mercoledì 17 aprile 2024

Ifigenia CXXXV. Doppio sogno con due storie dedicate a Helena.


 

La notte tra il 27 e il 28 luglio sognai: situazioni felici dei miei ventanni lontani, sognai. Ebbi due visioni notturne pullulate dal ricordo di due gite fatte nell’estate del 1971.

  La prima al Tibisco fatta nel luglio del 1971 con Helena, Fulvio, Ezio, Alfredo e Claudio.

Giungemmo a Zahóny dove il fiume divideva l’Ungheria dall’Unione Sovietica. L’acqua era solcata da motoscafi con uomini armati. Volevo farmi bello con Helena e dissi: “andiamo a nuotare?”. Ezio approvò.

Per accentuare il rischio e l’eroismo dell’impresa dissi: “dai Ezio, attraversiamo il fiume: “vediamo se i Russi sono davvero cattivi come si dice e ci sparano addosso”. Helena replicò con il suo stile di donna coraggiosa e incoraggiante: “Ma no, il Tibisco non è l’Ussuri! Da Budapest a Vladivostok vale e funziona il patto di Varsavia!”

Dopo tale benedizione dalla domina mia santa protettrice avrei affrontato anche le cannonate. Sicché ci tuffammo dalla riva cespugliosa e sassosa. Quando fummo in mezzo alle rauche correnti però, il via vai dei motoscafi che perlustravano le sponde ci sbigottì. Temevamo urti terribili dalle prue dei battelli veloci mentre si nuotava con la testa appena affiorante dall’acqua. Mezza bravata l’avevamo già fatta e gli amici ci applaudirono. Quindi ci offrirono da bere in una csárda con violani zigani e le danze ungheresi di Brahms. Era l’Ungheria ritenuta autentica, ma pure di maniera e un poco falsa, come piace a me.

Ripartimmo per Debrece verso le nove. Nel sogno Helena non c’era più. Non vedevo l’ora di arrivare per ritrovarla. Cantavo Kalliolle kukkulalle-rakennan mina maiani- tule tule tytto nuori- yakama se munkassani.

Così l’avevo sentita cantare dal coro delle finniche e la ripetevo nel sonno senza sapere che cosa significasse però mi sembrava un canto d’amore.

Arrivati a Debrecen intorno alle 11, mi precipitai sotto la finestra dove mi era apparsa tante volte Elena bella ma questa volta non c’era. Allora mi diedi a correre freneticamente su e giù per le scale dei due collegi, invano. Quindi decisi di andare a cercarla in tutti i locali di Debrecen. Prima però andai a fare una doccia. Tornato in camera, avvenne il miracolo: bussò lei e mi chiese di portarla a ballare al Művész.

 Ci guardammo negli occhi tutto il tempo.

 

Dopo questo sogno ne feci un altro, sempre fondato su un ricordo bello.

Eravamo seduti in un locale sul Balaton. Avevamo cenato e bevuto insieme, parlando bene delle nostre vite. Eravamo felici.

Anche questa volta volli darle una prova di coraggio, di non smentire il mio ruolo di vir, anzi di onorarlo mostrando segni di virtus.

“Vado a tuffarmi nel lago e  nuotare” dissi alzandomi.

Questa volta cercò di trattenermi: “stai scherzando? Hai appena terminato di cenare: vuoi lasciarmi vedova qui in Ungheria?”

“No, anzi, tesoro: vado a nuotare per meritare il tuo amore: se non facessi il bagno dopo questa mangiata e bevuta rischierei il torpore che costituirebbe un offesa per la tua immagine santa”.

Così andai a nuotare e al ritorno fui accolto come un eroe da Elena e dai nostri amici allertati da lei nel caso che l’acqua fredda mi avesse provocato malore.

Due storie dunque e un doppio sogno. Credo che se non avessi nell’anima tali ricordi sarei morto da un pezzo, morto pazzo di dolore e di noia. Ricordi belli e santi  come questi costituiscono  la migliore delle educazioni. Lo dice Alioscia alla fine dei Fratelli Karamazov e lo confermo con queste storie di Elena e mie.

Bologna 17 aprile 2024 ore 18, 45 giovanni ghiselli

p. s

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