Manuscript illustration of Terence, Adelphoe II.4 (source: Mark Damen pages) |
Ctesifone lo scavezzacollo elogia il fratello Eschino, il santo.
Tutt’altra cosa rispetto a Romolo e Remo
Ctesifone, Sannione, Syro
Ctesifone
( Tra sé) Quando hai bisogno, sii contento di ricevere un favore da qualsiasi uomo;
però in realtà questo soprattutto fa piacere, se fa il bene chi è giusto che lo faccia.
O fratello, fratello, perché ora dovrei fare il tuo elogio?
Lo so con sufficiente certezza, non potrei mai dire niente di tanto splendido che il tuo merito non lo sovrasti.
Pertanto ritengo di avere questo privilegio particolare al di sopra degli altri,
che non esiste un fratello, nessun uomo più distinto nelle migliori qualità.
Siro
O Ctesifone! 260
Ctesifone
O Siro, Eschino dov'è?
Siro
Eccolo, ti aspetta in casa.
Ctesifone
Oh!.
Syro
Che c'è?
Ctesifone
Me lo chiedi? Per opera sua, Siro, torno al mondo.
Meravigliosa creatura;
che addirittura ha ritenuto di dovere posporre tutti i suoi interessi di fronte al mio vantaggio;
e si è addossato le ingiurie il disonore la pena mia e la colpa.
Di più non si può. Come mai la porta ha fatto rumore?
Syro
Aspetta, aspetta: è lui che esce. 264
Eschino è tanto santo da purificare il peccato originale di Roma.
La figura di Eschino che si addossa e sobbarca le colpe del fratello Ctesifone davanti al padre, allo zio e all’opinione pubblica vuole forse dire al pubblico e ai lettori che se pure i Roma ha come primo re un fratricida, questo peccato originale non è stato ereditato dai giovanotti di buona famiglia.
Orazio tuttavia ricorderà il fratricidio delle origini come una maledizione che grava sempre sulla città.
L’ Epodo 16 fu composto composto probabilmente "dopo che Sesto Pompeo nel 38 ha ricominciato la sua guerra sul mare, minacciando di affamare l'Italia"[1].
Orazio prevede cupamente che saranno loro stessi, i Romani a distruggere la loro città che i tanti nemici esterni non riuscirono a vincere: “impia perdemus devoti sanguinis aetas "(v. 9), la distruggeremo noi, generazione empia nata da un sangue maledetto, con riferimento all’uccisione di Remo da parte di Romolo.
Ovidio individua un altro peccato originale ma è un peccato veniale che, anzi, serve a coonestare il libertinaggio
Rusticus est nimium quem laedit adultera coniunx ,/et notos mores non satis Urbis habet,/in qua Martigenae non sunt sine crimine nati,/Romulus Iliades Iliadesque Remus " (Amores, III, 4, 37-40), è davvero rozzo quello che una moglie adultera offende, e non conosce bene i costumi di Roma nella quale i figli di Marte non sono nati senza colpa, Romolo figlio di Ilia e il figlio di Ilia Remo.
Insomma il marito che, tradito, si adonta, è un ignorante integrale.
"Per Ovidio Roma non è la regina delle città che detta legge al genere umano: è invece principalmente la città dell'amore. Tutto invita ad amare: strade, piazze, portici offrono mille bellezze giunte dai quattro punti cardinali per conquistare i loro vincitori"[2].
Bologna 27 dicembre 2021 ore 18, 05
p. s
Non preoccupatevi cari lettori e amici.
Questa sera e domani verranno a casa mia alcuni ospiti latori di prelibatezze. Per giunta ho fatto la spesa.
Baci
gianni
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[1]La Penna (a cura di) Orazio, Le Opere, Antologia , p. 162.
[2] P. Grimal, L'amore a Roma, trad. it. Aldo Martello, Milano, 1964, p. 140.
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