Nutrice
E tollererà Giasone che i figli soffrano pai`da~
pavsconta~ questo, se pure
è in disaccordo con la madre? 75
Pedagogo
Le antiche cedono alle nuove parentele , kainw`n levipetai khdeumavtwn
e quello non è amico di questa nostra casa.
Nutrice
Siamo perduti allora, se un male nuovo
aggiungeremo all'antico, prima che questo sia
esaurito.
Pedagogo
Ma tu comunque, poiché non è opportuno che sappia
questo 80
la signora, stai calma e non dire una parola.
Nutrice
O figli, sentite com'è il padre verso di voi?
vada in malora magari no: infatti è il mio padrone;
nondimeno è provato che è davvero malvagio verso i
suoi cari.
Pedagogo
Chi non lo è tra i mortali? Solo ora prendi coscienza
di questo, 85
che ciascuno ama se stesso più del prossimo
alcuni magari a ragione, ma altri anche per lucro,
se questi bambini qui per un letto il padre non li ha
cari?
Nutrice
Andate, ché sarà meglio, dentro la casa, o figli.
Tu, più che puoi, tieni isolate queste creature 90
e non lasciarle andare vicino alla madre furente.
Già infatti l'ho vista mentre fissava con furia
taurina
questi bambini, come se avesse in animo di fare
qualcosa; e non cesserà
dall'ira, lo so bene, prima di avere assalito
qualcuno.
Spero almeno lo faccia con i nemici, non con i suoi
cari. 95.
Commento
pai`da~ pavsconta" (vv.
74- 75) che i
figli soffrano
Il dolore inflitto ai bambini
non ha nessuna giustificazione. Lo dice Ivan Karamazov:" E se le
sofferenze dei bambini hanno servito a completare la somma delle sofferenze
necessarie per acquistar la verità,
io dichiaro fin d'ora che tutta la verità presa insieme non vale quel
prezzo".
Dostoevskij mostra la
disperazione di una bambina causata da un adulto congiurato con l'inferno, Nikolaj Stavrogin,
nel romanzi I demoni dove la piccola
Matrioŝa si impicca in "un minuscolo ripostiglio, una specie di
pollaio" dopo che il suo viso aveva espresso "una disperazione che
era impossibile di vedere sul viso di una bambina"
Per evitare le sofferenze dei bambini si deve
rinunciare anche all’armonia: “Hanno valutato troppo cara quell’armonia e non
abbiamo mezzi per pagarne a tal prezzo l’ingresso. E perciò mi affretto a
restituire il mio biglietto d’ingresso. E se sono un uomo onesto, devo
restituirlo al più presto possibile”.
diaforavn (v. 75)
disaccorfo: tra i due ex amanti c’è
diversità di carattere, di educazione e di cultura.-kainw'n…khdeumavtwn (v. 76): genitivo dovuto all’idea di paragone
contenuta in leivpetai. Le nuove parentele acquisite attraverso il
matrimonio sono più convenienti per il pragmatico Giasone, ma Medea interpreta
l’imparentamento dei suoi figli con quelli di Glauce figlia del tiranno di
Corinto Creonte come una contaminazione della loro razza di discendenti dal
Sole la quale non deve sporcarsi avvicinandosi alla stirpe di Sisifo,
il malfamato fondatore di Corinto. Tali accoppiamenti incongrui, dettati
dall’interesse materiale vengono deprecati già da Teognide: “I montoni e gli asini noi li
cerchiamo, o Cirno, e pure i cavalli/di razza buona, e ciascuno vuole che
derivino/da procreatori buoni; invece, di sposare una donna ignobile, figlia di
padre ignobile, non si preoccupa/l'uomo nobile, se gli dà molto denaro,/né una
donna sdegna di essere la sposa di un plebeo/purché ricco, anzi lo preferisce
facoltoso piuttosto che nobile./Onorano il denaro: e un nobile sposa la figlia
di un plebeo e un plebeo quella di un nobile: la ricchezza ha mescolato le
stirpi.” (Silloge, vv. 183-190). Come
l’incesto, questa mescolanza innaturale genera confusione.
-kakovn…nevon palaiw/' (v. 78 e v. 79): tra i mali, il nuovo e l’antico non c’è
neppure quella discontinuità che permetterebbe il respiro.
Viene in mente una risposta della Pizia
delfica ai Lacedemoni che erano andati a interrogarla sulle ossa di Oreste.
Ella allora aveva cantato, in esametri: "c'è in Arcadia una Tegea in luogo
piano/dove due venti soffiano per possente necessità,/ e colpo e contraccolpo,
e male su male si posa" (kai; tuvpo" ajntivtupo", kai; ph'm j ejp
jphvmati kei'tai,
Erodoto I, 67, 4).-
kairov" (v. 80) opportuno.
La scelta giusta del momento opportuno è una
delle prove decisive dell’intelligenza di una persona: Isocrate
nel manifesto della sua scuola, Contro i sofisti
afferma che difficile non è tanto
acquisire la conoscenza dei procedimenti retorici, quanto non sbagliarsi sul
momento opportuno per usarli :"tw'n kairw'n mh; diamartei'n"( 16).
.-a[rti givgnwvskei" (85 ) –ora capisci- è una comprensione tardiva di una
realtà cattiva che non può essere modificata. Diversa è la situazione di Admeto
che, nell’Alcesti , comprende in
tempo di avere sbagliato chiedendo alla giovane moglie di morire per lui: “lupro;n diavxw bivoton: a[rti manqavnw”
(v. 940) . Una comprensione che gli frutta la restituzione della sposa grazie
alla possa di Eracle. Jan Kott interpreta malignamente questo ravvedimento:
“Ma è guarito Admeto? “Ora comprendo”
(940), dice tornando nella casa vuota dopo il funerale. Ma che cosa ha capito?
Che la casa è sporca, che i bambini piangono, che lui non può risposarsi, che
tutti lo considerano un codardo”.
Il verso 86 sintetizza l'egoismo dell'età borghese di
cui, si dice, Euripide è stato il primo poeta:"Il predominio degli affari,
del conteggiare e calcolare, dalla sfera privata sino alla più alta sfera
pubblica, caratterizza l'età di Euripide".
Euripide viene
considerato il padre della Commedia Nuova, dove troviamo i tipi e i principi
della vita borghese. “In essa sopravvisse la forma degenerata della tragedia.
Dato questo nesso, è comprensibile l’appassionata inclinazione che i poeti
della commedia nuova sentirono per Euripide; sicché non sorprende più il
desiderio di Filemone che si sarebbe voluto far impiccare subito solo per poter
visitare Euripide agli inferi”.
Invero questo predominio degli affari a Euripide non piace: lo racconta con
parole critiche.
riquadro
Egoismo e umanesimo. Contro i sacrifici umani della
guerra. Contro la pena di morte.
All'opposto di questa chiusura nell'ego c'è l' Antigone
di Sofocle che afferma il suo amore per l'umanità :" ou[toi sunevcqein ajlla;
sumfilei'n e[fun", (v. 523),
certamente non sono nata per condividere l'odio, ma l'amore. "Esiste un
umanesimo greco, al quale dobbiamo opere come l'Antigone di Sofocle, una
delle più alte tragedie ispirate a quest'atteggiamento; in essa, Antigone
rappresenta l'umanesimo e Creonte le leggi disumane che sono opera
dell'uomo".
Un'altra
espressione di umanesimo è quella che il vecchio Sofocle attribuisce a
Teseo nell'Edipo a Colono : "e[xoid j ajnh;r
w[n"(v.567), so di essere un uomo.
“Compresero che un vero uomo è un fenomeno raro quanto
una vera donna. Un uomo che non vuole dimostrare nulla alzando la voce e
facendo risuonare la spada, un uomo che vuole soltanto dare e ricevere, senza
fretta e senza avidità, perché ha dedicato l’intera esistenza, ogni sua fibra,
ogni barlume della sua coscienza e ogni muscolo del suo corpo al richiamo
imperioso della vita: un uomo simile è un fenomeno estremamente raro”.
“E’ duro avere a che fare con un vero uomo, mia cara,
perché ha un’anima”.
Nell'Heautontimorumenos troviamo
l'interessamento benevolo dell'uomo per l'uomo :"Homo sum: humani nil a me alienum puto
",
sono uomo e tutto ciò che è umano mi riguarda, risponde Cremete a Menedemo che
gli ha chiesto se abbia tanto tempo libero da prendersi cura di guai non suoi.
Infatti "il primo peccato mortale, ora credo, è il tradimento della
cortesia. Il venir meno dell'ascolto".
Cicerone nel
III libro del De Officiis dice che l'umanità è un unico corpo del quale
i singoli individui sono le membra. Dobbiamo aiutare l'uomo perché ogni uomo è
parte di noi stessi :"Etenim multo
magis est secundum naturam excelsitas animi et magnitudo itemque comitas,
iustitia, liberalitas quam voluptas, quam vita, quam divitiae, quae quidem
contemnere et pro nihilo ducere
comparantem cum utilitate communi magni animi et excelsi est. Detrahere
autem de altero, sui commodi causa, magis est contra naturam quam mors, quam
dolor, quam cetera generis eiusdem "(III,
24). Infatti è molto più secondo natura l'elevatezza e la grandezza d'animo, e
parimenti la cortesia, la giustizia, la generosità, che il piacere, che la vita
stessa e le ricchezze; quindi disprezzare questa roba e valutarla nulla
paragonandola con l'utilità comune è proprio di un animo grande ed elevato.
Sottrarre invece a un altro per il tornaconto proprio, è più contro natura che
la morte, il dolore e altre cose del medesimo genere.
E più avanti (III, 25):"
ex quo efficitur hominem naturae
oboedientem homini nocere non posse ", da ciò deriva che l'uomo il quale
obbedisce alla natura non può nuocere all'uomo.
Marco
Aurelio, imperatore (161-180 d. C.) e
filosofo, scrive (Ricordi , II, 1):
noi siamo nati per darci aiuto reciproco ("pro;" sunergivan"), come i piedi, le mani, le
palpebre, come le due file dei denti. Dunque l'agire uno a danno dell'altro è cosa contro natura
("to; ou\n
ajntipravssein ajllhvloi" para; fuvsin").
Una splendida idea dell'humanitas del circolo scipionico
che è stata e sarà ripresa nei secoli dei secoli : in Devotions upon Emergent Occasion di John Donne (1572-1631) per esempio leggiamo:" Nessun uomo è un'isola conclusa in sé; ogni uomo è una parte del
Continente, una parte del tutto. Se il mare spazza via una zolla, l'Europa ne è
diminuita, come ne fosse stato spazzato via un promontorio..la morte di
qualsiasi uomo mi diminuisce, perché io appartengo all'umanità, e quindi non
mandare mai a chiedere per chi suona la campana("for whom the bell tolls "
); suona per te.
L’idea
dell'unità è una meta inseguita, anche
come scopo personale, da diversi autori:
Hermann Hesse, per esempio,
che scrive:" In nulla al mondo, infatti,
io credo così profondamente, nessun'altra idea mi è più sacra di quella dell'unità,
l'idea che l'intero cosmo è una divina unità e che tutto il dolore, tutto il
male consistono solo nel fatto che noi, singoli, non ci sentiamo più come parti
inscindibili del Tutto, che l'io dà troppa importanza a se stesso. Molto dolore
avevo sofferto in vita mia".
L'abulico Oblomov
di Gončarov nega valore all'intelligenza che non comprende
l'umanità:"Voi credete che il pensiero possa fare a meno del cuore. No, il
pensiero è reso fecondo dall'amore. Tendete la mano all'uomo caduto per
sollevarlo, o piangete lacrime amare su di lui, se egli è finito, ma non lo
schernite. Amatelo, riconoscete voi stesso in lui e trattatelo nel modo in cui
trattereste voi stessi".
La mancanza di solidarietà verso il prossimo è spesso
la conseguenza del divide et impera che è forse la prima regola di ogni
potere ed è molto evidente, anche se per i più costituisce uno dei tanti imperii
arcana .
“Raskòlnikov ha
violato il precetto di Cristo perché ha amato gli altri meno di sé, Sonja
perché ha amato sé meno degli altri: Cristo
invece ha comandato di amare gli altri non meno e non più di se stessi, ma come
se stessi”.
“Bisogna imparare ad amare se stessi-questa è la mia
dottrina-di un amore sano e salutare: tanto da sopportare di rimanere presso se
stessi e non andare vagando in giro…E, in verità quello di imparare ad amare se stessi non è un comandamento per oggi e
domani. Piuttosto è questa, di tutte le arti, la più sottile, ingegnosa,
lontana e paziente”.
Contro i sacrifici umani che sono parte della
disumanità della guerra si esprime umanamente la vecchia regina troiana nell'Ecuba
di Euripide che accusa la disumanità dei politici demagogici rappresentati da
Odisseo:"Forse il dovere li spinse a immolare un essere
umano/presso una tomba, dove sarebbe più giusto ammazzare un bue?(vv. 254-261).
Poco più avanti Ecuba supplica Odisseo di non ammazzare la figlia con un verso
che è un'alta espressione di umanesimo in favore della vita:"mhde;
ktavnhte: tw'n teqnhkovtwn a{li" " (v. 278), non
ammazzatela: ce ne sono stati abbastanza di morti.
Nelle Troiane di Seneca
Agamennone prende una posizione analoga a quella dell’Ecuba euripidea davanti
allo spietato Pirro che esige il sacrificio di Polissena:"Quidquid
eversae potest/superesse Troiae, maneat: exactum satis/poenarum et ultra est. Regia ut virgo occidat/tumuloque donum detur et
cineres riget/et facinus atrox caedis ut thalamos vocent,/non patiar. In me
culpa cunctorum redit:/qui non vetat peccare, cum possit, iubet "
(vv.285-291), tutto ciò che può sopravvivere di Troia sconvolta, rimanga: è
stato fatto pagare abbastanza in fatto di pene e anche troppo. Non sopporterò
che la ragazza figlia della regina muoia e la sua vita sia donata a una tomba e
che un delitto atroce spruzzi di sangue le ceneri in modo che parlino di
cerimonia nuziale: la colpa di tutti i misfatti ricade su me: chi non impedisce
un delitto, quando può, è come se lo avesse ordinato. Se deve essere fatto un
sacrificio in onore di Achille, continua il dux "caedantur
greges/fluatque nulli flebilis matri cruor" (vv. 296-297), si
ammazzino animali del gregge
e scorra il sangue che non faccia piangere nessuna madre umana.
Concludo
con Il sogno di un uomo ridicolo di Dostoevskij, un
"racconto fantastico" del 1877.
Il kevrdo~ (v.
87) lucro
La parola kevvvrdo" è
emblematica dell'età dell'egoismo rappresentata senza simpatia da Euripide. La
scarsa considerazione del profitto risale all'età eroica: nell'ottavo canto
dell'Odissea , Eurialo, un atleta giovane e bello dell'isola dei Feaci,
per offendere Ulisse, gli dice che non gli sembra un uomo capace di gare, ma un
capo di marinai mercanti, uno che si ricorda del carico e sorveglia i guadagni
rapaci ("ejpivskopo"...kerdevwn
q j aJrpalevwn" (vv. 163-164). Odisseo
risponde con ira al suo detrattore dicendogli "sei di aspetto splendido,
ma vuoto di mente", quindi lo sbugiarda mostrando a tutti di essere ancora
un ottimo atleta.
Kevrdo" è una delle
parole che ricorrono nei discorsi dei tiranni delle tragedie: il profitto è una
vera ossessione del despota.
Nell’Antigone,
per esempio Creonte replica al coro usando termini economici, quelli che la
nobiltà, non solo greca, considera i più
vicini agli interessi e alla mentalità tanto della plebe quanto dei
tiranni che la capeggiano:"e infatti la paga (misqov") è questa. Ma per speranze/il lucro (kevrdo") spesso manda
gli uomini in rovina". (v. 221-222). Più avanti l'autocrate cercherà di
rinfacciare l'avidità a Tiresia (v. 1055) il quale subito dopo ritorcerà contro
di lui l'accusa di amare i turpi guadagni (v. 1056).
Leopardi in Il pensiero dominante condanna l’ossessione dell’utile da parte
della sua età "superba,/ che di vote speranze si nutrica,/vaga di ciance,
e di virtù nemica;/stolta, che l'util chiede,/e inutile la vita/quindi più
sempre divenir non vede"(vv. 59-64).
Ancora più duramente si esprime nei confronti del
lucro il poeta di Recanati nella Palinodia
al Marchese Gino Capponi :" anzi coverte/fien di stragi l'Europa e
l'altra riva/dell'atlantico mar...sempre che spinga/contrarie in campo le
fraterne schiere/di pepe o di cannella o d'altro aroma/fatale cagione, o di
melate canne,/o cagion qual si sia ch'ad auro torni"(vv. 61-67).
Efficace è la sintesi pindarica : "ajkevrdeia levlogcen qamina;
kakagovrou~ " (Olimpica I , v. 53), una perdita tocca spesso ai maldicenti. Sono
quelli che dicono male degli dèi e, quindi, della vita, reificandola,
riducendola a cosa.
Cnemone, il Duvskolo~ di
Menandro, dice di essersi distolto e
isolato dall'umanità dopo avere constatato che l'attenzione dei più era
indirizzata al lucrare (pro;~
to; kevrdainein, Duskolo~ v, 720)).
Tra i moderni Celine
esprime insofferenza e disgusto per il commercio e la pubblicità che
pervadevano tutta New York la "città in piedi…diritta da far
paura…costruita in altezza… La mia stanchezza s'aggrappava dinanzi a quelle
distese di facciate, a quella monotonia di lastricati, di mattoni e di
travature all'infinito e di commercio e di commercio ancora, questo cancro del
mondo, che prorompeva con réclames
promettenti e pustolose. Centomila menzogne farneticanti".
Fromm
descrive senza alcuna simpatia il carattere mercantile il quale"
sperimenta se stesso come merce e venditore di merce. Si preoccupa della
capacità di risultare vendibile. Non capisce il valore intrinseco di cose o
persone ma il loro funzionamento. Non ha
legami emozionali con niente: le cose contano per il prestigio o il
conforto che danno ma in sé non hanno importanza: sono consumabili come le
persone".
Il culto idolatrico del
denaro porta all'annientamento di ogni altro valore e divinità, Eros compreso.
D. H. Lawrence fa
su questo tema una riflessione che si può collegare alle transvalutazioni
generali, anche lessicali,
che avvengono in certi periodi:" Tutte le grandi parole, pensava Connie,
erano diventate vane per la gente della sua generazione; amore, gioia,
felicità, casa, padre, madre, marito, tutte quelle grandi parole erano presso
che morte ora, e andavano morendo di giorno in giorno. La casa non era che un
luogo dove si viveva; l'amore una cosa che non ingannava più; la gioia una
parola da applicarsi a un bel charleston; la felicità un termine
ipocrita usato per ingannare gli altri; il padre era una persona che si godeva
la vita; il marito un uomo con cui si viveva e si cercava di tenere il buon
umore. E quanto al sesso, l'ultima
grande parola, non era che un nome da cocktail applicato a una eccitazione
fugace che divertiva un istante e lasciava più flaccidi di prima…Il
denaro? Forse era un'altra cosa. Si aveva sempre bisogno di denaro. Il denaro,
il successo, la dea-cagna…erano necessità permanenti…Per far muovere il
meccanismo della vita, si ha bisogno di denaro. Bisogna averne. Bisogna avere
denaro. Non si ha veramente bisogno di nient'altro, in fondo. Tutto qui! Non è
colpa nostra se viviamo; e, dal momento che viviamo, il denaro è una necessità,
la sola necessità assoluta. Di ogni altra cosa, alla peggio, si può fare a
meno. Ma non del denaro. Per l'ultima volta: tutto qui!".
Alla fine del romanzo di Lawrence c'è una maledizione
della civiltà industriale con il culto idolatra di Mammona che nega e uccide la
gioia di vivere:"Se gli uomini indossassero calzoni scarlatti, come dissi
una volta, non penserebbero tanto al denaro; se potessero saltare e ballare e
cantare e far mostra di sé ed essere belli, si accontenterebbero di ben poco
denaro. E potrebbero imparare a essere nudi e belli, a cantare in massa, a
ballare le antiche danze in gruppo, a intagliare gli sgabelli su cui seggono e
a ricamare i propri simboli. Allora non avrebbero più bisogno di denaro. Questo
è il solo mezzo per risolvere il problema industriale: insegnare al popolo a
vivere e vivere in bellezza, senza bisogno di spendere" (p. 347).
-eujnh'" ou{nek '(a), (v. 88 per un letto
): il letto è il movente, diretto o indiretto, dei delitti di
questa coppia disgraziata: “Ho sempre trovato che le coppie male assortite sono
quelle più desiderose di vendicarsi: esse fanno scontare al mondo intero di non
poter più andare ciascuno per conto suo”.- ejrhmwvsa" e[ce (90 tieni isolate) La conseguenza della completa peccaminosità
dell'era dell'homo lupus
homini è che la vicinanza tra gli umani è pericolosa al punto che le stesse
madri, esasperate, possono arrivare a uccidere i propri figli, come ai nostri
giorni. E' il momento della lotta
spietata di tutti contro tutti.
-mh; pevlaze (v. 91 non lasciarli
andare vicino) Pochi versi più avanti (101-103) la Nutrice ripete ai bambini
l'invito a non avvicinarsi a quella furia: mh; pelavsht' (e), e a guardarsi da quell'indole selvaggia. Il prossimo,
l'avvicinamento, la vicinanza, perfino quella della propria madre, sono
diventate categorie a rischio di morte
.-dusqumoumevnh/ (v. 91 furente): participio di dusqumevomai.
Il prefisso dus- nei composti conferisce un valore
avversativo-negativo. Infatti Medea ha uno qumov"
esasperato. Ho tradotto ricordando C. Pavese:"E qualcuno ora è vecchio-e
ti parla- che vide i suoi figli sacrificati dalla madre furente".
o[mma (…) tauroumevnhn
(v. 92) La donna si fa toro nello sguardo. Il toro, riproposto al
v. 188, incarna potenza sessuale ed è anche la "maxima… victima" (Virgilio, Georgiche II, 146-147) del
sacrificio, quindi la furia di Medea si ritorcerà contro di lei.
L'imbestiamento taurino è conseguenza anche della pazzia di Aiace. L'eroe
impazzito dopo avere fatto strage di tori, si fa toro lui stesso: “uJpestevnaze, tau'ro"
w{" brucwvmeno"” (Aiace, v. 322), gemeva cupamente come un
toro che muggisce.
Nell’Otello
di Shakespeare la gelosia omicida stravolge l’aspetto del Moro: Some bloody passion shakes your very frame” (V, 2), una passione sanguinaria scuote la
vostra stessa forma, gli dice Desdemona in procinto di essere assassinata.
-toi'sd j(e) (v. 93 questi sono i bambini che la madre fissa con furia) : dativo di
svantaggio. Si può immaginare l’angoscia dei bambini che hanno bisogno di
delicatezza affettuosa: “Ecco, sei passato accanto a un bambino: eri pieno
d’ira, con una cattiva parola sulle labbra, con la collera nell’anima; tu non
ti sei accorto del bambino, ma il bambino si è accorto di te, ti ha notato, e
la tua immagine, così brutta e cattiva, è forse rimasta improntata nel suo
cuore senza difesa. A tua insaputa, è possibile che tu abbia gettato un seme
cattivo nell’anima sua, e quel grano cattivo forse vi crescerà, solo perché non
ti sei dominato davanti al bimbo, perché non hai saputo educare in te l’amore
vigile e attivo”.
Bologna 15 dicembre 2025 ore 11, 45 giovanni ghiselli
p. s,
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