disegno di Aubrey Beardsley |
Capitolo 15
La donna ritrosa diventa più desiderabile
Arriva Cinesia con una visibile erezione. Lo segue uno schiavo che porta un bambino.
Lamenta che spasmov", erezione - spavw “tiro", tevtano" (846) tensione lo hanno invaso, e si sente come uno torturato alla ruota - w{sper ejpi; tocou` streblouvmenon - 845.
Lisistrata, dato che è un uomo, gli intuima di andarsene fuori dai piedi - oujk a[pei dh`t j ejkpodwvn; 848.
Richiesta del proprio ruolo, la donna risponde di essere la sentinella diurna
Cinesia chiede a Lisistrata della sua Mirrina
Lisistrata, saputo che è il marito, lo saluta con enfasi amichevole e gli dice che Mirrina lo ha sempre sulla bocca - sj e[cei dia; stovma 856 parlandone bene.
Degli altri uomini dice che sono una sciocchezza lh`ro" rispetto al proprio marito.
Quindi Cinesia le chiede di andare a chiamare Mirrina: ha perso ogni gioia di vivere da quando lei se n’è andata: quando torno a casa mi sento depresso - a[cqomai, tutto mi sembra deserto e non provo nemmeno gioia a mangiare: cavrin oujdemivan oi\d j ejsqivwn: e[stuka[1] gavr (869): ce l’ho ritto perché (ho tradotto con un pesaresismo buffo.
Mirrina oppone resistenza dicendo in disparte a Lisistrata che il marito mente.
Cinesia prova a chiamarla ma la moglie è riluttante. Lui cerca di impietosirla dicendo di essere tribolato - ejpitetrimmevno" - 876 ejpitribw -
Ci manca solo che dica come fa Germont con Violetta, la traviata.
Deh, non mutate in triboli
le rose dell’amor!
Ai preghi miei resistere
non voglia il vostro cor.
Cinesia spinge il figlio a chiamare la mammina mammiva, mammiva, mammiva 879
Quindi marito chiede pietà per il piccolo che non è lavato nè allattato - a[louton ka[qhlon - da sei giorni - qhlhv, mammella e capezzolo.
Mirrina ribatte che a lei il bambino fa pena, ma è il padre quello che lo trascura ajmelhv" aujtw'/.
Cinesia insiste, e lei fa: oi|on to; tekei'n: katabatevon che faccenda avere partorito, bisogna andare laggiù, che altro posso fare? - tiv ga;r pavqw; (884),
Cinesia la guarda avidamente e le dice che sembra diventata newtevra più giovane e più splendida. E il fatto che sei sdegnosa duskolaivnei e altezzosa brenquvetai ed è proprio questo che mi strugge di desiderio m’ ejpitrivbei tw'/ povqw/ (888).
Excursus
Cfr. Quod sequitur, fugio; quod fugit, ipse sequor (Ovidio, Amores, II, 20, 36)
E' questo il tovpo" dell'amore che insegue chi fugge e scappa da chi lo insegue. Tale locus ha un' ampia presenza nella poesia amorosa e, probabilmente, pure nell'esperienza personale di ciasuno di noi.
Gli uomini malvagi amano la tenebra più che la luce.
Teocrito nel VI Idillio paragona Galatea che stuzzica Polifemo alla chioma secca che si stacca dal cardo quando la bella estate arde:" to; kalo;n qevro" ajnijka fruvgei (16)
La donna e la lanugine secca di certi vegetali kai; feuvgei filevonta kai; ouj filevonta diwvkei " (v. 17), e fugge chi ama e chi non ama lo insegue.
Mi interessa sottolineare e condividere con voi le parole "quando la bella estate arde".
Teocrito (310 - 260) è un poeta siracusano vissuto a lungo ad Alessandria alla corte di Tolomeo II Filadelfo, e altro tempo a Cos. In luoghi caldi dunque, anche molto caldi.
Teocrito canta la calda natura estiva che ama.
Chi ama la natura, ama il caldo e adora il sole che porta significazione di Dio. Ama la vita luminosa e calda perché le sue opere non sono malvagie.
Chi preferisce il freddo e le tenebre di questi giorni orribili, e durante l'estate si chiude al buio con l'aria condizionata teme e odia la vita stessa.
L'ha detto anche l'evangelista Giovanni: "kai; hjgavphsan oiJ a[nqrwpoi ma'llon to; skovto" h] to; fw'"”, e gli uomini amarono più la tenebra che la luce. Parole citate da Leopardi come epigrafe della canzone La ginestra.
L’onesto visionario e pure veggente Giovanni ne indica la causa: “ h\n ga;r aujtw'n ponhra; ta; e[rga (N. T., Giovanni, 3, 19) poiché le loro opere erano malvagie.
Nell'XI Idillio lo stesso Ciclope si dà il consiglio di non inseguire chi fugge ma di mungere quella presente (75), femmina ovina o umana che sia.
Abbiamo anche qui l'ironia teocritea che deriva dalla consapevole dissonanza tra l'elemento popolare e quello raffinato letterario. Teocrito è, come Callimaco, un rappresentante di una poesia cosiddetta postfilosofica:"Post - filosofici sono questi poeti, nel senso che non credono più nella possibilità di dominare teoreticamente il mondo, e nell'esercizio della poesia, a cui Aristotele aveva ancora riconosciuto un carattere filosofico, si allontanano scetticamente dall'universale e si rivolgono con amore al particolare"[2]. Lo stesso Snell qualche capitolo prima aveva ricordato che nel III secolo era comunque già avvenuto "quel distacco fra il mondo della storia e quello della poesia" codificato da Aristotele quando afferma "che la poesia è più filosofica della storia poiché la poesia tende all'universale, la storia al particolare"[3] (p. 141).
La poesia postfilosofica dunque non racconta più l'universale. Post - filosofica o almeno postilluministica sarebbe anche quella di Goethe:" Callimaco e Goethe si trovano entrambi ad una svolta storica; al tramonto di una più che secolare cultura illuministica che ha dissolto le antiche concezioni religiose, quando è venuto a noia anche il razionalismo e incomincia a sorgere una nuova poesia significativa. Ma l'evoluzione del mondo antico segue una via così diversa da quella del mondo moderno, che Callimaco, e con lui tutto il suo tempo, si dichiara per la poesia minore, delicata, mentre Goethe, interprete anch'egli dei suoi contemporanei, dà la preferenza alla poesia patetica, interiormente commossa"[4].
"Un epigramma di Callimaco (Anth. Pal. 12, 102) liberamente tradotto per l'occasione in versi latini, è in Orazio il ritornello caro a questi incontentabili stolti:" Come il cacciatore insegue la lepre nella neve e non la prende quando è a portata di mano, così fa anche l'amante che dice: "…Meus est amor huic similis: nam/transvolat in medio posita et fugientia captat " (Sermones, 1, 2, 107s.). Ed è proprio questo epigramma di Callimaco che fornisce ad Ovidio (in un componimento degli Amores tutto impegnato a redigere il codice della perfetta relazione galante) il motto che può rappresentare emblematicamente la tormentata forma dell'amore elegiaco: quod sequitur, fugio; quod fugit, ipse sequor (2, 20, 36)"[5], evito ciò che mi segue, seguo ciò che mi evita.
E' questo un luogo comune dell'amore, o, forse, della non praticabilità dell'amore.
Sentiamo qualche altra testimonianza. Nella commedia La locandiera (del 1753) Goldoni fa dire alla protagonista, Mirandolina, in un monologo."Quei che mi corrono dietro, presto mi annoiano" (I, 9).
Una situazione analoga troviamo in Il giocatore di Dostoevskij (1866) dove il protagonista Alexei dichiara il suo amore a Polina in questi termini:"Lei sa bene che cosa mi ha assorbito tutto intero. Siccome non ho nessuna speranza e ai suoi occhi sono uno zero, glielo dico francamente: io vedo soltanto lei dappertutto, e tutto il resto mi è indifferente. Come e perché io l'amo non lo so. Sa che forse lei non è affatto bella. Può credere o no che io non so neppure se lei sia bella o no, neanche di viso? Probabilmente il suo cuore non è buono e l'intelletto non è nobile; questo è molto probabile"[6].
Proust nel V e terzultimo volume della Ricerca, conclusa negli ultimi mesi di vita (tra il 1921 e il 1922) esprime lo stesso concetto:"Qualsiasi essere amato - anzi, in una certa misura, qualsiasi essere - è per noi simile a Giano: se ci abbandona, ci presenta la faccia che ci attira; se lo sappiamo a nostra perpetua disposizione, la faccia che ci annoia"[7].
L'analogia con il cacciatore può essere estesa a quella con il raccoglitore di fiori. Il fiore raccolto non è più amabile. Molto note sono le ottave dell' Orlando furioso:"La verginella è simile alla rosa,/ch'in bel giardin su la nativa spina/mentre sola e sicura si riposa,/né gregge né pastor se le avicina;/l'aura soave e l'alba rugiadosa,/l'acqua, la terra al suo favor s'inchina:/gioveni vaghi e donne innamorate/amano averne e seni e tempie ornate.//Ma non sì tosto dal materno stelo/rimossa viene, e dal suo ceppo verde,/che quanto avea dagli uomini e dal cielo/favor, grazia e bellezza, tutto perde./La vergine che 'l fior, di che più zelo/che de' begli occhi e de la vita aver de',/lascia altrui còrre, il pregio ch'avea inanti/perde nel cor di tutti gli altri amanti" (I, 42 - 43).
Meno noti sono forse il sentimento e la riflessione di Vrònskij dopo che ha realizzato il suo sogno d'amore con Anna Karenina:"Lui la guardava come un uomo guarda un fiore che ha strappato, già tutto appassito, in cui riconosce con difficoltà la bellezza per la quale l'ha strappato e distrutto"[8].
Gozzano, su questa linea, sospira con ironia:" Il mio sogno è nutrito d'abbandono,/di rimpianto. Non amo che le rose/ che non colsi"[9].
Sentiamo infine C. Pavese:"Ma questa è la più atroce: l'arte della vita consiste nel nascondere alle persone più care la propria gioia di esser con loro, altrimenti si perdono"[10].
Fine excursus
Mirrina bacia il bambino chiamandolo teknivdion kakou` patrov" – figlioletto di un cattivo padre e pure glukuvtaton th` mammiva/ 890, dolcissimo per mamma.
Capitolo 16
Il ritardare non è solo epico. Fa anche parte della tattica amorosa.
Cinesia dice alla moglie che nell’assenza di lei la casa va in rovina.
Mirrina risponde: “ojlivgon aujtw`n moi mevlei ” 896, poco mi importa.
In effetti le faccende familiari non possono andare bene quando non funzionano quelle della polis poiché il bene e il male sono comuni.
Il marito menzione altri guai conseguiti alla diserzione domestica della moglie e Mirrina gli dice che non tornerà a casa se loro, gli uomini, non smetteranno di fare la guerra. Tanto più che dopo il disastro della spedizione in Sicilia (415 - 413) le sorti del lungo conflitto erano già segnate, negativamente per gli Ateniesi.
Le femmine degli animali e pure le donne non perdonano l’insuccesso. Opportunamente per la specie.
Cinesia fa una promessa a metà: h]n dokh`/, poihvsomen tau`ta - 901 - faremo questo, se sembrerà bene.
Questo a Mirrina non basta e dice che tornerà tra le ribelli.
Lui le propone almeno un incontro svelto nel letto: d j ajlla; kataklivnhqi met j ejmou' dia; crovnou (904)
Mirrina risponde che gli vuole tanto bene ma niente letto.
Cinesia insiste e Mirrina gli dice che non si può fare davanti al bambino - ejnantivon tou` paidivou (907). - Il marito consegna il piccolo al servo perché lo porti a casa poi le fa: jkpodw`n: su; d j ouj kataklinei`; 909, è fuori dai piedi, ora non verrai a letto con me?
Qui c’è il problema dell’amore che può calare tra i coniugi alla nascita di un figlio e se questo declino è particolarmente sentito dalla donna, l’uomo può concepire antipatia per il frutto della loro unione, soprattutto se è un maschio.
E dove si potrebbe fare? Domanda Mirrina.
Il marito, pieno di voglia di fare, indica la grotta di Pan.
Mirrina gli domanda come potrebbe tonare pura - ajgnhv - sull’acropoli 913.
Cinesia, interpretando ajgnhv - solo materialmente, le suggerisce di lavarsi alla sorgente Clessidra vicina alla grotta di Pan.
E’ il materialismo degli uomini che non capiscono le sfumature della sensibilità femminile.
Cinesia insiste fino a promettere che la colpa dello spergiuro della moglie cadrà su di lui.
dov" moiv nun kuvsai –lasciati baciare, le fa 924.
Mirrina si procura una branda, poi prende altro tempo per procurare una stuoia da stendervi sopra, un cuscino - proskefavlaion (926) e una coperta
Cinesia è impaziente, non gli serve il cuscino: non ne ho bisogno io.
Mai io sì per Zeus - 927 replica Mirrina nh; Dij ajll j ejgwv.
Poi esce.
Cinesia mormora: questo bischero to; pevo" - viene trattato da ospite come Eracle. Allude all’Eracle frenetico ghiottone, impaziente di divorare quantità di cibo che non gli bastavano mai.
Cfr. il Busiride di Epicarmo e l’Alcesti di Euripide già citati.
Torna Mirrina con il cuscino ma poi dice che ci vuole una coperta
A Cinesia non serve: binei'n bouvlomai. fottere voglio (934).
Mirrina va a prendere la coperta.
Poi dice: e[paire sauto;n 937, su, stai su
E Cinesia indicando il pene: ajll j ejph`rtai toutogiv, ma è già ritto questo qui
Mirrina vuole prendere altro tempo e va a procurarsi dell’ unguento to; muvron (939) per profumarlo.
Cinesia fiuta che l’unguento serve a stropicciare, perdere tempo - continuando la diatriba diatriptikovn - e non ha odore di nozze koujk o[zon gavmwn. (943)
Mirrina trova che il profumo non è abbastanza buono e va a prenderne un altro. Cinesia sta perdendo la pazienza e ordina alla moglie: fermati e non portarmi più niente.
Allora Mirrina annuncia che si toglie i sandali, e uscendo intima all’uomo di votare per la pace.
Cinesia risponde bouleuvsomai 951, ci penserò.
Poi si lamenta per la ritrosia della moglie che lo fa morire,
Oltretutto - dice - dopo avermelo sbucciato, se ne va - ta; t j a[lla pavnta kajpodeivras j - - ajpodevrw - oi[cetai 953
Si sente preso in giro yeusqeiv" 955 dalla donna che considera la più bella.
tivna binhvsw; 954, chi fotterò? Come potrò tirarsi su questo coso
Pensa addirittura di rivolgersi a un ambiguo prosseneta chiamato Kunalwvpex – Canevolpe (257).
Il ritardare non è solo epico: è anche erotico. Aristofane e Pavese.
"Goethe e Schiller, che, verso la fine dell'aprile 1797, ebbero una scambio di lettere sul "ritardare" in genere nei poemi omerici, lo misero addirittura in contrasto con la tensione (…) ma è chiaro che cosa intendano quando indicano il procedimento del ritardare come propriamente epico in opposizione a quello tragico (lettere del 19, 21, 22 aprile)"
(Erich Auerbach, Mimesis, Il realismo nella letteratura occidentale, p. 5).
La schermaglia amorosa tra Mirrina che "ritarda" e Cinesia che affretta (ajlla; binei'n bouvlomai, v. 934 “ma io fottere voglio)) nella Lisistrata di Aristofane (vv. 845 - 959) non è in contrasto con la tensione di Cinesia, anzi la rende più decisa.
Le schermaglie tra uomini e donne, il ritardare sessuale di tutte le femmine corteggiate, è funzionale al prolungamento non solo del pene ma anche del rapporto.
La donna di cui si è innamorati dunque in un primo tempo è cosmo e dea. Poi, come il re carnevalesco, si ribalta.
Lo spiega Giasone a una giovane ierodùla del tempio sull'Acrocorinto in un dialogo di C. Pavese:"Piccola Mèlita, tu sei del tempio. E non sapete che nel tempio - nel vostro - l'uomo sale per essere dio almeno un giorno, almeno un'ora, per giacere con voi come foste la dea? Sempre l'uomo pretende di giacere con lei - poi s'accorge che aveva a che fare con carne mortale, con la povera donna che voi siete e che son tutte. E allora infuria - cerca altrove di essere dio" Dialoghi con Leucò, Gli Argonauti
Capitolo 17
L’erezione eccessiva. L’intelligenza del dolore ne sana la ferita
Mirrina dunque ha detto al marito che se vuole fare l’amore con lei deve votare per la pace. Poi se ne è andata.
Cinesia si lamenta: ajpodeivrasa oi[cetai (953), “se ne va dopo avermi sbucciato” - ajpodevrw, levo la pelle (ovviamente dal glande). Infine invoca Kunalwvpex, Canevolpe il tenutario del bordello.
Il corifeo lo compiange per gli o[rcei" insoddisfatti.
In italiano si direbbe che ha l’orchite.
Quindi il vecchio incita il marito che continua a chiamare la moglie pagglukevra 970, dolcissima Mirrina, a punire la scellerata miarav (971), sollevandola in aria e facendola ricadere in modo che si infili di colpo sul glande ejxaivfnh" peri; th;n ywlhvn (979), data l’erezione.
Arriva un araldo spartano anche lui con un’erezione evidente.
Domanda dov’è il senato aJ gerwciva o i pritani (980).
Arriva il pruvtani" - - presidente - del giorno - e gli domanda se sia un uomo o Konìsalo, un demone della fecondità simile a Priapo.
Lo spartano risponde ka'rux ejgwvn, sono un araldo io venuto da Sparta per la pace.
Parla in dialetto dorico che non sembra essere solo la “patina” dei cori tragici.
Perché allora questa lancia sotto l’ascella? Dovru uJpo; mavlh" (985) domanda il pritano.
L’araldo si volta per non far vedere la “lancia”.
Ma girato sembra che abbia un bubbone sotto l’anguinaia
Finalmente il pritano capisce che si tratta di erezione ajll j e[stuka", w\ miarwvtate, mascalzonissimo 989.
Lo Spartano nega e dice che si tratta della skutavla lakwnikav, un bastone di legno intorno al quale si avvolgevano le strisce con i messaggi di Stato, i dispacci di Sparta.
Però poi l’araldo confessa che l’intera Sparta è ritta e tutti gli alleati sono in erezione: c’è bisogno di donne (menziona Pallene, forse una prostituta)
Lampitò ha dato il segnale, dopo di che, tutte hanno scacciato i mariti dalle fiche ajphvlaan tw;" a[ndra" ajpo; tw'n ujssavkwn (1001) - u{ssax (u|" - latino sus)
L’araldo spartano aggiunge che i maschi girano per la città tutti curvi, “come se portassimo una lanterna e le donne non si lasciano toccare se prima gli uomini non fanno la pace”.
Il Pritano ne deduce che si è congiurato dovunque da parte delle donne, ora capisco pantacovqen xunomwvmotai[11] - uJpo; tw'n gunaikw'n: a[rti nuniv manqavnw - 1007 - 1008 - Ora capisco è l’espressione della resipiscenza associata al mavqo" tragico. In seguito arriva la cessazione del pavqo".
L’intelligenza del dolore porta alla resipiscenza e al superamento della pena.
Parto da Eschilo: il tw'/ pavqei mavqo~ dell’Agamennone (v. 177) di Eschilo che ritorna in altre forme in altri autori, antichi e moderni.
Goccia invece del sonno[12] davanti al cuore la pena che ricorda il male (stavzei d’ ajnq j u[pnou pro; kardiva~ - mnhsiphvmwn povno~, Agamennone, 179 - 180) e anche a chi non vuole giunge l’essere saggio.
Arriva con violenza la grazia degli dèi (182). Sono tutte espressioni della Parodo.
“La forma drammatica classica si regge su un principio: che la sofferenza inevitabilmente connessa all’esistere (anzi: al voler essere la via destinataci) conduca finalmente al mathos, a un ‘chiaro’ sapere”[13].
Un caso di lieto fine in seguito a resipiscenza possiamo trovare nell'Alcesti di Euripide. Admeto, sentendo il peso della solitudine dopo avere chiesto alla giovane moglie il sacrificio della sua vita per salvare la propria, soffre la desolazione nella quale è rimasto e dice:"lupro;n diavxw bivoton: a[rti manqavnw”, condurrò una vita penosa: ora comprendo (v.940). In seguito, come si sa, gli verrà restituita la compagna dalla possa di Eracle.
C. Del Grande in Tragw/diva afferma che pure la commedia nuova, e particolarmente quella di Menandro mantiene un carattere paradigmatico fornendo esempi di mavqo" tragico. E' il caso di Carisio negli jEpitrevponte" (L’arbitrato): il marito che aveva ripudiato la moglie per un presunto errore sessuale di lei, un fallo che, senza conoscersi prima né riconoscersi poi, avevano commesso insieme da ubriachi, quando si accorge dell'amore della sposa, ironizza sulla propria innocenza di uomo attento alla reputazione:" ejgwv ti" ajnamavrthto", eij" dovxan blevpwn "(v. 588), io uno senza peccato, e comprende che deve perdonare quello che è stato solo un "ajkouvsion gunaiko;" ajtuvchma", un infortunio involontario della donna (v.594).
E', secondo Del Grande, un "vero momento di mavqo" tragico"[14].
Viene in mente l’episodio dell’adultera perdonata da Cristo nel Vangelo di Giovanni:"chi di voi è senza peccato scagli la pietra per primo contro di lei, oJ ajnamavrthto" uJmw'n prw'to" ejp j aujth;n balevtw livqon, qui sine peccato est vestrum, primus in illam lapidem mittat (N. T. 8, 7). Questa non è una posizione realistica, commenta Del Grande, poiché i mariti borghesi non erano, né sono, come Carisio; Menandro dunque, messi da parte gli eroi del mito, ne crea altri più umani i quali comunque arrivano alla comprensione attraverso la sofferenza, come suggerisce l'Agamennone (v. 177) di Eschilo.
Capitolo 18
Resa senza condizioni degli uomini alle donne.
Il pritano chiede all’araldo spartano che i Laconi mandino aujtokravtora" prevsbei", ambasciatori con pieni poteri per la pace.
Il corifeo dice che non c’è belva più insuperabile della donna, neppure il fuoco, e nessuna pantera così svergognata - oujde; pu'r, oujd j w|d j ajnaidhv" oujdemiva pavrdali" - (1015).
La corifea domanda al corifeo perché le muova guerra, visto che capisce la forza di lei e che potrebbe farsela amica.
Il vecchio risponde: “wJ" ejgw; misw'n gunai'ka" oujdevpote pauvsomai ” 1018), perché non cesserò mai di odiare le donne.
E’ una risposta alla maniera del personaggio Ippolito di Euripide: “misw'n d j ou[pot j ejmplhsqhvsomai - gunai'ka" ”( Ippolito, 664 - 665), non sarò mai sazio di odiare le donne.
La corifea a questo punto gli fa un piacere infilandogli addosso una tunica e togliendogli un moscerino dall’occhio.
Il vecchio ne trae beneficio: la zanzara ejmpiv" ejfrewruvcei [15] - mi trivellava l’occhio come un pozzo. (1033). La vecchia lo bacia anche, e lui dice che le donne sono qwpikai; fuvsei, adulatorie per natura - qwpeuvw - 1037
Una risposta laica ai fanatici fautori e oppositori del vaccini
Nella Lisistrata di Aristofane un vecchio che litiga con una vecchia non senza qualche accenno di corteggiamento reciproco, le dice “né con le pesti né senza le pesti” (1039).
Mi sembra che questa posizione potrebbe essere una risposta da dare tanto ai fanatici assertori del vaccino quale sicura panacea, quanto ai polemici negatori della pseudocura che farebbe perfino ammalare.
Io non credo che questo contravveleno immunizzi del tutto a lungo, quindi seguito a guardarmi dal virus con mascherina e distanziamento. Al cinema sto in prima fila non solo perché sono un cinefilo ma anche per schivare possibili contatti e contagi comunque assai pericolosi. Magari il rischio è attenuato ma non credo sia escluso.
Comunque mi sono vaccinato già due volte e probabilmente mi sottoporrò alla terza iniezione. Non so se questo antidoto faccia bene, né credo che faccia male. So però che mi consente di andare al cinema, cosa che amo assai. Ieri ho visto Madres Paralelas al Lumiere. Il ritorno in bicicletta è stato tutto battuto dalla pioggia 5 km con un bagno completo che non mi ha danneggiato punto.
I pro vaccino diranno che sono vivo per il fatto che sono bivaccinato, i controvaccino che presto starò male per lo stesso motivo. Io sono laico, in questo, e so bene che, vaccino o no, un giorno sono nato e un giorno morirò. Certo, il più tardi possibile.
Intanto, come il Totò Merùmeni di Gozzano, alias Heauton Timorumenos, sorrido e meglio aspetto.
Comunque il vechio corifeo vuole fare la pace ricordando il detto “né con le pesti né senza le pesti” (Lisistrata, 1039). Insomma, le donne sono un male necessario.
Quindi i due cori uniti intonano un canto di conciliazione.
I coreuti vecchie e vecchi proclamano la loro assenza di intenzioni cattive, al contrario vogliono fare solo cose buone: infatti bastano i mali che già ci sono - ijkana; ga;r kai; ta; parakeivmena - 1048.
Questa considerazione dovrebbe tenerci lontani dai conflitti reciproci sempre e comunque.
I coreuti sono pronti ad aiutare chi è senza denaro. E, se apparirà la pace, chi ha avuto il soccorso di due o tre mine, non dovrà restituirle.
Hanno invitato a pranzo ospiti di Caristo, nell’Eubea che avevano fama di essere gente lasciva. La pace si associa sempre al godimento. C’è da mangiare della polenta un porcello - delfikovn (1061) sacrificato, e altra roba buona e bella si può gustare per giunta.
La festa è sempre associata al mangiare. Sono invitati gli spettatori naturalmente purché vengano lavati.
Ricorderete che nelle Nuvole Socrate e i socratici sono accusati di scarsa pulizia anche corporea, quale correlativo somatico, oggettivo, della sporcizia mentale.
Ripuliti, gli invitati potranno entrare. Ma l’ultimo verso è un ajprosdovkhton, una contraddizione inaspettata: quindi la porta sarà già stata chiusa - hJ quvra kekleivsetai 1071. Una battuta poco chiara. Forse intende dopo che gli spiti saranno entrati.
Arrivano gli ambasciatori plenipotenziari spartani con barba e una gabbia per maialini intorno alle cosce onde nascondere l’erezione.
Lo spartano indica la loro situazione fallica e il corifeo ateniese dice che quel coso sembra essere infiammato di brutto e anche peggio - deinw'" teqermw'sqaiv te cei'ron faivnetai - (1079).
Il Lacone chiese la pace a qualsiasi patto.
Sopraggiungono gli autoctoni ateniesi con la tunica scostata dal ventre, come lottatori: “questa è una malattia da atleti” commenta il corifeo.
Forse quando si esercitavano per le gare dovevano astenersi dal sesso.
Il corifeo ne nota l’erezione e il presidente dice che non ne possono più della castità: se le donne procederanno con lo sciopero Kleisqevnh binhvsomen (1092), fotteremo Clistene.
E’ l’omosessuale infamato già nei Cavalieri (1374) e nelle Nuvole (365).
Oltretutto c’è il pericolo degli ermocopidi che hanno la mania di tagliare. Un pericolo di castrazione dunque. Allude alla mutilazione delle erme di cui venne accusato Alcibiade alla vigilia della spedizione in Sicilia (415).
Sicché si rimettono a posto la tunica.
Spartani e Ateniesi dunque si trovano d’accordo sulla necessità di fare la pace.
Sicché le femmine hanno vinto la guerra e ricevono una resa senza condizioni.
Bisogna convocare Lisistrata. Questa esce dall’Acropoli ed entra in scena.
La donna viene salutata dal corifeo come ajndreiotavth, la più virile: ora bisogna che sia terribile - deinhvn - e mite, buona e cattiva - ajgaqh;n fauvlhn - superba e amabile semnh;n ajganhvn, poluvpeiron, avvalendosi della tanta esperienza (1109.)
Eccoci qua conclude il corifeo, noi oiJ prw`toi tw`n JEllhvnwn 1110, primi tra gli Elleni, vinti dal tuo fascino affidiamo a te la soluzione delle nostre contese.
I primi si adattano ad esserlo a pari merito dividendo in due il primato.
E’ il contrario dell’arcanum imperii che Tacito svelerà: alla morte di Augusto, Tiberio fece assassinare subito Agrippa Postumo, nipote del primo imperatore. “Primus facinus novi principatus fuit Postumi Agrippae caedes (Annales, I, 6). Quindi ammonì la madre che non venissero rivelati gli arcana domus: “ eam condicionem esse imperandi ut non aliter ratio constet quam si uni reddatur”
"eam condicionem esse imperandi ut non aliter ratio constet quam si uni reddatur " (Annales, I, 6), questa è la condizione del comandare che i conti tornano bene soltanto se si rendono a uno solo.
I segreti del palazzo del potere.
Alla morte di Augusto, nel 14 d. C., Tiberio fece assassinare subito Agrippa Postumo, nipote del primo imperatore. “Primus facinus novi principatus fuit Postumi Agrippae caedes (Tacito Annales, I, 6). Quindi ammonì la madre che non venissero rivelati gli arcana domus: “ eam condicionem esse imperandi ut non aliter ratio constet quam si uni reddatur”.
Altro imperii arcanum: “posse principem alibi quam Romae fieri ” (Tacito Historiae, I, 4). Questo si svelò alla morte di Nerone.
Teodoro di Gadara il maestro di Tiberio (maestro anche dell’Anonimo autore Peri; u{you~) definiva questo futuro imperatore come phlo;n ai{mati pefurmevnon, fango impastato con sangue (Svetonio Vita di Tiberio, 57).
Ci chiediamo quali siano gli arcana attuali.
E’ difficile individuarli e ancora più arduo svelarli, farli uscire dalla latenza.
C’è chi mette l’itinerario e l’uso del covid tra i segreti. O i progetti di Draghi e su Draghi.
Oggi la Nunziata si occupava financo di quelli di Renzi.
Non si parla e non si scrive di altri problemi.
Il segreto che a me sta a cuore è se la scuola riprenderà la funzione di istruire il popolo e se mai arriverà anche a educarlo esteticamente ed eticamente.
Poi se il lavoro e i lavoratori “semplici cittadini”, come orrendamente si dice, torneranno ad avere la dignità che spetta a chi collabora al funzionamento delle città.
Nel mio piccolo continuo a tenere conferenze e a scrivere cercando di fornire chi mi ascolta e mi legge di informazione letteraria e storica documentata, quindi tentando di dotare di buon gusto, spirito critico e il coraggio della parresia tutti quelli che mi seguono nei miei studi e nelle mie ricerche.
Sono contento e fiero del fatto che non sono pochi. Li ringrazio.
Capitolo 19
Lisistrata è la maestra della Pace
Lisistrata dà lezione di buone maniere e di conciliazione a uomini e donne, a Spartani e Ateniesi. E’ la magistra pacis come Diotima nel Simposio platonico è la professoressa dell’amore
Lisistrata sostiene che non è difficile risolvere le contese se una ha a che fare con gente matura che non cerca il cimento degli uni contro gli altri.
Tavca d j ei[somai. Lo saprò presto.
domanda dove sia
Lisistrata biasima la cattiva educazione e la condanna come disdicevole e improduttiva. Il maleducato aggressivo è spesso un ignorante e un frustrato, ed è quasi sempre un debole.
Del resto bisogna agire con decisione. E se qualcuno non ti dà la mano, prendilo per il bischero (th'" savqh" a[ge 1119 cfr. saivnw scodinzolo).
Poi la Pace dovrà portare lì anche gli Ateniesi
Quindi cita un verso di Melanippe la saggia di Euripide (fr. 487)
ejgw; gunh; mevn eijmi, nou'" d j e[nestiv moi (1124), sono una donna ma ho senno!
Queste citazioni dei tragici soprattutto di Euripide, rende l’idea di quanto dovevano essere popolari ossia noti al popolo le tragedie rappresentate.
Quindi Lisistrata rimprovera i maschi che vanno a purificare con l’acqua gli altari a Olimpia, alle Termopili, a Delfi, e in altri luoghi che sarebbe lungo elencare, e mentre incombono i nemici barbari con gli eserciti, voi - li apostrofa - fate morire uomini e città della Grecia [Ellhna" a[ndra" kai; povlei" ajpovllute (1135).
I veri nemici vuole dire Aristofane sono i Persiani, anticipando l' Ifigenia in Aulide di Euripide di un lustro e Isocrate di vari decenni.
Il Pritano ribatte sono io che muoio, così arrapato (scappellato) - ejgw; d j ajpovllumai ajpeywlhmevno" ajpoywlevw - ywlhv, hJ - è il glande tirato indietro.
Lisistrata ricorda agli Spartani che Cimone portò 4000 opliti ateniesi in loro aiuto contro i Messeni e o{lhn e[swse th;n Lakedaivmona (1144), salvò l’intera Sparta (cfr. Plutarco Vita di Cimone, 16; Tucidide I, 102).
In quel tempo Messene incombeva sopra i voi e anche il dio con le scosse - hj de; Messhvnh tovte - ujmi`n ejpevkeito cwj qeo;" seivwn a{ma - 1141 - 1142
Era il 462 durante
Gli Spartani temettero collusioni tra gli insorti e gli Ateniesi, sicché il contingente di Cimone venne bruscamente rimandato a casa. Atene allora si alleò con Argo, con i Tessali in senso antispartano e con Megara in funzione anticorinzia. Cimone venne ostracizzato nel 461. L’ostracismo serviva già a regolare i conti tra i partiti.
Lisistrata dunque rinfaccia questo aiuto e l’ingratitudine degli Spartani che hanno devastato l’Attica più volte.
Il Pritano le dà ragione. Lo Spartano ammette il loro torto e ammira il culo della Pace, indicibilmente bello: “ ajdikivome": ajll j oj prwktov" a[faton wJ" kalov" (1148)
Lisistrata poi, per par condicio, rimprovera gli Ateniesi ingrati verso gli Spartani che cacciarono Ippia nel 511 e liberarono la povli" dalla tirannide.
Quindi lo Spartano elogia Lisistrata come la donna più buona e il Pritano dice di non avere mai visto kuvsqon kallivona 1158 una fica più bella (cfr. cunnus).
Ora euripidaristofaneggio
Tale richiesta di pace si trova anche nelle Fenicie di Euripide rappresentate nello stesso periodo di tempo (tra il 411 e il 409).
Giocasta strappa a Eteocle l’aura eschilea del re preoccupato del bene comune. La madre contrappone all’ambizione del figlio l’ jisovthς, l’uguaglianza, una norma del cosmo come si vede nella distribuzione di ore di luce e di buio, uguali nel corso dell’anno. La brama del più è invece il principio della discordia. Contro le trame oligarchiche.
Tucidide ricorda che nello stesso governo dei Quattrocento prevalevano invidie e rancori poiché nessuno voleva l’uguaglianza ma ciascuno pretendeva di essere il primo. Tali sforzi portarono alla rovina di una oligarchia nata da una democrazia (VIII, 89, 3).
Giocasta dunque professa un atto di fede nella democrazia e nell’uguaglianza e nella pace.
Il più ha soltanto un nome: tiv d’ ejsti; to; plevon; o[nomj e[cei movnon ( 553), poiché ai saggi basta il necessario (ejpei; tav g j ajrkounq j iJkana; toi'ς ge swvfrwsin 554), le ricchezze non sono proprietà privata dei mortali (ou[toi ta; crhvmat j i[dia kevkthntai brotoiv 555), noi siamo curatori di cose che gli dèi possiedono (ta; tw'n qew'n d j e[conteς ejpimelouvmeqa, 556) e quando essi vogliono ce le ritolgono o{tan de; crhv/zw's j, au[t j ajfairou'ntai pavlin (557).
A Polinice Giocasta fa notare che i favori di Adrasto sono ajmaqei'ς cavriteς (569) favori disumani e tu sei venuto qua porqhvswn povlin a distruggere la città ajsuvneta, dissennatamente (Cfr. le Troiane).
Euripide attraverso Giocasta si rivolge ai politici ateniesi di quegli anni: mevqeton to; livan, mevqeton ( imp. aor m. duale di meqivhmi. 584), abbandonate l’eccesso, abbandonatelo. E’ un monito alla parte oligarchica e a quella democratica.
Capitolo 20
La donna assimilata alla terra
Lisistrata domanda allo Spartano perché combattete - tiv mavcesqe - (1160) dopo il bene ricevuto dagli Ateniesi.
Lo Spartano risponde che loro vogliono la restituzione del tondo tw[gkuklon dorismo per tou[gkuklon, to; e[gkuklon, un mantello a ruota per donne. Lisistrata chiede cos’è, e lo Spartano risponde la Pilo ta;n Puvlon porta che da tanto sentiamo il bisogno di tastare. Naturalmente allude tanto a Sfacteria quanto agli organi sessuali.
Il Pritano dice che Pilo il luogo del Peloponneso occupato dagli Ateniesi non è cedibile.
Lo Spartano propone un cambio.
Il Pritano allora chiede per gli Ateniesi jEcinou'nta in Tessaglia di fronte all'Eubea. Era stata occupata dagli Spartani. Ma c'è un doppio senso senso dato da ejci'no", riccio e pube di donna, poi richiede il Mhlia' kovlpon il “seno” Maliaco (a ovest della parte nord dell’Eubea) e ta; Megarika; skevlh le gambe di Megara, le mura che la univano al porto. Seno e gambe ovviamente alludono a quelli delle donne.
L’astinenza sessuale rende maniaci.
I due maschi vogliono lavorare il campo che indica il corpo femminile anche in altri testi.
Commento i versi della Lisistrata con la metafora che identifica la donna con la terra.
il Pritano ateniese dice: “ senz’altro io mi spoglio e da nudo voglio seminare" - h[dh gewrgei'n gumno;" ajpodu;" bouvlomai
Lo Spartano vuole collaborare alla fertilizzazione concimando il campo (1174)
Excursus
L'assimilazione della donna alla terra
Nell’Antigone di Sofocle, Emone chiede a Creonte, suo padre: "Ma ammazzerai la fidanzata del tuo stesso figlio?" (568).
E Creonte risponde:"Sì: ci sono campi da arare[16] anche di altre" (569)
Mircea Eliade nel suo Trattato di storia delle religioni scrive:"L'assimilazione fra donna e solco arato, atto generatore e lavoro agricolo, è intuizione arcaica e molto diffusa"(p. 265).
A sostegno di questa affermazione cita diversi testi, tra i quali l'Edipo re di Sofocle ( "pw'" poq j aiJ patrw'/aiv s j a[loke" fevrein, tavla", si'g j ejdunavqhsan ej" tosonde; ", vv. 1211 - 1213, come mai i solchi paterni - ossia già seminati dal padre - poterono, infelice, sopportarti fino a tanto in silenzio?; quindi le Trachinie (vv.30 e sgg.) dove Deianira lamenta l'assenteismo coniugale di Eracle il quale, come eroe, è impegnatissimo, ma come marito si comporta alla pari di un colono che, avendo preso un campo lontano, va a vederlo solo quando semina e miete, ossia un paio di volte all'anno.
Per quanto riguarda l'identificazione più precisa della donna con il solco, Eliade cita il Codice di Manu (IX,33) dove sta scritto:"La donna può essere considerata come un campo; il maschio come il seme", e un proverbio finlandese che fa:"Le ragazze hanno il campo nel loro corpo".
A queste testimonianze possono essere aggiunte altre, antiche e moderne, per mostrare quanto tale idea sia davvero diffusa nella mente umana, soprattutto in quella maschile.
Nel II stasimo dei Sette a Tebe di Eschilo (vv.751 e sgg.) il Coro di vergini tebane, riferendosi a Laio, dice che egli generò il destino per sé, Edipo parricida, il quale a sua volta osò seminare il sacro solco della madre dove nacque (matro;" aJgna;n - speivra" a[rouran, i{n j ejtravfh, 753 - 754), e la pazzia univa gli sposi dementi (paravnoia suna'ge - numfivou" frenwvlei", 756 - 757)
Euripide nelle Fenicie ricorda, attraverso Giocasta, il responso di Febo che prescrisse a Laio:"mh; spei're tevknwn a[loka daimovnwn biva/ " (v. 18), non seminare il solco dei figli a dispetto degli dèi.
L’Oreste euripideo per attenuare la colpa del matricidio dice al nonno materno che il padre lo generò, mentre la madre non ha fatto che partorirlo: ella è stata solo il campo arato che ha preso il seme da un altro:"to; sperm j a[roura paralabous j a[llou pavra" (Oreste, v. 553).
La stessa ragione addotta da Apollo nelle Eumenidi di Eschilo (vv. 658 e sgg.) per minimizzare il delitto del matricida.
Shakespeare paragona la giovanissima Marina, vergine e onesta, a della terra non dissodata. Parlano una mezzana e un ruffiano che vorrebbero trarre profitto dalla prostituzione della ragazza: “Crack the glass of her verginity, and make the rest malleable”, rompi il vetro della sua verginità e rendi il resto malleabile dice il ruffiano.
E la mezzana risponde: “ An if she were a thornier piece of ground than she is, she shall be ploughed ” (Pericle, principe di Tiro, IV, 4), anche se fosse un pezzo di terra più spinoso di quello che è, verrà arata.
Tra gli autori latini Lucrezio, forse sotto la scorta di Euripide[17] interpreta la "deum mater " (II,659), come la divinizzazione della terra[18].
Questa parentela stretta tra la femmina umana (o divina) e la terra, è messa in rilievo anche da non pochi autori moderni. Kierkegaard nel Diario del seduttore indica e sottolinea la vicinanza della ragazza alla natura:"Perfino quel che in lei c'è di spirituale ha alcunché di vegetativo"(p.138).
Su questa linea si trova anche J. J. Bachofen, l'autore di Das Mutterrecht [19], che vede nel diritto materno quello fisico, e nel paterno il metafisico, in quanto "la donna è la terra stessa. La donna è il principio materiale, l'uomo è il principio spirituale... Platone nel Menesseno (238a) dice - non è la terra a imitare la donna, ma la donna a imitare la terra". Del resto non bisogna dimenticare che, se nel Menesseno Platone scrive (precisamente): "ouj ga;r gh' gunai'ka memivmhtai kuhvsei kai; gennhvsei (nella gravidanza e nel parto), ajlla; gunh; gh'n, nel Menone, 81d, il filosofo ateniese afferma che tutta la natura è imparentata con se stessa (th'" fuvsew" aJpavsh" suggenou'" ou[sh"), e, dunque, anche l'uomo è stretto parente della grande madre.
“At the Thesmophoria they tried to persuade the Earth to imitate them” [20], alle Tesmoforie le donne cercavano di persuadere
Questa teoria, espressa con una certa benevolenza verso le femmine umane dal filosofo danese e in maniera ambivalente, non priva di contraddizioni da Bachofen, assume aspetto malevolo, decisamente antifemminista in Otto Weininger, l'autore di Sesso e carattere, morto, forse non a caso, suicida nel
Si può continuare la rassegna, certo parziale e limitata, con un altro autore austriaco, uno dei massimi romanzieri del Novecento.
Concludo citando D'Annunzio: in Il piacere Andrea Sperelli dichiara che "fra i mesi neutri" aprile e settembre preferisce il secondo in quanto "più feminino... E la terra? - aggiunge - Non so perché, guardando un paese, di questo tempo, penso sempre a una una bella donna che abbia partorito e che si riposi in un letto bianco, sorridendo d'un sorriso attonito, pallido, inestinguibile. E' un'impressione giusta! C'è qualche cosa dello stupore e della beatitudine puerperale in una campagna di settembre!"(p. 169).
Infine nel romanzo Il fuoco l'amante non più giovane viene assimilata, tra l'altro, a "un campo che è stato mietuto"(p. 306).
Fine dell’excursus
Lisistrata chiede un accordo tra i maschi che sono un guerra da due decenni
Il Pritano dice senza metafore ejstuvkamen (1178), ce l’abbiamo ritto, e aggiunge che sono d’accordo anche gli alleati: tutti vogliono fottere binei'n (1180).
Lo Spartano conferma tale volontà anche nei Peloponnesiaci
Lisistrata ordina ai maschi di purificarsi –ajgneuvsete - 1182.
Dopo potranno entrare nell’Acropoli occupata dalle donne. Saranno ospitati e le donne offriranno quanto hanno nelle ceste ejn tai`si kivstai" (1184). Sempre con il doppio senso. Poi ognuno riprenderà la sua donna e se ne andrà.
Il pritano ateniese e il messo spartano si affrettano a obbedire
Capitolo 21
Un’indicazione metodologica: il maestro può insegnare bene solo ciò che gli piace
Il coro di donne caritatevoli offre aiuto ai poveri.
Potranno prendere vestiti e oggetti d’oro e tutto quanto vogliono.
Devono però avere la vista acuta per vedere quando guardano.
Pobabilmente allude a tesori dell’anima generosa.
Chi non ha da mangiare, potrà andare a prendere la farina e una bella forma di pane
Dunque, chi vuole tra i poveri venga da me con sacco e bisaccia e prenderà del grano
lhvyetai purouv" (1210)
Segue però come altre volte una contraddizione: avverte di non avvicinarsi alla porta e di stare attenti alla cagna - eujlabei`sqai th;n kuvna - 1215. Per me sono parole di colore oscuro. forse significano che bisogna annunciarsi e chiedere il permmesso.
Forse significano che molte offerte generose possono essere anche pericolose da accettare.
Il Pritano bussa alla porta dell’acropoli che non si apre e minaccia di dare fuoco. Avvicina la torcia e le donne fuggono. Anche i vecchi vengono allontanati. Un Ateniese elogia il banchetto preparato
Il Pritano raccomanda le sbronze che rendono gli uomini meno sospettosi.
Rientrano i due cori quello di vecchi ateniesi e spartani con un flautista e quello delle donne guidate da Lisistrata.
Il Pritano e il Lacone chiedono al flautista di suonare per dare inizio alle danze (1242 - 1246).
Ho tirato via questa parte perché mi pare poco chiara e significativa, o dai significati reconditi.
Con questa nota intendo dare un’altra indicazione metodologica: credo che le opere o le parti di un’opera che non mi interessano, tanto meno potranno interessare i miei allievi.
Voglio autorizzare questa mia attitudine con parole di autori vari.
Sentiamo J. L. Borges: "Nel mio testamento, che non ho intenzione di scrivere, consiglierei di leggere molto, ma senza lasciarsi condizionare dalla reputazione degli autori. L'unico modo di leggere è inseguendo una felicità personale. Se un libro vi annoia, fosse pure il Don Chisciotte, accantonatelo: non è stato scritto per voi (…) Non ho insegnato agli studenti la letteratura inglese, che ignoro, ma l'amore per certi autori. O meglio per certe pagine. O meglio, di certe frasi. Ci si innamora di una frase, poi di una pagina, poi di un autore"[21].
Un consiglio del genere dà pure Tolstoj: "Se vuoi insegnare qualcosa allo scolaro, ama la tua materia e conoscila, e gli scolari ameranno te e la tua materia e tu potrai educarli; ma se tu sei il primo a non amarla, per quanto li obblighi a studiare, la scienza non eserciterà nessuna azione educativa". Gli studenti, aggiunge il maestro russo, sono i migliori giudici dell'educatore, l'unico test per valutarlo: "E anche qui la salvezza è una sola: la libertà degli scolari di ascoltare o non ascoltare il maestro, di recepire o non recepire la sua azione educativa, cioè essi soli possono decidere se il maestro conosce e ama la sua materia"[22].
“Non si può fare leggere dei testi solo per obbedire a una costrizione e cioè perché sono imposti da un programma o da un canone; l’insegnante deve invece mostrare, agendo all’interno della comunità ermeneutica della classe, che tali testi sono letti perché hanno un significato e un valore per noi…Né si può escludere a priori che un insegnante e la sua classe arrivino a conclusioni opposte rispetto ai presupposti iniziali, e cioè alla presa d’atto che un determinato testo o autore non abbia oggi un particolare valore e un significato e che sia perciò giusto leggere altre opere o altri autori”[23].
“Una cosa ti piace? Bene, la condividi. Io direi che esattamente questo è insegnare, niente di più: il piacere immenso della condivisione”[24].
Credo pure che non sia necessario, e nemmeno opportuno, che ciascuno studi tutte le discipline: ognuno deve dedicarsi presto a quelle per le quali è portato.
Ciascuno dia retta al proprio "demone".
Vengono fatte pressioni su ragazze e ragazzi perché studino i numeri piuttosto che le lettere.
Ci piacciono le discipline dove riusciamo bene. Facciamo bene a impegnarci in queste. Vittorio Alfieri e Dino Campana.
Vittorio Alfieri non era incline alla geometria: “Di quella geometria, di cui io feci il corso intero, cioè spiegati i primi sei libri di Euclide, io non ho neppur mai intesa la quarta proposizione; come neppure la intendo adesso; avendo io sempre avuta la testa assolutamente anti - geometrica” ( Vita, 2, 4).
Resta da capire perché il poeta Dino Campana si iscrisse a Chimica. Piacerebbe pensare che, come il romantico Piercy Shelley, ne sentisse il fascino nascosto. invece fu per sbaglio. Lo confessò lui stesso: “Io studiavo chimica per errore e non ci capivo nulla. Non la capivo affatto. La presi per errore, per consiglio di un mio parente. Io dovevo studiare lettere. Se studiavo lettere potevo vivere… Le lettere erano una cosa più equilibrata… La chimica non la capivo assolutamente, quindi mi abbandonai al nulla”.
Capitolo 22
Esodo 1247 - 1320. Il lieto fine: tornano
Lo Spartano ricorda le benemerenze storiche degli Ateniesi e pure quelle degli Spartani nei confronti della Grecia, in particolare la seconda guerra persiana con l’Artemisio, il promontorio nel punto più a Nord (est) dell’Eubea, dove gli Ateniesi simili a verri - sueivkeloi - saltarono sulle navi e vinsero i Medi, mentre Leonida alle Termopili guidava noi Spartani come cinghiali che aguzzano le zanne - a|per tw;" kavprw" savgonta" (1255).
I guerrieri schiumavano e sudavano e i Persiani non erano meno dei granelli di sabbia oujk ejlavssw" ta'" yavmma" (1261).
Leggiamo il frammento di Simonide con l'encomio di Leonida e dei suoi opliti morti per ritardare l'avanzata di Serse (fr.5 D.):
"dei morti alle Termopili
gloriosa è la sorte, bello il destino,
un altare è il sepolcro (bwmo;~ d j o tavfo~), e invece dei lamenti c'è il ricordo, e il compianto un encomio (oi\kto~ e[paino~)/
Un sudario del genere né ruggine
né il tempo che tutto doma (oJ pandamavtwr crovno~[25]) oscurerà.
Questo recinto sacro di uomini prodi si prese
come custode la gloria dell'Ellade: lo testimonia anche Leonida
re di Sparta che ha lasciato un grande ornamento
di valore, e fama perenne.
Viene invocata Artemide, silvestre cacciatrice. E finiamola con le volpi astute! 1269 - 1270
La falsità delle consumate volpi del potere
Forse c’è un riferimento a quanto disse Lisandro il quale avrebbe concluso la guerra del Peloponneso sconfiggendo gli Ateniesi: egli se la rideva di quanti stimavano che i discendenti di Eracle dovessero sdegnare di vincere con il tradimento e raccomandava sempre:" o{pou ga;r hJ leonth' mh; ejfiknei'tai prosraptevon ejkei' th;n ajlwpekhvn" dove di fatto non giunge la pelle del leone, bisogna cucirle sopra quella della volpe" (Plutarco, Vita di Lisandro, 7, 6).
Cfr. la golpe e il lione di Machiavelli.
Nel XVIII capitolo di Il Principe, Machiavelli ricorda "come Achille e molti altri di quelli principi antichi furono dati a nutrire a Chirone centauro, che sotto la sua disciplina li costudissi". E ne deduce:"Il che non vuol dire altro, avere per precettore uno mezzo bestia et uno mezzo uomo, se non che bisogna a uno principe sapere usare l'una e l'altra natura; e l'una sanza l'altra non è durabile. Sendo dunque uno principe necessitato sapere usare la bestia, debbe di quelle pigliare la golpe et il lione; perché il lione non si difende da' lacci, la golpe non si difende da' lupi. Bisogna adunque essere golpe a conoscere e' lacci, e lione a sbigottire e' lupi. Coloro che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendano. Non può, per tanto, uno signore prudente né debbe osservare la fede, quando tale osservanzia li torni contro e che sono spente le cagioni che la feciono promettere".
Riccardo III di Shakespeare è “ il principe che ha letto Il Principe. La politica è per lui pura pratica, un’arte il cui fine è governare. Un’arte amorale come quella di costruire i ponti o come una lezione di scherma. Le passioni umane sono argilla, e anche gli uomini sono un’argilla di cui si può fare quel che si vuole.”[26].
Riccardo viene aizzato dai suoi alleati a vendicarsi dei suoi nemici: “ But then I sigh, and, with a piece of Scripture, - Tell them that God bids us do good for evil: - And thus I clothe my naked villainy - With odd old ends stol’n forth of Holy Writ - And seem a saint, when most I play the devil” (I, 3), ma allora io sospiro, e, con un brano della Scrittura, dico loro che Dio ci ordina di rendere bene per male: e così rivesto la mia nuda scelleratezza con occasionali vecchi scampoli della Sacra Scrittura, e sembro un santo quando più faccio il diavolo.
Il pritano ateniese dice che tutto è andato bene pepoivhtai kalw`" (1272), sicché Spartani e Ateniesi possono tornare a casa con le mogli. Poi si danzerà in onore degli dèi e, suggerisce, nell'avvenire guardiamoci dallo sbagliare ancora - eujlabwvmeqa - to; loipovn au\qi" mh; jxamartei`n e[ti - (1277 - 1278).
La resipiscenza fa cessare il dolore purché non si torni all'errore finalmente compreso. Come nelle tragedie (cfr. soprattutto Agamennone di Eschilo e Alcesti di Euripide)
Il coro degli Ateniesi invoca le Cavrita", Artemide, Apollo il gemello guidatore di danze divdumon ajgevcoron, benigno guaritore eu[fron j jIhvion[27], poi Dioniso, il dio di Nisa, il dio che tra le Menadi negli occhi sfavilla, e Zeus fulgente di fuoco e la sua veneranda consorte Era, e Afrodite che ci ha dato questa pace serena. Dunque ai[resq j a[nw, balzate in alto, wJ" ejpi; nivkh/ come per la vittoria, eujoi' ripetuto 4 volte.
L'evoè quasi sempre sancisce e festeggia la gioia, mentre l'amen spesso accetta il dolore
Il pritano chiede allo Spartano di concludere intonando mou'san e[ti nevan, un canto ancora nuovo.
La poetica del canto nuovo
Cfr. quanto dice Telemaco a Femio nel I canto dell’Odissea: il cantore deve dilettare ("tevrpein", v. 347), e gli uomini apprezzano maggiormente il canto ajoidhvn - che suoni più nuovo newtavth a chi ascolta (vv. 351 - 352).
L'epos degli aedi dunque, come abbiamo visto per la storiografia tucididèa, preferisce occuparsi di fatti recenti:" Con la loro funzione sacra, i poemi perdono anche il loro carattere lirico; diventano epici, e in questa forma sono la più antica poesia profana, sciolta dal culto, di cui si abbia notizia in Europa. In origine dovettero essere qualcosa come resoconti di guerra, cronache di eventi bellici; e forse da principio si limitavano alle "ultime notizie" sulle fortunate imprese militari e sulle spedizioni piratesche sulla stirpe. "Al canto più nuovo, la lode più alta", dice Omero (Od. I, 351 - 352), e Demodoco e Femio cantano dei fatti più recenti"[28].
“Ciò che è importante per l’aedo è stare al passo con i tempi, il che equivale a conoscere il canto più recente”[29].
La poetica del canto nuovo sarà ripresa da Pindaro che vuole togliere ai canti tradizionali il biasimo verso gli dèi:" ejpei; to; ge loidorh'sai qeouv" - ejcqra; sofiva"[30], poiché diffamare gli dèi è sapienza che odia, e dunque:"ai[nei de; palaio;n me;n oi\non, a[nqea d j u{mnwn - newtevrwn"[31], loda il vino vecchio, ma fiori di canti nuovi.
Lo Spartano dunque canta chiudendo la commedia,
Invoca la musa spartana che lasci l’amabile Taigeto e celebri Apollo il dio di Amicle, e Atena la dea Calkivoiko" dalla dimora di bronzo, e i Tindaridi che giocano (yiavdonti=yiavzousi) presso l’Eurota.
Noi celebriamo Sparta cui sono care le danze kai; podw'n ktuvpo" e il battere dei piedi, quando, come puledre le fanciulle –a|/te pw'loi tai; kovrai - presso l’Eurota - pa;r to;n Eujrwvtan (1309) balzano (ajmpadevomti - ajnaphdavw - ) agitando celeri i piedi e si squassano le chiome tai; de; kovmai seivontai come Baccanti che folleggiano con il tirso (1313)
Guida le danze la figlia di Leda santa e bella. Elena riabilitata dalle calunnie: quelle di Euripide, per esempio, nelle Troiane di Euripide
La Parodo delle Baccanti di Euripide termina con questi versi
Bacco sollevando
la fiamma ardente
dalla torcia di pino
come fumo di incenso di Siria
si precipita, con la corsa e
con danze eccitando le erranti
e con grida spingendole,
e scagliando nell’aria la molle chioma.
e insieme con urla di evoè grida così:
“O andate Baccanti,
andate Baccanti,
con lo splendore dello Tmolo aurifluente,
cantate Dioniso
al suono dei timpani dal cupo tuono,
celebrando con urla di evoè il dio dell’evoè
tra clamori e gridi frigi
quando il sacro flauto melodioso
freme sacri ludi, che si accordano
alle erranti al monte, al monte: felice
allora, come puledra con la madre
al pascolo, muove il piede rapido, a balzi, la baccante” (145 - 167)
Lo spartano invita le donne della sua terra a cingersi le chiome con una benda e a balzare con i piedi come una cerva - a| ti" e[lafo" 1319 facendo risuonare la terra in modo che aiuti la danza, e a celebrare Atena potentissima dea bellicosa (1320)
Atena è pure la dea poliade di Atene e la sua bellicosità non potrà essere invocata contro la città che protegge, bensì, casomai, contro i Persiani rcordati pochi versi fa.
Un appello simile di concordia tra gli Elleni e di guerra santa conto i Persiani troviamo nell' Ifigenia in Aulide di Eurupide.
Ricorda l'euripidaristofaneggiare di Cratino.
[1] Stuvw, stu'lo" pilastro.
[2] Bruno Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, p. 372.
[3] Aristotele, Poetica, 1451b.
[4]Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, p. 371.
[5]G. B. Conte, introduzione a Ovidio rimedi contro l'amore, p. 43.
[6] F. Dostoevskij, Il giocatore, p. 42.
[7] M. Proust, La prigioniera, p. 183.
[8] L. Tolstoj, Anna Karenina, p. 366.
[9] Cocotte, vv. 67 - 69.
[10] Il mestiere di vivere, 30 settembre 1937.
[11] sunovmnumi -
[12] Il tiranno non dorme. Cfr., p. e. Edipo e Macbeth.
[13] M. Cacciari, Hamletica, p. 100
[14]Tragw/diva, p. 209.
[15] frewrucevw, scavo pozzi - frevar - tov, pozzo. Freatico - ojruvssw, scavo.
[16] ajrwvsimoi: dalla radice ajro - su cui si forma ajrovw=aro
[17] Cfr. Baccanti, vv.275 - 276: "Dhmhvthr qeav - gh' d'& ejstivn, o[noma d& oJpovteron bouvlh/ kavlei", la dea Demetra, è la terra, chiamala con il nome che vuoi, e le Fenicie, vv.685 - 686: "Damavtar qeav, - pavntwn a[nassa, pantwn de; Ga' trofov"", la dea Demetra, signora di tutti,
[18] Per tutto l'episodio cfr. De rerum natura, II, 600 - 660.
[19] Trad. it., antologica, Il potere femminile, pp.76 - 77)
[20] Dodds, The ancient concept of progress, p. 147.
[21] Dall'articolo di P. Odifreddi Se in cattedra sale un genio in “ Il Sole - 24 ore” del
[22] Educazione e formazione culturale (del 1862), in Quale scuola?, p. 116.
[23] R: Luperini, Insegnare la letteratura oggi, p. 98.
[24] P. Mastrocola, La scuola raccontata al mio cane, p. 50.
[25] Nella prima scena di Love’s Labour’ s lost (del 1595) Ferdinando re di Navarra definisce il tempo “cormorant devouring Time” (I, 1), il cormorano che ci divora.
In Pericle, principe di Tiro (1608) “Time ‘s the king of men;/He’s both their parent and he is their grave,/And gives them what he will, not what they crave” (II, 3), il Tempo è il re degli uomini, è insieme il loro padre e la loro tomba, e dà loro ciò che vuole, non quello che essi desiderano.
[26] Jan Kott, Shakespeare nostro contemporaneo, p. 42.
[27] Che può essere guaritore da ija'sqai, ma pure feritore da i{hmi
[28]A. Hauser, Storia sociale dell'arte, vol. I, p. 84.
[29] Powell, Omero, p. 58.
[30]Olimpica IX, 37 - 38
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