martedì 14 dicembre 2021

Plauto Aulularia atto quarto, scena decima prima parte.

 


 

Euclione Liconide

Euclione si avvicina a Liconide che si qualifica come miser (731), l’aggettivo che da Catullo e dagli elegiaci  verrà impiegato per designare l’infelice in amore.

 

Euclione ribatte attribuendo a se stesso il colmo dell’infelicità.

 

Licone prova a incoraggiarlo: “animo bono es”.

 

A Osimo sii buono si dice “esse bono”

 

Euclione esclude di poterlo fare.

Inizia l’equivoco che deriva dalla confusione tra la pentola con l’oro e la ragazza con il bambino.

Licone confessa di avere compiuto il misfatto-facinus 733- che strazia il cuore di Euclione.

Il vecchio trasecola e domanda al giovane quid ego erga commerui adulescens, che cosa ti ho fatto perché tu mandassi in rovina me e i miei figli?

Licone dice di essere stato stato spinto da un dio che lo ha allettato verso quella: “Deus mihi impulsor fuit, is me ad illam inlexit” (738). Il ragazzo intende dire la ragazza, Euclione capisce la pentola.

 

E’ quanto farà dire Pirandello al personaggio del padre nei Sei personaggi in cerca d'autore :"Ma se è tutto qui il male! Nelle parole! Abbiamo tutti un mondo di cose; ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch'io dico metto il senso e il valore delle cose come sono andate dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com'egli l'ha dentro! Crediamo d'intenderci; non ci intendiamo mai!".

 Senza contare che molti ora giocano su questo non intendersi e parlano facendo di tutto per non venire intesi, e anhe per questo pronunciano le parole in maniera incomprensibile.

 

Il giovane prova a chiedere indulgenza per il suo misfatto.

Euclione gli domana perché ha osato fare ciò: toccare quello che non era tuo? “Curi id ausu’s facere, ut id quod non tuum esset tangeres? (740) Toccare la pentola per il vecchio,  toccare la figliola di Euclione per il giovane.

 

Licone usa la stessa scusa di Elena nelle Troiane di Euripide:

Deos credo evoluisse, nam ni vellent, non fieret scio” 742, l’hanno voluto gli dei, credi, infatti se non l’avessero voluto, non sarebbe accaduto, lo so.

Sentiamo Elena che cerca di giustificasi con Menelao:

“Punisci la dèa, e diventa più forte di Zeus,

che ha potere sulle altre divinità,

ma di quella è schiavo: ci sia  comprensione per me.  (Euripide, Troiane, 48-950)

La dea naturalmente è Afrodite.

Bologna 14 dicembre 2021 ore 11, 41

giovanni ghiselli

p. s.

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