NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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venerdì 3 dicembre 2021

Aristofane, "Lisistrata". Parte 2 di 3

illustrazione per Lisistrata di Norman Lindsay
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Capitolo 6
 
Aristofane Lisistrata VI. Inizia la battaglia tra i generi. Bellum plus quam civile.
 
Cleonice ripete i giuramemti fatti da Lisistrata sul dovere di aspettare in casa il marito dopo essersi imbellita al massimo perché lo sposo arda per me con tutta la forza - o{pw" a[n aJnh;r ejpitufh'/ mavlistav mou - 222, senza però compiacerlo mai.
 
L’amore viene associato al fuoco molto spesso nei discorsi relativi all’amore.
 
Il fuoco d'amore è attestato fin da Saffo che anzi inaugura il topos della cottura amorosa: "o[ptai" a[mme" (fr. 38 Voigt), tu mi cuoci.
Così, ancora nel VII idillio di Teocrito, c'è Licida ojpteuvomenon (v. 55), cotto da Afrodite per Ageanatte.
 
L'ardore e il fuoco sono presenti negli amorazzi dei giovani della commedia latina:"Sperabam iam defervisse adulescentiam:/ gaudebam. Ecce autem de integro! " fa Micione negli Adelphoe (v. 151 - 152) a proposito del nipote, speravo che fossero ormai sbolliti quegli ardori giovanili: me ne rallegravo. Ecco invece di nuovo.
 
 Il fuoco nella storia di Enea e Didone non cuoce né purifica, ma è deleterio, velenoso, ingannevole:"occultum inspires ignem fallasque veneno " (I, v. 688), infondile un fuoco occulto e ingannala con il veleno, ordina Cipride al figlio. L'amore è causa di infelicità, è pestifero, mortale, e Didone innamorata di Enea è predestinata alla rovina:" Praecipue infelix, pesti devota futurae,/expleri mentem nequit ardescitque tuendo " (I, 712 - 713), sopra tutti l'infelice, consacrata alla rovina imminente, non sa saziare il cuore e s'infiamma guardando.
 
Lisistrata continua a snocciolare il suo decalogo e Cleonice ripete.
Se poi mi prende a forza contro il mio volere - eja;n dev m’ a[kousan biavzhtai biva/, io sarò maldisposta e non mi muoverò.
E non alzerò le scarpette persiane fino al soffitto (229) indica i piedi vezzosamente calzati.
Cleonice deve ripetere tutto e alla fine giurare sotto la maledizione che la coppa le si riempia di acqua, se avrà spergiurato
Dopo Cleonice giurano tutte. E Lisistrata consacra il giuramento sulla coppa bevendo.
 
Mentre tutte bevono a turno si sente il clamore delle donne che hanno occupato l’Acropoli
Lampitò viene invitata a occuparsi delle donne spartane ed esce.
Lisistrata e Cleonice si muovono per andare a mettere i chiavistelli e chiudere fuori gli uomini che volessero muoversi contro le donne.
Cleonice proclama ed esalta le loro forze di persone chiamate invincibili e furfanti a[macoi kai; maraiv 251.
 
Parodo vv. 254 - 386
 Entra un coro di vecchi: ciascuno ha sulle spalle il peso di un tronco di olivo verde
Il primo Semicoro esordisce notando che ejn tw'/ makrw'/ bivw/ povll j a[elpt j e[nestin (256), in una lunga vita molte sono le cose inattese.
 
L’inaspettato
 Un topos presente in molti testi, tra i quali la Medea di Euripide che finisce con questi versi:
Di molti casi Zeus è dispensatore sull’Olimpo
 molti eventi in modo imprevisto compiono gli dèi;
polla; d j ajevlptw" kraivnousi qeoiv
e i fatti aspettati non vennero portati a compimento,
mentre per quelli inaspettati un dio trovò la via.
Così è andata a finire questa azione ( Medea, 1415 - 1419)
 
La conclusione dell' Alcesti, dell'Andromaca, dell'Elena e delle Baccanti è uguale a questa della Medea, tranne che per il primo verso degli ultimi cinque: " pollai; morfai; tw'n daimonivwn" (Alcesti, v. 1159; Andromaca, v. 1284; Elena, v. 1688; Baccanti, v. 1388), "molte sono le forme della divinità". L'Ippolito si conclude con la constatazione, da parte della Corifea che su Trezene inaspettatamente, ajevlptw~ (v. 1463) è caduto addosso un dolore comune che provocherà un fluire continuo di lacrime.
 
Nel caso di questa commedia l’imprevisto è che le donne a}" ejbovskomen - kat j oi\kon ejmfane;" kakovn, che nutrivamo in casa, male ben noto, si sono impadronite dell’Acropoli e hanno bloccato i propilei con chiavistelli e serrami (265).
Il Corifeo fa fretta agli altri vecchi (wJ" tavcista) perché lo seguano nel portare i tronchi là dove verranno ammucchiati per bruciare le donne.
Cfr. "il puro" folle Ippolito che dà in escandescenze:
 "O Zeus perché ponesti nella luce del sole le donne, ingannevole male per gli uomini - kivbhdlon ajnqrwvpoi~ kakovn - Euripide, Ippolito, 616.
Un’anticipazione delle condanne al rogo delle streghe.
 
Il Semicoro II esprime la paura tipica degli eroi: quella della derisione, un oltraggio da evitare a costo del suicidio (cfr. Aiace di Sofocle) e dell’assassinio perfino dei figli.
Cfr. la Medea di Euripide 404 - 407
Vedi quello che subisci? non devi dare motivo di derisione - ouj gevlwta dei' s j ojflei'n
 ai discendenti di Sisifo per queste nozze di Giasone,
tu che sei nata da nobile padre e discendi dal Sole.
 
Il semicoro II dunque giura: no, per Demetra, finché vivo io, non si faranno beffe di me - ouj ejmou' zw'nto" ejgcanou'ntai271(ejgcaivnw, spalanco la bocca per sghignazzare).
 
Quindi i vecchi ricordano che nemmeno il re di Sparta Cleomene che occupò l’acropoli nel 502 la passò liscia, anzi dopo due anni di assedio con quel suo spartano darsi arie Lakwniko;n pnevwn - 276 - dovette andarsene tutto peloso - ajparavtilto" - parativllw - (e cfr. l’essere depilate invece delle donne) e sudicio non lavato da sei anni e{x ejtw'n a[louto" (280).
Il Corifeo ricorda di nuovo l’impresa compiuta da loro 90 anni prima, e aggiunge che a maggior ragione ora saranno capaci di trattenere da tale ardimento queste donne odiose a Euripide e a tutti gli dèi - tasdi; de; ta;" Eujripivdh/ qeoi'" te pa'sin ejcqrav" (283).
Cleomene tentò di mettere al potere Isagora, nemico politico di Clistene accusato di essere contaminato dal sacrilegio della sua della famiglia che una trentina di anni prima aveva ucciso i Ciloniani rifugiatisi nel tempio delle dèe venerande.
Cfr. la commedia Tesmoforiazuse dello stesso anno. Il personaggio Euripide dice al suo parente: “le donne hanno tramato contro di me (aiJ ga;r gunai'ke" ejpibebouleuvkasiv moi, 82). Perché? domanda il khdesthv", e il drammaturgo risponde: oJtih; tragw/dw' kai; kakw'" aujta;" levgw (84) poiché faccio tragedie e dico male di loro.
 
Il primo semicoro lamenta la fatica della salita con i tronchi sulle spalle
Il secondo semicoro trasporta tizzoni ardenti dentro delle marmitte da dove schizzano faville come cagne infuriate e mordono gli occhi.
L’impresa è dunque epica.
Il Corifeo dà disposizioni per l’assedio con il fuoco che scagliato contro le porte le bruci e il fumo tormenti le donne. Quindi invoca devspoina Nivkh, Vittoria sovrana che li aiuti a innalzare un trofeo sull’ardire delle donne (gunaikw'n qravsou", 318).
E’ l’eterna paura che ha l’uomo della donna.
 
La paura della donna suggerisce al Catone il vecchio di Tito Livio alcune parole sulla necessaria sottomissione della femina al fine di tenere sotto controllo una natura altrimenti intemperante.
Così si esprime il censore quando parla, nel 195 a. C., contro l'abrogazione della lex Oppia che, dal 215, imponeva un limite al lusso delle matrone[1] le quali erano scese in piazza proprio per manifestare a favore dell'annullamento della legge:" Maiores nostri nullam, ne privatam quidem rem agere feminas sine tutore auctore voluerunt, in manu esse parentium, fratrum, virorum...date frenos impotenti naturae et indomito animali et sperate ipsas modum licentiae facturas...omnium rerum libertatem, immo licentiam, si vere dicere volumus, desiderant " (XXXIV, 2, 11 - 14) i nostri antenati non vollero che le donne trattassero alcun affare, nemmeno privato senza un tutore, e che stessero sotto il controllo dei padri, dei fratelli, dei mariti...allentate il freno a una natura così intemperante, a una creatura riottosa e sperate pure che si daranno da sole un limite alla licenza...desiderano la libertà, anzi, se vogliamo chiamarla con il giusto nome la licenza in tutti i campi.
E continua: “ Extemplo simul pares esse coeperint, superiores erunt (XXXIV, 3, 2)” appena avranno cominciato ad essere pari, saranno superiori
 
Marziale (40 ca - 104 d.C.) nella clausula di un suo epigramma scrive:" Inferior matrona suo sit, Prisce, marito:/non aliter fiunt femina virque pares " (VIII, 12, 3 - 4), la moglie, Prisco, stia sotto il marito: non altrimenti l'uomo e la donna diventano pari.
 
 
 
Capitolo 7
Aristofane Lisistrata VII. Le femmine umane: né galline né angeli.
 
Entra in scena il Coro di donne che hanno visto il fuoco e il fumo. Hanno dei recipienti con dell’acqua.
Anche queste coreute sono divise in due semicori.
Il semicoro I esecra i vecchi maledetti e invita a fare presto nonostante la paura ajlla; fobou'mai (327).
Quando non c’è questa paura dell’altro genere, considerato quale un nemico quasi estraneo all’umanità, equivalente alla fobìa dello straniero, è molto più difficile indurre i poveri a morire in guerra. Per farlo bisogna spargere odio. Paura e odio derivano dai delitti efferati commessi soprattutto dai maschi, poi dalla propaganda che estende la criminalità all’intero genere maschile o femminile.
 
Le coreute stanno comunque portando delle anfore piene di acqua per spengere il fuoco e soccorrere le assediate
Il Semicoro II invoca Atena
Ha saputo che dei vecchi boriosi carichi di legna pesante, come se volessero scaldare dei bagni, avanzano verso l’acropoli lanciando minacce terribili - deinovtat j ajpeilou`nta" - 339 - cioè che bisogna carbonizzare con il fuoco le abominevoli donne - crh; ta;" musara;" gunai`ka" ajnqrakeuvein - 340.
Guerra dei sessi come nelle Supplici di Eschilo.
Ora che siamo più civili la carbonizzazione è bandita. ma solo a parole, perché poi i droni inceneriscono i malcapitati.
 
Il coro chiede l’alleanza della dea nel portare aiuto alle donne che vogliono salvare dalla guerra, e dalla follia, l’Ellade e i cittadini. Le assediate e minacciate dal fuoco hanno occupato il tempio di Atena con questo scopo.
 
La Corifea, indicando i vecchi, li qualifica come ponwpovnhroi (350), farabutti, e aggiunge che uomini buoni crhstoiv, e pii eujsebei'", non avrebbero mai fatto una cosa simile (351).
II corifeo dei vecchi definisce pra'gm j ajprosdovkhton una faccenda inattesa lo sciame di donne ejsmov" gunaikw'n (353) che arriva per aiutare le assediate dal fuoco.
I vecchi assedianti si tovano in una situazione simile a quella dei Tedeschi a Stalingrado.
 
Abbiamo visto che l’inaspettato fa parte del gioco della vita per cui dovremmo apettarcelo.
 
La Corifea domanda: perché ve la fate addosso per la paura davanti a noi? - tiv bduvlleq j hJma"; Questo è niente: la parte di donne ribelli che vedete non è nemmeno la decimillesima dell’intero - kai; mh;n mevro" g j hJmw'n oJra't j ou[pw to; muriostovn - 355.
Il corifeo le minaccia di bastonate
La corifea ordina alle donne di mettere giù le anfore per difendersi senza avere le mani impedite.
 
“Sebben che siamo donne paura non abbiamo” cantavano qualche decennio fa.
 
Il corifeo “ Se qualcuno avesse colpito costoro due o tre volte nelle mascelle come Bupalo, non avrebbero più voce” ( fwnh;n a]n oujk ei\con, Lisistrata, 361).
Ha ricordato Ipponatte (VI sec. a. C.) che scrive: “lavbetev meu taiJmavtia, kovyw Bouvpalon to;n ojfqalmovn (fr - 70 D.), tenetemi il mantello: darò un pugno a Bupalo nell’occhio.
La Corifea risponde che è pronta anche a prendere le botte, ma non cederà.
Non sarà un’altra cagna ad afferrarti i coglioni (363).
Il corifeo la minaccia: se non taci ti sgranerò la pelle vecchia a furia di botte eij mh; siwphvsei, qenw;n sou jkkokkiw' to; gh'ra" (364) - ejkkokkivzw - ejn e kovkko", granello, chicco.
 
Nella mia generazione c’era l’uso della polemica tra maschi e femmine quando eravamo bambini. Ricordo che alle medie, in prima o in seconda, ci facevano leggere Il parlamento di Carducci e noi maschi lo usavamo deformato gridando: “a lancia e spada le galline in campo!”.
le galline erano il Barbarossa da combattere
 Poi invece in terza media una brunetta della sezione femminile, Marisa, la più brava della classe, mi apparve come un angelo e me ne innamorai.
Batteva il sole nella chiara onesta faccia all'uscita da scuola, e la sera ridea calando dietro Fiorenzuola di Focara.
Più avanti compresi che le femmine della nostra specie non sono galline né angeli ma esseri umani come noi. E come tali le amai.
Trassi questa coscienza prima dalle letteratura amata poi dalle stesse donne amatissime
 
Padri e figlie. L'istinto della donna
La vedova Ghismunda che pure è " giovane e gagliarda e savia" nel Decameron (IV, 1) di Boccaccio sostiene la naturalezza della passione carnale difendendo il proprio sentimento amoroso per il giovane valletto Guiscardo "uom di nazione assai umile ma per vertù e per costumi nobile", davanti al padre Tancredi, principe di Salerno che non la capisce:" Esserti ti dové, Tancredi, manifesto, essendo tu di carne, aver generata figliuola di carne e non di pietra o di ferro (...) Sono adunque, sì come da te generata, di carne, e sì poco vivuta, che ancora son giovane, e per l'una cosa e per l'altra piena di concupiscibile disidero, al quale maravigliosissime forze hanno dato l'aver già, per essere stata maritata, conosciuto qual piacere sia a così fatto disidero dar compimento. Alle quali forze non potendo io resistere, a seguir quello che elle mi tiravano, sì come giovane e femina, mi disposi e innamora'mi".
 Il padre però uccide l'amante della figliola e questa si uccide.
 
Molto più comprensivo di Tancredi nei confronti dell'istinto femminile è Leopold Bloom nell' Ulisse di Joyce.
Leopold Virág - Bloom, l'Ulisse di Dublino, ha in mente la figlia - silly Milly, Millina, sciocchina come l'adolescente chiama se stessa in una lettera al babbo che pensa a lei in questi termini:
"Fifteen yesterday, quindici anni ieri (…) No, nothing has happened. Of course it might, no, non è successo niente. Naturalmente potrebbe. Wait in any case till it does, aspettati comunque che succeda. A wild piece of goods, un eccezionale pezzo di beni. Her slim legs running upstairs. Destiny. Ripening, le sue gambe snelle che corrono su per le scale. Destino. Sta maturando. Vain: very, vanitosa, molto (…) Will happen, yes. Prevent. Useless: can' t move, succederà sì. Impedire. Inutile: non ci si può muovere Girl's sweet light lips. Will happen too, dolci lievi labbra di ragazza. Succederà anche a lei. Useless to move now, inutile muoversi ora. Lips kissed, kissing kissed. Full gluely woman's lips, labbra baciate, bacianti baciate. Labbra di donna, piene vischiose.
Dal quarto capitolo: Calipso La colazione
 
Questo Ulisse - Bloom è un uomo molto paziente poluvtla" e complice della realtà, come Odisseo di Omero, e sopporta anche i tradimenti praticati dalla moglie Molly, una Penelope infedele,
 Tinnulo calessino[2]. Troppo tardi. Lei voleva andare. Ecco perché. Donna. Tanto vale fermare il mare - Jingle jaunty. Too late. She longed to go. That's way. Woman. As easy to stop the sea"[3].
Dall' XI capitolo Le sirene la mescita.
 
L'istinto della donna dunque è incontenibile come il mare. Cfr. Seneca: "Non rapidus amnis, non procellosum mare - (…) possit inhibere impetum - irasque nostras: sternam et evertam omnia (…) Amor timere neminem verus potest "(Seneca, Medea, 411 - 416)
E' Medea che parla.
 
E' la teoria per la quale la donna dà maggiore importanza dell'uomo all'accoppiamento e all'amore, una teoria invero che ora, tra le cosiddette donne in carriera, sta perdendo credito, ma solo fino a un certo punto.
 
 
 
Capitolo 8
Insulti reciproci tra il vecchio maschio e la femmina vecchia
 
I due vecchi si insultano e minacciano a vicenda finché il maschio menziona Euripide - sofwvtero" poihthv" del quale non c’è poeta più sapiente, citandone, o parodiandone, un verso: oujde;n ga;r ou{tw qrevmm j ajnaidev" ejstin wJ" gunai'ke" - 369, infatti nessun animale è così impudente come le donne.
 
I vecchi corifei dei due cori continuano a scambiarsi battute salaci e minacce:
il maschio dice che è venuto con il fuoco per innalzare una pira alle donne, la femmina risponde che ha portato l’acqua per spengere la pira o almeno ripulire il vecchio dalla sporcizia - rJuvmma 377 -
L’uomo replica dandole della vecchia sudiciona –saprav - 378; e questa rivendica il proprio ruolo di persona libera - ejleuqevra ga;r eijmi 379.
La corifea versa l’acqua sul corifeo nemico e gli dice: “a[rdw s j o{pw" ajmblastavnh/", ti annaffio perché tu rifiorisca.
 
Il vecchio fa: io sono già secco e tremante. E la donna: allora scaldati da solo con fuoco.
Fine della Parodo
 
Sentiamo Pirandello sui contrasti in Aristofane, sulle sue burle spietate, sulla mancanza di umorismo, cioè di compassione e carità.
“In Aristofane non abbiamo veramente il contrasto, ma soltanto l’opposizione. Egli non è mai tenuto tra il sì e il no[4] egli non vede che le ragioni sue, ed è per il no testardamente, contro ogni novità, cioè contro la retorica, che crea demagoghi, contro la musica nuova, che, cangiando i modi antichi e consacrati, rimuove le basi dell’educazione, e dello Stato, contro la tragedia di Euripide che snerva i caratteri e corrompe i costumi, contro la filosofia di Socrate, che non può produrre che spiriti indocili e atei, ecc.
(…) la burla è satira iperbolica, spietata. Aristofane ha uno scopo morale, e il suo non è mai dunque il mondo della fantasia pura. Nessuno studio della verisimiglianza: egli non se ne cura perché si riferisce di continuo a cose e persone vere (…) e non crea una realtà fantastica come, ad esempio, lo Swift (…) Umorista non è Aristofane ma Socrate…Socrate ha il sentimento del contrario; Aristofane ha un sentimento solo, unilaterale. Aristofane dunque, se mai, può essere considerato umorista soltanto se noi intendiamo l’umorismo nell’altro senso molto più largo, e per noi improprio, in cui siano compresi la burla, la baja, la facezia, la satira, la caricatura, tutto il comico insomma nelle sue varie espressioni” (Pirandello, L’umorismo, p. 45)
 
Misantropi
Jonathan Swift conclude i suoi Viaggi di Gulliver (1726) approdando alla misantropia. Alla fine del romanzo la satira dell'autore colpisce la brutalità peggio che bestiale degli uomini: "varcata la soglia, mia moglie mi gettò le braccia al collo baciandomi ed io, che avevo perso il contatto con quell'animale repellente da tanti anni, persi i sensi per più di un'ora. Mentre sto scriovendo, sono passati ormai cinque anni dal mio ritorno in Inghilterra; durante il primo anno non riuscivo a sopportare la presenza di mia moglie e dei miei figli, il loro odore era intollerabile. Mi era impossibile mangiare con loro nella stessa stanza, e ancora oggi non si azzardano a toccare il mio pane o bere nel mio bicchiere e non permetto a nessuno di loro di prendermi per mano" (p. 276)
"quando vedo uno di questi cumuli di deformità e di malanni fisici e morali andarne orgoglioso, perdo la pazienza e non riesco più a capire come una bestia di questa portata possa avere un simile atteggiamento vizioso" (p. 282).
L'orgoglio del male e del vizio è quello che disgusta più di tutto negli esseri umani
Mi viene in mente Timone di Atene in Plutarco e in Shakespeare, e, per quanto riguarda la commedia greca, Cnemone, l'uomo disumano assai, il Duvskolo~ di Menandro.
Passiamo dunque a esaminare il Misantropo (Duvskolo"), un'opera giovanile: rappresentata alle Lenee del 316 a. C.
Nel Prologo il dio Pan ci dà informazioni sul protagonista, un vecchio contadino dell'Attica, uno di quegli agricoltori"capaci di coltivare anche le pietre"(vv. 3 - 4). Da questi primi versi si vede che la dimensione eroica, non è del tutto sparita dalla commedia nuova: il contadino di Menandro conserva qualche cosa dell'eroismo di quello di Esiodo, dal momento che sopravvive traendo l'estremo prodotto possibile da una terra avara.
Ma Cnemòne non è solo un tenace e duro lavoratore; è pure un
"uomo disumano assai,
intrattabile (duvskolo" appunto) con tutti, che non sta bene con la gente"(vv. 6 - 7).
Se Cnemone dunque è un disumano (ajpavnqrwpov" ti" a[nqrwpo")
chi è umano secondo Menandro?
 
Colui che si adatta ad una società borghese, leggera, cortese priva di precise convinzioni politiche e morali, come suggerisce
Bruno Snell in Poesia e società “Nel prologo il dio Pan definisce il dyskolos, l’eroe della commedia, un ajpavnqrwpo" ti" a[nqrwpo" sfovdra (v. 6), un uomo disumano assai. Che significa uomo? E’ disumano chi non è amichevole con nessuno, chi si tiene lontano da tutti con diffidenza[5].
In Tirteo era un “uomo” chi possedeva la virtù del coraggio e dava tutto allo Stato, anche la vita (…) Poi essere uomo significa avere un logos. Ma la tragedia più tarda presenta un movimento inverso. All’Agamennone del principio dell’Ifigenia in Aulide la riflessione ha tolto la sicurezza dell’agire, ed Euripide dice spesso che qualcuno è troppo sapiente. Menandro, quando parla semplicemente dell’uomo, non pensa né ad antiche virtù né a capacità spirituali. Per i suoi uomini non esiste un fine al di là della propria vita. Lo Sato non pone compiti di qualche valore, da quando i Macedoni hanno occupato città già autonome. L’aspirazione al sapere tocca ai filosofi e ai dotti specialisti: anche i problemi del bene e del male sono diventati “teorici” e sono oggetto di dispute per le scuole filosofiche…Ma che significa umano e disumano per Menandro?”. La società è mutata, è “ormai limitata alla semplice convivenza, non più legata da fini o interessi comuni (…) Per Menandro anthropos è l'uomo che si adatta a una simile società, a questa società che è in pari tempo signorile e borghese (e che parla un attico affascinante). Anche in questa società i Greci confermano di avere il talento di creare forme esemplari. Dalla commedia borghese di Menandro e dei suoi contemporanei derivano le commedie romane di Terenzio e di Plauto e, attraverso queste, le commedie del Rinascimento e del barocco e quindi la commedia moderna, il dramma borghese dei moderni e i film dei nostri giorni. Così l’Occidente ha imparato che cosa sia la “società". Le convenzioni, ciò che “uno” fa (…) furono in gran parte fissate dalla Commedia Nuova del tardo quarto secolo.
Proprio perché è priva di specifiche dottrine religiose, politiche e morali, la Commedia Nuova ha potuto segnare con la sua impronta la cultura sociale dei Romani e poi di altri popoli occidentali. E’ più facile importare e trapiantare le buone maniere che gli usi religiosi e i principi morali”[6]
 
E' dalla civiltà delle buone maniere che Cnemone si è colpevolmente escluso diventando un disumano regredito a “un'esistenza precivile, da Ciclope”[7].
Polifemo e i suoi simili infatti:
"non hanno assemblee deliberative, nè leggi
ma abitano sulle cime di alti monti
in caverne profonde, e ciascuno dà leggi
ai figli e alle mogli, né si curano l'uno dell'altro"(Odissea, IX, 112 - 115).
E' questo il primo ritratto dell'uomo impolitico e del tutto asociale che la grecità, almeno quella ateniese fino a Menandro, biasima: Tucidide (II, 40, 2) fa dire a Pericle:"Siamo i soli infatti a considerare non tranquillo ma inutile (oujk ajpravgmona, ajll; ajcrei'on) chi non si interessa degli affari pubblici".
 
Il misantropo dunque è un asociale che "non ha mai rivolto per primo la parola a nessuno" ( Duskovlo", 10), tranne un fuggevole saluto al simulacro dello stesso dio Pan, solo perché"costretto dalla vicinanza"(11).
 
Un individuo simile a Cnemone è quello che impersona La scortesia, il XV dei Caratteri di Teofrasto:" La scortesia (aujqavdeia, parola che implica anche prepotenza e narcisismo) è durezza nel relazionarsi con le parole, e lo scortese è il tipo, se riceve la domanda - dov'è il tale? -, capace di rispondere - non mi dare briga - (pravgmatav moi mh; pavrece)".
Disumano allora è "chi non è amichevole con nessuno, chi si tiene lontano da tutti con diffidenza" ne inferisce Snell (Poesia e società,. p. 151) che in una nota cita anche Shakespeare:"He' s opposite to humanity ", è un nemico del genere umano, detto di Apemanto, filosofo senza creanza, in Timone d'Atene (I, 1).
Cfr. La diffidenza di Teofrasto, l’ajpistiva.
 
Insomma costoro sono persone che peccano contro le convenienze le quali sono cresciute di importanza da quando la polis non dà compiti di grande valore siccome i Macedoni hanno occupato l'acropoli, e l'aspirazione al sapere, all'arricchimento filosofico o letterario dell'anima riguarda i dotti specialisti. Proprio questa mancanza di alti ideali o di specifiche dottrine ha messo la Commedia nuova in una condizione di esemplarità rispetto a Plauto, Terenzio e anche ad autori del Rinascimento, dell'età barocca e pure di quella moderna.
Disumano è pertanto Cnemone per il fatto che non si adatta a una società di persone civili e cortesi.
 
 
 
Capitolo 9. L’eterno marito. La complicità di chi obbedisce all’imposizione del male
 
Scene giambiche 387 - 466
Entra un provboulo", un consigliere, un commissario politico delegato perché deliberi prima.
 
 Prov, boulhv, si pensi al collegio dei dieci Probuli che dopo la catastrofe della spedizione in Sicilia “pre - meditarono” e prepararono il governo oligarchico dei Quattrocento del maggio - giugno 411.
Vennero eletti quali Commissari con pieni poteri. Tra questi c’era il vecchio Sofocle.
 
Nella Retorica di Aristotele leggiamo che quando Pisandro domandò ql tragediografo se era del parere, come gli altri probuli di istituire i Quattrocento, rispose di sì: “ouj ga;r h\n a[lla beltivw” (1419a), poiché non c’erano altre soluzioni migliori.
 
Comunque in seguito Sofocle prese le distanze dall'operato del regime oligarchico, se è vero, come afferma Canfora [[8]] che, agli Ateniesi, il giovane e leale Neottolemo del Filottete doveva ricordare lo stratego Trasillo il quale era stato "il promotore del giuramento di fedeltà alla democrazia dei marinai di Samo, il restauratore della democrazia in Atene dopo i mesi dell'egemonia terameniana, il vincitore, con Alcibiade, nel 411, ad Abido ( i due leoni che debbono marciare fianco a fianco secondo la profezia di Eracle [9])".
Nella stessa tragedia, del 409, Sofocle allude con la figura del protagonista Filottete ad Alcibiade, e con il personaggio di Odisseo, uomo maturo e senza scrupoli a Teramene, detto, per la sua ambiguità politica, il coturno, in quanto si adattava a situazioni diverse come la calzatura da teatro a entrambi i piedi.
"Gli spettatori potevano riconoscere in Odisseo il troppo abile e spregiudicato Teramene, prima (in quanto leader dei Quattrocento) avversario di Alcibiade, quindi promotore del suo rientro: ma promotore 'deluso', dal momento che al suo decreto Alcibiade non ha prestato ascolto per quasi due anni [10]".
 
Queste identificazioni a me sembrano un tantino fantasiose.
La nostra commedia venne rappresentata qualche mese prima che iniziasse l'oligarchia dei Quattrocento.
 
Il Probulo dunque lamenta l’imperversare della dissolutezza delle donne - gunaikw'n hj trufhv (Lisistrata, 387), i loro tiasi seguaci di riti orientali, con il tumpanismov" il tambureggiare e i ripetuti evviva a Sabazio (una divinità frigia simile a Dioniso) e pure il lutto per Adone sui tetti.
C'era Il pericolo dell'asianesimo e del caos ad esse associato.
 
Gli autori Greci quali maestri di cosmo
L'insegnamento degli autori Greci ci aiuta a uscire dalla confusione personale e socio-politica
La logica, la parresia, la bellezza dei Greci sono state conquistate attraverso guerre lunghe e durissime contro il caos che sempre minaccia il cosmo. E' questo il primo insegnamento dei Greci.
“Nel fondo del Greco c'è la mancanza di misura, la caoticità, l'elemento asiatico: la prodezza del Greco consiste nella lotta con il suo asiatismo: la bellezza non gli è donata, non più della logica, della naturalezza dei costumi - esse sono conquistate, volute, strappate - sono la sua vittoria".
(F. Nietzsche, Frammenti postumi, Primavera 1888 - 14.)
 
Una volta, quando Demostrato, partigiano di Alcibiade, perorava la partenza per la Sicilia, che vada in malora, la moglie danzando gridava “ahi Adone!” E quando il marito proponeva di arruolare gli opliti di Zacinto, lei sbronza sul tetto diceva: “ battetevi il petto per Adone!” (396) E intanto lui infuriava.
 
Nella Vita di Alcibiade (18), Plutarco racconta che l’oratore Demostrato propose una legge per la quale gli strateghi - Alcibiade - Nicia e Lamaco - dovevano avere i pieni poteri - tou;" strathgou;" aujtokravtora" ei\nai - durante il corso e la preparazione della guerra. I presagi però non furono favorevoli - ouj crhstav -. Cadevano proprio in quei giorni le feste di Adone e le donne portavano in giro immagini di morti, e, battendosi il petto, simulavano sepolture e cantavano inni funebri - tafa;" ejmimou'nto koptovmenai kai; qrhvnou" h\/don -. Una notte poi ci fu tw'n jErmw'n perikophv, la mutilazione di gran parte delle Erme cui vennero tagliate le teste - mia'/ nukti; tw'n pleivstwn ajkrwthriasqentwn ta; provswpa. Era il 415
 
Dei riti per la morte di Adone parla anche Ammiano Marcellino
Giuliano Augusto giunse a Tarso, poi si affrettava verso Antiochia orientis apicem pulchrum, culmine bello dell’oriente.
Molte persone acclamavano Giuliano quale salutare sidus, una stella di salvezza.
Evenerat autem isdem rebus, annuo cursu completo, accadeva che in quei giorni del 361 Adonēa ritu veteri celebrari, secondo l’antico rito si celebrassero le feste in onore di questo giovane amato Veneris, apri dente ferali deleto, quod in adulto flore sectarum est indicium frugum (22, 9). Visum est triste quod introeunte imperatore nunc primum ululabiles undique planctus et lugubres sonus audiebantur.
 
Il Probulo conclude questo discorso notando di quali eccessi ajkolasthvmata - sono capaci quelle impunite delle donne (398).
Il corifeo biasima anche l’ insolenza - u{brin - femminile, ricordando che loro, i vecchi maschi, hanno subìto una doccia.
 
L'eterno marito
Il Consigliere replica che tutti i maschi ne hanno colpa siccome hanno concesso troppo alle mogli dando loro occasione di farsi degli amanti. Per esempio: noi andiamo dall’orefice a dire che dalla collana della moglie che ballava è uscita una ghianda (bavlano" 410, ghianda e glande). Quindi aggiungiamo che dobbiamo andare a Salamina e diamo all’orefice l’incarico di passare da lei per ficcare al suo posto la “ghianda”.
 
Un altro marito - il vero eterno marito in senso dostoeskiano - - va dal calzolaio - pro;" skutotovmon - un giovanotto che ha un bischero che non scherza - neanivan kai; pevo" e[cont j ouj paidikovn - (415) e gli chiede di andare sul mezzogiorno ad allargare una fibbia che stringe il mignolo del piede tanto delicato della moglie - to; daktulivdion pievzei aJpalovn (419).
 
Lisia racconta un adulterio subito da un campagnolo che si lasciava abbindolare dalla moglie la quale venne adocchiata dall’amante, un seduttore di professione, durante i funerali della suocera della sposa. La serva faceva da messaggera tra i due. Il marito, l’eterno marito, quando scoprì la tresca, in casa sua, uccise il ganzo disteso nel letto della moglie. Lisa lo difese scrivendogli In difesa di Eufileto (Per l’uccisione di Eratostene).
Pavel Pavlovič è l’eterno marito di Dostoevskij:"Un individuo simile nasce e si sviluppa unicamente per ammogliarsi e, una volta ammogliato, per trasformarsi unicamente in un'appendice della moglie, anche quando egli abbia una personalità sua, ben determinata. La proprietà essenziale di un simile marito è quel certo ornamento. Egli non può non essere cornuto, così come il sole non può non risplendere, però non soltanto non ne sa mai nulla, ma non potrà mai saperlo per le leggi medesime della natura (…) Tuttavia, a un tratto, in modo del tutto inatteso, Pavel Pavlovic si fece con due dita le corna sulla fronte calva, e ghignò piano, a lungo. Rimase così, con le corna e ghignando, per mezzo minuto almeno, guardando Vel' caninov[11] negli occhi in una specie di ebbrezza della più perfida insolenza"[12].
 
Questa debolezza dei mariti che rasentano la parte dei lenoni, non va bene: dunque bisogna reagire. Il Probulo in qualità di Commissario ordina di portare dei pali per forzare le porte chiuse.
Ma Lisistrata apre e dice: non c’è bisogno di forzare ejxevrcomai ga;r aujtomavth (431), vengo fuori da sola. Non servono pali ma senno e giudizio.
 
Il Probulo ordina l’arresto di Lisistrata, ma intervengono Cleonice e Mirrina per impedirlo. L’arciere poliziotto viene fermato dalle tre donne. Volano minacce reciproche. Lisistrata convoca schiere di donne venditrici di grani, legumi, ortaggi, agli, pane, e pure delle ostesse 460. Le donne incalzano gli arcieri sciti che fuggono.
Lisistrata trionfa sul Commissario che deplora la sconfitta degli arcieri. La donna gli fa: "pensavi forse di trovare delle serve?" 463
 
Agone 467 - 613
Il corifeo maschio sconsiglia il Probulo di venire a contesa con tali fiere che li hanno annaffiati
La corifea dice che non cerca brighe: vuole restare in pace, ma guai se vanno a provocarla: diventa come una vespa quando vanno a stuzzicarla o affumicarla.
Il Coro dei vecchi lamenta ancora la prepotenza delle donne, knwvdala 476, belve, che hanno occupato l’Acropoli - ijero;n tevmeno" - sacro recinto 483. L’occupazione dell’acropoli con degli armati costituiva la presa del potere da parte del tiranno.
 
Il corifeo chiede al Probulo di interrogare le donne sulle loro intenzioni.
Il Probulo allora domanda perché abbiano occupato l’Acropoli.
Lisistrata risponde “per mettere al sicuro il denaro, perché non facciate la guerra con esso” 488.
Lisistrata ricorda le ruberie di Pisandro ( uno dei cospiratori che preparavano la reazione oligarchica). E aggiunge: hjmei'" tamieuvsomen aujtov (494), il denaro lo amministreremo noi.
 
Il tesoro della Lega Delio - Attica costituito dai tributi degli alleati venne trasferito da Delo ad Atene nel 454.
 
Già amministriamo quello di casa.
La polis dunque dovrebbe funzionare come la casa.
Ma il Probulo ribatte che con il denaro di Stato polemhtevon e[st j ajpo; touvtou - 496, bisogna fare la guerra.
 
Si pensi al denaro pubblico speso malissimo per fare le ultime guerre in Iraq e in Afghanistan.
Lisistrata replica ajll j oujde;n dei' prw'ton polemei'n (497), ma prima di tutto non c’è alcun bisogno di fare la guerra. Saremo noi a salvarvi. hjmei'" uJma'" swvsomen 498. Poi: sarai salvato, anche se non vuoi 499. E’ diventata una missionaria.
Il commissario rilutta alla salvezza proposta da Lisistrata, tuttavia la lascia parlare.
Lisistrata deplora il fatto che le donne abbiano sopportato troppo a lungo qualunque cosa gli uomini facessero, anche quanto a loro dispiaceva. Se una provava a domandare che cosa si fosse deciso in assemblea, si sentiva rispondere: ouj sighvsei; (514) non vuoi stare zitta? - kajgw; jsivgwn e io tacevo.
Lei taceva e abbozzava dentro.
 Se loro, le mogli, provavano anche solo a domandare la ragione di scelte sbagliate, si sentivano rispondere povlemo" d’ a[ndressi melhvsei (520), la guerra sarà affare degli uomini.
Il commissario approva i mariti che facevano stare zitte le donne.
 Lisistrata obietta che questa maritocrazia è durata troppo a lunga e ha portato grande rovina alla città. Ora le donne si sono messe d’accordo per salvare l’Ellade. Adesso sono gli uomini che devono tacere e ascoltare le mogli: se tacete come facevamo noi ejpanorqwvsaimen a]n ujma`" - 528, potremmo raddrizzavi, rimettervi su.
Lisistrata cerca le cause dei disastri che hanno colpito Atene, e la causa prima è l’esclusione delle donne dalla vita politica, dal dialogo con gli uomini. Questa protofemminista ateniese capisce che c’è stata una complicità delle donne nel provocare la loro esclusione: hanno tollerato e subito troppo a lungo la prepotenza maschile.
Le femministe di oggi non cercano mai le cause dei femminicidi e ne indicano soltanto una: la ferinità dei maschi. Le donne non dovrebbero subirla nemmeno se si manifesta soltanto con una risposta sgarbata, sul tipo di ouj sighvsei; non vuoi stare zitta? del v. 514. Se una persona, uomo o donna, non rifiuta uno sgarbo del genere, ne seguiranno di più gravi, sempre più gravi
 
 
 
Capitolo 10
Il ridicolo negli armati e nei sacerdoti
 
Ora è Lisistrata che dice siwvpa 529 sta’ zitto - al commissario
Costui risponde con rabbia: “devo stare zitto io, davanti a te maledetta - w\ katavrate - che per giunta porti un velo sul capo? (kavlumma peri; th;n kefalhvn, 530). Che io muoia piuttosto.
Lisistrata risponde: “se è proprio questo che te lo impedisce, prenditi pure il mio velo, mettitelo in testa, ka\/ta siwvpa, e poi sta’ zitto 533 - 534.
Il velo dovrebbe simboleggiare la ritrosia o la riservatezza femminile. Dovrebbero portarlo gli uomini e diventare meno fanfaroni
 
Quindi l’ ateniese Cleonice vuole attribuire al Probulo altri simboli del ruolo di donna tradizionale: cardare la lana sgranocchiando le fave - kuavmou" trwvgwn (537). E’ ora di cambiare le parti.
 
Il Coro delle donne canta
ejgw; ga;r ou[pot j a]n kavmoim j ojrcoumevnh 541, io non sarò mai stanca di danzare, mai faticosa pena mi prenda le ginocchia, voglio affrontare ogni ostacolo ajreth'" e{nec j, per la virtù (cfr. la morale eroica degli uomini valorosi come Achille) con quelle che hanno fuvsi", una buona natura, cavri", grazia e qravso", ardire, to; sofovn, il sapere, amor di patria e prudente valore ajreth; frovnimo" (547).
Non mancano la componente estetica né quella etica.
 Ora correte con vento favorevole le esorta la corifea (550).
Lisistrata aggiunge: e se Eros glukuvqumo" - 551 delizioso, con Afrodite soffieranno desiderio nei seni e nelle nostre cosce h[nper i{meron hJmw'n kata; tw'n kovlpwn kai; tw'n mhrw'n katapneuvsh/ 552 e infonderanno negli uomini tensione piacevole e durezza di clava tevtanon terpnovn toi'" ajndravsi, kai; ropalismouv", (clava rjovpalon)553, ci chiameranno Lusimavca", Lisimache, dissolvitrici di battaglie.
Il nomen dunque che era omen, presagio diventerà destino e storia.
 
Il pericolo e il ridicolo degli uomini armati.
 
A proposito di girare armati, Lisistrata dice al Probulo “In primo luogo dobbiamo fare smettere agli uomini di andare in piazza con le armi in stato di grave turbamento mentale mainomevnou" (Aristofane, Lisistrata, 555 - 556).
 Si pensi ai mentecatti che possono comprare le armi dove vogliono, poi vanno a fare delle stragi o ammazzano chi capita.
 
Infatti ora tra le pentole e gli ortaggi passeggiano per la piazza armati come Coribanti ( xu; o{ploi~ w{sper Koruvbante~, Lisistrata, vv.555 - 558).
Il Probulo prova a dire che è un dovere degli uomini valorosi
 E Lisistrata: “ ma è di certo una ridicolaggine - kai; mh;n to; ge pra`gma gevloion (559) quando vanno a comprare il pesce armati fino ai denti”.
 
Vediamo i sacerdoti Galli (o Cureti) di Lucrezio e i Coribanti di Orazio
La furba follia, vero o simulata dai Galli, sacerdoti di Cibele, che vogliono fare paura agli stolti è evidenziato da Lucrezio nel II libro del De rerum natura.
Viene descritta la processione orrendamente superstiziosa. "tympana tenta tonant palmis, et cymbala circum - concava, raucisonoque minantur cornua cantu" (II, 618 - 619).
I tamburelli tesi tuonano sotto i palmi e i cembali concavi - piatti di metallo -
intorno, con il rauco suono minacciano i corni,
e il cavo flauto con frigia cadenza esalta le menti.
Inoltre brandiscono le armi (telaque praeportant), 621, segni di furia
che possano atterrire, con lo spavento conterrēre metu della potenza della dea,
gli animi ingrati e i petti ribaldi del volgo.
Allora le genti aere atque argento sternunt iter omne viarum (626)
 lastricano tutto il percorso di bronzo e d'argento
arricchendoli di copiosa offerta largifica stipe ditantes e fanno nevicare fiori di rosa, coprendo di ombra la madre e le orde del seguito.
Poi ci sono i Cureti che danzano armati facendo ricordare quelli che coprivano i vagito di Giove perché Saturno non lo azzannasse con le mascelle e infliggesse alla madre eterna ferita.
La magna mater aveva molti nomi: Rea che aveva generato Zeus sul monte Ida a Creta, Cibele i cui Coribanti si autoeviravano e venivano chiamati Galli e si identificavano con i Cureti cretesi.
Sui Coribanti sentiamo Orazio (Odi, I, 16, 7 - 9)" non - acuta sic geminant Corybantes aera, - tristes ut irae" (quatiunt mentes) non così i Coribanti sbattono gli aspri bronzi come le ire tristi (scuotono le menti)
I Galli evirati vogliono significare che non sono degni di generare quelli che hanno violato il volere della madre e non sono stati grati ai genitori "significare volunt indignos esse putandos, - vivam progeniem qui in oras luminis edant" (616 - 617)
Gli armati significano il volere della dea che la terra dei padri si difenda con le armi.
Queste leggende sono narrate bene e con eleganza ma sono tenute ben lontano da una corretta ragione –longe sunt tamen a vera ratione repulsa - (645). Dunque anche in questa religio c’è della pazzia, come nella guerra.
 
Il Socrate di Platone oppure Nietzsche?
Una chiave per spiegare la natura di Socrate ci viene spiegata dal fenomeno del suo demone, una voce che lo dissuadeva sempre.
 Cfr. Platone, Apologia 31 dove Socrate dice che in lui c’è qei`ovn ti kai; daimovnion, una voce –fwnhv ti~ - che quando si manifesta ajei; ajpotrevpei me, mi distoglie sempre da quello che sto per fare, protrevpei de; ou[pote, mentre non mi spinge mai.
Questo mi impedisce di occuparmi di politica.
 
Socrate è visto da Nietzsche come il nemico dell’istinto, o come un individuo dall’istinto rovesciato: “Mentre in tutti gli uomini produttivi l’istinto è proprio la forza creativa e affermativa, e la coscienza si comporta in maniera critica e dissuadente, in Socrate l’istinto si trasforma in un critico, la coscienza in una creatrice - una vera mostruosità per defectum! Più precisamente noi scorgiamo qui un mostruoso defectus di ogni disposizione mistica, sicché Socrate sarebbe da definire come l’individuo specificamente non mistico, in cui la natura logica, per una superfetazione, è sviluppata in modo tanto eccessivo quanto lo è quella sapienza istintiva nel mistico”[13].
 
“Io sono un discepolo del filosofo Dioniso, preferirei essere un satiro piuttosto che un santo”[14].
In Ecce homo “quasi alla fine della sua vita lucida, Nietzsche scrive: “Io non sono un uomo, sono dinamite”[15].
“Il suo grido di omaggio non è “osanna” ma “evoè”[16].
C’è in Nietzsche una “sopravvalutazione coribantica”[17] della vita istintiva
 
Cleonice ha visto un tale komhvthn, con la zazzera, un comandante di cavalleria che gettava nell’elmo di bronzo il purè di legumi (levkiqon) comprato da una vecchia. Un altro, un Trace che sembrava Tereo (il barbaro re stupratore), brandendo scudo e giavellotto, atterriva la venditrice di fichi - th;n ijscadovpwlin e tracannava quelli molto maturi (Lisistrata, 561 - 564).
 
 
 
Capitolo 11
Tutte le soluzioni proposte da Lisistrata
 
Il Probulo chiede alle donne come faranno a far cesssare i molti turbamenti e a districare le cose confuse pau'sai tetaragmevna pravgmata pollav kai; dialu'sai (565)
Lisistrata risponde che faranno come con la loro matassa - klwsth`r j 567 quando è ingarbugliata: tendiamo piano piano il filo sui fusi da una parte e dall’altra. Così dissolveremo anche questa guerra - ou{tw" kai; to;n povlemon tou'ton dialuvsomen, se ci si lascia fare.
Manderemo in giro ambascerie da una parte e dall’altra.
 Di nuovo, la polis deve funzionare come la casa. E saranno le donne a risolvere le difficoltà come fanno sempre tra le mura domestiche.
Il Probulo non crede che le due faccende siano comparabili ma Lisistrata insiste:
 
La soluzione di Lisistrata e le elezioni di ieri in Italia
Districare i disonesti associati nelle lobbies e associare gli onesti
 
Gli affari di Stato dice la prima delle ateniesi pacifiste vanno trattati come quelli domestici, in particolare come si tratta la lana: lavare, pulire, scartare, togliere a bastonate mocqhrou;" tou;" tribovlou" (Aristofane, Lisistrata, 576) i cattivi e i triboli[18].
Cardare diaxh'nai - diaxaivnw - ossia districare quelli che si associano per le cariche - tou;" pilou'nta" eJautou;" ejpi; tai'" ajrcai'si (578). Spelare le loro teste kai; ta;" kefala;" ajpoti'lai - ajpotivllw - sempre come il pube di queste Lisimache.
Poi raccogliere in un cestello la comune buona volontà xaivnein koinh;n eu[noian (579) mescolando tutti: meteci, stranieri che siano amici, chi deve denaro all’erario e associare questi tutti insieme nella mescolanza kai; touvtou" ejgkatamei'xai 581.
In questa unione bisogna immettere anche i coloni emigrati (a[poikoi) in altre città che sono come bioccoli di lana caduti a terra e bisogna riunirli tutti in un gomitolo grande, poi da questo tessere una tunica per il popolo - ka\t j ejk tauvth" tw`/ dhvmw/ clai`nan uJfh`nai - 586.
Togliere di mezzo i ladri, i profittatori, i guerrafondai da una parte, e dall’altra associare le persone che hanno subìto ingiustizia.
Insomma comune, comunione degli uomini di buona volontà senza confusione con i malvagi.
 
Il Probulo rinfaccia alle donne il fatto che vogliano risolvere la guerra senza mai averne preso parte
Lisistrata risponde plei'n h[ ge diplou'n aujtou' fevromen, ne sopportiamo più del doppio.
Prima di tutto in quanto abbiamo partorito e mandato i figli a fare i soldati - prwvtiston mevn ge tekou'sai kajkpevmyasai pai'da" oJplivta" (589).
 
Orazio nella prima Ode del primo libro menziona le guerre maledette dalle madri:" bellaque matribus/ detestata" (vv. 24 - 25).
Il poeta di Venosa chiama il dio Marte torvus in Carmina I, 28, 17 e cruentus in II, 14, 13.
 
Poi, per colpa delle vostre spedizioni militari, dormiamo sole da anni - monokoitou'men dia; ta;" stratiav". Io mi affliggo per le povere fanciulle che invecchiano nei talami - peri; tw'n de; korw'n ejn toi'" qalavmoi" ghraskousw'n ajniw'mai (592)
“Non invecchiano anche gli uomini?”, domanda il Probulo.
Lisistrata: ma non è la stessa cosa. L’uomo che torna, ka[n h\/ poliov", anche se è canuto, subito sposa una ragazza, ma l’occasione della donna è di breve durata th'" de; gunaiko;" mikro;" oJ kairov", e se non la acciuffa, oujdei;" qevlei gh'mai tauvthn nessuno vuole più sposarla e rimane seduta a fare pronostici oJtteuomevnh de; kavqhtai (597).
Cfr. l’occasione è calva di dietro.
 
Il Probulo menziona la capacità di erezione: ajll j o{sti" stu'sai dunatov" (598), ma chiunque sia in grado di avere un’erezione…
Però poi il rudere libertino viene interrotto da Lisistrata Cleonice e Mirrina che vogliono prepararlo per il funerale dandogli perfino l’obolo per Caronte: oJ Cavrwn se kalei' (606), Caronte, ti chiama e tu gli fai perdere tempo. Ti porteremo anche le offerte del terzo giorno, usuali per i morti.
 
 
 
Capitolo 12
Parabasi con il contrasto tra vecchie e vecchi ateniesi
 
Parabasi 614 - 705
Il coro dei vecchi dice di sentire puzzo di tirannide.
I coreuti temono che certi Laconi si riuniscano in casa di Clistene per aizzare le donne odiose agli dèi e abbattere lo stato assistenziale che dà il misqovn, il salario con il quale i poveri campano.
 
Clistene era un noto omosessuale, come abbiamo visto nelle Rane. Lui e il figlio.
Sento dire che il figlio di Clistene tra le tombe si spiuma il culo (prwkto;n tivllein eJautou', Rane, 424) e si strappa le guance.
 
Il corifeo dice che con gli Spartani non è possibile una riconciliazione: di loro ci si può fidare come del lupo con le fauci spalancate.
Cfr. l’Andromaca di Euripide e la sua propaganda antispartana.
 
Nell’Andromaca di Euripide la protagonista eponima lancia un anatema contro la genìa dei signori del Peloponneso, chiamati:" o i più odiosi tra i mortali (e[cqistoi brotw'n) secondo tutti gli uomini, abitanti di Sparta, consiglieri fraudolenti, signori di menzogne, yeudw'n a[nakte~ tessitori di mali, che pensate a raggiri e a nulla di retto, ma tutto tortuosamente, senza giustizia avete successo per la Grecia (vv.445 - 449).
 
Anche la voglia di pace delle donne sarebbe una trama per la tirannide secondo il corifeo dei maschi ajlla; tau'q j u{fhnan ejpi; turannivdi (630 - uJfaivnw, tesso).
 Ma non si lascerà tiranneggiare: starò all’erta - fulavxomai 631 - e si armerà come il tirannicida Aristogìtone che uccise Ipparco nel 513. Porterà la spada nascosta in un ramo di mirto. Ha voglia di prendera a cazzotti nelle mascelle la vecchia.
 
La corifea propone alle donne del coro di togliersi i mantelli.
 
Il coro di donne canta ricordando le feste ateniesi nelle quali ciascuna di loro ha avuto parti importanti.
Vogliono iniziare a dire parole utili per la città poiché Atene ha allevato ciascuna di loro splendidamente nel lusso –ejpei; clidw`san ajglaw`" e[qreye me - (640)
 A sette anni furono arrèfore che portavano i simboli di Atena in processione, poi ajletriv" - ajlevw - quelle che macinavano il grano del campo sacro per le focacce da offrire alla dea, poi portarono la stola gialla to;n krokwtovn da orsa (a[rkto") nelle Brauronie in onore di Artemide, quindi, diventate belle ragazze, fecero le canefore con la collana di fichi secchi. Portavano la cesta con gli arredi sacri e le offerte nelle Panatenee,
La corifea commenta che per questo è debitrice di buoni consigli alla città.
Rimprovera i miserabili vecchi di avere scialacquato il patrimonio materiale e morale delle guerre persiane. Li minaccia di prenderli a calci in faccia.
Il coro dei vecchi risponde che davanti all’insolenza grande (u{bri" pollhv) delle donne l’uomo con i coglioni (ejnovrch" ajnhvr, 661) deve difendersi (ajmuntevon).
Togliamoci le tuniche: to;n a[ndra dei' - ajndro;" o[zein eujquv" - 662, l’uomo deve avere odore di uomo immediatamente.
Bisogna tornare giovani ora - nu'n dei' nu'n ajnhbh'sai pavlin - e dare ali a tutto il corpo kajnapterw'sai - pa'n to; sw'ma, e scuoterci di dosso questa vecchiaia kajposeivsasqai to; gh'ra" tovde - 669 - 670.
 
Il corifeo teme che queste donne nemiche si mettano a costruire navi per combattere naumacei'n e muovere all’arrembaggio plei'n contro di noi w[sper jArtemisiva (675).
 La regina di Alicarnasso che seguì Serse contro i Greci (v.675, cfr. Erodoto VII, 99; VIII 87 - 88
Quando Serse I di Persia invase la Grecia nel 480 a.C., dando inizio alla seconda guerra persiana, Artemisia partecipò alla spedizione in quanto alleata e vassalla del gran re. La regina partì al comando delle sue cinque triremi e si unì al resto dell'imponente flotta persiana, che contava oltre mille navi. Secondo Erodoto, Artemisia era l'unica comandante di sesso femminile di tutte le forze armate radunate da Serse e le sue triremi avevano la miglior reputazione di tutta la flotta, seconda solo a quella delle navi provenienti da Sidone. Artemisia partecipò alla battaglia di Capo Artemisio contro la coalizione ellenica, guidata dall'ateniese Temistocle e dallo spartano Euribiade. Questa battaglia navale, che fu combattuta contemporaneamente alla battaglia delle Termopili nell'agosto del 480 a.C., si risolse senza né vinti né vincitori. Artemisia, secondo Erodoto, si distinse in essa in modo "non inferiore" agli altri comandanti persiani.
 
Se poi le donne si danno all’equitazione è finita per noi dice il corifeo, iJppikwvtaton ga;r ejsti crh'ma gunhv (677), la donna è assai portata all’equitazione: si tiene ferma in sella e non scivola quando il cavallo corre. Guarda le Amazoni, come le dipinse Micone mentre combattono a cavallo contro gli uomini. Bisogna prenderle per il collo e adattarglielo alla gogna 680 - 681.
 
Micone (V sec.) decorò il tempio dei Dioscuri di Atene, dipingendovi il Ritorno degli Argonauti. In collaborazione con Polignoto decorò il Theseion con scene della vita di Teseo e sempre in collaborazione con Polignoto e Paneno partecipò alla decorazione della Stoà Pecile, dove dipinse una Maratonomachia e una Amazzonomachia; gli Ateniesi gli inflissero una multa di trenta mine per aver rappresentato i Persiani più grandi dei Greci. I temi affrontati sono tipici dell'età cimoniana, soggetti caratterizzati dal movimento e dall'azione, dove Micone sembra aver portato alcune innovazioni compositive nella disposizione delle figure e negli elementi paesistici. Si servì per le sue opere dei quattro colori tradizionali (nero, bianco, rosso e giallo). Dell'attività di Micone quale bronzista riferisce Plinio il Vecchio (Nat. hist., XXXIV, 88, 2): gli sono attribuite una statua del campione olimpico Callia, vincitore del pancrazio nel 472 a.C., e una statua equestre dedicata sull'acropoli di Atene, della quale resta parte della base con iscrizione, datata intorno al 440 a.C.
 
Il coro delle donne minaccia di slegare la cinghiala che ha dentro - luvsw th;n ejmauth'" u|n ejgwv - 684 per avere l'odore di femmine inferocite fino a mordere wJ" a]n o[zwmen gunaikw'n aujtoda;x wjrgismevnwn (687)
Possiano fare come lo scarabeo che ha distrutto le uova dell’aquila (cfr. Esopo).
La corifea ribadisce la solidarietà panellenica delle donne ricordando l’amicizia con la spartana Lampitò e con la tebana Ismenia.
Quindi ricorda il decreto che impediva importazioni di anguille dalla Beozia. Il giorno prima non aveva potuto fare baldoria in onore di Ecate dia; ta; sa; yhfivsmata (703) a causa dei tuoi decreti
Fine parabasi
Si ricordi che negli Acarnesi, Diceopoli dopo avere ha fatto una pace separata riceve un tebano che gli offrire la sua mercanzia: il contadino attico è attirato soprattutto dalle anguille di Copaide, un lago della Beozia, oggi prosciugato:
"o tu che porti la leccornìa più gradita agli uomini,
permetti che io saluti le anguille, se davvero le porti" (881 - 882).
Ma questi decreti faranno male a chi li ha decretati (Lisistrata, 705)
 
 
 
Capitolo 13
Scene giambiche e intermezzi lirici - 706 - 1246.
Alcune donne cercano di disertare e farsi crumire. L’oracolo di Lisistrata
 
Perché scrivere tanto?
Il racconto è dolore, ma è anche amore. Il silenzio è spesso puro dolore
Aristofane, Eschilo, Berto, Virgilio, Leopardi.
 
Terminata la parabasi (vv. 614 - 705) Compare Lisistrata. La corifea le domanda perché sia accigliata - skuqrwpov" (Lisistrata, 707)
 La caporiona cita un verso di Euripide (Telefo fr. 704): ajll j aijscro;n eijpei'n kai; siwph'sai baruv (712) turpe è parlare e tacere è grave.
Cfr. Prometeo incatenato di Eschilo "ajlgeina; mevn moi kai; levgein ejsti;n tavde, - a[lgo" de; siga'n, pantach'/ de; duspotma” doloroso è per me raccontare queste cose,/ma doloroso è anche tacere, e dappertutto sono le sventure"(vv. 197 - 198). Due versi questi, usati come epigrafe da Giuseppe Berto per il suo Il male oscuro (1964) che racconta la terapia di una nevrosi: “Il racconto è dolore, ma anche il silenzio è dolore”. Il racconto infatti è doloroso e pure terapeutico.
 
Così Enea racconta a Didone la distruzione di Troia: “Infandum, regina, iubes renovare dolorem (…) Sed si tantus amor casus cognoscere nostros/et breviter Troiae supremum audire laborem,/quamquam animus meminisse horret luctuque refugit,/incipiam” (Eneide, II, 3, 10 - 13), regina, mi ordini, di rinnovare un dolore indicibile…ma se tanto grande è il desiderio di conoscere la nostra caduta e di udire in breve l’estrema agonia di Troia, sebbene l’animo rabbrividisca a ricordare e rifugga dal pianto, comincerò.
 
Nella Tebaide di Stazio (45 - 96 d. C.) Ipsipile inizia la sua storia dolorosa affermando che raccontare le proprie pene è una consolazione per gli infelici:"dulce loqui miseris veteresque reducere questus" (V, 48), è dolce parlare per gli infelici e rievocare le pene antiche.
 
Infine Leopardi che corteggia la luna
"O graziosa luna, io mi rammento
che, or volge l'anno, sovra questo colle
io venia pien d'angoscia a rimirarti:
e tu pendevi allor su quella selva
siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
il tuo volto apparia, che travagliosa
era mia vita; ed è, né cangia stile,
o mia diletta luna. E pur mi giova
la ricordanza, e il noverar l'etate
del mio dolore.
(Alla luna del 1820, vv. 1 - 12)
 
Lisistrata riassume la difficolta che l’ha contrariata dicendo binhtiw'men, vogliamo essere scopate (715) - binevw, fotto. Non riesce più a tenere le donne lontane dai mariti. Molte disertano.
Arrivano tre donne che vogliono tornare a casa. La terza dice di essere incinta aujtijka mavla tevxomai 744 e che sta per partorire.
Lisistrata ribatte che il giorno prima non era pregna - ajll j oujk ejkuvei" suv
 g j ejcqev" - -
 Ma oggi sì, ribatte la donna - ajlla; thvmeron - 745
Lisistrata scopre che la falsa pregnante ha messo sotto il vestito l’elmo della statua di Atena. Le altre due trovano altre scuse per correre a casa - la lana che si rovina per le tarme; il lino da maciullare -
Lisistrata semplifica dicendo come stanno davvero le cose: poqei't j i[sw" tou;" a[ndra" (763), vi mancano gli uomini verosimilmente.
Anche loro ci desiderano, aggiunge, ma bisogna resistere.
Un oracolo crhsmov" assicura che prevarremo, eja;n mh; stasiavswmen 768, se non facciamo una guerra intestina nel nostro genere (stavsi").
 Lisistrata legge l’oracolo: le rondini (celidovne") fuggendo l’upupa, devono stare lontane dai falli - ajpovscwntaiv te falhvtwn - 771 Le rondini indicano i genitali femminili.
Lisistrata cita altre parole dell’oracolo
Se le rondini si separano e si involano fuori dal tempio sacro, non ci sarà più nessun uccello di nessuna specie che sembrerà più zozzone - katapugwnevsteron (776).
Dunque bisogna pazientare
tradire l’oracolo sarebbe una vergogna. (780)
 
 
 
Capitolo 14
 
Misantropi: Melanione, Ippolito di Euripide, Adamo di Milton, Timone di Atene in Plutarco e Shakespeare. di Cnemone abbiamo già detto.
I misantropi non sono sempre anche misogini.
Timone di Atene ne era vaghissimo, mentre Ippolito “delle femmine era così vago come sono i cani de’ bastoni”
 
Il Coro di vecchi ricorda il mitico cacciatore Melanione ed era schifato riguardo le donne - ta;" gunai'ka" ejbdeluvcqh - 795 (bdeluvssw, rendo abominevole). Feuvgwn gavmon ajfivket j ej" ejrhmivan (786) jelagoqhvrei - lagwv" - lagwv - oJ lepre; qhvra caccia -, quindi, fuggendo le nozze, si ritirò nella solitudine e andava a caccia di lepri intrecciando reti e aveva un cane. Mai più tonò a casa tanto aborriva le donne
Non meno di Melanione fanno i casti saggi conclude il coro.
Nella X ecloga Cornelio Gallo cerca di sfuggire alla sofferenza amorosa, che Licoride gli infligge, col proposito di percorrere le montagne dell'Arcadia a caccia di aspri cinghiali mescolato alle Ninfe: "Interea mixtis lustrabo Maenala Nymphis,/aut acris venabor apros "(vv. 55 - 56).
 
Si può accostare la figura di questo sordido anacoreta a quella dell’Ippolito di Euripide per quanto riguarda l’aborrimento delle donne.
Ippolito il protagonista della tragedia, sdegnato con la matrigna, è talmente disgustato e terrorizzato dalle femmine, ingannevole male per gli uomini ("kivbdhlon ajnqrwvpoi" kakovn ", v. 616), male grande ("kako;n mevga", v. 627), creatura perniciosa, o, più letteralmente, frutto dell'ate[19] ("ajthrovn[20]... futovn", v. 630) che auspica la loro collocazione presso muti morsi di fiere (vv. 646 - 647) e la propagazione della razza umana senza la partecipazione delle femmine umane.
Sentiamo alcune parole del "puro" folle che dà in escandescenze:
 "O Zeus perché ponesti nella luce del sole le donne, ingannevole male per gli uomini? Se infatti volevi seminare la stirpe umana, non era necessario ottenere questo dalle donne, ma bastava che i mortali mettendo in cambio nei tuoi templi oro e ferro o un peso di bronzo, comprassero discendenza di figli, ciascuno del valore del dono offerto, e vivessero in case libere, senza le femmine. Ora invece quando dapprima stiamo per portare in casa quel malanno, sperperiamo la prosperità della casa" (vv. 616 - 626).
 
Questa fantasia contro natura della genesi senza le donne viene manifestata da altri personaggi della letteratura come Adamo nel Paradise Lost (1658 - 1665) del "puritano d'incrollabile fede"[21] John Milton (1608 - 1674).
 Il progenitore dell’umanità si chiede perché il Creatore, che ha popolato il cielo di alti spiriti maschili, ha creato alla fine sulla terra questa novità, questo grazioso difetto di natura ( this fair defect [22] of Nature ) e non ha riempito subito il mondo con uomini simili ad angeli senza il femminino, o non ha trovato un altro modo per generare l'umanità ("or find some other way to generate Mankind? ", X, 888 e sgg.).
Non meno innaturale è la partenogenesi.
 
Non mancano abbozzi di corteggiamento pur subito contraddetti
Il corifeo propone
“Voglio baciarti vecchia” - bouvlomaiv se grau`, kuvsai - kunevw - 797
“allora non ti convengono le cipolle” risponde lei
Il vecchio fa la mossa di prenderla a calci.
E la vecchia: hai un grosso cespuglio!
Il vecchio nomina due valorosi capi militari pelosi in quel posto e dalle natiche nere melavmpugo" - 803. Segni di virilità.
 
Il Coro di donne in risposta alla storia di Melanione ricorda un altro misantropo, Timone dal volto recinto dalle spine, progenie delle Erinni, odiava gli uomini, però amava moltissimo le donne - tai'si de; gunaixi;n h\n fivltato" (Lisistrata, 821).
 
Nel Timone d'Atene di Shakespeare (1607) il protagonista diventato misantropo per l’ingratitudine umana dice: All’s obliquy; - there is nothing level in our cursed –natures - but direct villainy. Therefore be abhorred - all feasts, societies, and throngs of men - His semblable (similis - )yea himself, Timon disdains - (dedignari) - Destruction fang - (azzanni, allied to latin pangere conficcare affondare) mankind. IV, 3, 18 - 24), tutto è storto, non c’è niente di diritto nella nostra natura maledetta, se non la malvagità diretta al male. Perciò sono da detestare tutte le feste, compagnie e folle di uomini. Timone disprezza il suo simile, anzi se stesso. Che la distruzione azzanni l’umanità.
 
Plutarco nella Vita di Alcibiade (16) racconta che Tivmwn oJ misavnqrwpo~,imbattutosi un giorno in Alcibiade che tornava dall’assemblea popolare soddisfatto per un successo, non lo scansò come era solito fare con gli altri, ma anzi gli andò incontro, gli strinse la destra e gli disse: “fai bene ragazzo a crescere in potenza: mevga ga;r au[xei kako;n a{pasi touvtoi~, così accresci di molto il male a tutti questi.
 
Un vecchio e una vecchia si minacciano a vicenda: lui mostrando i pugni, lei prospettandogli dei calci.
Lui fa: così mostrerai la fica.
E lei: comunque non la vedresti pelosa komhvthn 827 ma depilata al lucignolo anche se sono vecchia. Non manca un tantino di corteggiamento pure tra questi nemici, e vecchi per giunta
 
Lisistrata lancia l’allarme siccome si avvicina un uomo in preda al delirio di Afrodite. Mirrina vede arrivare suo marito Cinesia Kinhsiva" (cfr. kinevomai, sono eccitato) 837
Lisistrata le consiglia du sedurlo e ingannarlo - ejjxhperopeuvein - senza concedergli quello che ha giurato sulla coppa di vino.
hjpropeuthv" è il seduttore Paride in Iliade 13, 769.





[1] Vietava tra l'altro di indossare vesti multicolori o di girare per Roma su un cocchio a doppio traino di cavalli.
[2] Il carrozzino che porta Boylan all'appuntamento erotico con Molly, la Penelope di questo Ulisse.
[3]J. Joyce, Ulisse, p. 372, 246 nel testo inglese.
[4] Caratteristica dell’umorismo cfr. parte II cap. quarto.
[5] Così dice Shakespeare, Timon of Athens, I, 1: “He’ s opposite to humanity”.
[6] B. Snell, Poesia e società, pp. 151 - 152.
[7] B. Snell, Poesia e società,, p. 153
[8] Storia Della Letteratura Greca, p. 167.
[9]  Sofocle, Filottete, v. 1436.
[10] L. Canfora, Storia Della Letteratura Greca, p. 167.
[11] Questo è l'eterno amante.
[12] F. Dostoevkij, L'eterno marito, p. 39 e p. 65.
[13] La nascita della tragedia, capitolo 13
[14] Ecce homo, Prologo.
[15] Ecce homo, “Perché sono un destino”, 1
[16] T. Mann, Nobiltà dello spirito, p. 824.
[17] T. Mann, Op. cit., p. 825.
[18] E’ una pianta spinosa e per metafora un oggetto acuminato: “e dai tentati triboli/ l’irto cinghiale uscir”, Adelchi di Manzoni. 
[19] L'accecamento mentale, una smisurata forza irrazionale.
[20] Ricorda che la protagonista dell'Andromaca fa l'ipotesi:" eij gunai'ke;" ejsmen ajthro;n kakovn "(Andromaca, v. 353), se noi donne siamo un male pernicioso.
[21] C. Izzo, Storia della letteratura inglese, p. 517.
[22] Cfr. questo nesso ossimorico con kalo;n kakovn, bel malanno, sempre riferito alla donna da Esiodo nella Teogonia ( v. 585). Ci torneremo più avanti.

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