NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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venerdì 3 dicembre 2021

Aristofane, "Lisistrata". Parte 1 di 3

illustrazione di Adolfo De Carolis
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Capitolo 1

 Aristofane nacque ad Atene intorno al 445 a. C. e morì probabilmente nella sua città poco dopo il 385.
Ricaviamo dalle sue commedie le notizie sulla vita. Ne scrisse una quarantina conseguendo cinque vittorie: a noi sono arrivati undici drammi: gli Acarnesi (425), i Cavalieri (424) le Nuvole (423), le Vespe (422), la Pace (421), gli Uccelli (414), la Lisistrata (411) le Tesmoforiazùse (411), le Rane (405), le Ecclesiazùse (392), il Pluto (388).
La Commedia attica viene tradizionalmente divisa in tre tipi: la Commedia antica che va dalle origini agli inizi del IV secolo,
 la Commedia di mezzo, fino al 325 circa,
 La Commedia nuova che arriva fino alla metà del III secolo in lingua greca,
poi prosegue in latino nei drammi di Plauto e Terenzio.
 
La Poetica di Aristotele afferma che la tragedia vuole rappresentare personaggi migliori di quelli reali (beltivou") mentre commedia è imitazione di uomini peggiori di noi (ceivrou" tw'n nu'n 1448a), ossia volgari e tali che non suscitano tanto lo sdegno quanto il riso provocato dalla visione del ridicolo "Il ridicolo" infatti spiega il filosofo "è qualche cosa di sbagliato" (amavrthma, 1449a).
 L'errore a dire il vero viene menzionato anche per i personaggi tragici (amartiva, 1453a); la differenza è che nei loro confronti deve nascere pietà e terrore, mentre la commedia non produce dolore né danno.
La commedia è mivmhsi" faulotevrwn imitazione di personaggi che valgono meno per il ridicolo (to; geloi'on) che è parte del brutto.
Il ridicolo è un errore e una bruttezza indolore e non deleterio (aJmavrthmav ti kai; ai\sco" ajnwvdunon kai; ouj fqartikovn), proprio come la maschera comica è qualche cosa di brutto e stravolto ma senza dolore (1449a).
 
 E' l'assenza di pietà dunque che contraddistingue la commedia dalla tragedia.
 
Hegel nella sua Estetica sostiene che "sono propri del comico l'infinito buon umore in genere e la sconfinata certezza di essere ben al di sopra della propria contraddizione...ossia la beatitudine e l'essere a proprio agio della soggettività che, certa di se stessa, può sopportare la dissoluzione dei suoi fini e delle sue realizzazioni"(p.1591). Il comico è il soggettivo che non soffre delle sue contraddizioni. Può essere uno scopo meschino perseguito con serietà e non raggiunto senza sofferenza. Oppure individui frivoli che si pavoneggiano mentre tendono a fini seri, come le Ecclesiazuse. Nel crollo di tutti i valori rimane quello della soggettività
Questo però anche nella tragedia (Medea superest).
 
Ancora una volta il personaggio della commedia non suscita pietà. Viene fatto l'esempio delle Ecclesiazuse di Aristofane, le donne a parlamento che"vogliono deliberare e fondare una nuova costituzione" ma "conservano tutti i loro capricci e passioni di donne"(p. 1592).
 
 Invece nella commedia nuova di Menandro entrerà la compassione ed essa, esclusa dal comico, verrà inclusa nell'umorismo del noto saggio di Pirandello:"Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d'abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere...Il comico è appunto un avvertimento del contrario. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s' inganna che, parata così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l'amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario, mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l'umoristico".
 
Gli altri 2 esempi: Marmeladov di Delitto e castigo e Sant’Ambrogio di Giusti. Cfr. la terapia del rovesciamento, e mettersi nei piedi dei ragazzi di Leopardi: “gli scolari partiranno dalla scuola dell’uomo il più dotto, senz’aver nulla partecipato alla sua dottrina, eccetto il caso (raro) ch’egli abbia quella forza d’immaginazione, e quel giudizio che lo fa astrarre interamente dal suo proprio stato, per mettersi ne’ piedi de’ suoi discepoli, il che si chiama comunicativa. Ed è generalmente riconosciuto che la principal dote di un buon maestro e la più utile, non è l’eccellenza in quella dottrina, ma l’eccellenza nel saperla comunicare”[1].
 
Il sentimento del contrario è dunque una forma di compassione, in senso etimologico.
 
 Il comico nasce dalla superiorità in cui viene a trovarsi il pubblico rispetto all'attore[2]: deriva dunque dalla differenza di significato che le parole hanno nella bocca e nelle intenzioni di chi le pronuncia rispetto all'intendimento di chi le ascolta, più avanzato, siccome a maggiore conoscenza dei fatti. Il riso allora scaturisce dalla soddisfazione dello spettatore il quale si sente superiore poiché non partecipa delle sofferenze che colpiscono il personaggio.
Ma, tornando alla Poetica di Aristotele e alle origini della commedia, questa nacque da "coloro che dirigevano i canti fallici"(1449a).
 
 I Dori rivendicano l'invenzione della commedia etimologizzandola con il vocabolo dorico kwvmh (villaggio): il nome sarebbe derivato dal fatto che gli attori passavano kata; kwvma", di villaggio in villaggio.
 L'altra etimologia possibile, pur se scartata dai Dori, è quella che collega commedia con il verbo kwmavzw (faccio baldoria) e con il sostantivo kw'mo" (processione bacchica).
 
Ne risulta la possibile origine campagnola di un genere dai contenuti licenziosi e mordaci che sembra condividere qualche aspetto con i Fescennini romani: "versibus alternis opprobria rustica ", insulti rustici in versi alterni, come li definisce Orazio (Epistole II, 1,146). Cfr. Gli stornelli fiorentini.
Certo è il collegamento del dramma, sia comico sia tragico, con i riti della fertilità e con il culto di Dioniso, un dio la cui rinascita costuiva al tempo stesso una speranza di resurrezione per i suoi seguaci e un simbolo della vicenda delle messi o della vegetazione in genere connessa all'eterno alternarsi delle stagioni.
Cfr. Ammiano Marcellino sulle feste ad Antiochia per la morte di Adone quod in adulto flore sectarum est indicium frugum "(XXII, 9, 15).
 
Tre commedie contro la guerra: Acarnesi (del 425); la Pace (del 421) e Lisistrata (del 411). Acarnesi l’abbiamo già analizzata puntualmente. Ora diamo una rapida scorsa a la Pace, poi analizzeremo Lisistrata.
Aristofane negli Acarnesi (del 425) dichiara guerra alla guerra.
 Il protagonista Diceopoli, il cittadino giusto, fieramente avverso al conflitto, convince il coro che la guerra è un male e lo induce a dire: "io non accoglierò mai in casa Povlemo" (v. 977), la personificazione degli orrori bellici, visto come " un uomo ubriaco (pavroino" aJnhvr, v. 981) il quale "ha operato tutti i mali e sconvolgeva, e rovinava"(983) e, pur invitato a bere nella coppa dell'amicizia, "bruciava ancora di più con il fuoco i pali delle viti/e rovesciava a forza il nostro vino fuori dalle vigne"(986 - 987). L'ubriaco agisce anche contro se stesso bruciando le viti
 
 Il campagnolo pacifista Diceopoli si fa portavoce dei contadini, esasperati poiché la guerra del Peloponneso nella fase archidamica (431 - 421) aveva distrutto ogni anno i raccolti.
 Respinto Polemos, arriva la Pace connessa alla festa, all'amore e alla bellezza dell'arte: infatti è compagna della bella Cipride e delle Cariti amabili (v. 989). Quindi giunge l'inviato di un marito che porta doni e chiede una coppa di pace:" i[na mh; strateouit j ajlla; kinoivh mevnwn" (kinevw nel senso di “sbatto” - v. 1052), perché non vuole andare in guerra, ma rimanere in casa a fare l'amore. Diceopoli, che ha sofferto l'incomprensione dei concittadini, rilutta ad aiutare il marito ma arriva anche una messaggera con la richiesta della sposa:
" che il pene del marito rimanga a casa " o{pwς a}n oijkourh'/ to; pevoς tou' numfivou", 1060). Questa preghiera fa breccia nel cuore del cittadino giusto, il pacifista Diceopoli alter ego di Aristofane:
"perché una donna non merita di soffrire per la guerra"(Acarnesi, 1062).
 
Nella seconda commedia pacifista (Pace del 421) la Festa - Qewriva - la cui statua si trova su un lato di quella della Pace odora di frutta, conviti, di grembi di donne che corrono verso la campagna ( kovlpou gunaikw'n diatrecousw'n eij" ajgrovn, v. 536) e di tante altre cose buone.
Qui si racconta che gli dèi [3] si sono allontanati dagli uomini per non vederli sempre combattere e li hanno abbandonati a Polemo il quale ha gettato la Pace in un antro profondo (v. 223). Intanto però il pestello (aJletrivbano", v. 269) degli Ateniesi, il cuoiaio (oJ bursopwvlh", v. 270) che sconvolgeva l'Ellade, insomma Cleone, è morto. Così pure Brasida, il pestello dei Lacedemoni.
 
I pestelli della pace in Aristofane e i pestelli della sinistra nella politica italiana
 
 Aristofane nella Pace del 411 chiama Cleone il pestello (aJletrivbano", v. 269) degli Ateniesi mentre il pestello degli Spartani è Brasida (282)
Da qualche anno in Italia abbiamo diversi pestelli della sinistra.
Il più efficiente, il loro capo è Renzi.
giovanni ghiselli
 
La pace accresce le possibilità di vita secondo Trigeo che è, come Diceopoli, un contadino pacifista: essa consente di navigare, rimanere dove si è, fare l'amore, dormire, andare a vedere le feste, banchettare, giocare al cottabo, e gridare iù iù (vv. 341 - 345). Vogliono le guerre i fabbricanti di lance e i mercanti di scudi per i loro guadagni (vv. 447 - 448).
Alla fine costoro riceveranno le pernacchie, mentre i contadini potranno tornare al lavoro dei campi richiamando alla memoria l'antica vita che la Pace largiva: i panieri di frutta secca, i fichi e i mirti, il dolce mosto, le viole accanto al pozzo e le olive di cui si ha desiderio. La pace per i campagnoli significava la zuppa d'orzo verde e la salvezza (ci'dra kai; swthriva, v. 595), sicché le vigne e i teneri fichi, e quante altre piante vi sono, rideranno liete accogliendola. Segue nell'agone un'eziologia della guerra meno ridicola di quella presentata negli Acarnesi [4]: Pericle, spaventato dalle accuse intentate a Fidia, per non seguire la stessa sorte, mise a fuoco la città e provocò tanto fumo che tutti i Greci lacrimavano. La distrazione di massa si dice oggi.
Alla pace ritrovata seguono progetti e preparativi di feste a base di scorpacciate culinarie e sessuali: Teoria ha un culo da Festa quinquennale e va molto bene; la focaccia è cotta, la torta col sesamo è impastata e tutto il resto è pronto:"tou' pevou" de; dei' " (v. 870), manca solo il bischero.
 
Nella Pace di Aristofane, il contadino pacifista Trigeo cita due esametri omerici [5]: "è privo di legami sociali, di leggi, di focolare quello che/ama la guerra civile agghiacciante (polevmou e[ratai ejpidhmivou, vv. 1097 - 1098).
Ogni guerra in fondo è una guerra civile secondo i princìpi dell’umanesimo.
 
Nei conflitti interni molti valori si capovolgono: lo afferma Tucidide a proposito della stavsi" di Corcira, quando ci fu una tranvalutazione generale e le stesse parole cambiarono il loro significato originario:"Kai; th;n eijwqui'an ajxivwsin tw' ojnomavtwn ej" ta; e[rga ajnthvllaxan th'/ dikaiwvsei. Tovlma me;n ga;r ajlovgisto" ajndreiva filevtairo" ejnomivsqh" (III, 82, 4), e cambiarono arbitrariamente l'usuale valore delle parole in rapporto ai fatti. Infatti l'audacia irrazionale fu considerata coraggio devoto ai compagni di partito.
"Un'audacia "ajlovgisto"” prende il nome di coraggio, la prudenza si chiama pigrizia, la moderazione viltà, il legame di setta viene prima di quello di sangue, e il giuramento non viene prestato in nome delle leggi divine, bensì per violare le umane. Sinistro carnevale, mondo a rovescio, in cui è necessario lottare con ogni mezzo per superarsi e in cui nessuna neutralità è ammessa. Così appare, a Corcira, per la prima volta tra gli Elleni, la più feroce di tutte le guerre (Tucidide, III, 82 - 84)"[6].
 Nel Bellum Catilinae di Sallustio, Catone, parlando in senato dopo e contro Cesare, il quale aveva chiesto di punire i congiurati "solo" confiscando i loro beni e tenendoli prigionieri in catene nei municipi, denuncia questo cambiamento del valore delle parole:"iam pridem equidem nos vera vocabula rerum amisimus: quia bona aliena largiri liberalitas, malarum rerum audacia fortitudo vocatur, eo res publica in extremo sita est " (52, 11), già da tempo veramente abbiamo perduto la verità nel nominare le cose: poiché essere prodighi dei beni altrui si chiama liberalità, l'audacia nel male, coraggio, perciò la repubblica è ridotta allo stremo.
 
Nella II Parabasi della Pace il Coro di contadini proclama la sua gioia per la libertà dagli impegni bellici e la possibilità che la pace offre di stare vicino al fuoco a bere con i compagni, arrostire ceci, mettere ghiande al fuoco e sbaciucchiare la serva tracia mentre la moglie si lava. Poi quando arriva l'estate con la dolce canzone della cicala[7] Trigeo gode nel vedere maturare vigne precoci e mangiare i fichi dicendo "w|rai fivlai" (v. 1168), che bella stagione! Tutto questo succede invece dell’ essere arruolati ancor prima dei cittadini e di dover obbedire a un capitano vigliacco. Alla festa finale arriva un mercante di falci che ha ripreso la sua attività ed è grato a Trigeo, mentre il mercante di armi è addolorato. Il cimiero che lui vende può servire al massimo per pulire la tavola e la corazza per cacarci dentro. Le lance segate in due potranno fare da pali di viti. Infine c'è la festa di nozze fra Trigeo e Opora (il raccolto, personaggio muto come Pace e Teoria): lui ce l'ha grande e grosso, lei ha la fica dolce (tou' me;n mevga kai; pacuv - th'" d’ hJdu; to; su'kon - 1350 - 1351).
 
La terza commedia pacifista è Lisistrata ,del 411.
Prologo (vv.1 - 253)
Prima parte (vv. 1 - 20).
 
Lisistrata intende ribellarsi al costume di tenere la donna chiusa in casa.
 
 La donna qui non è causa della guerra, come Elena di Troia nell’Agamennone di Eschilo (458) o nelle Troiane di Euripide (415), bensì fautrice della pace attraverso lo sciopero del sesso.
Interessanti in questa commedia sono anche motivi femministici ante litteram.
Lisistrata ha convocato le donne davanti a casa sua sulla pendice nord est dell’Acropoli ma non se ne vede nessuna tranne la vicina Cleonice la quale domanda all’amica perché sia così sconvolta.
Lisistrata è inquieta e Cleonice le chiede perché sia sconvolta - tiv suntetavraxai; (7). Lisistrata è accigliata e Cleonice le fa notare, femminilmente, che aggrottare le sopracciglia come archi non le dona - ouj ga;r prevpei soi toxopoiei`n ta;" ojfru`" - (8) La femminilità, la cura dell’aspetto non dovrebbero essere mai trascurate dalle donne.
 - tovxon - tov - è l'arco e pure la freccia la cui punta talora veniva avvelenata cfr. tossico -
 
La donna e l'uomo reciprocamente stranieri.
 
Lisistrata risponde che mentre le donne sono reputate dagli uomini panou'rgoi (12) capaci di tutto, ora che lei le ha convocate per decidere ouj peri; fauvlou pravgmato" (14) su una faccenda di non poco conto, non sono venute.
Cleonice ribatte calephv toi gunaikw'n e[xodo" (16) è difficile per noi donne uscire.
Infatti, spiega, una di noi deve stare china sul marito, l'altra deve svegliare lo schiavo, l'altra mettere a letto il bambino, l’altra lavarlo, l'altra imboccarlo (vv. 17 - 20).
 
Medea due volte straniera.
 
La cultura pragmatica non arricchisce nessuno di bellezza e bontà, mentre impoverisce molti siccome è povera di carità.
 
In una intervista a J. Duflot Pasolini dichiara che nel suo film ha voluto mettere in evidenza il contrasto tra la cultura razionale e pragmatica di Giasone e quella arcaica e ieratica della barbara:" Ho riprodotto in Medea tutti i temi dei film precedenti (...) Quanto alla pièce di Euripide, mi sono semplicemente limitato a qualche citazione (...) Medea è il confronto dell'universo arcaico, ieratico, clericale, con il mondo di Giasone, mondo invece razionale e pragmatico. Giasone è l'eroe attuale (la mens momentanea) che non solo ha perso il senso metafisico, ma neppure si pone ancora questioni del genere. E' il "tecnico" abulico, la cui ricerca è esclusivamente intenta al successo (...) Confrontato all'altra civiltà, alla razza dello "spirito", fa scattare una tragedia spaventosa. L'intero dramma poggia su questa reciproca contrapposizione di due "culture", sull'irriducibilità reciproca delle due civiltà (...) potrebbe essere benissimo la storia di un popolo del Terzo Mondo, di un popolo africano, ad esempio[8]".
Giasone è un pragmatico: “l'interpretazione puramente pragmatica (senza Carità) delle azione umane deriva in conclusione da questa assenza di cultura: o perlomeno da questa cultura puramente formale e pratica"[9].
Qui l'autore parla del vuoto di Carità dell'Italia degli anni Settanta. Ma riferiamolo alla Medea di Euripide. Il pragmatismo di Giasone si manifesta chiaramente quando il seduttore dichiara alla sua ex moglie di avere voluto cambiare donna, prendendo la principessa di Corinto, non perché odiasse la madre dei suoi figli, o perché ne volesse altri, ma per la cosa più importante: vivere bene, lui con la famiglia, o le famiglie, e senza restrizioni (wJ", to; men; mevgiston, oijkoi''men kalw'" - kai; mh; spanizoivmeqa), sapendo con certezza che il povero tutti lo sfuggono (vv. 559 - 560). Abbiamo già messo in rilievo che Giasone "dra'/ ta; sumforwvtata - ghvma" tuvrannon " (v. 876 - 877) fa quello che è più utile sposando la figlia di un re
Cfr. quanto dice la Medea di Euripide:
"E se con noi che ci affatichiamo in questo con successo,
il coniuge convive, sopportando il giogo non per forza,
 la vita è invidiabile; se no, bisogna morire.
 Un uomo poi, quando gli pesa stare insieme a quelli di casa,
 uscito fuori, depone la noia dal cuore
volgendosi a un amico o a un coetaneo;
 per noi al contrario è necessario mirare su una sola persona
Dicono di noi che viviamo una vita senza pericoli
 in casa, mentre loro combattono con la lancia,
 pensando male: poiché io tre volte accanto a uno scudo
 preferirei stare che partorire una volta sola.
Però non vale proprio lo stesso discorso per te e per me;
 tu hai questa tua città e la casa paterna
e comodità di vita e compagnia di amici,
io, poiché sono isolata e senza città, devo subire oltraggi
da un uomo, dopo essere stata rapita da una terra barbara,
senza avere la madre, né un fratello, né un congiunto
per trovare un ancoraggio fuori da questa sventura” (241 - 258)
 
 
Excursus
La moglie casalinga, sottomessa e silenziosa. Alcune espressioni di antifemminismo in diversi autori
 
Secondo Senofonte [10] la sposa deve occuparsi dei lavori interni alla casa, mentre il marito seguirà quelli esterni. Infatti per la donna è più bello restare dentro casa che vivere fuori (" Th'/ me;n ga;r gunaiki; kavllion e[ndon mevnein h] quraulei'n", Economico, VII, 30); per l'uomo al contrario è più vergognoso rimanere in casa che impegnarsi nelle cose esterne.
Nella Danae di Nevio [11] leggiamo:" Desubito famam tollunt, si quam solam videre in via " (fr. 6 Marmorale) se hanno visto una donna sola per strada, la coprono subito di infamia.
 
 Vediamo come andava nella Sicilia dei Malavoglia di Verga.
“Quella buona donna di comare Grazia s’era affacciata apposta in camicia per dire qualche cosa a suo marito
“Tu va a filare! - rispondeva compare Tino - Le donne hanno i capelli lunghi ed il giudizio corto -. E se ne andò zoppicando a bere l’erbabianca da compare Pizzuto” [12].
 
Medea evidentemente non vuole stare al gioco le cui regole sono imposte dai maschi. Una riflessione su questo argomento si trova in Madame Bovary di Flaubert quando Emma desidera un figlio di sesso maschile:"Un uomo, almeno, è libero; può passare attraverso le passioni e i paesi, superare gli ostacoli, gustare le più remote felicità. Ma una donna è continuamente frustrata. Inerte e flessibile insieme, ha contro di sé le debolezze della carne come la schiavitù del codice. La sua volontà, come il velo del suo cappellino trattenuto da un cordoncino, palpita a ogni vento; c'è sempre qualche desiderio che la trascina, c'è sempre qualche convenienza che la trattiene" (p. 74).
 
Si può pensare per contrasto ai costumi degli Egiziani quali vengono descritti da Erodoto. Lo storiografo che ama rilevare le diversità degli usi dei vari popoli, non senza la santa tolleranza [13], nota che gli Egiziani, conformemente al clima diverso, e al fiume differente dagli altri, hanno costumi e leggi contrari a quelli degli altri uomini:" ejn toi'si aiJ me;n gunai'ke" ajgoravzousi kai; kaphleuvsi, oiJ de; a[ndre" kat j oi[kou" ejovnte" uJfaivnousi" (II, 35, 2), presso di loro le donne vanno al mercato e trafficano, gli uomini invece tessono stando in casa.
 
Di questo passo erodoteo si ricorda Sofocle nell' Edipo a Colono senza però che il protagonista consideri equivalenti, o dipendenti dal clima, costumi tanto diversi: infatti il vecchio cieco, incestuoso e parricida biasima i figli maschi poiché hanno costumi simili agli Egiziani: Eteocle e Polinice infatti " kat j oi\kon oijkorou'sin w{ste parqevnoi" (v. 343) restano in casa come fanciulle, mentre le due figlie, Antigone e Ismene, si sobbarcano i gravi affanni del padre.
Implacabile è l'odio di Edipo contro i maschi della sua stirpe. Pealtro adora le femmine di casa.
 
Al modello di moglie chiusa in casa, sia essa la donna ideale ateniese o persiana [14] o di Ilio, assomiglia la sfortunata Andromaca delle Troiane (del 415) di Euripide:" Io che mirai alla buona fama (ejgw; de; toxeuvsasa [15] th'" eujdoxiva", v.643) /dopo averla ottenuta in larga misura, fallivo il successo (th'" tuvch" hJmavrtanon, v. 644 ) [16]./Infatti quelle che sono le qualità conosciute di una sposa saggia/io le mettevo in pratica nella casa di Ettore./Là dunque per prima cosa - che vi sia o non vi sia/motivo di biasimo per le donne (yovgo" gunaixivn, v. 648) - la cosa in sé attira/cattiva fama se una donna non rimane in casa [17],/io, messo via il desiderio di questo, rimanevo in casa (" e[mimnon ejn dovmoi" ", v. 650);/e dentro casa non facevo entrare scaltre chiacchiere di donne/, ma avendo come maestro il mio senno (to;n de; nou'n didavskalon, v. 652)/ buono per natura, bastavo a me stessa./E allo sposo offrivo silenzio di lingua[18] e volto/ calmo ("glwvssh" te sigh;n o[mma q j h{sucon povsei - parei'con", vv. 654 - 655); e sapevo in che cosa dovevo vincere lo sposo,/e in che cosa bisognava che lasciassi a lui la vittoria" (vv. 643 - 656).
 
A questo tipo di donna appartiene Monica, la madre di Agostino la quale “tradita viro servivit veluti domino” (Confessiones, 9, 9), affidata al marito, lo servì come un padrone. Non solo: “ita autem toleravit cubilis iniurias, ut nullam de hac re cum marito haberet umquam simultatem”, del resto tollerò le offese del letto tanto da non farne mai motivo di litigio. E non è finita qui: aveva imparato a non opporsi al marito infuriato e questa remissività la salvava dalle botte che invece le mogli litigiose buscavano. E quando ne parlavano con lei “illae arguebant maritorum vitam, haec earum linguam”, quelle accusavano la vita dei mariti, ella la loro lingua. Ricordava pure che il contratto matrimoniale prevedeva la loro schiavitù, per cui, memori della loro condizione, non era il caso che fossero arroganti con i loro padroni: “proinde memores conditionis superbire adversus dominos non oportere”. Ella con il suo metodo non prendeva botte dal pur violento marito Patrizio. Insomma Monica era perseverans tolerantia et mansuetudine, persistente nella tolleranza e nella mansuetudine.
 Nel Secretum del Petrarca, Agostino, che vuole liberare l'animo di Francesco dai due errori più pericolosi, l'amore per la gloria e l'amore per Laura, mette in guardia il poeta dai pericoli connessi alla bellezza delle donne, effimera e ingannevole, se non addirittura inesistente. La svalutazione e lo svilimento del corpo femminile, sono necessari a chi voglia emanciparsi dall'irrazionale soggezione alla libidine erotica: "Pauci enim sunt qui, ex quo semel virus illud illecebrose voluptatis imbiberint, feminei corporis feditatem de qua loquor, sat viriliter, ne dicam satis constanter, examinent " (III, 70), sono pochi quelli che, da quando una volta sola abbiano assorbito quel noto veleno del piacere seducente, possono considerare abbastanza energicamente, per non dire con sufficiente costanza, la laidezza del corpo femminile della quale parlo.
 
Non diversi da quelli di Ettore sono i gusti del triestino Zeno di Svevo:"Ora non avrei avuto che un desiderio: correre dalla mia vera moglie, solo per vederla intenta al suo lavoro di formica assidua, mentre metteva in salvo le nostre cose in un'atmosfera di canfora e di naftalina"[19].
 
 Ancora più radicale di Andromaca è l'Elettra di Euripide quando dice:" gunai'ka ga;r crh; pavnta sugcwrei'n povsei - h{ti" frenhvrh": h|/ de; mh; dokei' tavde, - oujd j eij" ajriqmo;n tw'n ejmw'n h{kei lovgwn" Elettra, v. 1052), in effetti è necessario che ceda in tutto al marito la donna che ha senno; quella cui questo non sembra giusto, non la tengo in nessuna considerazione.
La donna dunque fa male a parlare anche con altre donne dentro casa dove la virtuosa Andromaca non introduceva komya; qhleiw'n e[ph ( Troiane, v. 651), scaltre chiacchiere di femmine (p. 260).
 
Nelle Fenicie di Euripide il pedagogo avverte Antigone, il giovane, glorioso virgulto (kleinovn qavlo", v. 88) che per le donne è un piacere non dire niente di buono sparlando le une delle altre:"hJdonh; dev ti" - gunaixi; mhde;n uJgie;" ajllhvla" levgein" (vv. 200 - 201).
 
Parecchi secoli più tardi il seduttore intellettuale di Kierkegaard auspica che la ragazza cresca nella solitudine e nel silenzio:"Se dovessi figurarmi l'ideale di una fanciulla, questa dovrebbe sempre essere sola al mondo e quindi dedita a se stessa, ma anzitutto non dovrebbe avere amiche. E' ben vero che le Grazie furono tre, ma certamente neppure venne mai in mente ad alcuno di figurarsele a parlar tra loro; esse compongono nella loro tacita triade una leggiadra unità femminile. A tal proposito sarei quasi tentato di suggerire delle gabbie per le vergini, se tale costringimento non agisse invece in senso negativo. E' sempre augurabile per una giovinetta che le venga lasciata la sua libertà, ma che non le venga offerta occasione di servirsene"[20].
 
La moglie perfetta dunque non deve frequentare, non diciamo dei maschi che sarebbe una nefandezza meritevole di ripudio, ma nemmeno altre femmine con le quali potrebbe ordire congiure e progettare sconcezze.
 
 Nel Duvskolo" di Menandro, Sostrato, l'innamorato e pretendente della figlia del misantropo, in un breve monologo elogia l'educazione presumibilmente ricevuta dalla ragazza:"Se questa fanciulla non è stata educata tra le donne e non conosce nessuno di questi mali nella vita, e non è stata terrorizzata da qualche zia e balia, ma è venuta su liberamente con questo padre selvaggio che odia il male, come potrebbe non essere la mia felicità unire la mia sorte alla sua?" (vv. 384 - 389).
 E' proprio vero che essere innamorati significa esagerare irragionevolmente le differenze tra una donna e un'altra.
 
Il silenzio e la tranquillità come virtù femminili vengono indicate anche da un'altra eroina e martire euripidea: Macaria che negli Eraclidi [21] di Euripide dà la propria vita per salvare quella dei fratelli:"gunaiki; ga;r sighv te kai; to; swfronei'n - kavlliston, ei[sw q j h}sucon mevnein dovmwn"(vv. 476 - 477), per la donna infatti il silenzio e l'equilibrio sono la dote più bella, poi rimanere in tranquillità dentro la casa.
 
"La donna, piaccia, taccia e stia in casa", pontificava il Duce che non aveva toccato il fondo. Infatti si potrebbe aggiungere: " ma non nella mia".
 
Del resto il grande e illuminato Pericle nel celebre epitafio sui caduti del primo anno di guerra sostiene che la virtù delle vedove consisterà nel non essere più deboli di quanto comporta la loro natura, e che sarà loro gloria se si parlerà pochissimo di loro in lode o in biasimo (II, 45, 2).
“In altre parole, per citare il drastico ma efficace riassunto di Virginia Woolf intorno a questa allocuzione, “la gloria più grande per una donna è che non si parli di lei, diceva Pericle che, dal canto suo, era uno degli uomini di cui si parlava di più”[22].
Fine excursus
 
Torniamo alla commedia di Aristofane
Lisistrata intende ribellarsi a questi costumi e risponde a Cleonice che per le donne ci sono altre cose ben più importanti e utili da fare che stare dentro casa asservite –e{tera poujrgiaivtera aujtai`" (Lisistrata, 20)
 
 
 
Capitolo 2
 
La trovata di Lisistrata. La salvezza della Grecia intera sta nelle mani delle donne.
 
Cleonice domanda se si tratta di un affare (pra'gma) di qualche grandezza quello per cui ha convocato le donne. Lisistrata risponde mevga, grande.
 E Cleonice, non senza malizia, replica “kai; pacuv;” anche grosso? 23
Lisistrata conferma.
Allora Cleonice si stupisce, dato l’affare grande e grosso, dell’assenza delle donne.
“E allora come mai non siamo qui?” 24
 Non si tratta di questo, spiega Lisistrata, ché in tal caso ci saremmo già riunite tutte - tacu; ga;r xunhvlqomen (25)
Dunque quanto immaginato da Cleonice non c’entra, siccome è un affare che Lisistrata ha cercato - pra`gmj ajnezhthmevnon e agitato durante molte notti di veglia (27)
Cleonice pensa a qualche sottigliezza ti leptovn ejsti, se ci sono volute tante veglie agitate.
Lisistrata le dà ragione rincarando la dose della sottigliezza e quasi opponendosi all’allusione precedente riferita al grande e grosso (membro maschile penso io nella mia malizia)
E’ tanto sottile che la salvezza dell’Ellade intera sta nelle donne chiarisce Lisistrata
ou{tw ge lepto;n w[sq hj o{lh" th`" JEllavdo" - ejn tai`" gunaixin ejsti hJ swthriva ( 30 - 31)
La salvezza delle specie sta sempre nelle femmine, tanto quelle umane quanto quelle degli animali. Tutti noi viventi siamo stati messi al mondo dalle femmine e queste poi ci hanno tenuti in vita quasi sempre senza la collaborazione dei maschi.
 
Pesaro primo ottobre 2021 ore 20, 06. E’ l’ora del giro al molo del porto per vedere le stelle sul mare. Questa nostra madre terra è un paradiso celeste oltre che terrestre
 
 
 
Capitolo 3
 
L’eterna seduzione femminile commentata con malevolenza da diversi autori.
 
Gli affari della città, ripete Lisistrata, devono stare in mano nostra - ejn hJmi`n th`" povlew" ta; pravgmata - 32
 Una possibilità per porre termine alla guerra sarebbe eliminare i Peloponnesiaci e sterminare i Beoti.
 
Escludi però le anguille interviene Cleonice. Era questo un cibo ghiotto che veniva dal lago Copaide, in Beozia, come abbiamo già visto negli Acarnesi e nelle.
 
Ma nello sterminio potrebbero essere inclusa Atene. Allora la soluzione deve essere un’altra, continua Lisistrata
 Dunque: noi donne di Atene, con quelle di Beozia e con quelle del Peloponneso insieme salveremo la Grecia (koinh'/ swvsomen th;n JEllavda ) (v. 41).
 
In effetti le donne possono salvarci se non diventano come gli uomini. Ma ora vengono pure addestrate dagli uomini a fare la guerra, da altre donne a odiare tutti gli uomini, indiscriminatamente.
 
Cleonice dubita che le donne le quali se ne stanno dipinte come fiori - ejxhnqismevnai (43) e sono imbellettate kekallwpismevnai e indossano vesti color zafferano o vesti cimbriche trasparenti e tuniche che cadono a piombo e scarpine eleganti possano fare qualche cosa di intelligente o di significativo - frovnimon h] lamprovn - (42 - 45).
 
Lisistrata ribatte che si aspetta la salvezza proprio dalle vesti color zafferano e i profumi ta; muvra, e le scarpine e il rossetto (a[gcousa - latino anchusa tinctoria dalle radici rosse) e le vesti trasparenti - kai; ta; diafanh` citwvnia - 46 - 48).
 
E’ l’eterna mascherata delle donne per sedurre gli uomini. Noi maschi del resto non siamo da meno e spesso usiamo mezzi molto meno nobili dei loro belletti.
 
Sentiamo Tolstoj sulla potenza, spesso fuorviante, della bellezza. Chi parla è Pòzdnyshev il protagonista di La sonata a Kreutzer (1889) il quale racconta come è arrivato a uccidere per gelosia la moglie, una donna bella ma non adatta a lui:" E' cosa davvero sorprendente con quanta facilità siamo indotti a illuderci che bellezza e bontà siano insieme congiunte. Quando una bella donna dice delle sciocchezze, stai a sentirla volentieri, e per quante papere ella dica, ti sembra intelligente. Se si comporta e parla come una villana, ti appare avvenente e gentile. Quando poi ella non dice né sciocchezze né cose disdicevoli, ed è anche graziosa, allora credi sul serio ch'ella sia un miracolo d'intelligenza e moralità"[23].
E più avanti:"l'amore più eletto e più poetico, come noi diciamo, non dipende per nulla dalle doti dello spirito, ma dalla fisica attrazione, da una pettinatura invece di un'altra, dal colore, dal taglio d'un abito…soltanto il corpo noi desideriamo, siamo pronti a perdonare ogni bruttura [24], ma non già la scelta d'un abito senza garbo né grazia, ma non già un tono di colore che strida. La civetta ha di tutto ciò perfetta conoscenza, ma anche l'innocente fanciulla lo sa per istinto, come gli animali. Ed ecco il motivo di quei maledetti jersey, di quegli abiti attillati, scollacciati, di quelle braccia nude, di quei seni mostrati. Le donne, specie quelle donne che hanno già esperienza di uomini, sanno bene che conversare su alti argomenti approda a ben poco, all'uomo non preme altro che il corpo, quanto può farlo risaltare, sia pure con mezzi artificiosi, e a ciò si adoperano le donne." (p. 325).
 
Tra i due grandi romanzieri russi, Dostoevskij è stato il visionario dell'anima e Tolstoj piuttosto il veggente del corpo; più precisamente "di quel lato della carne che è rivolto verso lo spirito e di quel lato dello spirito che è rivolto verso la carne: regione misteriosa ove si compie, nell'uomo, la lotta fra la Bestia e Dio"[25].
 
Kafka nella Lettera al padre scrive: “A trentasei anni si parlò “del mio ultimo progetto di matrimonio. Tu mi dicesti pressappoco: “Quella avrà indossato una bella camicetta che la faceva carina, le ebree di Praga se ne intendono, dopo di che tu hai deciso di sposarla. E il più presto possibile, fra una settimana, domani, oggi. Non ti capisco, ormai sei un uomo, vivi in città, e non sai fare di meglio che sposare la prima venuta. Non ci sono altre combinazioni?” (pp. 111 - 112)
 
Sentiamo Schopenhauer ancora più duro nei Parerga e Paralipomena: "La natura ha destinato le giovinette a quello che, in termini teatrali, si chiama "colpo di scena": infatti, per pochi anni la natura ha donato loro rigogliosa bellezza, fascino e pienezza di forme, a spese di tutto il resto della loro vita, affinché, cioè, siano capaci di impadronirsi durante quegli anni della fantasia di un uomo in misura tale, che egli si lasci indurre a prendersi onestamente una di loro per tutta la vita, in una forma qualsiasi, passo al quale la mera riflessione razionale non sembrerebbe aver dato nessuna sicura garanzia di invogliare l'uomo. Perciò la natura ha provvisto la femmina, appunto come ogni altra delle sue creature, delle armi e degli utensili di cui ha bisogno per la sicurezza della sua esistenza e per tutto il periodo in cui ne ha bisogno; e anche qui la natura ha provveduto con la sua consueta parsimonia. Come ad esempio, la formica femmina, dopo l'accoppiamento, perde per sempre le ali, superflue, anzi pericolose per la prole, così, di solito, dopo una o due gravidanze, la donna perde la sua bellezza e probabilmente, perfino, per la stessa ragione. In conformità con ciò, le giovinette considerano nel segreto del loro cuore, i loro lavori domestici o professionali una cosa secondaria, forse, perfino, un semplice trastullo: come loro unica seria professione esse considerano l'amore, le conquiste e ciò che vi si collega, come acconciature, balli, eccetera (…)
Le donne sono adatte a curarci e a educarci nell'infanzia, appunto perché esse stesse sono puerili, sciocche e miopi, in una parola tutto il tempo della loro vita rimangono grandi bambini: esse occupano un gradino intermedio fra il bambino e l'uomo, che è il vero essere umano... le donne rimangono bambini per tutta la vita, vedono sempre soltanto ciò che è vicino, rimangono attaccate al presente, scambiano l'apparenza delle cose con la loro sostanza, e preferiscono inezie alle questioni più importanti... le donne, in quanto sesso più debole, sono costrette dalla natura a far ricorso non già alla forza ma all'astuzia: di qui deriva la loro istintiva scaltrezza e la loro indistruttibile tendenza alla menzogna... per la donna una sola cosa è decisiva, vale a dire a quale uomo essa sia piaciuta... Il sesso femminile, di statura bassa, di spalle strette, di fianchi larghi e di gambe corte, poteva essere chiamato il bel sesso soltanto dall'intelletto maschile obnubilato dall'istinto sessuale: in quell'istinto cioè risiede tutta la bellezza femminile. Con molta più ragione, si potrebbe chiamare il sesso non estetico...Nel nostro continente monogamico, sposare significa dividere a metà i propri diritti e raddoppiare i doveri...Nessun continente è così sessualmente corrotto come l'Europa a causa del matrimonio monogamico contro natura "[26].
 
Tutto questo astio contro le donne è un chiaro sintomo di frustrazione.
Gli uomini cui piacciono molto le donne - quorum ego - non le pensano malevolmente perché sono simili a loro. Quanti amano molto le donne sono naturaliter contrari al matrimonio: chi a una sola è fedele, con le altre è crudele".
 
Così nessuno di questi uomini impugnerà più la lancia contro gli altri –dovru - 50. fa Lisistrata
Era come il fucile per chi faceva il servizio militare anni fa (io nel ’71).
Il sergente ci arringava dicendo che non dovevamo mai lasciarlo quando lo avevamo in consegna. Ora lo impugnano soldati e soldatesse con stupido orgoglio. E’ pur sempre uno strumento di morte. Molto meglio i belletti e i rossetti
 
Quindi Cleonice vuole subito andare a tingere le vesti di color zafferano
 
 
 
Capitolo 4. Lisistrata propone alle donne lo sciopero del sesso
 
Arriva Mirrina e Lisistrata la rimprovera del ritardo
Quindi Mirrina si scusa: nel buio ha durato fatica a trovare la cintura movli" ga;r hu\ron ejn skovtw/ to; zwvnion (72).
Il nome della donna significa “piccolo muvrto" ”. Il mirto, sacro ad Afrodite simboleggia la vagina, fichina dunque.
Arriva poi la spartana Lampitò con una Beota e una Corinzia.
Lisistrata saluta Lampitò con w\ filtavth Lavkaina (78) e le dice che il suo corpo è bello e fiorente (wJ" eujcroei'" - wJ" de; sfriga'/ to; sw'ma sou).
Poi aggiunge: potresti strangolare anche un toro (ka]n tau'ron a[gcoi", 80).
Lampitò risponde, lo credo bene: gumnavddomai, faccio palestra io e salto sulle natiche poti; puga;n a{llomai.
 
Nell’Andromaca di Euripide, Peleo, il nonno di Neottolemo, esecra le Spartane e i loro costumi: neppure se lo volesse, potrebbe restare onesta (swvfrwn, v. 596) una delle ragazze di Sparta che insieme ai ragazzi, lasciando le case con le cosce nude (gumnoi'si mhroi'" v.598) e i pepli sciolti, hanno corse e palestre comuni, cose per me non sopportabili " (vv.595 - 600).
 
Plutarco dà un'interpretazione non malevola dello stesso fatto: il legislatore Licurgo volle che le fanciulle rassodassero il loro corpo con corse, lotte, lancio del disco e del giavellotto (…) per eliminare poi in loro qualsiasi morbidezza e scontrosità femminile, le abituò a intervenire nude nelle processioni, a danzare e a cantare nelle feste sotto gli occhi dei giovani (Vita di Licurgo, 14). E' interessante il fatto che Erodoto (I, 8) viceversa fa dire a Gige cui Candaule ha proposto di vedere quanto fosse bella la moglie nuda:"la donna quando si toglie le vesti, si spoglia anche del pudore".
 
Nelle Leggi di Platone, l’Ateniese ricorda allo Spartano che l’ideale guerriero della sua città non si cura abbastanza di esercitare la capacità di resistenza al piacere, e aggiunge che non sarebbe difficile, per chi volesse difendere le leggi di Atene, criticare le norme spartane indicando la licenza delle loro donne: “deiknu;~ th;n tw`n gunaikw`n parj uJmi`n a[nesin “(637c).
 
Che bellezza di tette hai! aggiunge Lisistrata - wJ" dh; kalo;n to; crh'ma tw'n titqw'n e[cei" ( Lisistrata, 83).
Poi la caporiona dice alla Beota che ha un kalo;n pedivon un bel campo.
 La solita metafora per vagina.
Insomma incoraggia le due possibili alleate e accade che mentre gli uomini si ammazzano a vicenda, le donne solidarizzano tra loro sperando di dare il buon esempio ai maschi.
 
Lampitò quindi nota che la donna beota è pure depilata paratetilmevnh –parativllw - th;n blhcwv, (blhcwv è un’erba aromatica (puleggio, varietà di menta) che rimanda al pelo del pube). E’ rasata dunque della sua erba komyovtata, molto elegantemente (89).
 
Poi c’è la Corinzia di buona famiglia come si vede dal sedere.
 
Lisistrata prima di esporre il proprio piano domanda alle donne se non sentano la mancanza dei padri dei loro figli insomma dei loro uomini assenti per la guerra (tou;" patevra" ouj poqei'te tou;" tw'n paidivwn - ejpi; stratia'" ajpovnta"; 99 - 100).
Cleonice risponde che suo marito, w\ tavlan, poveretto è in Tracia da cinque mesi,
Mirrina che il suo è a Pilo, e lo spartano di Lampitò imbraccia sempre lo scudo anche se qualche volta torna a casa ripartendone subito
Lisistrata lamenta che non è rimasto nemmeno da utilizzare un ganzo (moicou', 107)
E nemmeno si trova l’ o[lisbo" di otto dita ojktwdavktulo" o{" h\n a]n hJmi'n skutivnh jpikouriva (110) che era per noi un soccorso di cuoio 110. Non arrivano più “da quando i Milesi ci hanno tradito” (108).
La defezione dei Milesi provocata da Alcibiade nel 411 si legge in Tucidide (VIII, 17)
Lo scoliasta dice che i servivano dell'olisbos aiJ ch'rai gunai'ke", le donne vedove, e non solo loro.
 
 Ritroviamo questo strumento di piacere triste nel Mimiambo VI di Eroda (III secolo).
Ci sono due donne che parlano: Metro chiede a Coritto chi è che le ha cucito to;n kovkkinon baubw'na il fallo di cuoio scarlatto.
Questo artigiano lavora in casa (kat j oijkivhn ejrgazet j, 63) e vende di nascosto (ejnpolevwn lavqrh/ ) siccome oggi ogni porta rabbrividisce riguardo agli esattori: tou;" ga;r telwvna" pa'sa nu'n quvrh frivssei (64).
Coritto le descrive il calzolaio Cerdone falakro;", mikkov", calvo piccolino.
Ma è bravissimo a fare questi strumenti: gli uomini non fanno diventare ou{tw" ojrqav così dritti loro bischeri. (ta; bavllia=tou;" fallouv").
E’ rigido e pure morbido come il sonno, ha rilegature di lana, non di cuoio. Non c’è un altro calzolaio così provvido verso le donne. Dialetto ionico con qualche mistura dorica e attica. Eroda come Menandro è conosciuto per i papiri trovati in anni non tanto lontani (1891)
Il metro è lo scazonte o coliambo, giambo zoppo.
 
Do qualche notizia su Eroda, Ipponatte e i Mimiambi.
Eroda è un poeta del III secolo, forse di Cos dove si svolge l'azione di almeno due mimi ( il II, il lenone, e il IV, le donne che sacrificano ad Asclepio). Questi mimi detti anche mimiambi sono scritti in coliambi, giambi zoppi, usati già da Ipponatte (VI sec.). Sono otto, in dialetto ionico.
Il coliambo, chiamato anche scazonte, è uguale al giambo nei primi due metri; nel terzo metro, all'ultimo piede, spezza la cadenza giambica sostituendola con la trocaica. Si crea così una metabola e un ritmo che sembra volere andare contro corrente come la poesia di Ipponatte ed Eroda.
 
Snell, Poesia e società. 1965
I mimiambi sono brevi scene drammatiche paragonabili a quelle da cabaret. Ebbero giudizi favorevoli da parte di chi interpretava i mimiambi nello spirito del naturalismo dominante quando questi furono scoperti. Ma se Ibsen frugava nel fango, dietro c'era l'accusa sociale. Qui non c'è traccia né di questa, né di ottimismo pedagogico. Quando parlano il pornoboskov" (II) o la mezzana Gillide (I) o lo skuteuv" (VII), in nessun punto appare che queste siano povere creature degne di compassione: non sono brave persone impedite da dure condizioni di vita, ma è gente inferiore per natura.
Particolarmente sgradevole è il didavskalo" (III) dove una madre insiste con il maestro affinché picchi il figlio (cfr. invece Quintiliano:"Caedi vero discentes...minime velim. Primum, quia deforme atque servile est et certe...iniuria est". Institutio oratoria, I, 14). Quei colpi di bastone non fanno ridere come quelli di Tersite o della commedia; essi suscitano solo disgusto. La madre vorrebbe che al figlio venisse data un'educazione letteraria e dice:"scorticalo finché non tramonta il sole, anche se è molto più screziato di una serpe". Sembra che Eroda trovi più divertente e vivace la bruttura morale della rettitudine insignificante.
Eroda vorrebbe essere un secondo Ipponatte di Efeso che aveva dato voce ad un mondo turpe e laido. I padri della chiesa anzi lo chiamavano la lingua più laida della letteratura greca. Esprime miseria e risentimento: "tenetemi il mantello; voglio dare un pugno a Bupalo nell'occhio!".
Eroda non ha fini etici, come del resto Teocrito e Callimaco. I suoi personaggi non sono nemmeno odiosi, ma solo volgari e brutali. Manca loro la cultura e l'arguzia dei personaggi teocritei. I mimiambi di Eroda rivelano chiaramente una cosa: tutta l'affettazione erudito - sentimentale - intellettuale dell'Ellenismo è un imbroglio. (cfr. Giovenale e Plinio il giovane). Egli procede molto oltre Euripide nel distruggere le illusioni e nello smascherare i valori. Per lui la vita è solo stupida e brutale e l'agire egoistico dei personaggi è insensato. Già Eteocle nelle Fenicie di Euripide liquidava come chiacchiere le convenzioni morali e indicava l'unica realtà autentica nella volontà di potenza (v. 524). Se infatti bisogna commettere ingiustizia è bellissimo commetterla per il potere. Ma in Euripide c'è una reazione: Tiresia al v. 867, sempre delle Fenicie, dice che la terra è malata:"nosei' ga;r hJvde gh' pavlai". Gli uomini di Euripide, sebbene privati delle illusioni, sapevano ancora come si dovrebbe essere.
Aristofane negli Uccelli faceva credere che la vita razionale e naturale sarebbe tornata, se fossero stati mandati via i millantatori ajlazovne", i chiacchieroni, i ciarlatani, insomma le esistenze deformi che una volta non si usavano nemmeno come farmakoiv.
Forse Eroda vuole dire a Callimaco e Teocrito che l'arte fine a se stessa è qualche cosa di artificiale. Menandro studia la psicologia, Eroda l'istinto sessuale primitivo, la barbarie che non si eleva al di sopra del livello ferino.
Le possibilità della poesia greca erano esaurite quando Eroda arrivò a tanto disgusto per l'uomo e a tanto scetticismo davanti al raffinamento della vita. Dopo Eroda i Greci non trovarono nuove forme essenziali.
Per tanto disgusto si può pensare ai
Viaggi di Gulliver (1726) di Jonathan Swift.
 
Le donne greche dunque si trovano d’accordo nel voler porre fine alla guerra.
 
Lampitò salirebbe in cima al Taigeto se da lassù potesse vedere la pace.
Lisistrata dice¨” se vogliamo davvero la pace, noi donne dobbiamo dunque astenerci dal bischero” - ajfekteva toivnun ejsti;n hJmi'n tou' pevou" (ajpevcw124).
A queste parole le altre si voltano, piangono e cambiano colore.
Lisistrata domanda se vogliano farlo o no
Cleonice e Mirrina rispondono che non ne sono capaci, dunque: oJ povlemo" ejrpevtw (129 e 130), continui pure la guerra.
Cleonice aggiunge che piuttosto camminerà in mezzo al fuoco: questo è meglio della mancanza del bischero: dia; tou' puro;" - ejqevlw badivzein. tou'to ma'llon tou' pevou" (133 - 134). Pure Mirrina preferisce badivzein dia; tou` purov" (137).
 
Pensate a tutte le ipocrisie e le fandonie sulle donne angelicate. La mia generazione ne è stata avvelenata.
 
Sentiamo Nietzsche
“Il cristianesimo diede a Eros del veleno da bere: egli non ne morì, ma degenerò in vizio”[27].
“La predica della castità è un pubblico incitamento alla contronatura”[28].
“Il cristianesimo è riuscito a fare di Eros e Afrodite - grandiose potenze ricche di forze ideali - coboldi infernali e spiriti fraudolenti (…) Stringere la procreazione degli uomini in fraterna unione con la cattiva coscienza! Infine questa diabolizzazione di Eros ha avuto un epilogo da commedia: il “diavolo” Eros è divenuto a poco a poco più interessante per gli uomini di tutti gli angeli e i Santi, grazie al sommesso parlottare e all’aria di mistero della Chiesa su tutti i fatti erotici”[29].
 
 
 
Capitolo 5. L’eleganza delle donne in Aristofane e in Ovidio (il cultus)
 
Lisistrata accusa tutta la razza delle Ateniesi di essere dissolutissima pagkatavpugon a{pan gevno" (137) - katapuvgwn=rotto in culo (puhghv) e zozzone in genere. Dato che pensano a una sola cosa.
Chiede comprensione e aiuto alla fivlh Lavkaina 140 la cara spartana Lampitò. Basteranno loro due ad aggiustare la cosa.
Si diversificano i ruoli a partire dalle caporione.
 
Lampitò risponde che è duro rimanere senza glande, ma c’è bisogno di pace (142 - 143).
Pensate a quante volte abbiamo dovuto o voluto rinunciare a un’amante o un amante ad maiora mala vitanda.
 
Cleonice dubita che l’astensione dal sesso porti la pace.
In effetti spesso i più frustrati sessuali sono pieni di risentimento e anche di rabbia e la guerra per molti è “tutto sesso andato a male”, come l’adorazione dei capi. Cfr. 1984 di Orwell.
 
 Lisistrata, sempre più convinta, illustra la tattica da usare: le donne dovranno aspettare i mariti con belle tuniche trasparenti depilate nel pube devlta paratetilmevnai (151) e quando gli uomini avranno un’erezione stuvointo d’ a[ndre" (151) kajpiqumoi'en splekou'n e abbiano voglia di fottere, noi ajpecoivmeqa, ci scostiamo. Allora gli uomini patteggeranno e trionferà la strategia che porta alla pace.
 
Lampitò aggiunge un esempio tratto da vicende spartane: infatti Menelao quando vide le tette di Elena nuda, gettò via la spada (Lisistrata, 155 - 156).
 
Nell’Andromaca di Euripide, Peleo rinfaccia a Menelao che come vide il seno (masto;n) di Elena, gettata la spada, si è fatto baciare lusingando la cagna traditrice - prodovtin aijkavllwn kuvna (629 - 630).
 
Cleonice domanda “cara mia, e se gli uomini ci piantano?
Lisistrata “dovremo scuoiare una cagna scuoiata (ossia usare l’olisbo consumato) - kuvna devrein dedarmevnhn (158)
Cleonice disprezza tali memimhmevna –imitazioni, surrogati, dicendo che sono insulsaggini fluariva (159), cose senza senso.
Poi aggiunge che i mariti potrebbero anche forzarle.
 Allora Lisistrata ribatte che non c’è piacere quando certe cose si fanno per forza “ouj ga;r e[ni touvtoi" hJdonh; toi'" pro;" bivan” (163). E l’uomo non potrà godere se non c’è il piacere della donna.
 
Certi uomini allora fanno come il principe Salina del Gattopardo la cui moglie non tripudiava e lui andava a cercare amanti meno inibite, anche prostitute in quartieri malfamati.
"Stella! si fa presto a dire! Il Signore sa se la ho amata: ci siamo sposati a vent'anni. Ma lei adesso è troppo prepotente, troppo anziana, anche". Il senso di debolezza gli era passato, "Sono un uomo vigoroso ancora; e come fo ad accontentarmi di una donna che, a letto, si fa il segno della croce prima di ogni abbraccio e che, dopo, nei momenti di maggiore emozione non sa dire che 'Gesummaria'. Quando ci siamo sposati tutto ciò mi esaltava, ma adesso… sette figli ho avuto con lei, sette; e non ho mai visto il suo ombelico. E' giusto questo?" Gridava quasi, eccitato dalla sua eccentrica angoscia. "e' giusto' Lo chiedo a voi tutti!" E si rivolgeva al portico della Catena. "La vera peccatrice è lei". La rassicurante scoperta lo confortò e bussò deciso alla pota di Mariannina" (Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, capitolo I, p. 18)
 
Cleonice comincia a convincersi.
Lampitò annuncia che le donne spartane sapranno persuadere gli uomini a fare la pace. Ma la folla del popolo ateniese tw'n jAsanaivwn rJuavceton - dialetto laconico - chi potrà persuaderla a non fare sciocchezze?.
 
Lisistrata risponde che ci penseranno loro con la tattica già detta.
Lampitò ne dubita e ricorda la smania imperialistica degli Ateniesi maschi che hanno riempito l’Acropoli di tesori rubati.
Lisistrata replica: “noi donne oggi stesso occuperemo l’acropoli - “katalhyovmeqa ga;r th;n ajkrovpolin thvmeron - ”176.
 Alle anziane anzi è già stato l’ordine di farlo con il pretesto di sacrificare - quvein dokouvsai" 179.
I riti religiosi sono stati nella storia coperture o pretesti di operazioni militari o politiche come colpi di Stato o crociate.
Lampitò ne è rimasta convita.
Lisistrata propone un giuramento sullo scudo, come quello descritto da Eschilo nei Sette a Tebe.
 
E’ nel racconto che fa il Messaggero a Eteocle a proposito degli a[ndre" eJptav ( i Sette a Tebe, v. 42).
Cleonice non è d’accordo sullo scudo che evoca la guerra. Bisogna piuttosto giurare su una coppa di non versare mai acqua nel vino.
 
Lampitò approva. Lisistrata versa il vino nella coppa come se fosse sangue di un porco sacrificato.
Lisistrata detta le parole del giuramento che Cleonice ripete: oujk e[stin oujdei;" ou[te moico;" out j ajnh;r (213) nessuno mai né ganzo né marito. In latino moechus
La caporiona completa o{sti" pro;" ejme; provseisin ejstukwv", levge (214), si avvicinerà mai a me con l’erezione, e fa ripetere.
 - stuvw, ho un’erezione -
Cleonice ripete pur mentre le si piegano le ginocchia.
E passerò la vita in casa ajtaurwvth (217, cfr. taurovw, trasformo in toro) senza essere montata.
cfr. Medea quando nel prologo la nutrice racconta
“Già infatti l'ho vista mentre fissava con furia taurina 92 tauroumevnhn
questi bambini, come se avesse in animo di fare qualcosa; e non cesserà
dall'ira, lo so bene, prima di avere assalito qualcuno.
Spero almeno lo faccia con i nemici, non con i suoi cari. 95.
 
Lisistrata poi suggerisce “con una veste color zafferano e imbellettata - krokwtoforou`sa kai; kekallwpismevnh - 219”
 
l’eleganza delle donne, il loro cultus, fa presa sul desiderio maschile
Breve Excursus che indica la radice del fatto che le donne italiane sono più vanitose e pretenziose e imperiose delle nordiche e delle arabe.
 
Gli italici, donne e uomini, sono tra gli Europei più vanitosi, fin dalla Roma dei Cesari.
Nell' Ars Amatoria [30] Ovidio afferma che è proprio l'eleganza a fargli preferire l'età moderna all'antica, presunta aurea:"prisca iuvent alios, ego me nunc denique natum/gratulor: haec aetas moribus apta meis" (III, 121 - 122), i tempi antichi piacciano ad altri, io mi rallegro di essere nato ora, dopo tutto: questa è l'età adatta ai miei gusti, non perché, continua il Sulmonese, terre mari e monti sono stati domati dall'uomo,"sed quia cultus adest nec nostros mansit in annos/rusticitas priscis illa superstes avis " Ars, III, 127 - 128), ma perché c'è eleganza e non è rimasta fino ai nostri anni quella rozzezza sopravvissuta negli avi antichi.
"Ordior a cultu[31]. Così Ovidio inizia, dopo il lungo proemio, la precettistica riservata alle donne nel terzo libro dell'Ars.
Cultus, riferito come qui alla vita della donna, indica più o meno la "cura della persona" e quindi la "raffinatezza"[32].
 
 Il cultus rende le donne più attraenti e seduttive ed è una di quelle parole che possono prendere significati differenti dando luogo a comportamenti contrastanti.
 Qualora ci si voglia liberare dai lacci delle donne e trovare rimedi all'amore converrà vederle al naturale arrivando all'improvviso di mattina:"Auferimur cultu: gemmis auroque teguntur/omnia; pars minima est ipsa puella sui " (Remedia Amoris vv. 343 - 344), siamo sedotti dall'acconciatura: tutti i difetti sono coperti dalle gemme e dall'oro; la donna in sé, è una parte minima di sé.
 
Infatti, prosegue Ovidio, "Saepe, ubi sit quod ames, inter tam multa, requiras:/decipit hac oculos aegide dives Amor " (vv. 345 - 346), spesso tra tante contraffazioni uno può chiedersi dove sia ciò che ama: Amore arricchito con questo scudo inganna gli occhi.
 
"E' in Ovidio che troviamo l'irrisione aperta della rusticitas, è Ovidio che della negazione della rusticitas fa un aspetto essenziale del suo mondo galante. In alcuni casi egli ci presenta la negazione in modo ambiguo", attribuendola a personaggi poco attendibili. "Per esempio, una contrapposizione fra le formosae audaci di oggi e le sporche sabine delle origini di Roma è elaborata da una lena[33] nel suo discorso esortativo (Am. I 8. 39 sgg.):"Forsitan inmundae Tatio regnante Sabinae/noluerint habiles pluribus esse viris;/nunc Mars externis animos exercet in armis,/at Venus Aeneae regnat in urbe sui./Ludunt formosae: casta est quam nemo rogavit;/aut si rusticitas non vetat, ipsa rogat "[34], forse le sporche Sabine sotto il regno di Tazio non avranno voluto essere disponibili per più uomini; ora Marte tiene occupati gli animi in guerre straniere, ma è Venere che regna nella città del suo Enea. Le belle si divertono: è casta quella cui nessuno ha fatto proposte; oppure se non lo impedisce la selvatichezza, è lei che fa le proposte.
E ovviamente non sono sempre proposte decenti.
 
Concludo con i costi della vanità estrema
Lo stesso Ovidio sconsiglia vesti sfacciatamente lussuose vengono sconsigliate alle donne eleganti (Ars III 169 sgg.): Quid de veste loquar? Nec nunc segmenta requiro/nec quae de Tyrio murice, lana, rubes./Cum tot prodierint pretio leviore colores,/ quis furor est census corpore ferre suos? ", che devo dire della veste? Io non chiedo le frange d'oro, né te, lana, che rosseggi per la porpora di Tiro. Dal momento che sono venuti fuori tanti colori a prezzo più basso, che pazzia è portare sul corpo il proprio patrimonio?
Aggiungo Lucrezio:
"Labitur interea res et Babylonica fiunt/unguenta et pulchra in pedibus Sicyonia rident/scilicet et grandes viridi cum luce zmaragdi/ auro includuntur teriturque thalassina vestis/assidue et Veneris sudorem exercita potat " (Lucrezio, De rerum natura, vv. 1124 - 1128), si scialacqua nel frattempo la roba, e diventa profumi di Babilonia, e calzari belli di Sicione sorridono nei piedi e naturalmente grossi smeraldi con la luce verde sono incastonati nell'oro e si consuma la veste colore del mare continuamente, e tenuta in esercizio beve sudore di Venere.
 
La volontà volgare di esibire il lusso invero non manca negli uomini
L'esibizione che puzza di soldi è il furor tipico dell’ex schiavo arricchito scandalosamente, come Trimalchione, il " signore tre volte potente" il quale viene descritto al suo ingresso nella sala del banchetto con indosso un pallio scarlatto e un fazzoletto orlato di rosso, da senatore, intorno al collo con frange pendenti da una parte e dall'altra.
"Habebat etiam in minimo digito sinistrae manus anulum grandem subauratum " (Satyricon, 32), inoltre portava al mignolo della mano sinistra un grosso anello indorato, da cavaliere; nell'ultima falange del dito seguente un altro anello tutto d'oro ma cosparso come da stelline di ferro "et ne has ostenderet tantum divitias, dextrum nudavit lacertum armilla aurea cultum et eboreo circulo lamina splendente conexo ", e per non mettere in mostra soltanto queste ricchezze, denudò il braccio destro ornato da un braccialetto d'oro e da un cerchio d'avorio intrecciato con una lamina brillante, "deinde pinna argentea dentes perfōdit " (33), quindi si stuzzicò i denti con una stecca d'argento.
Si possono confrontare queste testimonianze con quelle di Tacito sui Germani.





[1] Zibaldone, 1376.
[2] Un poco come nel meccanismo del resto tragico dell'ironia sofoclea
[3] Disgustati, come ha detto di recente il Pontefice.
[4] Che faceva dipendere lo scoppio del conlitto da ratti di prostitute,
[5] Da Iliade IX, 63 - 64. E’ il canto dell’ambasceria ad Achille. E’ Nestore che parla. Più avanti consiglia ad Agamennone di riconciliarsi co Achille mandandogli amabili doni (IX, 113)
[6] M. Cacciari, Geofilosofia dell'Europa, pp. 42 - 43.
[7] Questa non dà segni ambigui come la rondine.
[8]J. Duflot, Pier Paolo Pasolini. Il sogno del centauro, Roma 1983, in Naldini, Pasolini, una vita, p. 81.
[9] P.P. Pasolini, Scritti corsari, p. 49.
[10] 430 ca - 355ca a. C.
[11] 270 - 201
[12] G. Verga, I Malavoglia, p. 111.
[13] Nel terzo libro troviamo un episodio che afferma il valore della tolleranza e lo riferisco poiché mi sembra uno dei più alti insegnamenti della storiografia antica. Contro "la tolleranza zero" tanto sbandierata oggi dai razzisti e dagli ignoranti. Il re Dario aveva domandato a dei Greci se sarebbero stati disposti a cibarsi dei loro padri morti, ed essi risposero che non l'avrebbero fatto per niente al mondo. Quindi il re dei Persiani chiese agli Indiani chiamati Callati" oiJ; tou;" goneva" katesqivousi"( III, 38, 4) che mangiano i genitori, a quale prezzo avrebbero accettato di bruciarli nel fuoco, e quelli gridando forte lo invitavano a non dire tali empietà. Così, conclude Erodoto, queste usanze sono diventate tradizionali, e a me sembra che giustamente Pindaro abbia fatto, affermando che la consuetudine è regina di tutte le cose ("novmon pavntwn basileva fhvsa" ei\nai"). Vedi a questo proposito il volumetto novmo~ basileuv~ a cura di Ivano Dionigi.
[14] "Del destino normalmente riservato alla donna ateniese Senofonte dà nell'Economico un'icastica rappresentazione (Senofonte, Oec. 7.=
…lo stesso ritratto della moglie, posta a capo della dispensa e dei servi e con il diretto controllo sulle entrate e sulle uscite, più volte interpretato come fedele resoconto della condizione della donna ateniese, sembra risentire dei costumi persiani" ( Fabio Roscalla, introduzione a Senofonte, Economico, Rizzoli, Milano, 1991, p. 41. L'autore torna sull'argomento in La Letteratura Economica di Lo Spazio Letterario Della Grecia Antica, Volume I, Tomo I, p. 476 e sgg. ).
[15] L'ottima sposa si presenta, metaforicamente, come un arciere toxovth" che con il suo arco (tovxon) mira alla buona reputazione cui si accompagna la felicità nella culture of shame
[16] Euripide sembra indicare l'insufficienza "della cultura di vergogna"
[17] Nell'Elettra di Euripide il contadino che ha sposato la figlia di Agamennone senza del resto consumare il matrimonio, dopo avere visto la moglie che parla con Oreste davanti alla casupola, le dice:"gunaikiv toi - aijscro;n met' ajndrw'n eJstavnai neaniw'n" ( vv. 343 - 344), per una donna certo è una vergogna stare fuori con uomini giovani.
[18] Secondo Saffo il silenzio assoluto è uno degli effetti del mal d'amore:" allora non / è possibile più che io dica niente / ma la lingua mi rimane spezzata" (fr. 31 LP, vv.7 - 9).
[19]Svevo, La coscienza di Zeno, p. 241.
[20] S. Kierkegaard, Diario del seduttore (del 1843), p. 53.
[21] Del 430 ca.
[22] N. Loraux Aspasia, la straniera, l’intellettuale, in Grecia al femminile, p. 126.
[23] La sonata a Kreutzer in Tolstoj Romanzi brevi, p. 323.
[24] Immagino di tipo morale
 [25] D. Merezkovskij, Tolstòj e Dostojevskij, p. 101.
[26]Parerga e paralipomena Tomo II, p. 832 e ss. 
[27] Di là dal bene e dal male, Aforismi e interludi, 168.
[28] L’anticristo, Legge contro il cristianesimo data nel dì della salute, il 30 settembre 1888 della falsa cronologia..
[29] Aurora, I, 76.
[30] L'Ars amatoria (in distici elegiaci) costituisce una precettistica erotica in tre libri: nei primi due il poeta fa il maestro d'amore agli uomini, nel terzo alle donne. Questa raccolta a sfondo didascalico fu completata nell'1 o nel 2 d. C, come i Remedia amoris e i Medicamina faciei femineae. Ovidio, nato a Sulmona, e morto in esilio a Tomi sul Mar Nero, visse tra il 43 a. C. e il 17/18 d. C.
[31] Ars amatoria, III, 101.
[32]Conte - Pianezzola, Il libro della letteratura latina, Edizione Modulare, 8, p. 513.
[33] Una mezzana, illa monebat/ talia (Amores, I, 8, 21 - 22), lei dava tali consigli.
[34] A. La Penna, Fra teatro, poesia e politica romana, p. 186.

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