lunedì 6 dicembre 2021

Quintessenze di Euripide sesta parte.


 

Euripide è il poeta del razionalismo greco?

 Pohlenz, Dodds, Nietzsche

Euripide non fu precisamente il razionalistico "poeta dell'illuminismo greco". Fu il poeta che meglio di ogni altro seppe ascoltare i moti più segreti del cuore umano e avvertì in tutta la loro gravità i conflitti che ora ne scaturivano. Il desiderio di vendetta di Medea emerge dalle insondabili profondità della sua anima, e appena arriva alla soglia della coscienza ha inizio nell'intimo del personaggio una dura, inesorabile lotta, in cui la ragione e l'amore materno soccombono alla passionalità del qumov". La vita ha insegnato ad Euripide che noi abbiamo in genere chiara coscienza del bene, ma non lo attuiamo perché gli impulsi irrazionali sono più forti"[1].

 

La  Medea  di Euripide  individua nel suo animo  un conflitto tra la passione furente e i ragionamenti, quindi comprende che l'emotività, sebbene sia causa dei massimi mali per gli uomini, è più forte dei suoi propositi:" Kai; manqavnw me;n oi|a dra'n mevllw kakav,-qumo;" de; kreivsswn tw'n ejmw'n bouleumavtwn,-oJvsper megivstwn ai[tio" kakw'n brotoi'"" ( vv. 1078-1080), capisco quale abominio sto per compiere, ma più forte dei miei ragionamenti è la passione che è causa dei mali più grandi per i mortali", dice nel quinto episodio dopo avere preso la decisione folle di uccidere i figli.

Dodds

Euripides remains for us the chief representative of fifth-century irrationalism; and herein, quite apart from his greatness as a dramatist, lies his importance for the history of Greek thought[2], Euripide rimane per noi il principale rappresentante  dell’irrazionalismo del V secolo; e in questo, del tutto a parte dalla sua grandezza come drammaturgo, sta la sua importanza per il pensiero greco.

 

Viceversa Nietzsche: La tendenza apollinea si chiude nell’iinvolucro di uno schematismo logico, mentre Euripide traduce il dionisiaco in una passione naturalistica.

“Socrate, l’eroe dialettico del dialogo platonico ricorda la natura affine dell’eroe euripideo che deve difendere le sue azioni con ragioni e controragioni e che per questo rischia di non suscitare più la nostra compassione tragica” (La nascita della tragedia, capitolo 14) ).

Nella natura della dialettica infatti trionfa l’elemento ottimistico che entrato nella tragedia le fa compiere il salto mortale nel dramma borghese.

 

 

 

 

Euripide per certi versi apre la strada all’Ellenismo (cfr. le Rane di Aristofane). Maggiore attenzione per la natura (Baccanti).

 

Snellimento della poesia.

Callimaco contrappone il canto dell'usignolo, il dolce cantore cui ambisce assimilarsi il poeta, alle trombonate  dell'epica . Fu lo stesso Apollo ad avvisarlo riguardo al fatto che la Musa deve essere fine, delicata, sottile (Mou'san...leptalevhn, Aitia , v. 24).

 Ebbene il "sottilizzarsi" della Musa risale a Euripide secondo Aristofane che nelle Rane (vv. 941-942) gli fa dire, in polemica con la magniloquenza di Eschilo:" i[scnana me;n prwvtiston aujth;n kai; to; bavro" ajfei'lon-ejpullivoi" kai; peripavtoi"" io prima di tutto resi sottile l'arte e le tolsi pesantezza con giri di parolette brevi.

 Dunque l'opposizione alla poesia grossa, con pretese di grandiosità, parte dalle rivendicazioni attribuite dal massimo commediografo al tragediografo più innovativo, passa  poi per Callimaco, e, rimanendo nelle letterature classiche, arriva a Catullo che, nel carme 95 , annuncia l'uscita della Smirna di Cinna, un poemetto breve ed elaborato per nove anni, una specie di manifesto del neoterismo, contrapposto agli antiquati Annali  di Volusio di stampo enniano rozzi e noiosi, utili tutt'al più per incartocciare gli sgombri. Il distico finale (9-10) si chiude con parole di ortodossia callimachea:" Parva mei Cinnae mihi sint cordi monumenta,/at populus tumido gaudeat Antimacho ", a me stiano a cuore i piccoli capolavori del mio Cinna, mentre il volgo si goda l'enfatico Antimaco.

Questo (vissuto tra V e IV secolo) è autore di due  poemi elegiaci, Tebaide  e Lide , che Callimaco (fr.398 Pf.) definì: " pacu; gravmma kai; ouj torovn", libro grossolano e non fine".

 

 

 “O Tebe nutrice di

Semele, incorònati di edera; 106

colmati, colmati di verdeggiante

smilace dal bel frutto

e baccheggia con i rami

di quercia o di abete, 110

e adorna l'indumento delle

nebridi screziate con ciocche di ricci

dal bianco pelo; e intorno ai tirsi violenti,

santifìcati: presto tutta la terra danzerà.

Bromio è chiunque guidi i tiasi. 115

Verso il monte verso il monte, eij" o{ro"  eij" o[ro", dove aspetta

la turba delle donne

lontana da telai e spole

rese furiose dall’assillo di Dioniso. (Baccanti, parodo, vv. 105- 119

 

 

 

Poi, con Teocrto, la natura diviene il paradiso perduto dell’uomo civilizzato delle città

 

 

 

 

E’ vera o presunta la misoginia che Aristofane  gli attribuisce nelleTesmoforiazuse?

Nelle Tesmoforiazuse il personaggio di Euripide manifesta il suo timore  delle donne decise a vendicarsi per tutte le maldicenze, più o meno giustamente, subite  :  mevllousi m j aiJ gunai'ke~ ajpolei'n thvmeron-toi'~ Qesmoforivoi~, o[ti kakw'~ aujta;~ levgw "(vv. 181-182),  oggi alle Tesmoforie le donne vogliono uccidermi poiché dico male di loro

Invero le donne di Euripide sono molto più forti e intelligenti dei rispettivi uomini che spesso sono dei miserabili. Basta pensare a Giasone e Admeto.

Medea ammazza i figli, ma tra i due amanti-antagonisti il personaggio odioso  è senz'altro Giasone:"Medea si rivela fin dal principio come una donna non comune, di sinistra potenza, e di fronte ad essa il saggio e benpensante Giasone non è che un miserabile. Questa raffigurazione che Euripide ci dà dell'eroe del mito greco e della maga barbara, distribuendo luci ed ombre proprio all'opposto di come accadeva nella veneranda tradizione, ci permette di capire perché Aristofane rimproverasse al poeta di aver gettato nel fango le nobili figure del mito. Ma Euripide non lo fa per l'infame piacere di demolire ogni grandezza, al contrario (e qui Nietzsche ha visto più a fondo di Aristofane e di Schlegel) lo fa con un'intenzione morale: le credenze antiche vengono smascherate e demolite, ma per far posto a un senso di giustizia più vero e per porre un fondamento a questo nuovo dovere. E chi potrà sottrarsi all'impressione che questa Medea non abbia davvero la ragione dalla sua, di fronte a questo Giasone?"[3].

Già Epitteto apprezzava la sinistra potenza di Medea: “Egli, personalmente, odiava le vie di mezzo. Medea, nella sua efferatezza, gli riusciva più simpatica che non i tiepidi, che non fanno nulla ex abundantia cordis e professano princìpi filosofici senza mai applicarli”[4].

 

Poi: l’ ateismo del “sacrilego Euripide”, ha davvero aperto la strada a tutti i beffardi Luciani dell’antichità?

“Che cosa volevi, empio Euripide, quando cercasti di costringere ancora una volta questo mito morente a servirti? Morì tra le tue braccia violente, e allora sentisti il bisogno di un mito imitato, mascherato, che come la scimmia di Ercole sapeva oramai soltanto adornarsi con l’antica pompa. E come per te moriva il mito, moriva per te anche il genio della musica: per quanto tu saccheggiassi con avide mani tutti i giardini della musica, anche così giungesti solo a una musica imitata e mascherata. E poiché avevi abbandonato Dioniso, anche Apollo abbandonò te” Nietzsche, La nascita della tragedia , capitolo 10.

Euripide ha aperto diverse strade da eterno critico ed eterno cercatore quale era.

“Era inevitabile che la critica agli dei e ai miti, presente nelle opere di Euripide, lo facessero apparire come un negatore dell’esistenza divina; così la venditrice di ghirlande, nelle Tesmoforiazuse di Aristofane (455[5]), si lamenta di guadagnare poco da quando Euripide ha convinto la gente, con le sue tragedie, che gli dei non esistono. In realtà, dietro a tutte queste critiche c’è la ricerca, da parte del poeta, di un’immagine divina purificata: così Ifigenia conclude il suo discorso, appena citato[6], sul sacrificio umano, affermando (391) che nessun dio può essere malvagio; è lapidaria l’espressione del Bellerofonte (292 N.): se gli dei fanno qualcosa di vergognoso, allora non sono dei”[7]. 

 

 

 

La linea critica contraria a Euripide, poi  Goethe.

La linea critica Aristofane-A. W. Schlegel-Nietzsche ha marchiato Euripide quale corruttore e affossatore della grande tragedia attica.

 

Ma Goethe  alcuni mesi prima della morte scriveva nel suo Diario:"Non finisco di meravigliarmi come l'elite  dei filologi non comprenda i suoi meriti e secondo la bella usanza tradizionale lo subordini ai suoi predecessori seguendo l'esempio di quel pagliaccio di Aristofane...Ma c'è forse una nazione che abbia avuto dopo di lui un drammaturgo che sia appena degno di porgergli le pantofole?" [8].

 

Giovanni ghiselli g.ghiselli@tin.it

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Bologna 6 dicembre 2021 ore 17, 13

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[1] M. Pohlenz, L'uomo greco, p. 624.

[2] Dodds, Euripides the irrationalist in  The ancient concept of progress, p. 90.

[3] B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo , pp. 178-179.

[4] Pohlenz, La Stoa, 2, 109.

[5] Tou;~ a[ndra~ ajnapevpeiken oujk ei\nai qeouv~:-w[st j oujkevt j ejmpolw`men oujd j ej~ h{misu ( in realtà sono i versi vv. 451-452), ha persuaso gli uomini che gli dèi non esistono:- così non vendiamo nemmeno la metà. Ndr.

[6] “E’ su questa linea anche il rimprovero che l’Ifigenia Taurica (380) rivolge ad un’Artemide che respinge da sé ogni impurità, e, nondimeno, si rallegra per i sacrifici umani” (p. 769).

[7] A. Lesky, La poesia tragica dei Greci, p. 770.

[8] B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo,  p. 189.

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