martedì 16 aprile 2024

Ifigenia CXXXII Il tentatore.

 

Nell’intervallo andai a bere il caffè, non con Ifigenia purtroppo che villeggiava lontana, ma con Alfredo che sedeva vicino a me nel banco dei vecchi studenti, o studenti pensionati, come ci chiamavano le matricole, non senza ragione.

  Alfredo propose: “amico mio, perché non ci diamo da fare con “un paio di finniche delle quali tu hai, se non sbaglio, tante belle esperienze?

Lo guardai con aria di scherzosa riprovazione e canticchiai “Sempre andrai farfallone amoroso,/ notte e giorno d’intorno girando,/ delle belle turbando il riposo,/ narcisetto adoncino d’amor[1].

 

Poi, assunta una faccia quasi severa, risposi: “No, amico carissimo, scusami ma quest’anno non voglio: ho promesso la mia fedeltà a una donna splendida, quella collega giovane che hai conosciuto. Non hai visto che è fatta cme un’opera d’arte ? Non voglio rischiare di perdere una relazione seria con tale bellezza per un’avventura mensile. Non sarebbe utile oltre non essere onesto”.

 

“Ma va’ là” ribatté quel demone tentatore. “Non ricominciare a fare il fighetto . Ora  vuoi fare il filosofo morale. In un modo o in un altro tu vuoi distinguerti sempre: qui tutti tradiscono! Le donne prima e più volentieri degli uomini! E Ifigenia, cosa credi che faccia? Dov’è in questi giorni?”.

 

“Dalle parti di Rimini”, gli ricordai.

 

“Ah, già. Me l’hai detto. A Rimini ci sono più grossi puntatori che gocce d’acqua nel mare. La città di Fellini è un circo più popolato, incasinato e frenetico di Debrecen. A parte Rimini poi, una volta che venni a trovarti nel vostro liceo, ho visto la tua donna, una bellona senza dubbio, però se la spassava abbracciata con un giovane uomo. Allora non te lo dissi perché pensavo che nemmeno tu le fossi fedele. Sei matto? Quella era proprio avvinghiata al ganzo suo. “Son qui tra le tue braccia ancor,  avvinta come l’edera ! ”, cantava Nilla Pizzi, quando eravamo bambini. Ora non lo siamo più, e tu non puoi vedere il tutto nel nulla”.

 

“ Sei tu  che vedi il nulla nel tutto di Ifigenia”, replicai ricordando Leopardi[2].

 

Ma aveva ragione l’amico, oggi defunto purtroppo. Avrei dovuto ascoltarlo.

 

Quel giorno di primavera Ifigenia si era accorta di essere stata osservata e, immaginando che sarebbe stata denunciata, prevenne la delazione e mi raccontò quell’episodio, spiegandomi che l’uomo era un suo amico d’infanzia un po’ strambo, uno studente-tassista. Tra loro c’era solo un sodalizio amichevole. Romossi il sospetto  per la sopravvivenza della relazione ancora abbastanza vivace.

 

Comunque in luglio risposi: “Lo so, Alfredo caro, lo so: me l’ha detto lei stessa. Quello è un suo amico. Quanto al casino di Rimini, se Ifigenia mi ama, non mi tradisce, come io non la tradisco in questo casino. Debrecen poi sarà un casino per te e le mie zie; per me è stato il luogo degli amori più belli dei miei, dei nostri vent’anni lontani. A Helena, Kaisa e Päivi io devo buona parte della mia umanità e della mia felicità. A te, amico mio, ora devo un rifiuto”.

“Non te la prendere”, ribatté Alfredo. Quindi  riprese l’attacco: “Però toglimi una curiosità: come fai a dire che lei ti è fedele? Come puoi essere sicuro che ti ami o ti voglia bene? Quante lettere ti ha scritto da quando siamo arrivati a Debrecen? Ricordati che una nave ormeggiata con una sola ancora non è per niente sicura. Cercati un’amante anche qui: arricchisci la tua collezione, fanne una raccolta da museo dei tuoi amori!”

Il tentatore cercava di strangolare la mia fiducia in Ifigenia stringendo ogni cosa bella con il suo pugno infernale. Ero turbato, ma cercai di non darlo a vedere per non subire  commenti ironici e maliziosi.

“Se incontrerà uno che le piacerà molto, me lo farà sapere subito con un telegramma. Altrettanto farò io. Siamo d’accordo così. In ogni caso io non infrango il patto. Ho promesso e non rompo la fede. E anche tu non rompere più”.

Dissi quest’ultima frase così bruscamente che si diede per vinto.

“Fa’ un po’ come ti pare”, brontolò e si allontanò, per cercare, forse, un altro compare di caccia amorosa, o di merende con burle e bevute.

Improbus”, pensai nella mia ingenuità già annosa. Non avevo capito che quel compagno di colazioni e lezioni non aveva torto. Stavo commettendo un errore mentale, amoroso e pure politico poiché le angosce  inflitte da  quella donna avrebbero sottratto energie al mio lavoro dedito al bene comune, alla scuola, e, dopo tutto, alla polis.

 Sentivo che qualche cosa non andava, che si profilava un autunno lugubre.

Ma non volevo ammetterlo.

Quindi, per liberarmi da pensieri e dubbi penosi, andai a correre i 5000 metri nel caldo sicuro e luminoso del mezzogiorno. Corsi bene: le membra divinamente compatte dal vincolo dell’armonia e della salute migliorarono l’ultimo tempo di sette secondi.

 

Bologna 6 4 2024 ore 16, 48 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] Mozart-Da Ponte, Le nozze di Figaro, II, 9, aria.

[2] "I fanciulli trovano il tutto nel nulla, gli uomini il nulla nel tutto" Zibaldone , p. 527.

Un concetto ribadito, nei Detti memorabili di Filippo Ottonieri :" Diceva che i diletti più veri della nostra vita sono quelli che nascono dalle immaginazioni false; e che i fanciulli trovano il tutto anche nel niente, gli uonini il niente nel tutto".

 


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