Euclione dice a Megadoro che se loro due diventassero consuoceri il ricco maltratterebbe il povero.
Poi ribadisce: “nihil est dotis quod dem” (238)
Megadoro allora ribatte :
"Ne duas.Dum modo morata recte veniat, dotata est satis "(239) purché venga con buoni costumi (mores) ha già una bella dote.
A questo
punto però Euclione sente un rumore e si precipita in casa.
Megadoro dice al pubblico che stanno zappando il suo giardino. Quindi commenta
la difficoltà del rapporto interclassista a causa dell’eterna diffidenza del
povero.
Euclione compare sull’uscio mentre inveisce contro Stafila.
Richiesto di nuovo da Megadoro se gli promette e garantisce la figlia, gliela promette spondeo (256)
L’avaro sente la necessità di ricordare ancora che la ragazza non avrà avrà alcuna dote.
Magadoro se lo ricorda- memini- (259) ma Euclione non depone la sua diffidenza: diventa anche offensivo dicendo: so bene che siete abituati a imbrogliare- perplexarier: pactum non pactum est, non pactum pactum est, quod vobis lubet” 260
Comunque dice che non ci sono impedimenti e Megadoro si reca al mercato con il servo Strobilo per comprare gli ingredienti del pranzo di nozze.
Euclione rimasto solo fa un commento malizioso: quello sa del mio tesoro e per questo vuole imparentarsi con me.
Auerbach in Mimesis, il realismo nella letteratura occidentale (1946) scrive che Omero pure nell’Odissea è “ancora molto lontano da quella legge della separazione degli stili, più tardi applicata quasi universalmente, per la quale la pittura realistica del quotidiano è inconciliabile col sublime e trova il suo posto soltanto nel comico, o, tutt’al più, accuratamente stilizzata, nell’idillico. E tuttavia è, a quella legge, più vicino che il Vecchio Testamento. Nei poemi omerici gli avvenimenti grandi e alti si compiono molto più esclusivamente e inconfondibilmente fra gli appartenenti all’aristocrazia” (La cicatrice di Ulisse, p. 27).
Vero è che in Plauto è difficile se non impossibile trovare avvenimenti grandi e nobili. Comunque anche da Plauto si impara qualche cosa: ci si avvicina a una bassezza umana che spesso viene dichiarata da questi servi ed è quindi meno bassa e volgare di quella dissimulata dai presunti gran dottori e gran signori messi ogni giorno a dettare legge sulle ribalte televisivi dove salgono tronfi e cerretani. Molti oramai lo hanno capito.
Atto secondo Scena terza
Euclione e Stafila
Euclione chiama Stafila accusandola di avere blaterato- deblatĕravisti 268- e rivelato che lui avrebbe dotato la figlia.
Teme di bere un male mescolato di dolore.
Quindi le ordina di dare una pulita al vasellame per il matrimonio della ragazza, Feria.
Quindi si avvia verso la piazza.
Stafila è preoccupata per la padroncina che è incinta.
Nunc probrum atque partitudo prope adest ut fiat palam (276) ora il parto è vicino con la vergogna che sta per diventare pubblica. Non si può più occultare come tempo prima quod celatum atque occultatum est usque adhuc.
Atto secondo scena quarta
Strobilio servus, Anthrax Congrio coci- Prhugia Eleusium Tibicinae
Entra in scena Strobilio il servo di Megadoo con i cuochi e le flautiste.
Dice che il padrone gli ha ordinato di dividere la spesa in due parti.
Il cuoco Antrace pensa che si parli di lui e dice che non vuole essere spezzato in due.
L’altro cuoco, Congrione, fa una battuta di sapore aristofanesco: questo puttanello da marciapiedi è davvero delicato e pudico- bellum et pudicum vero prostibulum populi-
Battute di questo genere si ritrovano nel Satyricon.
Se qualcuno ti volesse si quis vellet , aggiunge Congrione, te haud non velles dividi, tu non è che non vorresti essere spaccato
Strobilio torna al dunque: “sed erus nuptias-meus hodie faciet” (288), oggi il mio padrone si sposerà.
Quindi spiega che deve dare metà della spesa, uno dei cuochi e pure una delle due flautiste a Euclione
Antrace domanda perché non si è sobbarcato le spese anche Euclione.
Strobilio risponde:"pumex non aeque est ardus atque hic est senex "(297), la pomice non è così arida quanto questo vecchio.
Segue la descrizione dell’avarizia maniacale del vecchio.
Alcuni esempi:
E' così avaro che quando si lava piange per l'acqua che versa:"aquam hercle plorat, cum lavat, profundere "(308).
Recentemente un barbiere gli aveva tagliato le unghie e lui ha raccolto e portato via tutti i ritagli
Collegit, omnia abstulit praesegmina ( 313)
Un giorno un nibbio gli rubò una polpetta:
"pulmentum eripuit ei milvus "(316). Quello allora andò piangendo dal giudice:" Homo ad praetorem plorabundus devenit- ut sibi liceret milvum vadarier "(318), perché gli fosse consentito citare a giudizio il nibbio.
C'è anche una lite tra servi tipico della farsa fliacica detta anche ilarotragedia. Autore ne fu Rintone di Taranto (III secolo) che fece parodie comiche dei grandi miti tragici.
C'erano però anche scene di vita quotidiana ricche di italum acetum (mordacità italica, Orazio, Satire, I, 7, 32). Fliàci erano attori-mimi che recitavano provvisti di buffe maschere e imbottiture. Scene fliaciche si vedono anche raffigurate nei vasi.
Dunque i cuochi litigano. Antrace dice di Congrione che è un cuoco da nundinae cocus ille nundinalest (324).
Le nundinae era i giorni del mercato che si teneva ogni nono giorno contando il primo e l’ultimo, sicché ogni otto giorni. Quindi cuochi occasionali non professionisti della cucina.
Congrione replica chiamando Antrace :
"Trium litterarum homo: fur! "(327).
Strobilo dunque manda nella casa di Euclione Congrione il quale si lamenta per la divisione del cibo: pinguiorem agnum isti habent (331)
Stròbilo allora gli promette la flautista più pingue- at nunc tibi dabitur pinguior tibicĭna (332).
Da Megadoro dunque va Antrace con Eleusia la flautista magra e l’agnello pingue.
Congrione ha la flautista pingue Phrugia e l’agnello smilzo e non è contento di andare da Euclione.
Strobilo lo consola dicendo che da Euclione non c’è nulla da rubare e lui non potrà essere accusato.
Atto secondo scena quinta
Strobilo porta la roba con Congrione e Phrugia da Stafila la quale nota che manca il vino e dunque si faranno le nozze di Cerere, alludendo alle Cerealia, le feste in onore di Cerere dove era vietato bere vino in segno di lutto per il ratto di Proserpina. Strobilo glielo promette al ritorno di Megadoro
Atto secondo Scena sesta
Strobilo, il servo di Megadoro, esce dalla casa del padrone .
Vuole andare a vedere quid faciant coqui (363).
Nella tragedia greca tali personaggi non esistono. Le abbuffate sono più frequenti nelle lettere latine. Si può pensare al Satyricon e, nelle commedie, alla figura del parasitus-si'to" è il grano, il pane, il cibo. Il servo teme che i cuochi mangino o rubino il cibo. Quindi entra nella casa di Euclione.
Atto secondo scena settima.
Euclione poi il cuoco Congrione.
Euclione arriva dalla piazza e pensa alle spese che non ha fatto: ha chieso i pesci ma erano cari piscis caros (374),caro l’agnello, il bue, il vitello, il tonno cara omnia (375). Tanto più che non aveva denaro: atque eo fuerunt cariora, aes non erat (376). Sicché illis impuris omnibus adii manus, ho raggirato tutti quei puzzoni (378)
Pensavo come maritare mia figlia minimo sumptu (384)
Quindi ha comprato un po’ di incenso tusculum emi e delle corone di fiori. Metterò queste offerte sul focolare e pregherò il Lare ut fortunatas faciat gnatae nuptias (387)
Giunto vicino a casa la vede aperta e sente baccano.
Si ode la voce del cuoco Congrione che dall’interno chiede una aulam maiorem dal vicino: haec parva est, capere non quit (391)
Euclione si sente perduto: “perii hercle: aurum rapitur, aula quaeritur “(392) mi rubano l'oro, si cerca la pentola.
Pentola è una parola chiave anzi contiene “ambo le chiavi del cor” di Euclione (cfr. Dante, Inferno, XIII, 58-59, Pier Della Vigna)
L‘avaro Chiede aiuto ad Apollo perché configga con i suoi dardi i ladri del tesoro: confige sagittis fures thesaurios (395)
Nell’Inno Omerico III ad Apollo, il dio è chiamato eJkathbovl j [Apollon 215, che colpisce lontano.
Quindi Euclione si affretta ed entra in casa.
Atto secondo scena ottava
Antrace da solo sulla soglia della casa di Megadoro
Il cuoco dà ordini ai suoi aiutanti Dromone e Macherione perché tolgano squame e lisce ai pesci.
vuole andare dal collega Congrione a chiedere una forma per cuocere il pane artoptam (400) a[rto" e ojptavw- cuocio.
Prima chiede di rendere il gallo più liscio di un ballerino depilato- “Tu, istum gallum si sapis,-glabriorem reddes mihi quam volsus ludiust (401-402). Poi sente il baccano dalla casa di Euclione e temendo che la turbolenza si propaghi rientra nella casa di Megadoro.
Atto III scena prima
Congrione, Frigia e altri schiavi
Il cuoco ha preso delle grandi bastonate da Euclione: Neque ego umquam nisi hodie ad Bacchas veni in Bacchānal coquinatum (408) prima di oggi non sono mai venuto a cucinare dalle Baccanti in un Baccanale.
Pessima era la reputazione dei Baccanali in questi anni e nei seguenti a Roma.
L’Aulularia è databile tra il 194 e il 191
Ora leggiamo Tito Livio
I Baccanali. Una prava religio, religione depravata.
Secondo Tito Livio la religio seguita da Camillo è santa, mentre sono turpi i Baccanali venuti a Roma dall’Etruria attraverso la mediazione di un Graecus ignobilis (39, 8). “Huius mali labes ex Etruria Romam veluti contagione morbi penetravit.” (39, 9), la vergogna di questo male penetrò a Roma dall’Etruria come per il contagio di un morbo.
Nel 186 a. C. il console Postumio fece un’indagine e la schiava Ispala rivelò che si trattava di riunioni notturne promiscue: “nihil ibi facinoris, nihil flagitii praetermissum. Plura virorum inter sese quam feminarum esse stupra. Si qui minus patientes dedecoris sint et pigriores ad facinus pro victimis immolari. Nihil nefas ducere, hanc summam inter eos religionem esse” (39, 13), nessun misfatto, nessuna turpitudine lì erano omessi. I connubi vergognosi tra maschi erano più frequenti che con le donne. Se alcuni erano meno meno disposti a subire il disonore ed erano troppo restii ai misfatti venivano sacrificati come vittime. La perfetta iniziazione era non considerare nulla come illecito.
“Fas è la parola divina[1], simile a quella che si esprime nel fatum o "destino"; fas è il "diritto divino" e violarlo appunto è nefas[2].
"Il fas sta scritto direttamente nella natura. Esso costituisce la regola che prescrive di non commettere certe azioni di particolare gravità, la cui mostruosità è fuori discussione”[3].
Nelle Phoenissae di Seneca l'incesto del figlio con la madre è maius nefas rispetto all'assassinio del padre:"nullum crimen hoc maius potest natura ferre" (vv. 271-272), nessun delitto più grande di questo può comportare la natura.
Tuttavia se ce n'è uno, lo commetteranno Eteocle e Polinice che si ammazzeranno a vicenda, prevede Edipo.
L’incesto però è il delitto che l’ombra di Laio maledice sopra tutti :"maximum Thebis scelus- maternus amor est "(Seneca, Oedipus, vv.627-628), il delitto più grande a Tebe è l'amore per la madre.
Ma torniamo a Tito Livio e ai Baccanali di Roma.
Il console Postumio riferì in senato e i senatori affidarono ai consoli “quaestionem deinde de Bacchanalibus sacrisque nocturnis extra ordinem” (39, 14), l’inchiesta sui Baccanali e i riti notturni con mandato straordinario.
Quindi Postumio convocò l’assemblea popolare e, salito sulla tribuna (rostrum) informò il popolo. Disse che gli strepiti e gli ululati notturni avevano già fatto avvertire il fenomeno diffuso in tutta Italia ma ancora non ne era conosciuta la turpitudine: “Primum igitur mulierum magna pars est, et is fons mali huiusce fuit; deinde simillimi feminis mares stuprati et constupratores fanatici, vigiliis, vino, strepitibus clamoribusque nocturnis attoniti” (39, 15), dapprima dunque la parte grande la fanno le donne, e tale è la fonte di questo male; poi maschi del tutto simili alla femmine, violentati e violentatori invasati, intontiti dalle veglie, dal vino, dalle urla e dai clamori notturni.
Anche in questo caso fa parte dell’ u{bri" la negazione del principium individuationis: i maschi non si distinguono più dalle femmine.
La setta non ha ancora grandi forze ma le acquisterà “quod in dies plures fiunt”, poiché aumentano di giorno in giorno. I ragazzi vengono iniziati giovanissimi e da tale gioventù non si possono ricavare dei soldati. La forza dell’esercito, la sua disciplina, altro valore che entra nella sfera del fas, spariranno dunque con la santità della pudicitia: “Hi cooperti stupris suis alienisque pro pudicitia coniugum ac liberorum vestrorum ferro decernent?” (39, 15), questi coperti delle vergogne sessuali proprie e altrui, combatteranno per la pudicizia delle mogli e dei figli vostri?
Ecco che le orge bacchiche mettono in crisi alcuni valori forti della repubblica. Il contagio di tali turpitudini è pericoloso: “Nihil enim in speciem fallacius est quam prava religio. Ubi deorum numen praetenditur sceleribus, subit animum timor ne fraudibus humanis vindicandis divini iuris aliquid immixtum violemus (39, 16), niente infatti è più ingannevole per l’immaginario di una religione depravata. Quando la potenza degli dèi diviene pretesto di delitti, subentra nell’animo il timore che nel reprimere le colpe umane si violi qualche cosa del diritto divino confuso con esse.
I culti stranieri sono stati tradizionalmente proibiti poiché niente dissolve la vera religio “quam ubi non patrio sed externo ritu sacrificaretur”, tanto quanto laddove si sacrifica non secondo i riti tradizionali ma quelli stranieri.
Si pensi alla posizione dei leghisti padani nei confronti della religione musulmana. Si pensi viceversa al relativismo erodoteo.
Bisogna dunque abbattere le sedi dei Baccanali, disperdere i “nefarios coetus”, le nefaste congreghe.
Dopo questa assemblea, si diffuse il panico tra i seguaci della nuova religione. Molti tentarono di fuggire, ma furono arrestati dalle guardie poste alle porte, alcuni si uccisero. “Coniurasse supra septem milia virorum ac mulierum dicebantur” (39, 17), si diceva che i congiurati fossero più di sette mila. Si trattava dunque di una vera e propria congiura contro la civiltà.
Quindi i consoli furono incaricati della demolizione dei locali “In reliquum deinde senatus consulto cautum est ne qua Bacchanalia Romae neve in Italia essent ” (39, 18), per il futuro quindi con un decreto del senato si provvide che né a Roma né in Italia ci fossero i Baccanali.
Nella Casina di Plauto , la sua ultima commedia, scritta nel 185, si trova un’eco di questa vicenda: quando Mirrina, amica di Cleostrata sbugiarda il vecchio Lisidamo che giurava di essere stato depredato di un mantello dalle Baccanti: “Nugatur sciens. Nam ecastor nunc Bacchae nullae ludunt ” (v. 980), vuole dartela a intendere e lo sa.
Infatti i giochi delle Baccanti si sono chiusi.
Bologna,4 dicembre ore 17, 49
giovanni ghiselli.
[1] Cfr. P. Cipriano, Fas e nefas, Università degli Studi di Roma, Istituto di Glottologia, Roma 1978.
[2] E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, II, pp. 348-349. Per la differenza tra fas e ius cfr. Servio in Georgica, I, 269:" (…) ad religionem fas, ad homines iura pertinent".
[3] M. Bettini, Le orecchie di Hermes, p. 257.
Nessun commento:
Posta un commento