giovedì 9 dicembre 2021

Plauto Aulularia Atto terzo scena sesta seconda parte (da v. 561 a 586)

 

 

Euclione lamenta che l’agnello mandatogli da Megadoro è tutto pelle e ossa- ossa ac pellis totus est- 564, anzi pellūcet è trasparente quasi lanterna Punica, più o meno come una lanterna punica e gli si possono vedere le budella ancora prima di ammazzarlo.

 

Vengono in mente certe indossatrici che non hanno niente di femminile. Credo che possano piacere solo a quelli cui le femmine non piacciono.

 

Megadoro ribatte “caedendum conduci ego illum” 567, io l’ho comprato perché venga ammazzato.

Euclione replica che l’agnello è già morto iam mortuust e invece di spendere per comprarlo era meglio pagare il trasporto funebre.

Megadoro cambia discorso proponendo una bevuta: “potare ego hodie, Euclio, tecum volo” 569

 

Ma Euclione non è in vena. Bere insieme infatti stimola la socializzazione l’amicizia, perfino l’amore ed Euclione è il tipo del misantropo allineato con Timone di Atene e Cnemone il Dyskolos di Menandro. Lo studieremo all’inizio del  prossimo corso perché da Menandro prende le mosse la commedia latina.

 

Euclione dunque risponde sgarbatamente che non ha nessuna voglia di bere.

Megadoro promette cadum unum vini veteris (572) una botte di vino vecchio.

Euclione teme di lasciarsi andare a miglior labbia nel caso che abbia bevuto del vino . Nolo hercle; nam mihi bibere decretum est aquam (572), non voglio, per Ercole! ché ho deciso di bere acqua

 

Mi vengono in mente le ragazze che corteggiavo quando, nell’età più bella, ero ancora più sano e snello di ora.

Se proponevo una bevuta insieme, la corteggiata disposta benissimo, veniva subito a casa mia, quella ancora incerta accettava vino o birra in un locale pubblico, la non disponibile beveva solo  tè.

Mi consolavo pensando senza diglielo: “questa non mi gradisce: sarà una zitellina bigotta”. Il fatto è che a queste non piacevo.

Avevo però pronta una frase d’autore, cioè di James Joyce, per tirarmi su: “ognuno ha i suoi gusti, come disse Morris quando baciò la vacca” Viene dall’Ulisse ne sono certo, ma non ne trovo la pagina.

Quindi si beveva il tè parlando di niente e tanti saluti.

Ho sempre detestato il tè.

 

Il vino isomma è un buon viatico delle amicizie e pure dell’amore.

Alcune testimonianze

Euripide Baccanti oi[nou de; mhkevt j o[nto~ oujk estin Kuvpri~-oujd j a[llo terpno;n oujde;n ajnqrwvpoi~ (773-774).

Terenzio, Eunuco, 732: Sine Cerere et Libero friget Venus.

Ovidio Vina parant animum Veneri, nisi plurima sumas-et stupeant multo corda sepulta mero” (Remedia, 807-8).

Macbeth “Much drink may be said to be an equivocator with lechery: makes him stand to and not stand to (II, 3

Nell’Asino d’oro di Apuleio il protagonista Lucio fa un elogio del vino paraninfo:  Veneris hortator et armĭger Liber. Serve a estinguere pudoris ignaviam (II, 11). La barca di Venere ha bisogno di questo solo approvvigionamento hac  sitarchĭā navigium Veneris indiget  solā.

 

Magadoro insiste palesando a Euclione il proprio intento di farlo ubriacare per bene: “Ego te hodie reddam madidum, si vivo, probe” 572

Euclione reagisce con la solita diffidenza: teme che il genero voglia ubriacarlo per sottrargli la pentola. Ego id cavebo, 577, io mi guarderò dal furto, nasconderò il tesoro fuori, da qualche parte.

Ego faxo et operam et vinum perdiderit simul, gli farò perdere insieme la fatica e il vino (578) dice tra sé.

Megadoro  rientra in casa sua lavatum ut sacruficem 579, a lavarmi per fare il sacrificio, dice.

Euclione rimasto solo dichiara alla sua pentola che le dedicherà una cura  amorevole: la poterà in Fidei fanum, nel tempio della Fede dove la nasconderà bene.

 Quindi l’uomo del tutto diffidente verso tutti dichiara piena fiducia proprio e solo alla Fides: “ibo ad te, fretus tua, Fides, fiducia (586), verrò da te, Fides, fiducioso di  potermi fidare di te.

 

Fides è un valore di base della civiltà latina, un valore politico, giuridico e pure etico. Cicerone nel De officiis [1] ne  dà una definizione  " Fundamentum autem est iustitiae fides, id est dictorum conventorumque constantia et veritas " (I, 23), orbene la fides  è il fondamento della giustizia, cioè la fermezza e la veridicità delle parole e dei patti convenuti. Fides  è il rispetto del foedus.

 "Foedus  e fides  sono legati etimologicamente: foedus  è "l'accordo", il trattato stipulato secondo le sacre regole della fides "[2].

La fides è per i Romani un valore forte e vincente: Tito Livio[3] racconta che i Falisci, nel 394, in guerra con i Romani guidati da  Furio Camillo si arresero al tribunus militum consulari potestate dopo che questi si fu rifiutato di conquistare la città etrusca grazie al tradimento di un maestro di scuola che voleva consegnargli i figli dei capi di Falerii a lui affidati. "Fides Romana, iustitia imperatoris in foro et curia celebrantur" (V, 27, 1), nel foro e nel senato (di Falerii) vengono esaltati la lealtà romana e la giustizia del comandante. Quindi vengono mandati ambasciatori a Camillo e da lui a Roma, in senato, per offrire la resa. Questi dissero che pensavano di vivere meglio sotto il governo romano che con le loro leggi, e che con l'esito di quella guerra erano stati offerti due salutari eventi al genere umano:" vos fidem in bello quam praesentem victoriam maluistis; nos fide provocati victoriam ultro detulimus" (V, 28, 13), voi avete preferito la lealtà in guerra a una vittoria immediata; noi, sollecitati da questa lealtà, vi abbiamo offerto spontaneamente la vittoria. Nel buon tempo antico dunque l'osservanza della fides pagava.

La Fides era uno dei valori forti della Roma repubblicana.

Alla fine del II secolo queto valore tramonta ma Orazio preannuncia che Augusto lo farà risorgere con tutti gli altri

 

 

si pensi al Carmen saeculare[4] nel quale il poeta di Venosa celebra il nuovo secolo di prosperità e virtù morali ritrovate:"Iam Fides et Pax et Honor Pudorque/priscus et neglecta redire Virtus/audet, apparetque beata pleno/Copia cornu"[5], già la Fede e la Pace e l'Onore e il Pudore antico e la Virtù messa da parte osa tornare, e appare felice l'Abbondanza con il corno pieno.

 

L’atto III dell’Aulularia è finito

  

Bologna 9 dicembre 2021 ore 12, 11

giovanni ghiselli

p. s.

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[1] Del 44 a. C.  

[2]G. B. Conte, Scriptorium Classicum  2, p. 81.

[3]  59 a. C.-17 d. C.

[4] Del 17 a. C.

[5] Vv. 57-60. E' una strofe saffica formata da tre endecasillabi saffici e da un adonio.

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