Con Aristotele dunque l'arte si risolleva dalla condanna inflittale da Platone: essa non è la copia di una copia che ci allontana di un grado dalla realtà delle idee; anzi ci fa vedere l'universale. Allora non è vero che i poeti riproducano solo la parte esterna e superficiale delle cose, né che suscitino emozioni contrarie all'uso corretto della ragione. Infatti l'altro concetto fondamentale della Poetica è quello di catarsi :"La tragedia è dunque imitazione di azione seria e compiuta (mivmhsi~ pravxew~ spoudaiva~ kai; teleiva~) che, con una certa estensione e con parola ornata (hJdusmevnw/ lovgw/)……di attori che agiscono e non attraverso un racconto, per mezzo di pietà e terrore, compie la purificazione da tali affezioni"(di j ejlevou kai; fovbou peraivnousa th;n tw'n toiouvtwn paqhmavtwn kavqarsin, 1449b, 28).
Catarsi e mimesi nell’Amleto di Shakespeare.
Non molto diversamente l’Amleto di Shakespeare che dice: “I have heard-that guilty creatures, sitting at a play,-have, by the very cunning of the scene,-been struck so to the soul that presently-they have proclaim’d their malefactions” (Hamlet, II, 2), io ho udito che delle persone colpevoli, davanti a un dramma, sono state colpite, dall’abilità della scena, fin dentro l’anima, in maniera tale che hanno confessato subito i loro misfatti.
Più avanti anche la teoria della mimesi è espressa dall’Amleto di Shakespeare: egli definisce “the purpose of playing”, lo scopo dell’arte drammatica, “ whose end, both at the first and now, was and is, to hold as ‘twere, the mirror up to nature” ( Hamlet, III, 2), il cui fine, all’inizio come ora, è sempre stato quello di reggere, per così dire, lo specchio alla natura.
Sentiamo una precisazione di Leopardi: “Il fine dei drammi non è, e non dev’ essere, d’insegnare a temere il delitto, coè di far che gli uomini temano di peccare. Meglio sarebbe una predica dell’inferno o del purgatorio; e meglio ancora una lettura del codice penale che si facesse sulla scena. Il loro scopo si è d’ispirare odio verso il delitto. Questo è ciò che le leggi non possono…Il dramma chiama la bontà e la malvagità col loro nome, e mostra il carattere e la condotta morale de’ felici e degl’infelici qual essa è veramente. Quindi la sua rande utilità, quindi l’odio e il disprezzo originato dal dramma verso i malvagi benché felici e viceversa”[1].
“Aristotele ritiene che l’eccesso di compassione e di timore si scarichi mediante la tragedia, che lo spettatore torni a casa più freddo. Platone ritiene invece che lo spettatore diventi più emotivo e pauroso che mai”[2].
Ecco allora che la tragedia, ben lungi dall'assecondare gli impulsi irrazionali come afferma Platone[3], opera una depurazione dalle passioni e un rasserenamento.
Sentiamolo con le parole di Bertrand Russel citato da Gilbert Murray: “What was eager and grasping, what was petty and transitory, has faded away. The things that were beautiful and eternal shine out like stars in the night”[4], quanto c’era di avido e cupido, quanto c’era di insignificante e transitorio, è svanito. Le cose che erano belle ed eterne brillano come stelle nella notte.
Questo è il potere di trasfigurazione della poesia, e in particolare della tragedia greca.
Aristotele chiarisce di che si tratta la catarsi quando spiega che il protagonista non può essere un perfetto malvagio, se deve suscitare pietà, invece di soddisfazione, né può essere una persona ottima quella che finisce in rovina, poiché in questo caso provocherebbe ripugnanza. Insomma il personaggio tragico deve soffrire per un errore (di j aJmartivan tinav, Poetica, 1453a, 10) un difetto intellettuale più che morale, piuttosto che un crimine voluto, un misfatto compiuto senza saperlo, come quello di Edipo che ha ucciso il padre suo e sposato la madre sua che non conosceva ; inoltre è necessario che questo disgraziato, e delinquente per sbaglio, non sia troppo lontano dalla medietà: poiché la pietà è per chi non si merita i tormenti, il terrore per chi ci somiglia (e[leo~ me;n peri; to;n ajnavxion, fovbo~ de; peri; to;n o{moion, 1453a, 5).
“Nella Retorica Aristotele colloca l’aJmartiva a metà strada tra sfortuna (ajtuvchma) e ingiustizia (ajdivkhma): l’aJmavrthma presuppone un atto volontario ma senza malvagità (mh; ajpo; ponhriva~), Rhet. 1374b”[5].
Racine nella Prefazione alla sua Fedra (1677) scrive che il carattere della protagonista : “ possiede tutte le qualità che Aristotele esige dall’eroe tragico e che sono adatte a provocare la compassione e il terrore. In verità Fedra non è del tutto colpevole né del tutto innocente. Essa è trascinata dal suo destino e dalla collera degli Dei in una passione illegittima, della quale è lei per prima ad essere inorridita”.
L'arte dunque è mimèsi, e, all'interno di tale categoria, la tragedia, la sofoclea in particolare, si propone, come Omero, di imitare personaggi migliori di quelli reali; la commedia peggiori.
Nel prologo del film Melinda e Melinda di Woody Allen c’è una battuta azzeccata sulla differenza fra tragedia e commedia: “tragedy confronts, comedy escapes”, la tragedia istituisce confronti, la commedia è evasione.
I confronti di Eschilo vertono tra patriarcato e matriarcato (Eumenidi soprattutto); quelli di Sofocle tra accettazione religiosa del cosmo e razionalismo privo di pietà, quelli di Euripide tra uomo e donna nel privato, tra democrazia e tirannide, tra Ateniesi e Spartani, tra Greci e barbari
Dopo la fine (lieta) delle vicende di Melinda, il medesimo personaggio della cornice teorica, un commediagrafo, conclude: “we laugh because it masks our real terror about mortality”, noi ridiamo per mascherare il reale terrore della nostra mortalità. Le risate provocate da Aristofane anche con la scatologia fanno pensare alla lumaca che messa sul fuoco sfrigola e sembra ridere, invece muore.
“Una tarda testimonianza di Apuleio (Flor. 18 comoedus sermocinatur, tragoedus vociferatur) differenzia in modo netto la recitazione degli attori comici e degli attori tragici: di tipo fortemente colloquiale l’una, fortemente sostenuta e incline alla declamazione potente l’altra”[6].
Qualche cosa di analogo dice Ovidio a proposito dello stile tragico e di quello comico: “Grande sonant tragici: tragicos decet ira coturnos; usibus e mediis soccus habendus erit”[7], i tragici hanno un suono forte: l’ira si addice ai coturni tragici: la commedia va tratta dall’esperienza quotidiana.
Euripide sarà imitato dagli autori della Commedia nuova: Filemone, Difilo e Menandro. Euripide che riduce i suoi personaggi a dimensioni meno grandiose di quelle di Eschilo verrà imitato dagli autori della commedia nuova Filemone Difilo e Menandro
Bologna 1 dicembre 2021 ore 18, 12
giovanni ghiselli
p. s.
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[1] Zibaldone, pp. 3448-3449 e p. 3451.
[2] Nietzsche, Frammenti postumi, ottobre-dicembre 1876, 19 (99)
[3] “Bisogna concedere che Omero sia sommamente poetico e il primo dei poeti tragici, ma sapere che si devono ammettere nella città solo inni agli dèi ed encomi per i buoni. Se invece accoglierai la Musa drogata (th;n hJdusmevnhn Mou'san), in canti lirici ed epici, piacere e il dolore regneranno nella tua città al posto della legge e del ragionamento che di volta in volta sembri essare il migliore per la comunità”, Platone, Repubblica, 607a.
[4] Euripides and his age, p. 243.
[5] Avezzù-Guidorizzi, Edipo a Colono, p. 325.
[6] M Di Marco, Op. cit., p. 90.
[7] Remedia amoris, 375-376.
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