Domani dalle 11 dovrò parlare, tra l’altro di Pirra. Aggiungo il problema del calo demografico.
Il mito di Pirra e Deucalione, come viene narrato da Ovidio, può indicare una ragione del calo demografico attuale
Nel primo libro delle Metamorfosi il poeta Peligno, di Sulmona, racconta che, dopo il diluvio, la terra riapparve sopra le acque.
Deucalione però la vide deserta e pianse, poi si rivolse a Pirra chiamandola “O soror, o coniunx, o femina sola superstes (351)
Le disse : “nunc genus in nobis restat mortale duobus- (sic visum superis) hominumque exempla manemus” (365-366).
Piangevano entrambi. Andarono quindi a cercare, attraverso un oracolo, l’aiuto dei numi. Toccarono le soglie del tempio sul fiume Cefiso nella Focide e si rivolsero alla dea Themi -Qevmi" Giustizia- chiedendole come potessero riparare allo scempio del genere umano punito da Giove per l’ infamia temporis, l’efferatezza del secolo guasto, giunta al culmine dei delitti con l’empietà del tiranno Licaone fatto diventare lupo.
Temi disse ai due supplici che dovevano gettare le ossa della gran madre dietro la schiena.
Deucalione svela il significato dell’oracolo e dice: magna parens terra est (392) e le ossa nel corpo della madre sono i sassi. Dobbiamo lanciali dietro la schiena. I due vecchi pur esitanti obbediscono e i sassi lanciati lasciano la loro durezza nativa assumendo un poco alla volta forme umane come statue in via di formazione. L’umido ancora presente sui sassi diventa carne, le pietre divengono ossa. I sassi lanciati dall’uomo ebbero aspetto virile, quelli gettati da Pirra diventarono donne.
Inde genus durum sumus experiensque laborum, quindi siamo una razza dura e provata dalle fatiche, et documenta damus, qua simus origine nati, e diamo dimostrazione di qual è la nostra origine (Ovidio, Metamorfosi, I, 411-415).
Ora sentiamo Leopardi
“Ora, poiché fu punita dagli Dei con il diluvio di Deucalione la protervia dei mortali e presa vendetta delle ingiurie, i due soli scampati dal naufragio universale del nostro genere, Deucalione e Pirra, affermando seco medesimi niuna cosa potere maggiomente giovare alla stirpe umana che di essere al tutto spenta, sedevano in cima a una rupe chiamando la morte con efficacissimo desiderio, non che temessero né deplorassero il fato comune.
Non per tanto, ammoniti da Giove di riparare alla solitudine della terra; e non sostenendo; come erano sconfortati e disdegnosi della vita, di dare opera alla generazione; tolto delle pietre dalla montagna, secondo che dagli Dei fu mostrato loro, e gittatosele dopo le spalle, restaurarono la specie umana” Giove si era accorto che agli uomini non basta vivere ed essere liberi da ogni dolore e molestia del corpo e desiderano l’impossibile tanto più quanto meno sono afflitti da altri mali. Sicché “deliberò valersi di nuove arti a conservare questo misero genere: le quali furono principalmente due. L’una mescere la loro vita di mali veri; l’altra implicarla in mille negozi e fatiche, ad effetto d’intrattenere gli uomini e divertirli quanto più si potesse dal conversare col proprio animo, o almeno col desiderio di quella loro incognita e vana felicità” (Leopardi, Storia del genere umano).
Il calo demografico in Polibio
Lo storiografo geco “dichiara recisamente che è possibile spiegare in termini razionali la decadenza demografica dei Greci...Le cause della decadenza demografica sono, infatti, secondo Polibio, l'amore delle ricchezze e il fasto che inducono i Greci ad evitare i matrimoni o a limitare le nascite. Questi concetti, che a prima vista sembrano polibiani, sono in realtà un dominio comune della problematica pitagorica, assai diffusa (...) nell'ambiente degli Scipioni. L'opera di "Ocello lucano" che è un caratteristico prodotto del pitagorismo, databile forse ai primi decenni del II secolo a. C., dà un grande rilievo al problema demografico. L'autore si volge contro "coloro che non si uniscono allo scopo di procreare figli"...Polibio adattò questi concetti a quel disfacimento del mondo greco, ch'egli trattava come storico "pragmatico". Innanzi a lui si svolgeva la vita quotidiana di Roma con le sue matrone virtuose; Polibio ne esaltava la sobrietà e l'amore per i figli" Santo Mazzarino Il Pensiero Storico Classico [1].
ll problema del calo demografico, adesso di nuovo attuale, era stato posto già nel II secolo a. C., per il mondo ellenico, da Ocello lucano e da Polibio il quale viceversa notava la virtù delle matrone romane.
Polibio (200-118)
Nel libro XXXVI delle Storie lo storiografo ricorda la crisi demografica della Grecia, una carenza di bambini e un generale calo di popolazione ("ajpaidiva kai; sullhvbdhn ojliganqrwpiva", XXXVI 17, 5) che hanno rese deserte le città, senza guerre né epidemie. In questo caso non si tratta di interrogare o di supplicare gli dèi poiché la causa del male è evidente: gli uomini si sono volti all'arroganza, all'avidità, all’indifferenza, a non volersi sposare,-tw'n ga;r ajnqrwvpwn eij" ajlazoneivan kai; filocrhmosuvnhn, e[ti de; rJa/qumivan ejktetrammevnwn, kai; mh; boulomevnwn gamei'n- o se si sposavano, a non allevare i figli, tranne uno o due per poterli lasciare nel lusso. Basta poco dunque perché le case restino deserte, e, come succede per uno sciame di api, così anche le città si indeboliscano. Il rimedio è evidente: cambiare l'oggetto dei nostri desideri o fare leggi che costringano a crescere i figli generati. Non occorrono veggenti né operatori di magie!
Le commedie di Plauto e Terenzio ambientate in Grecia presentano tali situazioni (cfr. il Miles gloriosus di Plauto per quanto riguarda l’ajlazoneiva, l’Aulularia per la filocrhmosuvnh, gli Adelphoe di Terenzio per quanto riguarda il mh; boulomevnwn gamei'n.
Ne parleremo durante il corso sulla commedia latina che inizierà il 25 gennaio
Nel tempo di Augusto il calo demografico si avvertiva anche a Roma, soprattutto nella classe dirigente.
Cassio Dione (155-235) racconta che Augusto nel 9 d. C. parlò agli sposati e ai celibi. Elogiò i primi, meno numerosi, dicendo che erano cittadini benemeriti e fortunati: infatti ottima cosa è una donna temperante, casalinga, buona amministratrice e nutrice dei figli ("a[riston gunh; swvfrwn oijkouro;" oijkovnomo" paidotrovfo" "(LVI, 3, 3) ed è una grande felicità lasciare il proprio patrimonio ai propri figli; inoltre anche la comunità riceve vantaggi dal grande numero (poluplhqiva, LVI, 3, 7) di lavoratori e di soldati.
Quindi l’imperatore parlò con parole di biasimo ai non sposati che erano molto più numerosi. Voi, disse in sostanza, siete gli assassini delle vostre stirpi e del vostro Stato. Voi tradite la patria rendendo deserte le case e la radete al suolo dalle fondamenta:"a[nqrwpoi gavr pou povli" ejstivn, ajll' oujk oijkivai oujde; stoai; oujd j ajgorai; ajndrw'n kenaiv" (LVI, 4, 1), gli uomini infatti in qualche misura costituiscono la città, non le case né i portici né le piazze vuote di uomini.
Poi Augusto accusò i celibi paragonandoli ai briganti e alle fiere selvatiche: voi, disse, non è che volete vivere senza donne, visto che nessuno mangia o dorme solo:"ajll' ejxousivan kai; uJbrivzein kai; ajselgaivnein e[cein ejqevlete" (LVI, 4, 6-7), ma volete avere facoltà della dismisura e dell'impudenza.
Infine il Princeps senatus ammise che nel matrimonio e nella procreazione ci sono aspetti sgradevoli (ajniarav tina), ma, aggiunse, non mancano i vantaggi. Ci sono per giunta i premi promessi dalle leggi:"kai; ta; para; tw'n novmwn a\qla", 8, 4).
Sono le leges Iuliae che dovevano incentivare i matrimoni e costituire un deterrente agli adultèri.
Augusto aveva cercato di reprimere l’adulterio già dilagante e “di moda” , con diverse leggi. La volontà augustèa di incoraggiare il matrimonio venne codificata, invano, dalla lex Iulia de adulteriis coercendis, dalla lex Iulia de maritandis ordinibus ( entrambe del 18 a. C.) e dalla lex Papia Poppaea ( del 9 d. C. ) che, tra l’altro, concedeva agevolazioni fiscali e legali a chi avesse almeno tre figli (ius trium liberorum).
Tacito ci fa sapere che Augusto già piuttosto vecchio (senior) l’aveva ratificata incitandis caelibum poenis et augendo aerario (Annales 3, 25), per aggravare le pene contro i celibi e per impinguare l’erario
Ma prevaleva il costume di non sposarsi nella classe alta e questa legge non resero più frequenti i matrimoni e le nascite dei figli: praevalida orbitate (III, 25) prevaleva e preponderava il celibato tanto si era affermato il costume di non avere famiglia.
Tutto questo non bastò a frenare la corsa già in atto verso i magna adulteria denunciati da Tacito all'inizio delle Historiae (I, 2), mentre nella precedente Germania aveva messo in rilievo la serietà dei costumi degli abitanti di questa regione.
Tacito nella Germania elogia i costumi delle donne germane in antitesi a quelli oramai corrotti di Roma:"severa illic matrimonia, nec ullam morum partem magis laudaveris ", i matrimoni là sono una cosa seria e non si potrebbe approvare di più alcuna parte dei loro costumi, afferma all'inizio del XVIII capitolo.
Poi nel XIX:"Paucissima in tam numerosa gente adulteria, quorum poena praesens et maritis permissa ", pochissimi, pur tra gente tanto numerosa, sono gli adultèri, la cui punizione è immediata e affidata ai mariti. Questi a loro volta "singulis uxoribus contenti sunt "[2], si accontentano di una sola moglie e la limitazione delle nascite o l'aborto non sono ammessi:"numerum liberorum finire aut quemquam ex agnatis necare flagitium habetur "[3], limitare il numero dei figli o sopprimerne uno dei successivi al primogenito è considerata un'infamia. Là infatti nessuno si prende gioco dei vizi né corrompere ed essere corrotti è chiamato moda:"nemo enim illic vitia ridet nec corrumpere et corrumpi saeculum vocatur ". Possiamo notare che come "Ocello lucano intendeva protestare contro la società ellenistica del suo tempo"[4], così Tacito polemizzava con le sfacciate donne romane del suo, suddite e, probabilmente[5], allieve dell'imperatrice Messalina la quale "facilitate adulteriorum in fastidium versa ad incognitas libidines profluebat "[6], volta alla noia per la facilità degli adultèri, si lasciava andare a dissolutezze inaudite.
Bologna 10 dicembre 2021 ore 9, 15
giovanni ghiselli
p.s.
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[1]II volume, I tomo, 127-129
[2]Tacito, Germania , 18.
[3]Tacito, Germania , 19.
Espressione simile si trova in Historiae V, 5 a proposito degli Ebrei:"necare quemquam ex agnatis nefas ", non in un contesto elogiativo questa volta, bensì dicendo che in questo popolo non si prova amore per i familiari ma si tende all'incremento demografico:"Augendae tamen multitudini consulitur ".
[4]S. Mazzarino, op. cit, p. 129.
[5]Se è vero che, come sostiene Dante, che "la mala condotta/ è la cagion che il mondo ha fatto reo" (Purgatorio , XVI, vv. 103-104). In effetti Giovenale afferma che una donna romana del suo tempo si sarebbe accontentata più facilmente di un occhio che di un maschio solo:"unus Hiberinae vir sufficit? ocius illud/extorquebis, ut haec oculo contenta sit uno", VI, vv. 53-54 a Iberina basta un maschio solo? Più in fretta otterrai con la forza che si accontenti di un occhio solo.
[6]Tacito, Annales , XI, 26.
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