Pochi punti fermi
Il mito di Stato. Atene è la città della cultura, dell’arte (Medea), la città che dà asilo ai supplici (Medea) e li aiuta (Supplici, Eraclidi ), la città della democrazia. Teseo quale paradigma mitico di Pericle (Supplici): il primo cittadino che di fatto comanda con il consenso degli altri cittadini.
“ejgivgneto te lovgw/ me;n dhmokrativa, e[rgw/ de; ujpo; tou' prwvtou ajndro;" ajrchv” Tucidide II, 65, 9).
Obiettivi polemici
Esecrazione degli Spartani e delle Spartane (Andromaca, Oreste, Eraclidi).
Peleo, il nonno di Neottolemo, esecra le Spartane e i loro costumi: neppure se lo volesse, potrebbe restare onesta[1] ("swvfrwn", v. 596) una delle ragazze di Sparta che insieme ai ragazzi, lasciando le case con le cosce nude ("gumnoi'si mhroi'"", v.598) e i pepli sciolti, hanno corse e palestre comuni, cose per me non sopportabili " (Andromaca, vv.595-600).
Tipi odiosi sono gli Spartani, soprattutto nell'Andromaca che risale ai primi anni della grande guerra del Peloponneso, ed è un concentrato di malevolenza e maldicenza antispartana. “Gli attacchi contro Sparta…a parere di molti la rendono una sorta di pamplhet politico”[2].
La stessa protagonista lancia un anatema contro la genìa dei signori del Peloponneso, chiamati yeudw'n a[nakte~ :" o i più odiosi (e[cqistoi) tra i mortali per tutti gli uomini, abitanti di Sparta, consiglieri fraudolenti, signori di menzogne, tessitori di mali, che pensate a raggiri e a nulla di retto, ma tutto tortuosamente, senza giustizia avete successo per la Grecia (vv.445-449).
Nelle Supplici, Adrasto chiede aiuto a Teseo e gli dice che non si è rivolto a Sparta poiché è una città crudele e dai modi sleali (Spavrth me;n wjmh; kai; pepoivkiltai trovpou~).
Nell’Ifigenia in Aulide, quando gli Spartani stavano vincendo la guerra del Peloponneso con l’aiuto del denaro fornito da Ciro il Giovane a Licurgo, sono malvisti e mal reputati i Troiani identificati con i Persiani.
Ifigenia lancia un grido di guerra contro i nemici orientali :"è naturale che gli Elleni comandino sui barbari, e non i barbari, madre, sui Greci: loro infatti sono schiavi, noi liberi" vv., proclama la figlia di Agamennone destinata al sacrificio che dopo una fase di terrore, affronta con coraggio e convinzione di questa necessità( vv. 1400-1401) dopo avere offerto la sua vita per la patria: "do il mio corpo per l'Ellade. Sacrificate, espugnate Troia. Questo infatti sarà il mio monumento a lungo, questi i figli, le nozze e la gloria mia"(vv.1397-1399).
Una contraddizione
Questo però non è un punto fermo perché nelle Troiane scritte in seguito al genocidio compiuto dagli Ateniesi a Melo, e rappresentate contro questo massacro e contro la guerra, Andromaca accusa i Greci che hanno deciso di ucciderle il figlio il quale cerca rifugio neosso;~ wJseiv, come un uccellino, sotto le ali della madre (v. 751): “w\ bavrbar j ejxeurovnte~
[Ellhne~ kakav-tiv tonde pai`da kteivnet j oujde;n ai[tion;” (vv. 764-765),o Greci che avete escogitato barbari orrori, perché ammazzate questo bambino che non è colpevole di nulla?
I veri barbari e autori di barbarie sono i Greci nell’accusa di Andromaca:
Nell’ Elena e nell’ Ifigenia fra i Tauri, e nell’Ifigenia in Aulide i barbari torneranno a essere i non Greci per il fatto che dal 412 fu stipulata una xummaciva tra il re dei Persiani e gli Spartani contro Atene (cfr. Tucidide, VIII, 18).
Una curiosità Nel libretto di Andrea Leone Tottola, musicato da Gioacchino Rossini, Ermione inveisce contro la rivale Andromaca, di cui è innamorato Pirro, gridando: “Ed osa tanto/Un avanzo di Troia?” (Ermione, I, 4).
Polemica con l’oracolo delfico che spartaneggiava e con il dio Apollo
Dell’Andromaca e dell’Eracle abbiamo già detto.
Apollo nell’Alcesti di Euripide ha un aspetto che ne prefigura uno dell’attuale divinità italica
Nell’Alcesti Thanato, la grande "uguagliatrice" accusa Febo di stare dalla parte dei ricchi: “"Stabilisci la legge, o Febo, per gli abbienti" (pro;~ tw`n ejcovntwn, Foi'be, to,n novmon tivqh" v. 57).
In effetti i sacerdoti dell'oracolo delfico, l'ombelico del mondo da dove zampillavano gli oracoli apollinei, appoggiava le consorterie aristocratiche e i regimi oligarchici.
Altri obiettivi polemici sono i demagoghi ( Odisseo nell’Ecuba, il ciarlatano dell’Oreste che adombra Cleofonte), Nella parodo dell’Ecuba , il coro delle prigioniere troiane presenta Odisseo come "lo scaltro (oJ poikilovfrwn[3])/ furfante dal dolce eloquio, adulatore del popolo"(vv.131-132) che convince l'esercito a mettere a morte Polissena.
Nel primo episodio la vecchia regina esautorata, la madre dolente, scaglia un’invettiva contro la genìa dannata dei demagoghi:"razza di ingrati è la vostra, di quanti cercate il favore popolare: non voglio che vi facciate conoscere da me: non vi curate di danneggiare gli amici, pur di dire qualche cosa per piacere alla folla. Ma quale trovata pensano di avere fatto con il votare la morte di questa ragazza? Forse il dovere li spinse a immolare un essere umano presso una tomba, dove sarebbe più giusto ammazzare un bue?
( Ecuba, vv. 254-261).
Poco più avanti Ecuba supplica Odisseo di contraccambiarle il beneficio che gli fece quando lo salvò facendolo uscire da Troia dove, infiltratosi come spia (katavskopo~, v. 239), era stato scoperto da Elena la quale lo aveva confidato soltanto alla regina.
Gli chiede dunque in cambio di non ammazzarle figlia con un verso che è un'alta espressione di umanesimo in favore della vita:"mhde; ktavnhte: tw'n teqnhkovtwn a{li" " (Ecuba, v. 278), non ammazzatela: ce ne sono stati abbastanza di morti.
Nell'Oreste, del 408, l'odioso ciarlatano che forse adombra il demagogo Cleofonte[4], figlio di madre Tracia, il quale capeggiava il partito della guerra a oltranza, chiede la condanna a morte dei matricidi, oramai divenuti vittime per quel continuo mutare dei ruoli assegnati dalla Sorte sovrana che è ricorrente nella poesia euripidea:"E dopo questo[5] si alza un tale, un uomo di lingua senza ritegno (ajqurovglwsso~ lett. lenza porta), tronfio di audacia, Argivo non Argivo, impostosi a forza, fidando nella confusione e nella rozza licenza di parola, e pure convincente tanto da gettare i cittadini in qualche male" (vv. 902-906).
Costui, spietato[6] e deleterio per la città th'/ povlei kako;n mevga (Oreste, v. 908).: "disse che bisognava uccidere Oreste e la sorella tirando pietre"(vv. 914-915).
Bologna 5 dicembre 2021 ore 10, 51
giovanni ghiselli
[1] Plutarco dà un'interpretazione non malevola dello stesso fatto: il legislatore volle che le fanciulle rassodassero il loro corpo con corse, lotte, lancio del disco e del giavellotto..per eliminare poi in loro qualsiasi morbidezza e scontrosità femminile, le abituò a intervenire nude nelle processioni, a danzare e a cantare nelle feste sotto gli occhi dei giovani (Vita di Licurgo , 14). E' interessante il fatto che Erodoto (I, 8) viceversa fa dire a Gige:"la donna quando si toglie le vesti, si spoglia anche del pudore".
[2] Caterina Barone (a cura di) Euripide Andromaca, p. 7.
[3] Aggettivo formato da poikivlo~ (variopinto) e frhvn (mente). "L'azione di "colorare" "rendere variegato" qualcosa, coincide dunque, di fatto, con il renderlo enigmatico, di difficile comprensione. Si comprende bene, perciò, che uno degli epiteti di Odisse sia proprio poikilomhvvvth" (Il 11, 482; Od. 3, 163; 13, 293.) "dai pensieri variegati". Si potrebbe dunque concludere che per i Greci ciò che è variegato, poikivlo" , si presenta automaticamente come enigmatico, di difficile interpretazione ". (M. Bettini, L'arcobaleno, l'incesto e l'enigma a proposito dell'Oedipus di Seneca, p. 142.).
Poikivlo" è etimologicamente connesso al latino pingo, pictor, pictura e significa qualche cosa di non semplice ( cfr. Platone, Teeteto, 146d. dove poikivlo", opposto a monoeidhv", "semplice"), di macchiato come la pelle di pantera (Iliade X, 29-30). e di oscuro: cfr Euripide, Elena 711-712 dove l'aggettivo è riferito dal nunzio all'oscurità del divino difficile da congetturare:" oJ qeov" wJ" e[fu ti poikivlon-kai; dustevkmarton" (cfr. tekmaivrw).
[4] Viene messo alla gogna nella parabasi delle Rane di Aristofane come incapace di pronunciare correttamente la lingua dei veri Ateniesi: sulle sue labbra ambigue orrendamente freme la rondinella tracia (vv. 679-681), e, poco più avanti il demagogo è messo tra gli stranieri, rossi di pelo, mascalzoni e discendenti da mascalzoni, ultimi arrivati, dei quali ora la città si serve per ogni uso, ma che in passato non sarebbero stati utilizzati facilmente nemmeno per caso come vittime espiatorie: “oujde; farmakoi'sin eijkh'/ rJa/divw~ ejcrhsat j an” (vv. 730-733). “Noi diremmo ‘spaventapasseri’ o ‘Guy Fawkeses’. La parola significa letteralmente ‘medicine umane’, ovvero ‘capri espiatori’ (G. Murraty, Le origine dell’Epica Greca, p. 24).
Tra le altre cose la rondine è in sé un animale ambiguo: significa il ritorno della primavera e dell’amore ma non “ci sono dubbi sul fatto che la rondine, nella cultura antica, funzioni anche come presagio di sventura. Cleopatra fu terrorizzata dal fatto che delle rondini avevano fatto il nido attorno alla sua tenda, e sulla nave ammiraglia (Dione Cassio, 50, 15)”. (M. Bettini, Le orecchie di Hermes, p. 137). E' il dark side della rondine.
[5] Diomede che aveva proposto l’esilio per i matricidi.
[6] Certamente ignaro del monito di Cristo venturo "chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra"(Giovanni, VIII, 7) che invece troveremo prefigurato da Menandro negli (Epitrevponte") dove troviamo un vero momento di mavqo" tragico quando Carisio, il protagonista, definisce se stesso, ironicamente, l'uomo senza peccato attento alla reputazione ( ejgwv ti" ajnamavrthto", eij" dovxan blevpwn, v. 588) e comprende che l'errore sessuale della moglie è stato un "infortunio involontario"( ajkouvsion gunaiko;" ajtuvchm j, v. 594).
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