NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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venerdì 17 dicembre 2021

Altre testimonianze contro la borghesia.


 

Non nego che non mi dispiacciono perché sento la mia diversità dal borghese come viene definito, magari faziosamente, dagli autori che cito.

Io non sono troppo migliore del borghese ma certamente molto diverso: mi definisco uno studioso, sportivo, amante del sole, delle donne, della natura; insomma della vita.

 Quanto alla società vorrei che fosse frugale, colta, solidale e comunista invece che egoista, ignorante  e consumista.

Nel mio piccolo vivo in questa maniera ma per vivere così posso frequentare poche persone perché pochi mi sopportano e pure io non ne reggo tanti emuli di gente come Briatore.

Rimpiango i primi anni Settanta quando in tutta Europa c’era un clima di solidarietà e simpatia tra noi giovani anche di parti politiche diverse. Si discuteva, si scherzava, si giocava. Insomma ci si voleva bene. Capitava pure spesso che ci si amava.

Ho raccontato le storie di quegli anni nella mia narrativa. Non mi sto facendo pubblicità per lucro. Si trova già nel blog a disposizione gratuita di voi cari lettori che siete tanti, in tutto il mondo e non mi lasciate sentire solo.

Mi considero fortunato per avere vissuto quegli anni nel colmo della mia gioventù. La mia vecchiaia è ancora non solo confortata ma pure rallegrata dall’allegria di allora.

        

Veniamo dunque alle critiche fatte all’eterno borghese

 H. Hesse in Il lupo della steppa  definisce il borghese :"una creatura di debole slancio vitale...l'assoluto gli è intollerabile"(p.XVII).

Quando si esclude l’assoluto fiorisce la chiacchiera: “Perché c'è soltanto un'antitesi assoluta all'assoluto e cioè la chiacchiera vana"[1].

 

 

  In La montagna incantata di T. Mann ci sono due personaggi che si contendono l’anima del giovane protagonista Hans Castorp. Ebbene il quasi gesuita[2] Naphta considera il rivale, l’umanista, “il signor Settembrini, il letterato…l'uomo del progresso, del liberalismo, della rivoluzione borghese”. Ma “il progresso era puro nichilismo ed il borghese liberale l’uomo del nulla e del diavolo. Anzi egli negava Dio, l'Assoluto, per darsi in braccio al diabolico antiassoluto, e nel suo pacifismo di morte si credeva chissà quanto devoto e pio"[3]. Questo grande libro di T. Mann, un “romanzo come architettura di idee”[4], è una di quelle opere che i giovani dovrebbero legge per il loro arricchimento mentale e per la loro educazione.

 

Torniamo a Pasolini e sentiamo un suo anatema contro la cultura pragmatica che è poi quella borghese: “io per borghesia non intendo tanto una classe sociale quanto una vera e propria malattia. Una malattia molto contagiosa: tanto è vero che essa ha contagiato quasi tutti coloro che la combattono: dagli operai settentrionali, agli operai immigrati dal Sud, ai borghesi all’opposizione, ai “soli” (come son io). Il borghese - diciamolo spiritosamente – è un vampiro, che non sta in pace finché non morde sul collo la sua vittima per il puro, semplice e naturale gusto di vederla diventar pallida, triste, brutta, devitalizzata, contorta, corrotta, inquieta, piena di senso di colpa, calcolatrice, aggressiva, terroristica, come lui.[5]

“Nessuna opera, di narrativa, di poesia, di filosofia che conti può conciliarsi ideologicamente-per la contradizion che nol consente-con il lettore medio borghese: ogni opera di poesia è fondamentalmente innovativa, e quindi scandalosa. E il borghese teme soprattutto, come la peste, l’innovazione e lo scandalo: egli è conservatore quando non è reazionario. La poesia lo contraddice alle radici”[6].

Il borghese è pure il conformista, spesso razzista: “L’uomo per vivere, ha bisogno di fondamenta sicure: di abitudini. Quando una di tali abitudini scompare, un’altra ne prende il posto modellandosi sulla precedente, perché ne prende la meccanica funzione di protezione contro il caos. Dai campi di Buchenwald o di Dachau, il razzismo può giungere a dei fenomeni apparentemente piccoli, ma fondamentalmente gravi, come l’assassinio di domenica sera”. Un ladruncolo, tal “Moscucci Rossano” era stato ammazzato a Roma, in piazza Navona, da “un idiota” che andava in giro armato di pistola. “Il razzismo, infatti, è una meccanica: non gli importa l’oggetto. Che può essere sostituito con la massima facilità. L’odio contro gli Ebrei può essere sostituito dall’odio contro i Negri: l’importante è che ci sia una minoranza di persone, una categoria, da odiare. In nome, naturalmente, della maggioranza, di coloro che sono tutti uguali fra loro, la cui vita è regolata dalle stesse norme, i cui lineamenti finiscono per assumere una analogia quasi fisica, ecc. ecc.: in nome del conformismo, insomma. Sono certo che nella testa di quell’essere odioso che andava in giro armato di pistola, i giovani ladruncoli del quartiere si erano inseriti in una idea generalizzante di tipo razzistico. Il suo odio contro di loro era dunque, in definitiva, una forma sia pur degenerata e particolare, di odio di classe…mi interessano le “conferme” che l’assassino ha avuto della sua aberrazione ideologica, del suo classismo razzista. Non c’è giornale italiano, anche il meno borghese come impostazione politica, che in qualche modo non abbia la sua pur minima parte di responsabilità. I giornali borghesi per autentico conformismo borghese, quelli anti-borghesi per timore di andare contro quel conformismo, ossia di urtare l’opinione pubblica-a cui tengono tanto-, non hanno mai saputo o voluto dare una immagine esatta di persone come è stato nella sua breve vita il povero Moscucci Rossano…Così anche i giornali dei radicali o dei socialisti o dei comunisti quando parlano di persone come Moscucci Rossano ne parlano come di tipi di una “razza” diversa, predestinati al disprezzo, all’inesistenza, alla condanna morale. Persone prive di peso umano. Di prestigio umano. Capri espiatori di una situazione umana infetta, di una vita nazionale corrotta e ipocrita…Bisogna avere il coraggio di scandalizzare. Non bisogna mai, per nessuna ragione di tattica o di compromesso, adottare di fronte all’opinione pubblica, il suo punto di vista di perbenismo borghese, non bisogna confondere la morale col moralismo conformista”[7]. 

 

 

 

La borghesia non lascia tra uomo e uomo "altro vincolo che il nudo interesse, lo spietato pagamento in contanti. Essa ha affogato nell'acqua gelida del calcolo egoistico i santi fremiti dell'esaltazione religiosa, dell'entusiasmo cavalleresco"[8].

 

“E che cosa d’altronde poteva esserci di comune tra lui e quella borghesia che s’era fatta a poco a poco, profittando per arricchirsi di tutti i disastri, suscitando catastrofi pur d’imporre il rispetto dei suoi misfatti e delle sue ruberie…Autoritaria e sorniona, bassa e vigliacca, essa infieriva senza pietà contro l’eterna necessaria sua vittima, il popolino, cui pure aveva di sua mano tolta la museruola e che aveva appostato perché saltasse alla gola delle vecchie caste…Conseguenza della sua salita al potere, era stata la mortificazione di ogni intelligenza, la fine di ogni probità, la morte di ogni arte. Gli artisti umiliati, s’eran buttati ginocchioni a divorar di baci i fetidi piedi dei grandi sensali e dei vili satrapi, delle cui elemosine campavano….Era insomma la galera in grande dell’America trapiantata nel nostro continente; era l’inguaribile incommensurabile pacchianeria del finanziere e del nuovo arrivato che splendeva, abbietto sole, sulla città idolatra che vomitava, ventre a terra, laidi cantici davanti all’empio tabernacolo delle Banche”[9].

 

 

“Una classe che non ha esitato a scatenare il fascismo, il razzismo, la guerra, la disoccupazione. Se occorresse “cambiare tutto perché non cambi nulla” non esiterà a abbracciare il comunismo”[10].

 

“La vita borghese è micrologia, visione analitica e riduttiva nella quale l'esistenza non fa più balenare un senso globale che la illumini e le dia valore”[11].

 

La cultura pragmatica, che diventerà quella del borghese, arriva a strumentalizzare tutto. Si pensi al secondo coro della Medea di Seneca che rimpiange, in dimetri anapestici, il tempo della non strumentalizzazione degli astri.

"Alla breve presentazione dell'audacia del primo navigatore segue la descrizione (vv. 309-317) del tempus precedente come tempo di pura contemplazione o comunque di non strumentalizzazione del cosmo-starei per dire dello spazio-da parte dell'uomo:“nondum quisquam sidera norat,/stellisque quibus pingitur aether/non erat usus[12]. Nessuno ancora conosceva i nomi degli astri né faceva uso delle stelle di cui è dipinta la volta celeste.

 

 

Il fatto è che il borghese deve continuamente riaffermare e rafforzare la propria identità attraverso la roba: “Il borghese deve affermare quella che sarà la sua identità per tutta la vita. L’aristocratico si manifesta per quello che è già al momento della nascita. Il borghese si sente costretto ad accumulare, o quanto meno a salvaguardare”[13].

 

E’ per lo meno stravagante e bizzarra l’idea che dà, del Socrate borghese, Santo Mazzarino quando contrappone la visione aristocratica di Tucidide a quella del maestro di Platone:"La profonda differenza fra quei due grandi contemporanei riproduce un dualismo che caratterizza tutta la storia greca. Tucidide esprime una società aristocratica, la quale svolge sino alle estreme conseguenze la capacità greca di contemplare teoricamente le aporie del lògos , ed insomma fonda il suo pensiero sullo antilogeîn "parlare in sensi opposti", ugualmente validi. Dobbiamo ribadire questo punto: per la società aristocratica tucididèa non ci può essere una Dìke sola, come aveva già detto Eschilo; "utilità" si oppone a "giustizia", come nel tucidideo dialogo dei Melii. La cultura borghese di Socrate ha invece bisogno di un punto fermo: e lo può trovare soltanto nell'identificazione dell'utile col giusto, nella presenza di una giustizia assoluta"[14].

 

Bologna 17 dicembre 2021 ore 10, 29

giovanni ghiselli

p. s.

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[1]S. Kierkegaard, In vino veritas , p. 58.

[2] “Il signor Naphta non è padre. La malattia gli ha impedito finora di diventarlo. Ma ha fatto il noviziato ed anche i primi voti…Ma è un membro dell’Ordine.”, T. Mann, La montagna incantata, II, p. 74. E’ Settembrini che parla.

 

[3] T. Mann, La montagna incantata (del 1924),  p. 201,II vol.

 

[4] T. Mann, Saggio autobiografico in Thomas Mann Nobiltà dello spirito e altri saggi, p. 1466.

[5] P- P. Pasolini, Il caos, p. 39.

[6] P. P. Pasolini, Le belle bandiere, p. 128,

[7] P. P. Pasolini, Detesto chi gira con la pistola in tasca  “Paese sera”, 14 marzo 1963 in Pasolini Saggi sulla politica e sulla società, p. 114 

[8] Manifesto del partito comunista  di Marx-Engels, p. 59.

[9] J. K. Huysmans, Controcorrente (del 1884) p. 218.

[10] La frase fra virgolette è nel romanzo “Il Gattopardo”. La dice un principe siciliano all’arrivo dei garibaldini (1860). Poi fa il garibaldino anche lui e così non perde né i soldi né il potere.  Scuola di Barbiana. Lettera a una professoressa, p. 74.

[11] C. Magris, L’anello di Clarisse, p. 191

[12]  G. Biondi, Il mito argonautico nella Medea. Lo stile 'filosofico' del drammatico Seneca, "Dioniso" 1981 p. 427. Sono citati i vv. 309-311 del secondo coro della Medea.

[13] Sàndor Màrai, La donna giusta,  p. 18.

[14]Il pensiero storico classico , I vol., p. 329.  Sulla doppia dike di Eschilo torneremo al cap. 33.

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