosa vuoi parlare con me?”

“Di molte cose allegre e di alcune serie. Da questa festa della nostra conoscenza alla tragedia greca se vuoi. Ma prima di me e di te”.

“Sei greco? L’aria mediterranea ce l’hai. La conosco e non mi dispiace. Mio fratello è fidanzato con una greca”.

“No, non sono greco, sono italiano. Però ci hai quasi preso. A parte che amo la cultura greca e ne sono stato formato, i Greci quando vedono noi italiani ci dicono ‘ italiano una razza, una faccia’. Sono italiano di Pesaro sulla costa adriatica, ma ho studiato greco antico e latino all’Università di Bologna, e da settembre li insegnerò in un liceo di quella città. Può interessarti?”

“Come no? I Greci classici, entrano nei miei studi e nei miei interessi, soprattutto Sofocle in particolare. Freud gli è debitore. Anche a Empedocle deve non poco. Vedo che possiamo parlare. Non da eruditi pedanti, spero”.

“No di certo. Non sono il tipo della talpa filologica stigmatizzata da Nietzsche [6]. Studio parecchio ma faccio anche dello sport e qualche volta scendo per strada a tamburellare ditirambi, oppure indago me stesso per diventare quello che sono: apollineo e dionisiaco.

Guardarti, starti vicino mi vivacizza, realizza e mi riempie di gioia”.

 “ Va bene - fece lei allora - Aspetta solo un momento: mi scuso con gli altri finnici, prendo un bicchiere di birra, poi ci sediamo insieme da qualche parte, dove vuoi tu”.

“Ce l’ho fatta - pensai, quasi lacrimando di gioia - ce l’ho fatta Dio, grazie a te e alla mamma mia santa. Il sole fra tre ore tramonta, poi il cielo sereno si arrossa, torma azzurro, si annera. Quindi si schiarisce al biancheggiar della luna. La terra è in mezzo alle stelle, e sulla terra ci siamo noi due, insieme. E’ questa la femmina umana, la Salvatrice, la Redentrice dovuta alla mia umanità. Con lei, nel suo prato fiorente, voglio celebrare un’orgia tanto santa che verrà benedetta anche dai preti".

 

Bologna 26 dicembre 26 dicembre 2021 ore 12, 24.

 

giovanni ghiselli

p. s

Statistiche del blog

Sempre1194851

Oggi59

Ieri129

Questo mese7656

Il mese scorso9836

 

 

[6] Per i filologi come talpe cfr. la lettera di Nietzsche a Erwin Rohde, del 20 novembre 1868: “Quella brulicante genia di filologi dei giorni nostri, quell’affaccendarsi da talpe, con le cavità mascellari rigonfie e lo sguardo cieco, contente di essersi accaparrate un verme, e indifferente verso i veri, urgenti problemi della vita”.


 

Nessun commento:

Posta un commento

Ifigenia CL. Conclusione del 4 agosto. Porosità degli amori

Osservavo le ragazze italiane che cantavano le canzoni del nostro folklore. Ma continuavo a pensare a quella che non mi scriveva. Mi f...