Capitolo
1
Aristofane
nacque ad Atene intorno al
Ricaviamo
dalle sue commedie le notizie sulla vita. Ne scrisse una quarantina conseguendo
cinque vittorie: a noi sono arrivati undici drammi: gli Acarnesi (425), i
Cavalieri (424) le Nuvole (423), le Vespe (422),
poi
prosegue in latino nei drammi di Plauto e Terenzio.
La
Poetica di Aristotele afferma che la
tragedia vuole rappresentare personaggi migliori di quelli reali (beltivou") mentre commedia è imitazione di uomini peggiori di noi
(ceivrou" tw'n nu'n 1448a), ossia volgari e tali che
non suscitano tanto lo sdegno quanto il riso provocato dalla visione del
ridicolo "Il ridicolo" infatti spiega il filosofo "è qualche
cosa di sbagliato" (amavrthma, 1449a).
L'errore a dire il vero viene menzionato anche
per i personaggi tragici (amartiva, 1453a); la differenza è che nei
loro confronti deve nascere pietà e terrore, mentre la commedia non produce
dolore né danno.
La
commedia è mivmhsi" faulotevrwn imitazione di personaggi che
valgono meno per il ridicolo (to;
geloi'on) che è parte
del brutto.
Il
ridicolo è un errore e una bruttezza indolore e non deleterio (aJmavrthmav ti kai; ai\sco" ajnwvdunon kai;
ouj fqartikovn),
proprio come la maschera comica è qualche cosa di brutto e stravolto ma senza
dolore (1449a).
E' l'assenza di pietà dunque che contraddistingue
la commedia dalla tragedia.
Hegel
nella sua Estetica sostiene che "sono propri del comico l'infinito buon
umore in genere e la sconfinata certezza di essere ben al di sopra della
propria contraddizione...ossia la beatitudine e l'essere a proprio agio della
soggettività che, certa di se stessa, può sopportare la dissoluzione dei suoi
fini e delle sue realizzazioni"(p.1591). Il comico è il soggettivo che non
soffre delle sue contraddizioni. Può essere uno scopo meschino perseguito con
serietà e non raggiunto senza sofferenza. Oppure individui frivoli che si
pavoneggiano mentre tendono a fini seri, come le Ecclesiazuse. Nel crollo di tutti i valori rimane quello della
soggettività
Questo
però anche nella tragedia (Medea superest).
Ancora
una volta il personaggio della commedia non suscita pietà. Viene fatto
l'esempio delle Ecclesiazuse di
Aristofane, le donne a parlamento che"vogliono deliberare e fondare una
nuova costituzione" ma "conservano tutti i loro capricci e passioni
di donne"(p. 1592).
Invece nella commedia nuova di Menandro
entrerà la compassione ed essa, esclusa dal comico, verrà inclusa nell'umorismo
del noto saggio di Pirandello:"Vedo una vecchia signora, coi capelli
ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente
imbellettata e parata d'abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella
vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora
dovrebbe essere...Il comico è appunto un avvertimento del contrario. Ma se ora
interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non
prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne
soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s' inganna che, parata così,
nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l'amore del
marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima,
perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel
primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del
contrario, mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta
qui la differenza tra il comico e l'umoristico".
Gli
altri 2 esempi: Marmeladov di Delitto e
castigo e Sant’Ambrogio di
Giusti. Cfr. la terapia del rovesciamento, e mettersi nei piedi dei ragazzi di
Leopardi: “gli scolari partiranno dalla scuola dell’uomo il più dotto,
senz’aver nulla partecipato alla sua dottrina, eccetto il caso (raro) ch’egli
abbia quella forza d’immaginazione, e quel giudizio che lo fa astrarre
interamente dal suo proprio stato, per mettersi ne’ piedi de’ suoi discepoli,
il che si chiama comunicativa. Ed è generalmente riconosciuto che la principal
dote di un buon maestro e la più utile, non è l’eccellenza in quella dottrina, ma
l’eccellenza nel saperla comunicare”[1].
Il
sentimento del contrario è dunque una forma di compassione, in senso
etimologico.
Il comico nasce dalla superiorità in cui viene
a trovarsi il pubblico rispetto all'attore[2]: deriva dunque dalla differenza di
significato che le parole hanno nella bocca e nelle intenzioni di chi le
pronuncia rispetto all'intendimento di chi le ascolta, più avanzato, siccome a
maggiore conoscenza dei fatti. Il riso allora scaturisce dalla soddisfazione
dello spettatore il quale si sente superiore poiché non partecipa delle
sofferenze che colpiscono il personaggio.
Ma,
tornando alla Poetica di Aristotele e
alle origini della commedia, questa nacque da "coloro che dirigevano i
canti fallici"(1449a).
I Dori rivendicano l'invenzione della commedia
etimologizzandola con il vocabolo dorico kwvmh (villaggio): il nome sarebbe
derivato dal fatto che gli attori passavano kata; kwvma",
di villaggio in villaggio.
L'altra etimologia possibile, pur se scartata
dai Dori, è quella che collega commedia con il verbo kwmavzw
(faccio baldoria) e con il sostantivo kw'mo" (processione bacchica).
Ne
risulta la possibile origine campagnola di un genere dai contenuti licenziosi e
mordaci che sembra condividere qualche aspetto con i Fescennini romani:
"versibus alternis opprobria rustica
", insulti rustici in versi alterni, come li definisce Orazio (Epistole II, 1,146). Cfr. Gli stornelli
fiorentini.
Certo
è il collegamento del dramma, sia comico sia tragico, con i riti della
fertilità e con il culto di Dioniso, un dio la cui rinascita costuiva al tempo
stesso una speranza di resurrezione per i suoi seguaci e un simbolo della
vicenda delle messi o della vegetazione in genere connessa all'eterno
alternarsi delle stagioni.
Cfr.
Ammiano Marcellino sulle feste ad Antiochia per la morte di Adone quod in adulto flore sectarum est indicium
frugum "(XXII, 9, 15).
Tre
commedie contro la guerra: Acarnesi (del
425);
Aristofane
negli Acarnesi (del 425) dichiara
guerra alla guerra.
Il protagonista Diceopoli, il cittadino
giusto, fieramente avverso al conflitto, convince il coro che la guerra è un male
e lo induce a dire: "io non accoglierò mai in casa Povlemo" (v. 977), la personificazione degli orrori bellici,
visto come " un uomo ubriaco (pavroino"
aJnhvr, v. 981) il
quale "ha operato tutti i mali e sconvolgeva, e rovinava"(983) e, pur
invitato a bere nella coppa dell'amicizia, "bruciava ancora di più con il
fuoco i pali delle viti/e rovesciava a forza il nostro vino fuori dalle
vigne"(986 - 987). L'ubriaco agisce anche contro se stesso bruciando le
viti
Il campagnolo pacifista Diceopoli si fa portavoce
dei contadini, esasperati poiché la guerra del Peloponneso nella fase
archidamica (431 - 421) aveva distrutto ogni anno i raccolti.
Respinto Polemos, arriva
"
che il pene del marito rimanga a casa " o{pwς a}n oijkourh'/ to; pevoς tou' numfivou",
1060). Questa preghiera fa breccia nel cuore del cittadino giusto, il pacifista
Diceopoli alter ego di Aristofane:
"perché
una donna non merita di soffrire per la guerra"(Acarnesi, 1062).
Nella
seconda commedia pacifista (Pace del
421) la Festa - Qewriva - la cui statua si trova su un
lato di quella della Pace odora di frutta, conviti, di grembi di donne che
corrono verso la campagna ( kovlpou
gunaikw'n diatrecousw'n eij" ajgrovn,
v. 536) e di tante altre cose buone.
Qui
si racconta che gli dèi [3] si sono allontanati dagli uomini
per non vederli sempre combattere e li hanno abbandonati a Polemo il quale ha
gettato
I
pestelli della pace in Aristofane e i pestelli della sinistra nella politica
italiana
Aristofane nella Pace del 411 chiama Cleone il pestello (aJletrivbano", v. 269) degli Ateniesi mentre il pestello degli
Spartani è Brasida (282)
Da
qualche anno in Italia abbiamo diversi pestelli della sinistra.
Il
più efficiente, il loro capo è Renzi.
giovanni
ghiselli
La
pace accresce le possibilità di vita secondo Trigeo che è, come Diceopoli, un
contadino pacifista: essa consente di navigare, rimanere dove si è, fare
l'amore, dormire, andare a vedere le feste, banchettare, giocare al cottabo, e
gridare iù iù (vv. 341 - 345). Vogliono le guerre i fabbricanti di lance e i
mercanti di scudi per i loro guadagni (vv. 447 - 448).
Alla
fine costoro riceveranno le pernacchie, mentre i contadini potranno tornare al
lavoro dei campi richiamando alla memoria l'antica vita che
Alla
pace ritrovata seguono progetti e preparativi di feste a base di scorpacciate
culinarie e sessuali: Teoria ha un culo da Festa quinquennale e va molto bene;
la focaccia è cotta, la torta col sesamo è impastata e tutto il resto è
pronto:"tou' pevou" de;
dei' " (v. 870),
manca solo il bischero.
Nella
Pace di Aristofane, il contadino
pacifista Trigeo cita due esametri omerici [5]: "è privo di legami sociali,
di leggi, di focolare quello che/ama la guerra civile agghiacciante (polevmou e[ratai ejpidhmivou, vv. 1097 - 1098).
Ogni
guerra in fondo è una guerra civile secondo i princìpi dell’umanesimo.
Nei
conflitti interni molti valori si capovolgono: lo afferma Tucidide a proposito
della stavsi" di Corcira, quando ci fu una
tranvalutazione generale e le stesse parole cambiarono il loro significato
originario:"Kai; th;n
eijwqui'an ajxivwsin tw' ojnomavtwn ej" ta; e[rga ajnthvllaxan th'/
dikaiwvsei. Tovlma me;n ga;r ajlovgisto" ajndreiva filevtairo"
ejnomivsqh" (III,
82, 4), e cambiarono arbitrariamente l'usuale valore delle parole in rapporto
ai fatti. Infatti l'audacia irrazionale fu considerata coraggio devoto ai
compagni di partito.
"Un'audacia
"ajlovgisto"” prende il nome di coraggio, la
prudenza si chiama pigrizia, la moderazione viltà, il legame di setta viene
prima di quello di sangue, e il giuramento non viene prestato in nome delle
leggi divine, bensì per violare le umane. Sinistro carnevale, mondo a rovescio,
in cui è necessario lottare con ogni mezzo per superarsi e in cui nessuna
neutralità è ammessa. Così appare, a Corcira, per la prima volta tra gli
Elleni, la più feroce di tutte le guerre (Tucidide, III, 82 - 84)"[6].
Nel Bellum
Catilinae di Sallustio, Catone, parlando in senato dopo e contro Cesare, il
quale aveva chiesto di punire i congiurati "solo" confiscando i loro
beni e tenendoli prigionieri in catene nei municipi, denuncia questo
cambiamento del valore delle parole:"iam
pridem equidem nos vera vocabula rerum amisimus: quia bona aliena largiri
liberalitas, malarum rerum audacia fortitudo vocatur, eo res publica in extremo
sita est " (52, 11), già da tempo veramente abbiamo perduto la verità
nel nominare le cose: poiché essere prodighi dei beni altrui si chiama
liberalità, l'audacia nel male, coraggio, perciò la repubblica è ridotta allo
stremo.
Nella
II Parabasi della Pace il Coro di
contadini proclama la sua gioia per la libertà dagli impegni bellici e la
possibilità che la pace offre di stare vicino al fuoco a bere con i compagni,
arrostire ceci, mettere ghiande al fuoco e sbaciucchiare la serva tracia mentre
la moglie si lava. Poi quando arriva l'estate con la dolce canzone della cicala[7] Trigeo gode nel vedere maturare
vigne precoci e mangiare i fichi dicendo "w|rai fivlai"
(v. 1168), che bella stagione! Tutto questo succede invece dell’ essere
arruolati ancor prima dei cittadini e di dover obbedire a un capitano
vigliacco. Alla festa finale arriva un mercante di falci che ha ripreso la sua
attività ed è grato a Trigeo, mentre il mercante di armi è addolorato. Il
cimiero che lui vende può servire al massimo per pulire la tavola e la corazza
per cacarci dentro. Le lance segate in due potranno fare da pali di viti. Infine
c'è la festa di nozze fra Trigeo e Opora (il raccolto, personaggio muto come
Pace e Teoria): lui ce l'ha grande e grosso, lei ha la fica dolce (tou' me;n mevga kai; pacuv - th'" d’ hJdu;
to; su'kon - 1350 - 1351).
La
terza commedia pacifista è Lisistrata
,del 411.
Prologo
(vv.1 - 253)
Prima
parte (vv. 1 - 20).
Lisistrata
intende ribellarsi al costume di tenere la donna chiusa in casa.
La donna qui non è causa della guerra, come
Elena di Troia nell’Agamennone di
Eschilo (458) o nelle Troiane di
Euripide (415), bensì fautrice della pace attraverso lo sciopero del sesso.
Interessanti
in questa commedia sono anche motivi femministici ante litteram.
Lisistrata
ha convocato le donne davanti a casa sua sulla pendice nord est dell’Acropoli
ma non se ne vede nessuna tranne la vicina Cleonice la quale domanda all’amica
perché sia così sconvolta.
Lisistrata
è inquieta e Cleonice le chiede perché sia sconvolta - tiv suntetavraxai; (7). Lisistrata è accigliata e Cleonice le fa
notare, femminilmente, che aggrottare le sopracciglia come archi non le dona - ouj ga;r prevpei soi toxopoiei`n ta;"
ojfru`" - (8) La
femminilità, la cura dell’aspetto non dovrebbero essere mai trascurate dalle
donne.
- tovxon
- tov - è l'arco e
pure la freccia la cui punta talora veniva avvelenata cfr. tossico -
La
donna e l'uomo reciprocamente stranieri.
Lisistrata
risponde che mentre le donne sono reputate dagli uomini panou'rgoi (12)
capaci di tutto, ora che lei le ha convocate per decidere ouj peri; fauvlou pravgmato" (14) su una faccenda di non poco
conto, non sono venute.
Cleonice
ribatte calephv toi gunaikw'n
e[xodo" (16) è
difficile per noi donne uscire.
Infatti,
spiega, una di noi deve stare china sul marito, l'altra deve svegliare lo
schiavo, l'altra mettere a letto il bambino, l’altra lavarlo, l'altra
imboccarlo (vv. 17 - 20).
Medea
due volte straniera.
La
cultura pragmatica non arricchisce nessuno di bellezza e bontà, mentre impoverisce
molti siccome è povera di carità.
In una intervista a
J. Duflot Pasolini dichiara che nel suo film ha voluto mettere in evidenza il
contrasto tra la cultura razionale e pragmatica di Giasone e quella arcaica e
ieratica della barbara:" Ho riprodotto in Medea tutti i temi dei film precedenti (...) Quanto alla pièce di Euripide, mi sono semplicemente
limitato a qualche citazione (...) Medea è il confronto dell'universo arcaico,
ieratico, clericale, con il mondo di Giasone, mondo invece razionale e
pragmatico. Giasone è l'eroe attuale (la mens
momentanea) che non solo ha perso il senso metafisico, ma neppure si pone
ancora questioni del genere. E' il "tecnico" abulico, la cui ricerca
è esclusivamente intenta al successo (...) Confrontato all'altra civiltà, alla
razza dello "spirito", fa scattare una tragedia spaventosa. L'intero
dramma poggia su questa reciproca contrapposizione di due "culture",
sull'irriducibilità reciproca delle due civiltà (...) potrebbe essere benissimo
la storia di un popolo del Terzo Mondo, di un popolo africano, ad esempio[8]".
Giasone è un
pragmatico: “l'interpretazione puramente pragmatica (senza Carità) delle azione
umane deriva in conclusione da questa assenza di cultura: o perlomeno da questa
cultura puramente formale e pratica"[9].
Qui l'autore parla
del vuoto di Carità dell'Italia degli anni Settanta. Ma riferiamolo alla Medea
di Euripide. Il pragmatismo di Giasone si manifesta chiaramente quando il
seduttore dichiara alla sua ex moglie di avere voluto cambiare donna, prendendo
la principessa di Corinto, non perché odiasse la madre dei suoi figli, o perché
ne volesse altri, ma per la cosa più importante: vivere bene, lui con la
famiglia, o le famiglie, e senza restrizioni (wJ", to; men; mevgiston, oijkoi''men
kalw'" - kai; mh; spanizoivmeqa), sapendo con certezza che il povero tutti lo sfuggono (vv. 559 - 560).
Abbiamo già messo in rilievo che Giasone "dra'/ ta; sumforwvtata - ghvma" tuvrannon " (v. 876 - 877) fa quello che è più
utile sposando la figlia di un re
Cfr.
quanto dice
"E
se con noi che ci affatichiamo in questo con successo,
il
coniuge convive, sopportando il giogo non per forza,
la vita è invidiabile; se no, bisogna morire.
Un uomo poi, quando gli pesa stare insieme a
quelli di casa,
uscito fuori, depone la noia dal cuore
volgendosi
a un amico o a un coetaneo;
per noi al contrario è necessario mirare su una
sola persona
Dicono di noi
che viviamo una vita senza pericoli
in casa, mentre loro combattono con la lancia,
pensando male: poiché io tre volte accanto a
uno scudo
preferirei stare che partorire una volta sola.
Però non vale proprio
lo stesso discorso per te e per me;
tu hai questa tua città e la casa paterna
e comodità di vita e
compagnia di amici,
io, poiché sono
isolata e senza città, devo subire oltraggi
da un uomo, dopo
essere stata rapita da una terra barbara,
senza avere la madre,
né un fratello, né un congiunto
per trovare un
ancoraggio fuori da questa sventura” (241 - 258)
Excursus
La
moglie casalinga, sottomessa e silenziosa. Alcune espressioni di antifemminismo
in diversi autori
Secondo
Senofonte [10] la sposa deve occuparsi dei lavori
interni alla casa, mentre il marito seguirà quelli esterni. Infatti per la
donna è più bello restare dentro casa che vivere fuori (" Th'/ me;n ga;r gunaiki; kavllion e[ndon mevnein
h] quraulei'n", Economico, VII, 30); per l'uomo al
contrario è più vergognoso rimanere in casa che impegnarsi nelle cose esterne.
Nella
Danae di Nevio [11] leggiamo:" Desubito famam tollunt, si quam solam videre
in via " (fr. 6 Marmorale) se hanno visto una donna sola per strada,
la coprono subito di infamia.
Vediamo come andava nella Sicilia dei
Malavoglia di Verga.
“Quella
buona donna di comare Grazia s’era affacciata apposta in camicia per dire
qualche cosa a suo marito
“Tu
va a filare! - rispondeva compare Tino - Le donne hanno i capelli lunghi ed il
giudizio corto -. E se ne andò zoppicando a bere l’erbabianca da compare
Pizzuto” [12].
Medea
evidentemente non vuole stare al gioco le cui regole sono imposte dai maschi.
Una riflessione su questo argomento si trova in Madame Bovary di Flaubert quando
Emma desidera un figlio di sesso maschile:"Un uomo, almeno, è libero; può
passare attraverso le passioni e i paesi, superare gli ostacoli, gustare le più
remote felicità. Ma una donna è continuamente frustrata. Inerte e flessibile
insieme, ha contro di sé le debolezze della carne come la schiavitù del codice.
La sua volontà, come il velo del suo cappellino trattenuto da un cordoncino,
palpita a ogni vento; c'è sempre qualche desiderio che la trascina, c'è sempre
qualche convenienza che la trattiene" (p. 74).
Si
può pensare per contrasto ai costumi degli Egiziani quali vengono descritti da Erodoto.
Lo storiografo che ama rilevare le diversità degli usi dei vari popoli, non
senza la santa tolleranza [13], nota che gli Egiziani,
conformemente al clima diverso, e al fiume differente dagli altri, hanno
costumi e leggi contrari a quelli degli altri uomini:" ejn toi'si aiJ me;n gunai'ke" ajgoravzousi
kai; kaphleuvsi, oiJ de; a[ndre" kat j oi[kou" ejovnte"
uJfaivnousi" (II,
35, 2), presso di loro le donne vanno al mercato e trafficano, gli uomini
invece tessono stando in casa.
Di
questo passo erodoteo si ricorda Sofocle nell' Edipo a Colono senza però che il protagonista consideri
equivalenti, o dipendenti dal clima, costumi tanto diversi: infatti il vecchio
cieco, incestuoso e parricida biasima i figli maschi poiché hanno costumi
simili agli Egiziani: Eteocle e Polinice infatti " kat j oi\kon oijkorou'sin w{ste parqevnoi" (v. 343) restano in casa
come fanciulle, mentre le due figlie, Antigone e Ismene, si sobbarcano i gravi
affanni del padre.
Implacabile
è l'odio di Edipo contro i maschi della sua stirpe. Pealtro adora le femmine di
casa.
Al
modello di moglie chiusa in casa, sia essa la donna ideale ateniese o persiana [14] o di Ilio, assomiglia la
sfortunata Andromaca delle Troiane
(del 415) di Euripide:" Io che mirai alla buona fama (ejgw; de; toxeuvsasa [15] th'" eujdoxiva",
v.643) /dopo averla ottenuta in larga misura, fallivo il successo (th'" tuvch" hJmavrtanon, v. 644 )
[16]./Infatti quelle che sono le
qualità conosciute di una sposa saggia/io le mettevo in pratica nella casa di
Ettore./Là dunque per prima cosa - che vi sia o non vi sia/motivo di biasimo
per le donne (yovgo" gunaixivn, v. 648) - la cosa in sé
attira/cattiva fama se una donna non rimane in casa [17],/io, messo via il desiderio di
questo, rimanevo in casa (" e[mimnon
ejn dovmoi" ",
v. 650);/e dentro casa non facevo entrare scaltre chiacchiere di donne/, ma
avendo come maestro il mio senno (to;n
de; nou'n didavskalon,
v. 652)/ buono per natura, bastavo a me stessa./E allo sposo offrivo silenzio
di lingua[18] e volto/ calmo ("glwvssh" te sigh;n o[mma q j h{sucon povsei
- parei'con",
vv. 654 - 655); e sapevo in che cosa dovevo vincere lo sposo,/e in che cosa
bisognava che lasciassi a lui la vittoria" (vv. 643 - 656).
A
questo tipo di donna appartiene Monica, la madre di Agostino la quale “tradita viro servivit veluti domino” (Confessiones, 9, 9), affidata al marito,
lo servì come un padrone. Non solo: “ita
autem toleravit cubilis iniurias, ut nullam de hac re cum marito haberet umquam
simultatem”, del resto tollerò le offese del letto tanto da non farne mai
motivo di litigio. E non è finita qui: aveva imparato a non opporsi al marito
infuriato e questa remissività la salvava dalle botte che invece le mogli
litigiose buscavano. E quando ne parlavano con lei “illae arguebant maritorum vitam, haec earum linguam”, quelle
accusavano la vita dei mariti, ella la loro lingua. Ricordava pure che il
contratto matrimoniale prevedeva la loro schiavitù, per cui, memori della loro
condizione, non era il caso che fossero arroganti con i loro padroni: “proinde memores conditionis superbire adversus
dominos non oportere”. Ella con il suo metodo non prendeva botte dal pur
violento marito Patrizio. Insomma Monica era perseverans tolerantia et mansuetudine, persistente nella
tolleranza e nella mansuetudine.
Nel Secretum
del Petrarca, Agostino, che vuole liberare l'animo di Francesco dai due
errori più pericolosi, l'amore per la gloria e l'amore per Laura, mette in
guardia il poeta dai pericoli connessi alla bellezza delle donne, effimera e
ingannevole, se non addirittura inesistente. La svalutazione e lo svilimento
del corpo femminile, sono necessari a chi voglia emanciparsi dall'irrazionale
soggezione alla libidine erotica: "Pauci
enim sunt qui, ex quo semel virus illud illecebrose voluptatis imbiberint,
feminei corporis feditatem de qua loquor, sat viriliter, ne dicam satis
constanter, examinent " (III, 70), sono pochi quelli che, da quando
una volta sola abbiano assorbito quel noto veleno del piacere seducente,
possono considerare abbastanza energicamente, per non dire con sufficiente costanza,
la laidezza del corpo femminile della quale parlo.
Non
diversi da quelli di Ettore sono i gusti del triestino Zeno di Svevo:"Ora
non avrei avuto che un desiderio: correre dalla mia vera moglie, solo per
vederla intenta al suo lavoro di formica assidua, mentre metteva in salvo le
nostre cose in un'atmosfera di canfora e di naftalina"[19].
Ancora più radicale di Andromaca è l'Elettra
di Euripide quando dice:" gunai'ka
ga;r crh; pavnta sugcwrei'n povsei - h{ti" frenhvrh": h|/ de; mh;
dokei' tavde, - oujd j eij" ajriqmo;n tw'n ejmw'n h{kei lovgwn" Elettra, v. 1052), in effetti è necessario che ceda in tutto al
marito la donna che ha senno; quella cui questo non sembra giusto, non la tengo
in nessuna considerazione.
La
donna dunque fa male a parlare anche con altre donne dentro casa dove la
virtuosa Andromaca non introduceva komya;
qhleiw'n e[ph ( Troiane, v. 651), scaltre chiacchiere di
femmine (p. 260).
Nelle
Fenicie di Euripide il pedagogo
avverte Antigone, il giovane, glorioso virgulto (kleinovn qavlo",
v. 88) che per le donne è un piacere non dire niente di buono sparlando le une
delle altre:"hJdonh; dev
ti" - gunaixi; mhde;n uJgie;" ajllhvla" levgein" (vv. 200 - 201).
Parecchi
secoli più tardi il seduttore intellettuale di Kierkegaard auspica che la
ragazza cresca nella solitudine e nel silenzio:"Se dovessi figurarmi
l'ideale di una fanciulla, questa dovrebbe sempre essere sola al mondo e quindi
dedita a se stessa, ma anzitutto non dovrebbe avere amiche. E' ben vero che le
Grazie furono tre, ma certamente neppure venne mai in mente ad alcuno di
figurarsele a parlar tra loro; esse compongono nella loro tacita triade una
leggiadra unità femminile. A tal proposito sarei quasi tentato di suggerire
delle gabbie per le vergini, se tale costringimento non agisse invece in senso
negativo. E' sempre augurabile per una giovinetta che le venga lasciata la sua
libertà, ma che non le venga offerta occasione di servirsene"[20].
La
moglie perfetta dunque non deve frequentare, non diciamo dei maschi che sarebbe
una nefandezza meritevole di ripudio, ma nemmeno altre femmine con le quali
potrebbe ordire congiure e progettare sconcezze.
Nel Duvskolo" di Menandro, Sostrato, l'innamorato
e pretendente della figlia del misantropo, in un breve monologo elogia
l'educazione presumibilmente ricevuta dalla ragazza:"Se questa fanciulla
non è stata educata tra le donne e non conosce nessuno di questi mali nella
vita, e non è stata terrorizzata da qualche zia e balia, ma è venuta su
liberamente con questo padre selvaggio che odia il male, come potrebbe non
essere la mia felicità unire la mia sorte alla sua?" (vv. 384 - 389).
E' proprio vero che essere innamorati
significa esagerare irragionevolmente le differenze tra una donna e un'altra.
Il
silenzio e la tranquillità come virtù femminili vengono indicate anche da
un'altra eroina e martire euripidea: Macaria che negli Eraclidi [21] di Euripide dà la propria vita per
salvare quella dei fratelli:"gunaiki;
ga;r sighv te kai; to; swfronei'n - kavlliston, ei[sw q j h}sucon mevnein
dovmwn"(vv. 476 -
477), per la donna infatti il silenzio e l'equilibrio sono la dote più bella,
poi rimanere in tranquillità dentro la casa.
"La
donna, piaccia, taccia e stia in casa", pontificava il Duce che non aveva
toccato il fondo. Infatti si potrebbe aggiungere: " ma non nella
mia".
Del
resto il grande e illuminato Pericle nel celebre epitafio sui caduti del primo
anno di guerra sostiene che la virtù delle vedove consisterà nel non essere più
deboli di quanto comporta la loro natura, e che sarà loro gloria se si parlerà
pochissimo di loro in lode o in biasimo (II, 45, 2).
“In
altre parole, per citare il drastico ma efficace riassunto di Virginia Woolf
intorno a questa allocuzione, “la gloria più grande per una donna è che non si
parli di lei, diceva Pericle che, dal canto suo, era uno degli uomini di cui si
parlava di più”[22].
Fine
excursus
Torniamo
alla commedia di Aristofane
Lisistrata
intende ribellarsi a questi costumi e risponde a Cleonice che per le donne ci sono
altre cose ben più importanti e utili da fare che stare dentro casa asservite –e{tera poujrgiaivtera aujtai`" (Lisistrata, 20)
Capitolo
2
La
trovata di Lisistrata. La salvezza della Grecia intera sta nelle mani delle
donne.
Cleonice
domanda se si tratta di un affare (pra'gma) di qualche grandezza quello per
cui ha convocato le donne. Lisistrata risponde mevga,
grande.
E Cleonice, non senza malizia, replica “kai; pacuv;”
anche grosso? 23
Lisistrata
conferma.
Allora
Cleonice si stupisce, dato l’affare grande e grosso, dell’assenza delle donne.
“E
allora come mai non siamo qui?” 24
Non si tratta di questo, spiega Lisistrata,
ché in tal caso ci saremmo già riunite tutte - tacu; ga;r xunhvlqomen
(25)
Dunque
quanto immaginato da Cleonice non c’entra, siccome è un affare che Lisistrata
ha cercato - pra`gmj ajnezhthmevnon e agitato durante molte notti di
veglia (27)
Cleonice
pensa a qualche sottigliezza ti
leptovn ejsti, se ci
sono volute tante veglie agitate.
Lisistrata
le dà ragione rincarando la dose della sottigliezza e quasi opponendosi
all’allusione precedente riferita al grande e grosso (membro maschile penso io nella
mia malizia)
E’
tanto sottile che la salvezza dell’Ellade intera sta nelle donne chiarisce
Lisistrata
ou{tw
ge lepto;n w[sq hj o{lh" th`" JEllavdo" - ejn tai`"
gunaixin ejsti hJ swthriva
( 30 - 31)
La
salvezza delle specie sta sempre nelle femmine, tanto quelle umane quanto
quelle degli animali. Tutti noi viventi siamo stati messi al mondo dalle
femmine e queste poi ci hanno tenuti in vita quasi sempre senza la
collaborazione dei maschi.
Pesaro
primo ottobre 2021 ore 20, 06. E’ l’ora del giro al molo del porto per vedere
le stelle sul mare. Questa nostra madre terra è un paradiso celeste oltre che
terrestre
Capitolo
3
L’eterna
seduzione femminile commentata con malevolenza da diversi autori.
Gli
affari della città, ripete Lisistrata, devono stare in mano nostra - ejn hJmi`n th`" povlew" ta; pravgmata -
32
Una possibilità per porre termine alla guerra
sarebbe eliminare i Peloponnesiaci e sterminare i Beoti.
Escludi
però le anguille interviene Cleonice. Era questo un cibo ghiotto che veniva dal
lago Copaide, in Beozia, come abbiamo già visto negli Acarnesi e nelle.
Ma
nello sterminio potrebbero essere inclusa Atene. Allora la soluzione deve
essere un’altra, continua Lisistrata
Dunque: noi donne di Atene, con quelle di
Beozia e con quelle del Peloponneso insieme salveremo
In
effetti le donne possono salvarci se non diventano come gli uomini. Ma ora
vengono pure addestrate dagli uomini a fare la guerra, da altre donne a odiare
tutti gli uomini, indiscriminatamente.
Cleonice
dubita che le donne le quali se ne stanno dipinte come fiori - ejxhnqismevnai (43) e sono imbellettate kekallwpismevnai e indossano vesti color zafferano o vesti cimbriche
trasparenti e tuniche che cadono a piombo e scarpine eleganti possano fare
qualche cosa di intelligente o di significativo - frovnimon h] lamprovn - (42 - 45).
Lisistrata
ribatte che si aspetta la salvezza proprio dalle vesti color zafferano e i
profumi ta; muvra, e le scarpine e il rossetto (a[gcousa
- latino anchusa tinctoria dalle
radici rosse) e le vesti trasparenti - kai;
ta; diafanh` citwvnia - 46
- 48).
E’
l’eterna mascherata delle donne per sedurre gli uomini. Noi maschi del resto
non siamo da meno e spesso usiamo mezzi molto meno nobili dei loro belletti.
Sentiamo
Tolstoj sulla potenza, spesso fuorviante, della bellezza. Chi parla è
Pòzdnyshev il protagonista di La sonata a
Kreutzer (1889) il quale racconta come è arrivato a uccidere per gelosia la
moglie, una donna bella ma non adatta a lui:" E' cosa davvero sorprendente
con quanta facilità siamo indotti a illuderci che bellezza e bontà siano
insieme congiunte. Quando una bella donna dice delle sciocchezze, stai a
sentirla volentieri, e per quante papere ella dica, ti sembra intelligente. Se
si comporta e parla come una villana, ti appare avvenente e gentile. Quando poi
ella non dice né sciocchezze né cose disdicevoli, ed è anche graziosa, allora
credi sul serio ch'ella sia un miracolo d'intelligenza e moralità"[23].
E
più avanti:"l'amore più eletto e più poetico, come noi diciamo, non
dipende per nulla dalle doti dello spirito, ma dalla fisica attrazione, da una
pettinatura invece di un'altra, dal colore, dal taglio d'un abito…soltanto il
corpo noi desideriamo, siamo pronti a perdonare ogni bruttura [24], ma non già la scelta d'un abito
senza garbo né grazia, ma non già un tono di colore che strida. La civetta ha
di tutto ciò perfetta conoscenza, ma anche l'innocente fanciulla lo sa per
istinto, come gli animali. Ed ecco il motivo di quei maledetti jersey, di
quegli abiti attillati, scollacciati, di quelle braccia nude, di quei seni mostrati.
Le donne, specie quelle donne che hanno già esperienza di uomini, sanno bene
che conversare su alti argomenti approda a ben poco, all'uomo non preme altro
che il corpo, quanto può farlo risaltare, sia pure con mezzi artificiosi, e a
ciò si adoperano le donne." (p. 325).
Tra
i due grandi romanzieri russi, Dostoevskij è stato il visionario dell'anima e
Tolstoj piuttosto il veggente del corpo; più precisamente "di quel lato
della carne che è rivolto verso lo spirito e di quel lato dello spirito che è
rivolto verso la carne: regione misteriosa ove si compie, nell'uomo, la lotta fra
Kafka
nella Lettera al padre scrive: “A
trentasei anni si parlò “del mio ultimo progetto di matrimonio. Tu mi dicesti
pressappoco: “Quella avrà indossato una bella camicetta che la faceva carina,
le ebree di Praga se ne intendono, dopo di che tu hai deciso di sposarla. E il
più presto possibile, fra una settimana, domani, oggi. Non ti capisco, ormai
sei un uomo, vivi in città, e non sai fare di meglio che sposare la prima
venuta. Non ci sono altre combinazioni?” (pp. 111 - 112)
Sentiamo
Schopenhauer ancora più duro nei Parerga e
Paralipomena: "La natura ha destinato le giovinette a quello che, in
termini teatrali, si chiama "colpo di scena": infatti, per pochi anni
la natura ha donato loro rigogliosa bellezza, fascino e pienezza di forme, a
spese di tutto il resto della loro vita, affinché, cioè, siano capaci di
impadronirsi durante quegli anni della fantasia di un uomo in misura tale, che
egli si lasci indurre a prendersi onestamente una di loro per tutta la vita, in
una forma qualsiasi, passo al quale la mera riflessione razionale non
sembrerebbe aver dato nessuna sicura garanzia di invogliare l'uomo. Perciò la
natura ha provvisto la femmina, appunto come ogni altra delle sue creature,
delle armi e degli utensili di cui ha bisogno per la sicurezza della sua
esistenza e per tutto il periodo in cui ne ha bisogno; e anche qui la natura ha
provveduto con la sua consueta parsimonia. Come ad esempio, la formica femmina,
dopo l'accoppiamento, perde per sempre le ali, superflue, anzi pericolose per
la prole, così, di solito, dopo una o due gravidanze, la donna perde la sua
bellezza e probabilmente, perfino, per la stessa ragione. In conformità con
ciò, le giovinette considerano nel segreto del loro cuore, i loro lavori
domestici o professionali una cosa secondaria, forse, perfino, un semplice
trastullo: come loro unica seria professione esse considerano l'amore, le
conquiste e ciò che vi si collega, come acconciature, balli, eccetera (…)
Le
donne sono adatte a curarci e a educarci nell'infanzia, appunto perché esse
stesse sono puerili, sciocche e miopi, in una parola tutto il tempo della loro
vita rimangono grandi bambini: esse occupano un gradino intermedio fra il bambino
e l'uomo, che è il vero essere umano... le donne rimangono bambini per tutta la
vita, vedono sempre soltanto ciò che è vicino, rimangono attaccate al presente,
scambiano l'apparenza delle cose con la loro sostanza, e preferiscono inezie
alle questioni più importanti... le donne, in quanto sesso più debole, sono
costrette dalla natura a far ricorso non già alla forza ma all'astuzia: di qui
deriva la loro istintiva scaltrezza e la loro indistruttibile tendenza alla
menzogna... per la donna una sola cosa è decisiva, vale a dire a quale uomo
essa sia piaciuta... Il sesso femminile, di statura bassa, di spalle strette,
di fianchi larghi e di gambe corte, poteva essere chiamato il bel sesso
soltanto dall'intelletto maschile obnubilato dall'istinto sessuale: in
quell'istinto cioè risiede tutta la bellezza femminile. Con molta più ragione,
si potrebbe chiamare il sesso non estetico...Nel nostro continente monogamico,
sposare significa dividere a metà i propri diritti e raddoppiare i doveri...Nessun
continente è così sessualmente corrotto come l'Europa a causa del matrimonio
monogamico contro natura "[26].
Tutto
questo astio contro le donne è un chiaro sintomo di frustrazione.
Gli
uomini cui piacciono molto le donne - quorum ego - non le pensano malevolmente
perché sono simili a loro. Quanti amano molto le donne sono naturaliter
contrari al matrimonio: chi a una sola è fedele, con le altre è crudele".
Così
nessuno di questi uomini impugnerà più la lancia contro gli altri –dovru
- 50. fa Lisistrata
Era
come il fucile per chi faceva il servizio militare anni fa (io nel ’71).
Il
sergente ci arringava dicendo che non dovevamo mai lasciarlo quando lo avevamo
in consegna. Ora lo impugnano soldati e soldatesse con stupido orgoglio. E’ pur
sempre uno strumento di morte. Molto meglio i belletti e i rossetti
Quindi
Cleonice vuole subito andare a tingere le vesti di color zafferano
Capitolo
4. Lisistrata propone alle donne lo sciopero del sesso
Arriva
Mirrina e Lisistrata la rimprovera del ritardo
Quindi
Mirrina si scusa: nel buio ha durato fatica a trovare la cintura movli" ga;r hu\ron ejn skovtw/ to; zwvnion (72).
Il
nome della donna significa “piccolo muvrto" ”. Il mirto, sacro ad Afrodite
simboleggia la vagina, fichina dunque.
Arriva
poi la spartana Lampitò con una Beota e una Corinzia.
Lisistrata
saluta Lampitò con w\ filtavth
Lavkaina (78) e le
dice che il suo corpo è bello e fiorente (wJ"
eujcroei'" - wJ" de; sfriga'/ to; sw'ma sou).
Poi
aggiunge: potresti strangolare anche un toro (ka]n tau'ron a[gcoi",
80).
Lampitò
risponde, lo credo bene: gumnavddomai, faccio palestra io e salto sulle natiche
poti; puga;n
a{llomai.
Nell’Andromaca di Euripide, Peleo, il nonno
di Neottolemo, esecra le Spartane e i loro costumi: neppure se lo volesse,
potrebbe restare onesta (swvfrwn, v. 596) una delle ragazze di
Sparta che insieme ai ragazzi, lasciando le case con le cosce nude (gumnoi'si mhroi'" v.598) e i pepli sciolti, hanno
corse e palestre comuni, cose per me non sopportabili " (vv.595 - 600).
Plutarco
dà un'interpretazione non malevola dello stesso fatto: il legislatore Licurgo
volle che le fanciulle rassodassero il loro corpo con corse, lotte, lancio del
disco e del giavellotto (…) per eliminare poi in loro qualsiasi morbidezza e
scontrosità femminile, le abituò a intervenire nude nelle processioni, a
danzare e a cantare nelle feste sotto gli occhi dei giovani (Vita di Licurgo, 14). E' interessante il
fatto che Erodoto (I, 8) viceversa fa dire a Gige cui Candaule ha proposto di
vedere quanto fosse bella la moglie nuda:"la donna quando si toglie le
vesti, si spoglia anche del pudore".
Nelle
Leggi di Platone, l’Ateniese ricorda
allo Spartano che l’ideale guerriero della sua città non si cura abbastanza di
esercitare la capacità di resistenza al piacere, e aggiunge che non sarebbe
difficile, per chi volesse difendere le leggi di Atene, criticare le norme
spartane indicando la licenza delle loro donne: “deiknu;~ th;n tw`n gunaikw`n parj uJmi`n a[nesin “(637c).
Che
bellezza di tette hai! aggiunge Lisistrata - wJ" dh; kalo;n to; crh'ma tw'n titqw'n e[cei" ( Lisistrata, 83).
Poi
la caporiona dice alla Beota che ha un kalo;n
pedivon un bel campo.
La solita metafora per vagina.
Insomma
incoraggia le due possibili alleate e accade che mentre gli uomini si ammazzano
a vicenda, le donne solidarizzano tra loro sperando di dare il buon esempio ai
maschi.
Lampitò
quindi nota che la donna beota è pure depilata paratetilmevnh –parativllw - th;n blhcwv, (blhcwv è
un’erba aromatica (puleggio, varietà di menta) che rimanda al pelo del pube).
E’ rasata dunque della sua erba komyovtata, molto elegantemente (89).
Poi
c’è
Lisistrata
prima di esporre il proprio piano domanda alle donne se non sentano la mancanza
dei padri dei loro figli insomma dei loro uomini assenti per la guerra (tou;" patevra" ouj poqei'te tou;"
tw'n paidivwn - ejpi; stratia'" ajpovnta"; 99 - 100).
Cleonice
risponde che suo marito, w\ tavlan, poveretto è in Tracia da cinque
mesi,
Mirrina
che il suo è a Pilo, e lo spartano di Lampitò imbraccia sempre lo scudo anche
se qualche volta torna a casa ripartendone subito
Lisistrata
lamenta che non è rimasto nemmeno da utilizzare un ganzo (moicou',
107)
E
nemmeno si trova l’ o[lisbo" di otto dita ojktwdavktulo" o{" h\n a]n hJmi'n
skutivnh jpikouriva (110)
che era per noi un soccorso di cuoio 110. Non arrivano più “da quando i Milesi
ci hanno tradito” (108).
La
defezione dei Milesi provocata da Alcibiade nel 411 si legge in Tucidide (VIII,
17)
Lo
scoliasta dice che i servivano dell'olisbos aiJ ch'rai gunai'ke",
le donne vedove, e non solo loro.
Ritroviamo questo strumento di piacere triste
nel Mimiambo VI di Eroda (III
secolo).
Ci
sono due donne che parlano: Metro chiede a Coritto chi è che le ha cucito to;n kovkkinon baubw'na il fallo di cuoio scarlatto.
Questo
artigiano lavora in casa (kat j
oijkivhn ejrgazet j,
63) e vende di nascosto (ejnpolevwn
lavqrh/ ) siccome oggi
ogni porta rabbrividisce riguardo agli esattori: tou;" ga;r telwvna" pa'sa nu'n quvrh frivssei (64).
Coritto
le descrive il calzolaio Cerdone falakro;",
mikkov", calvo
piccolino.
Ma
è bravissimo a fare questi strumenti: gli uomini non fanno diventare ou{tw"
ojrqav così dritti loro bischeri. (ta; bavllia=tou;" fallouv").
E’
rigido e pure morbido come il sonno, ha rilegature di lana, non di cuoio. Non
c’è un altro calzolaio così provvido verso le donne. Dialetto ionico con
qualche mistura dorica e attica. Eroda come Menandro è conosciuto per i papiri
trovati in anni non tanto lontani (1891)
Il
metro è lo scazonte o coliambo, giambo zoppo.
Do
qualche notizia su Eroda, Ipponatte e i Mimiambi.
Eroda
è un poeta del III secolo, forse di Cos dove si svolge l'azione di almeno due
mimi ( il II, il lenone, e il IV, le donne che sacrificano ad Asclepio). Questi
mimi detti anche mimiambi sono scritti in coliambi, giambi zoppi, usati già da
Ipponatte (VI sec.). Sono otto, in dialetto ionico.
Il
coliambo, chiamato anche scazonte, è uguale al giambo nei primi due metri; nel
terzo metro, all'ultimo piede, spezza la cadenza giambica sostituendola con la
trocaica. Si crea così una metabola e un ritmo che sembra volere andare contro
corrente come la poesia di Ipponatte ed Eroda.
Snell,
Poesia e società. 1965
I
mimiambi sono brevi scene drammatiche paragonabili a quelle da cabaret. Ebbero
giudizi favorevoli da parte di chi interpretava i mimiambi nello spirito del
naturalismo dominante quando questi furono scoperti. Ma se Ibsen frugava nel
fango, dietro c'era l'accusa sociale. Qui non c'è traccia né di questa, né di
ottimismo pedagogico. Quando parlano il pornoboskov" (II) o la mezzana Gillide (I) o lo
skuteuv" (VII), in nessun punto appare che
queste siano povere creature degne di compassione: non sono brave persone
impedite da dure condizioni di vita, ma è gente inferiore per natura.
Particolarmente
sgradevole è il didavskalo" (III) dove una madre insiste con
il maestro affinché picchi il figlio (cfr. invece Quintiliano:"Caedi vero discentes...minime velim. Primum, quia deforme atque servile est et certe...iniuria
est". Institutio oratoria, I, 14). Quei colpi di bastone non
fanno ridere come quelli di Tersite o della commedia; essi suscitano solo disgusto.
La madre vorrebbe che al figlio venisse data un'educazione letteraria e
dice:"scorticalo finché non tramonta il sole, anche se è molto più
screziato di una serpe". Sembra che Eroda trovi più divertente e vivace la
bruttura morale della rettitudine insignificante.
Eroda
vorrebbe essere un secondo Ipponatte di Efeso che aveva dato voce ad un mondo
turpe e laido. I padri della chiesa anzi lo chiamavano la lingua più laida
della letteratura greca. Esprime miseria e risentimento: "tenetemi il
mantello; voglio dare un pugno a Bupalo nell'occhio!".
Eroda
non ha fini etici, come del resto Teocrito e Callimaco. I suoi personaggi non
sono nemmeno odiosi, ma solo volgari e brutali. Manca loro la cultura e
l'arguzia dei personaggi teocritei. I mimiambi di Eroda rivelano chiaramente
una cosa: tutta l'affettazione erudito - sentimentale - intellettuale
dell'Ellenismo è un imbroglio. (cfr. Giovenale e Plinio il giovane). Egli
procede molto oltre Euripide nel distruggere le illusioni e nello smascherare i
valori. Per lui la vita è solo stupida e brutale e l'agire egoistico dei
personaggi è insensato. Già Eteocle nelle Fenicie
di Euripide liquidava come chiacchiere le convenzioni morali e indicava l'unica
realtà autentica nella volontà di potenza (v. 524). Se infatti bisogna
commettere ingiustizia è bellissimo commetterla per il potere. Ma in Euripide
c'è una reazione: Tiresia al v. 867, sempre delle Fenicie, dice che la terra è malata:"nosei' ga;r hJvde gh' pavlai". Gli uomini di Euripide,
sebbene privati delle illusioni, sapevano ancora come si dovrebbe essere.
Aristofane
negli Uccelli faceva credere che la
vita razionale e naturale sarebbe tornata, se fossero stati mandati via i
millantatori ajlazovne", i chiacchieroni, i ciarlatani,
insomma le esistenze deformi che una volta non si usavano nemmeno come farmakoiv.
Forse
Eroda vuole dire a Callimaco e Teocrito che l'arte fine a se stessa è qualche cosa
di artificiale. Menandro studia la psicologia, Eroda l'istinto sessuale
primitivo, la barbarie che non si eleva al di sopra del livello ferino.
Le
possibilità della poesia greca erano esaurite quando Eroda arrivò a tanto
disgusto per l'uomo e a tanto scetticismo davanti al raffinamento della vita.
Dopo Eroda i Greci non trovarono nuove forme essenziali.
Per
tanto disgusto si può pensare ai
Viaggi di Gulliver (1726) di Jonathan Swift.
Le
donne greche dunque si trovano d’accordo nel voler porre fine alla guerra.
Lampitò
salirebbe in cima al Taigeto se da lassù potesse vedere la pace.
Lisistrata
dice¨” se vogliamo davvero la pace, noi donne dobbiamo dunque astenerci dal
bischero” - ajfekteva toivnun
ejsti;n hJmi'n tou' pevou"
(ajpevcw124).
A
queste parole le altre si voltano, piangono e cambiano colore.
Lisistrata
domanda se vogliano farlo o no
Cleonice
e Mirrina rispondono che non ne sono capaci, dunque: oJ povlemo" ejrpevtw (129 e 130), continui pure la
guerra.
Cleonice
aggiunge che piuttosto camminerà in mezzo al fuoco: questo è meglio della
mancanza del bischero: dia; tou'
puro;" - ejqevlw badivzein. tou'to ma'llon tou' pevou" (133 - 134). Pure Mirrina preferisce
badivzein dia; tou` purov" (137).
Pensate
a tutte le ipocrisie e le fandonie sulle donne angelicate. La mia generazione
ne è stata avvelenata.
Sentiamo
Nietzsche
“Il
cristianesimo diede a Eros del veleno da bere: egli non ne morì, ma degenerò in
vizio”[27].
“La
predica della castità è un pubblico incitamento alla contronatura”[28].
“Il
cristianesimo è riuscito a fare di Eros e Afrodite - grandiose potenze ricche
di forze ideali - coboldi infernali e spiriti fraudolenti (…) Stringere la
procreazione degli uomini in fraterna unione con la cattiva coscienza! Infine
questa diabolizzazione di Eros ha avuto un epilogo da commedia: il “diavolo”
Eros è divenuto a poco a poco più interessante per gli uomini di tutti gli
angeli e i Santi, grazie al sommesso parlottare e all’aria di mistero della
Chiesa su tutti i fatti erotici”[29].
Capitolo
5. L’eleganza delle donne in Aristofane e in Ovidio (il cultus)
Lisistrata
accusa tutta la razza delle Ateniesi di essere dissolutissima pagkatavpugon a{pan gevno" (137) - katapuvgwn=rotto in culo (puhghv)
e zozzone in genere. Dato che pensano a una sola cosa.
Chiede
comprensione e aiuto alla fivlh
Lavkaina 140 la cara
spartana Lampitò. Basteranno loro due ad aggiustare la cosa.
Si
diversificano i ruoli a partire dalle caporione.
Lampitò
risponde che è duro rimanere senza glande, ma c’è bisogno di pace (142 - 143).
Pensate
a quante volte abbiamo dovuto o voluto rinunciare a un’amante o un amante ad
maiora mala vitanda.
Cleonice
dubita che l’astensione dal sesso porti la pace.
In
effetti spesso i più frustrati sessuali sono pieni di risentimento e anche di
rabbia e la guerra per molti è “tutto sesso andato a male”, come l’adorazione
dei capi. Cfr. 1984 di Orwell.
Lisistrata, sempre più convinta, illustra la
tattica da usare: le donne dovranno aspettare i mariti con belle tuniche
trasparenti depilate nel pube devlta
paratetilmevnai (151)
e quando gli uomini avranno un’erezione stuvointo
d’ a[ndre" (151) kajpiqumoi'en splekou'n e abbiano voglia di fottere, noi ajpecoivmeqa, ci scostiamo. Allora gli uomini patteggeranno e
trionferà la strategia che porta alla pace.
Lampitò
aggiunge un esempio tratto da vicende spartane: infatti Menelao quando vide le
tette di Elena nuda, gettò via la spada (Lisistrata,
155 - 156).
Nell’Andromaca di Euripide, Peleo rinfaccia a
Menelao che come vide il seno (masto;n) di Elena, gettata la spada, si è
fatto baciare lusingando la cagna traditrice - prodovtin aijkavllwn kuvna
(629 - 630).
Cleonice
domanda “cara mia, e se gli uomini ci piantano?
Lisistrata
“dovremo scuoiare una cagna scuoiata (ossia usare l’olisbo consumato) - kuvna devrein dedarmevnhn (158)
Cleonice
disprezza tali memimhmevna –imitazioni, surrogati, dicendo
che sono insulsaggini fluariva (159), cose senza senso.
Poi
aggiunge che i mariti potrebbero anche forzarle.
Allora Lisistrata ribatte che non c’è piacere
quando certe cose si fanno per forza “ouj
ga;r e[ni touvtoi" hJdonh; toi'" pro;" bivan” (163). E l’uomo non potrà godere
se non c’è il piacere della donna.
Certi
uomini allora fanno come il principe Salina del Gattopardo la cui moglie non
tripudiava e lui andava a cercare amanti meno inibite, anche prostitute in
quartieri malfamati.
"Stella!
si fa presto a dire! Il Signore sa se la ho amata: ci siamo sposati a
vent'anni. Ma lei adesso è troppo prepotente, troppo anziana, anche". Il
senso di debolezza gli era passato, "Sono un uomo vigoroso ancora; e come fo
ad accontentarmi di una donna che, a letto, si fa il segno della croce prima di
ogni abbraccio e che, dopo, nei momenti di maggiore emozione non sa dire che
'Gesummaria'. Quando ci siamo sposati tutto ciò mi esaltava, ma adesso… sette
figli ho avuto con lei, sette; e non ho mai visto il suo ombelico. E' giusto
questo?" Gridava quasi, eccitato dalla sua eccentrica angoscia. "e'
giusto' Lo chiedo a voi tutti!" E si rivolgeva al portico della Catena.
"La vera peccatrice è lei". La rassicurante scoperta lo confortò e
bussò deciso alla pota di Mariannina" (Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, capitolo I, p. 18)
Cleonice
comincia a convincersi.
Lampitò
annuncia che le donne spartane sapranno persuadere gli uomini a fare la pace.
Ma la folla del popolo ateniese tw'n
jAsanaivwn rJuavceton - dialetto
laconico - chi potrà persuaderla a non fare sciocchezze?.
Lisistrata
risponde che ci penseranno loro con la tattica già detta.
Lampitò
ne dubita e ricorda la smania imperialistica degli Ateniesi maschi che hanno
riempito l’Acropoli di tesori rubati.
Lisistrata
replica: “noi donne oggi stesso occuperemo l’acropoli - “katalhyovmeqa ga;r th;n ajkrovpolin thvmeron - ”176.
Alle anziane anzi è già stato l’ordine di
farlo con il pretesto di sacrificare - quvein
dokouvsai" 179.
I
riti religiosi sono stati nella storia coperture o pretesti di operazioni
militari o politiche come colpi di Stato o crociate.
Lampitò
ne è rimasta convita.
Lisistrata
propone un giuramento sullo scudo, come quello descritto da Eschilo nei Sette a
Tebe.
E’
nel racconto che fa il Messaggero a Eteocle a proposito degli a[ndre" eJptav ( i Sette a Tebe, v. 42).
Cleonice
non è d’accordo sullo scudo che evoca la guerra. Bisogna piuttosto giurare su
una coppa di non versare mai acqua nel vino.
Lampitò
approva. Lisistrata versa il vino nella coppa come se fosse sangue di un porco
sacrificato.
Lisistrata
detta le parole del giuramento che Cleonice ripete: oujk e[stin oujdei;" ou[te moico;" out
j ajnh;r (213) nessuno
mai né ganzo né marito. In latino moechus
La
caporiona completa o{sti"
pro;" ejme; provseisin ejstukwv", levge (214), si avvicinerà mai a me con l’erezione, e fa
ripetere.
- stuvw, ho un’erezione -
Cleonice
ripete pur mentre le si piegano le ginocchia.
E
passerò la vita in casa ajtaurwvth (217, cfr. taurovw,
trasformo in toro) senza essere montata.
cfr.
Medea quando nel prologo la nutrice racconta
“Già
infatti l'ho vista mentre fissava con furia taurina 92 tauroumevnhn
questi
bambini, come se avesse in animo di fare qualcosa; e non cesserà
dall'ira,
lo so bene, prima di avere assalito qualcuno.
Spero
almeno lo faccia con i nemici, non con i suoi cari. 95.
Lisistrata
poi suggerisce “con una veste color zafferano e imbellettata - krokwtoforou`sa kai; kekallwpismevnh - 219”
l’eleganza
delle donne, il loro cultus, fa presa
sul desiderio maschile
Breve
Excursus che indica la radice del fatto che le donne italiane sono più vanitose
e pretenziose e imperiose delle nordiche e delle arabe.
Gli
italici, donne e uomini, sono tra gli Europei più vanitosi, fin dalla Roma dei
Cesari.
Nell'
Ars Amatoria [30] Ovidio afferma che è proprio
l'eleganza a fargli preferire l'età moderna all'antica, presunta aurea:"prisca iuvent alios, ego me nunc denique
natum/gratulor: haec aetas moribus apta meis" (III, 121 - 122), i
tempi antichi piacciano ad altri, io mi rallegro di essere nato ora, dopo
tutto: questa è l'età adatta ai miei gusti, non perché, continua il Sulmonese,
terre mari e monti sono stati domati dall'uomo,"sed quia cultus adest nec nostros mansit in annos/rusticitas priscis
illa superstes avis " Ars,
III, 127 - 128), ma perché c'è eleganza e non è rimasta fino ai nostri anni quella
rozzezza sopravvissuta negli avi antichi.
"Ordior a cultu[31]. Così Ovidio inizia, dopo il lungo
proemio, la precettistica riservata alle donne nel terzo libro dell'Ars.
Cultus, riferito come qui alla vita della
donna, indica più o meno la "cura della persona" e quindi la
"raffinatezza"[32].
Il cultus rende le donne più attraenti e seduttive
ed è una di quelle parole che possono prendere significati differenti dando
luogo a comportamenti contrastanti.
Qualora ci si voglia liberare dai lacci delle
donne e trovare rimedi all'amore converrà vederle al naturale arrivando
all'improvviso di mattina:"Auferimur
cultu: gemmis auroque teguntur/omnia; pars minima est ipsa puella sui "
(Remedia Amoris vv. 343 - 344), siamo
sedotti dall'acconciatura: tutti i difetti sono coperti dalle gemme e dall'oro;
la donna in sé, è una parte minima di sé.
Infatti,
prosegue Ovidio, "Saepe, ubi sit
quod ames, inter tam multa, requiras:/decipit hac oculos aegide dives Amor
" (vv. 345 - 346), spesso tra tante contraffazioni uno può chiedersi dove
sia ciò che ama: Amore arricchito con questo scudo inganna gli occhi.
"E'
in Ovidio che troviamo l'irrisione aperta della rusticitas, è Ovidio che della negazione della rusticitas fa un
aspetto essenziale del suo mondo galante. In alcuni casi egli ci presenta la
negazione in modo ambiguo", attribuendola a personaggi poco attendibili.
"Per esempio, una contrapposizione fra le formosae audaci di oggi e le
sporche sabine delle origini di Roma è elaborata da una lena[33] nel suo discorso esortativo (Am. I
8. 39 sgg.):"Forsitan inmundae Tatio
regnante Sabinae/noluerint habiles pluribus esse viris;/nunc Mars externis animos exercet in
armis,/at Venus Aeneae regnat in urbe sui./Ludunt formosae: casta est quam nemo rogavit;/aut si
rusticitas non vetat, ipsa rogat "[34], forse le sporche Sabine sotto il
regno di Tazio non avranno voluto essere disponibili per più uomini; ora Marte
tiene occupati gli animi in guerre straniere, ma è Venere che regna nella città
del suo Enea. Le belle si divertono: è casta quella cui nessuno ha fatto
proposte; oppure se non lo impedisce la selvatichezza, è lei che fa le
proposte.
E
ovviamente non sono sempre proposte decenti.
Concludo
con i costi della vanità estrema
Lo
stesso Ovidio sconsiglia vesti sfacciatamente lussuose vengono sconsigliate
alle donne eleganti (Ars III 169
sgg.): Quid de veste loquar? Nec nunc segmenta requiro/nec quae de Tyrio
murice, lana, rubes./Cum tot prodierint pretio leviore colores,/ quis furor est
census corpore ferre suos? ", che devo dire della veste? Io non chiedo
le frange d'oro, né te, lana, che rosseggi per la porpora di Tiro. Dal momento
che sono venuti fuori tanti colori a prezzo più basso, che pazzia è portare sul
corpo il proprio patrimonio?
Aggiungo
Lucrezio:
"Labitur interea res et Babylonica
fiunt/unguenta et pulchra in pedibus Sicyonia rident/scilicet et grandes viridi
cum luce zmaragdi/ auro includuntur teriturque thalassina vestis/assidue et
Veneris sudorem exercita potat " (Lucrezio, De rerum natura, vv. 1124 - 1128), si scialacqua nel frattempo la
roba, e diventa profumi di Babilonia, e calzari belli di Sicione sorridono nei
piedi e naturalmente grossi smeraldi con la luce verde sono incastonati
nell'oro e si consuma la veste colore del mare continuamente, e tenuta in
esercizio beve sudore di Venere.
La
volontà volgare di esibire il lusso invero non manca negli uomini
L'esibizione
che puzza di soldi è il furor tipico dell’ex schiavo arricchito
scandalosamente, come Trimalchione, il " signore tre volte potente"
il quale viene descritto al suo ingresso nella sala del banchetto con indosso
un pallio scarlatto e un fazzoletto orlato di rosso, da senatore, intorno al
collo con frange pendenti da una parte e dall'altra.
"Habebat
etiam in minimo digito sinistrae manus anulum
grandem subauratum " (Satyricon,
32), inoltre portava al mignolo della mano sinistra un grosso anello indorato,
da cavaliere; nell'ultima falange del dito seguente un altro anello tutto d'oro
ma cosparso come da stelline di ferro "et
ne has ostenderet tantum divitias, dextrum nudavit lacertum armilla aurea
cultum et eboreo circulo lamina splendente conexo ", e per non mettere
in mostra soltanto queste ricchezze, denudò il braccio destro ornato da un
braccialetto d'oro e da un cerchio d'avorio intrecciato con una lamina
brillante, "deinde pinna argentea
dentes perfōdit " (33), quindi si stuzzicò i denti con una stecca
d'argento.
Si
possono confrontare queste testimonianze con quelle di Tacito sui Germani.
Capitolo 6
Aristofane
Lisistrata VI. Inizia la battaglia tra i generi. Bellum plus quam civile.
Cleonice
ripete i giuramemti fatti da Lisistrata sul dovere di aspettare in casa il marito
dopo essersi imbellita al massimo perché lo sposo arda per me con tutta la
forza - o{pw" a[n aJnh;r
ejpitufh'/ mavlistav mou
- 222, senza però compiacerlo mai.
L’amore
viene associato al fuoco molto spesso nei discorsi relativi all’amore.
Il
fuoco d'amore è attestato fin da Saffo che anzi inaugura il topos della cottura
amorosa: "o[ptai" a[mme" (fr. 38 Voigt), tu mi cuoci.
Così,
ancora nel VII idillio di Teocrito, c'è Licida ojpteuvomenon
(v. 55), cotto da Afrodite per Ageanatte.
L'ardore
e il fuoco sono presenti negli amorazzi dei giovani della commedia latina:"Sperabam iam defervisse adulescentiam:/
gaudebam. Ecce autem de integro! " fa Micione negli Adelphoe (v. 151 - 152) a proposito del
nipote, speravo che fossero ormai sbolliti quegli ardori giovanili: me ne
rallegravo. Ecco invece di nuovo.
Il fuoco nella storia di Enea e Didone non
cuoce né purifica, ma è deleterio, velenoso, ingannevole:"occultum
inspires ignem fallasque veneno " (I, v. 688), infondile un fuoco occulto
e ingannala con il veleno, ordina Cipride al figlio. L'amore è causa di
infelicità, è pestifero, mortale, e Didone innamorata di Enea è predestinata
alla rovina:" Praecipue infelix,
pesti devota futurae,/expleri mentem nequit ardescitque tuendo " (I,
712 - 713), sopra tutti l'infelice, consacrata alla rovina imminente, non sa
saziare il cuore e s'infiamma guardando.
Lisistrata
continua a snocciolare il suo decalogo e Cleonice ripete.
Se
poi mi prende a forza contro il mio volere - eja;n dev m’ a[kousan biavzhtai biva/, io sarò maldisposta e non mi muoverò.
E
non alzerò le scarpette persiane fino al soffitto (229) indica i piedi
vezzosamente calzati.
Cleonice
deve ripetere tutto e alla fine giurare sotto la maledizione che la coppa le si
riempia di acqua, se avrà spergiurato
Dopo
Cleonice giurano tutte. E Lisistrata consacra il giuramento sulla coppa
bevendo.
Mentre
tutte bevono a turno si sente il clamore delle donne che hanno occupato l’Acropoli
Lampitò
viene invitata a occuparsi delle donne spartane ed esce.
Lisistrata
e Cleonice si muovono per andare a mettere i chiavistelli e chiudere fuori gli
uomini che volessero muoversi contro le donne.
Cleonice
proclama ed esalta le loro forze di persone chiamate invincibili e furfanti a[macoi kai; maraiv 251.
Parodo
vv. 254 - 386
Entra un coro di vecchi: ciascuno ha sulle
spalle il peso di un tronco di olivo verde
Il
primo Semicoro esordisce notando che ejn
tw'/ makrw'/ bivw/ povll j a[elpt j e[nestin (256), in una lunga vita molte sono le cose inattese.
L’inaspettato
Un topos presente in molti testi, tra i quali
Di
molti casi Zeus è dispensatore sull’Olimpo
molti eventi in modo imprevisto compiono gli
dèi;
polla;
d j ajevlptw" kraivnousi qeoiv
e
i fatti aspettati non vennero portati a compimento,
mentre
per quelli inaspettati un dio trovò la via.
Così
è andata a finire questa azione ( Medea,
1415 - 1419)
La
conclusione dell' Alcesti, dell'Andromaca, dell'Elena e delle Baccanti è
uguale a questa della Medea, tranne che per il primo verso degli ultimi cinque:
" pollai; morfai; tw'n daimonivwn" (Alcesti, v. 1159;
Andromaca, v. 1284; Elena, v. 1688; Baccanti, v. 1388), "molte sono le
forme della divinità". L'Ippolito
si conclude con la constatazione, da parte della Corifea che su Trezene
inaspettatamente, ajevlptw~ (v. 1463) è caduto addosso un
dolore comune che provocherà un fluire continuo di lacrime.
Nel
caso di questa commedia l’imprevisto è che le donne a}" ejbovskomen - kat j oi\kon
ejmfane;" kakovn,
che nutrivamo in casa, male ben noto, si sono impadronite dell’Acropoli e hanno
bloccato i propilei con chiavistelli e serrami (265).
Il
Corifeo fa fretta agli altri vecchi (wJ"
tavcista) perché lo
seguano nel portare i tronchi là dove verranno ammucchiati per bruciare le donne.
Cfr. "il puro"
folle Ippolito che dà in escandescenze:
"O Zeus perché ponesti nella luce del
sole le donne, ingannevole male per gli uomini - kivbhdlon ajnqrwvpoi~
kakovn - Euripide, Ippolito,
616.
Un’anticipazione
delle condanne al rogo delle streghe.
Il
Semicoro II esprime la paura tipica degli eroi: quella della derisione, un
oltraggio da evitare a costo del suicidio (cfr. Aiace di Sofocle) e
dell’assassinio perfino dei figli.
Cfr.
la Medea di Euripide 404 - 407
Vedi
quello che subisci? non devi dare motivo di derisione - ouj gevlwta dei' s j ojflei'n
ai discendenti di Sisifo per queste nozze di
Giasone,
tu
che sei nata da nobile padre e discendi dal Sole.
Il
semicoro II dunque giura: no, per Demetra, finché vivo io, non si faranno beffe
di me - ouj ejmou' zw'nto"
ejgcanou'ntai271(ejgcaivnw,
spalanco la bocca per sghignazzare).
Quindi
i vecchi ricordano che nemmeno il re di Sparta Cleomene che occupò l’acropoli
nel 502 la passò liscia, anzi dopo due anni di assedio con quel suo spartano
darsi arie Lakwniko;n pnevwn - 276 - dovette andarsene tutto
peloso - ajparavtilto" - parativllw
- (e cfr. l’essere
depilate invece delle donne) e sudicio non lavato da sei anni e{x ejtw'n a[louto" (280).
Il
Corifeo ricorda di nuovo l’impresa compiuta da loro 90 anni prima, e aggiunge
che a maggior ragione ora saranno capaci di trattenere da tale ardimento queste
donne odiose a Euripide e a tutti gli dèi - tasdi; de; ta;" Eujripivdh/ qeoi'" te pa'sin ejcqrav" (283).
Cleomene
tentò di mettere al potere Isagora, nemico politico di Clistene accusato di
essere contaminato dal sacrilegio della sua della famiglia che una trentina di
anni prima aveva ucciso i Ciloniani rifugiatisi nel tempio delle dèe venerande.
Cfr.
la commedia Tesmoforiazuse dello
stesso anno. Il personaggio Euripide dice al suo parente: “le donne hanno
tramato contro di me (aiJ ga;r
gunai'ke" ejpibebouleuvkasiv moi,
82). Perché? domanda il khdesthv", e il drammaturgo risponde: oJtih; tragw/dw' kai; kakw'" aujta;"
levgw (84) poiché
faccio tragedie e dico male di loro.
Il
primo semicoro lamenta la fatica della salita con i tronchi sulle spalle
Il
secondo semicoro trasporta tizzoni ardenti dentro delle marmitte da dove schizzano
faville come cagne infuriate e mordono gli occhi.
L’impresa
è dunque epica.
Il
Corifeo dà disposizioni per l’assedio con il fuoco che scagliato contro le
porte le bruci e il fumo tormenti le donne. Quindi invoca devspoina Nivkh, Vittoria sovrana che li aiuti a innalzare un trofeo
sull’ardire delle donne (gunaikw'n
qravsou", 318).
E’
l’eterna paura che ha l’uomo della donna.
La
paura della donna suggerisce al Catone il vecchio di Tito Livio alcune parole sulla
necessaria sottomissione della femina
al fine di tenere sotto controllo una natura altrimenti intemperante.
Così
si esprime il censore quando parla, nel
E
continua: “ Extemplo simul pares esse
coeperint, superiores erunt (XXXIV, 3, 2)” appena avranno cominciato ad
essere pari, saranno superiori
Marziale
(40 ca - 104 d.C.) nella clausula di un suo epigramma scrive:" Inferior matrona suo sit, Prisce,
marito:/non aliter fiunt femina virque pares " (VIII, 12, 3 - 4), la
moglie, Prisco, stia sotto il marito: non altrimenti l'uomo e la donna
diventano pari.
Capitolo
7
Aristofane
Lisistrata VII. Le femmine umane: né galline né angeli.
Entra
in scena il Coro di donne che hanno visto il fuoco e il fumo. Hanno dei
recipienti con dell’acqua.
Anche
queste coreute sono divise in due semicori.
Il
semicoro I esecra i vecchi maledetti e invita a fare presto nonostante la paura
ajlla; fobou'mai (327).
Quando
non c’è questa paura dell’altro genere, considerato quale un nemico quasi
estraneo all’umanità, equivalente alla fobìa dello straniero, è molto più
difficile indurre i poveri a morire in guerra. Per farlo bisogna spargere odio.
Paura e odio derivano dai delitti efferati commessi soprattutto dai maschi, poi
dalla propaganda che estende la criminalità all’intero genere maschile o
femminile.
Le
coreute stanno comunque portando delle anfore piene di acqua per spengere il
fuoco e soccorrere le assediate
Il
Semicoro II invoca Atena
Ha
saputo che dei vecchi boriosi carichi di legna pesante, come se volessero
scaldare dei bagni, avanzano verso l’acropoli lanciando minacce terribili - deinovtat j ajpeilou`nta" - 339 - cioè che bisogna carbonizzare
con il fuoco le abominevoli donne - crh;
ta;" musara;" gunai`ka" ajnqrakeuvein - 340.
Guerra
dei sessi come nelle Supplici di
Eschilo.
Ora
che siamo più civili la carbonizzazione è bandita. ma solo a parole, perché poi
i droni inceneriscono i malcapitati.
Il
coro chiede l’alleanza della dea nel portare aiuto alle donne che vogliono
salvare dalla guerra, e dalla follia, l’Ellade e i cittadini. Le assediate e
minacciate dal fuoco hanno occupato il tempio di Atena con questo scopo.
La
Corifea, indicando i vecchi, li qualifica come ponwpovnhroi
(350), farabutti, e aggiunge che uomini buoni crhstoiv, e
pii eujsebei'", non avrebbero mai fatto una cosa
simile (351).
II
corifeo dei vecchi definisce pra'gm
j ajprosdovkhton una
faccenda inattesa lo sciame di donne ejsmov"
gunaikw'n (353) che
arriva per aiutare le assediate dal fuoco.
I
vecchi assedianti si tovano in una situazione simile a quella dei Tedeschi a
Stalingrado.
Abbiamo
visto che l’inaspettato fa parte del gioco della vita per cui dovremmo
apettarcelo.
Il
corifeo le minaccia di bastonate
La
corifea ordina alle donne di mettere giù le anfore per difendersi senza avere
le mani impedite.
“Sebben
che siamo donne paura non abbiamo” cantavano qualche decennio fa.
Il
corifeo “ Se qualcuno avesse colpito costoro due o tre volte nelle mascelle
come Bupalo, non avrebbero più voce” ( fwnh;n
a]n oujk ei\con,
Lisistrata, 361).
Ha
ricordato Ipponatte (VI sec. a. C.) che scrive: “lavbetev meu taiJmavtia, kovyw Bouvpalon to;n ojfqalmovn (fr - 70 D.), tenetemi il
mantello: darò un pugno a Bupalo nell’occhio.
La
Corifea risponde che è pronta anche a prendere le botte, ma non cederà.
Non
sarà un’altra cagna ad afferrarti i coglioni (363).
Il
corifeo la minaccia: se non taci ti sgranerò la pelle vecchia a furia di botte eij mh; siwphvsei, qenw;n sou jkkokkiw' to;
gh'ra" (364) - ejkkokkivzw - ejn e kovkko", granello, chicco.
Nella
mia generazione c’era l’uso della polemica tra maschi e femmine quando eravamo
bambini. Ricordo che alle medie, in prima o in seconda, ci facevano leggere Il parlamento di Carducci e noi maschi
lo usavamo deformato gridando: “a lancia e spada le galline in campo!”.
le
galline erano il Barbarossa da combattere
Poi invece in terza media una brunetta della
sezione femminile, Marisa, la più brava della classe, mi apparve come un angelo
e me ne innamorai.
Batteva
il sole nella chiara onesta faccia all'uscita da scuola, e la sera ridea
calando dietro Fiorenzuola di Focara.
Più
avanti compresi che le femmine della nostra specie non sono galline né angeli
ma esseri umani come noi. E come tali le amai.
Trassi
questa coscienza prima dalle letteratura amata poi dalle stesse donne
amatissime
Padri
e figlie. L'istinto della donna
La
vedova Ghismunda che pure è " giovane e gagliarda e savia" nel Decameron (IV, 1) di Boccaccio sostiene
la naturalezza della passione carnale difendendo il proprio sentimento amoroso
per il giovane valletto Guiscardo "uom di nazione assai umile ma per vertù
e per costumi nobile", davanti al padre Tancredi, principe di Salerno che
non la capisce:" Esserti ti dové, Tancredi, manifesto, essendo tu di
carne, aver generata figliuola di carne e non di pietra o di ferro (...) Sono
adunque, sì come da te generata, di carne, e sì poco vivuta, che ancora son
giovane, e per l'una cosa e per l'altra piena di concupiscibile disidero, al
quale maravigliosissime forze hanno dato l'aver già, per essere stata maritata,
conosciuto qual piacere sia a così fatto disidero dar compimento. Alle quali
forze non potendo io resistere, a seguir quello che elle mi tiravano, sì come
giovane e femina, mi disposi e innamora'mi".
Il padre però uccide l'amante della figliola e
questa si uccide.
Molto
più comprensivo di Tancredi nei confronti dell'istinto femminile è Leopold
Bloom nell' Ulisse di Joyce.
Leopold
Virág - Bloom, l'Ulisse di Dublino, ha in mente la figlia - silly Milly, Millina, sciocchina come
l'adolescente chiama se stessa in una lettera al babbo che pensa a lei in
questi termini:
"Fifteen yesterday, quindici anni ieri
(…) No, nothing has happened. Of
course it might,
no, non è successo niente. Naturalmente potrebbe. Wait in any case till it does, aspettati comunque che succeda. A wild piece of goods, un eccezionale
pezzo di beni. Her slim legs running
upstairs. Destiny. Ripening, le sue gambe snelle che corrono su per le
scale. Destino. Sta maturando. Vain: very, vanitosa, molto (…) Will
happen, yes. Prevent. Useless: can' t move, succederà sì. Impedire. Inutile: non ci si può
muovere Girl's sweet light lips. Will
happen too, dolci lievi labbra di ragazza. Succederà anche a lei. Useless to move now, inutile
muoversi ora. Lips kissed, kissing
kissed. Full gluely woman's lips, labbra baciate, bacianti baciate.
Labbra di donna, piene vischiose.
Dal
quarto capitolo: Calipso La colazione
Questo
Ulisse - Bloom è un uomo molto paziente poluvtla" e complice della realtà, come Odisseo di Omero, e sopporta anche i
tradimenti praticati dalla moglie Molly, una Penelope infedele,
Tinnulo calessino[36]. Troppo tardi. Lei voleva andare.
Ecco perché. Donna. Tanto vale fermare il mare - Jingle jaunty. Too
late. She longed to go. That's way. Woman. As easy to
stop the sea"[37].
Dall'
XI capitolo Le sirene la mescita.
L'istinto
della donna dunque è incontenibile come il mare. Cfr. Seneca: "Non
rapidus amnis, non procellosum mare - (…) possit inhibere impetum - irasque nostras: sternam et evertam omnia (…)
Amor timere neminem verus potest "(Seneca, Medea, 411 - 416)
E'
Medea che parla.
E'
la teoria per la quale la donna dà maggiore importanza dell'uomo
all'accoppiamento e all'amore, una teoria invero che ora, tra le cosiddette
donne in carriera, sta perdendo credito, ma solo fino a un certo punto.
[1]
Zibaldone, 1376.
[2]
Un poco come nel meccanismo del resto tragico dell'ironia sofoclea
[3]
Disgustati, come ha detto di recente il Pontefice.
[4]
Che faceva dipendere lo scoppio del conlitto da ratti di prostitute,
[5]
Da Iliade IX, 63 - 64. E’ il canto dell’ambasceria ad Achille. E’
Nestore che parla. Più avanti consiglia ad Agamennone di riconciliarsi co
Achille mandandogli amabili doni (IX, 113)
[6]
M. Cacciari, Geofilosofia dell'Europa, pp. 42 - 43.
[7]
Questa non dà segni ambigui come la rondine.
[8]J.
Duflot, Pier Paolo Pasolini. Il sogno del centauro, Roma
[9]
P.P. Pasolini, Scritti corsari, p. 49.
[10]
430 ca - 355ca a. C.
[11]
270 - 201
[12]
G. Verga, I Malavoglia, p. 111.
[13]
Nel terzo libro troviamo un
episodio che afferma il valore della tolleranza e lo riferisco poiché mi sembra
uno dei più alti insegnamenti della storiografia antica. Contro "la
tolleranza zero" tanto sbandierata oggi dai razzisti e dagli ignoranti. Il
re Dario aveva domandato a dei Greci se sarebbero stati disposti a cibarsi dei
loro padri morti, ed essi risposero che non l'avrebbero fatto per niente al
mondo. Quindi il re dei Persiani chiese agli Indiani chiamati Callati" oiJ; tou;" goneva" katesqivousi"( III, 38, 4) che mangiano i
genitori, a quale prezzo avrebbero accettato di bruciarli nel fuoco, e quelli
gridando forte lo invitavano a non dire tali empietà. Così, conclude Erodoto, queste
usanze sono diventate tradizionali, e a me sembra che giustamente Pindaro abbia
fatto, affermando che la consuetudine è regina di tutte le cose ("novmon pavntwn basileva fhvsa" ei\nai"). Vedi a questo proposito il
volumetto novmo~ basileuv~ a cura di Ivano Dionigi.
[14]
"Del destino normalmente riservato alla donna ateniese Senofonte dà nell'Economico un'icastica rappresentazione (Senofonte,
Oec. 7.=
…lo stesso ritratto della moglie, posta a capo della
dispensa e dei servi e con il diretto controllo sulle entrate e sulle uscite,
più volte interpretato come fedele resoconto della condizione della donna
ateniese, sembra risentire dei costumi persiani" ( Fabio Roscalla, introduzione
a Senofonte, Economico, Rizzoli,
Milano, 1991, p.
[15]
L'ottima sposa si presenta,
metaforicamente, come un arciere toxovth" che con il suo arco (tovxon)
mira alla buona reputazione cui si accompagna la felicità nella culture of
shame
[16]
Euripide sembra indicare l'insufficienza "della cultura di vergogna"
[17]
Nell'Elettra di Euripide il contadino che ha sposato la figlia di
Agamennone senza del resto consumare il matrimonio, dopo avere visto la moglie
che parla con Oreste davanti alla casupola, le dice:"gunaikiv toi - aijscro;n met' ajndrw'n eJstavnai neaniw'n" ( vv. 343 - 344), per una
donna certo è una vergogna stare fuori con uomini giovani.
[18]
Secondo Saffo il silenzio
assoluto è uno degli effetti del mal d'amore:" allora non / è possibile più che io
dica niente / ma la lingua mi rimane spezzata" (fr. 31 LP, vv.7 - 9).
[19]Svevo,
La coscienza di Zeno, p. 241.
[20]
S. Kierkegaard, Diario del seduttore (del 1843), p. 53.
[21]
Del 430 ca.
[22]
N. Loraux Aspasia, la straniera, l’intellettuale, in Grecia al femminile, p. 126.
[23]
La sonata a Kreutzer in Tolstoj Romanzi brevi, p. 323.
[24]
Immagino di tipo morale
[26]Parerga e paralipomena Tomo II, p. 832 e
ss.
[27]
Di là dal bene e dal male, Aforismi e interludi, 168.
[28]
L’anticristo, Legge contro il
cristianesimo data nel dì della salute, il 30 settembre 1888 della falsa
cronologia..
[29]
Aurora, I, 76.
[30] L'Ars amatoria
(in distici elegiaci) costituisce una precettistica erotica in tre libri: nei
primi due il poeta fa il maestro d'amore agli uomini, nel terzo alle donne.
Questa raccolta a sfondo didascalico fu completata nell'1 o nel 2 d. C, come i Remedia
amoris e i Medicamina faciei femineae. Ovidio, nato a Sulmona, e
morto in esilio a Tomi sul Mar Nero, visse tra il
[31]
Ars amatoria, III, 101.
[32]Conte
- Pianezzola, Il libro della letteratura
latina, Edizione Modulare, 8, p. 513.
[33]
Una mezzana, illa monebat/ talia (Amores, I, 8, 21 - 22), lei dava tali
consigli.
[34]
A.
[35]
Vietava tra l'altro di indossare vesti multicolori o di girare per Roma su un
cocchio a doppio traino di cavalli.
[36]
Il carrozzino che porta Boylan all'appuntamento erotico con Molly,
[37]J.
Joyce, Ulisse, p. 372, 246 nel testo
inglese.
Nessun commento:
Posta un commento