Nella fabula Milesia del Satyricon, dove la bella vedova è corteggiata da un soldato, pou questo controcanto dell’Eneide procede con l'utilizzazione del verso IV 38 del poema di Virgilio citato sopra : Nec deformis aut infacundus iuvenis castae videbatur, conciliante gratiam ancilla ac subinde dicente:"placitone etiam pugnabis amori?” (Satyricon, 112, 2), né il giovane appariva brutto o impacciato nell'eloquio alla casta signora, tanto più che l'ancella conciliava l'inclinazione e sovente diceva:" ti opporrai persino a un amore gradito? Sicchè:" ne hanc quidem partem corporis mulier abstinuit, victorque miles utrumque persuasit" (112, 2), neppure questa parte del corpo la donna tenne in astinenza, e il soldato la persuase, vincitore da una parte e dall'altra.
Simile a quello di Anna è il consiglio della nutrice alla Fedra[1] di Euripide :" ouj lovgwn eujschmovnwn-dei' s j, ajlla; tajndrov""[2], tu non hai bisogno di discorsi speciosi ma di quell'uomo, le dice.
Così il tenente Mahler del film Senso di Visconti:"è molto meglio prendersi il piacere dove si trova".
"Dal teatro attico, più che da Apollonio, proviene il personaggio di Anna, la sorella della regina, che tiene accanto a lei il posto, press'a poco, di confidente: più che al personaggio, molto scialbo, di Calciope, la sorella di Medea, in Apollonio, Anna fa pensare a Ismene, la sorella di Antigone , nella tragedia di Sofocle, o a Crisotemi, la sorella di Elettra , nella tragedia di Euripide: come questi personaggi, ella, pur con tutto il suo affetto e la sua dedizione, resta in fondo estranea al pathos e ai tormenti della sorella e si muove, quindi, in un'atmosfera di umanità più comune e banale che, pur non potendosi dire meschina, resta nettamente al di sotto della sublimità tragica. E' tuttavia significativo che la parte della confidente sia affidata alla sorella della regina, non ad una nutrice, personaggio ben noto al teatro attico"[3].
La nutrice di Fedra nell’Ippolito di Euripide e Anna nell’ Eneide interpretano eros in maniera metodicamente realistica, un metodo che del resto viene smontato dal poeta.
Fuoco ferita e follia tutti insieme tormentano Didone durante la successiva cerimonia religiosa con cui la regina cerca la pace:"Heu vatum ignarae mentes! quid vota furentem,/ quid delubra iuvant? Est mollis flamma medullas/interea et tacitum vivit sub pectore volnus./ Uritur infelix Dido totāque vagatur/urbe furens, qualis coniecta cerva sagitta" (IV, vv. 65-69), Ahi menti ignare dei vati! a che giovano i sacrifici, a che i templi a chi è fuori di sé? divora i teneri midolli la fiamma intanto e si ravviva in silenzio la ferita sotto il petto. Brucia l' infelice Didone e vaga fuori di sé per tutta la città, quale cerva dopo che è stata scagliata la freccia.
-Est= edit. La radice deriva dall'indoeuropeo *ed- da cui discendono pure il greco [esqivw< *ejjjd-qivw l' italiano inedia, l'inglese to eat , il tedesco essen .
-mollis=molles.
-Uritur: c'è un consiglio dell'apostolo Paolo alle vedove che contiene questo verbo, con questa diatesi:"Dico autem innuptis et viduis:"Bonum est illis si sic maneant sicut et ego; quod si non contineant, nubant. Melius est autem nubere quam uri" (Ai Corinzi , I, 7, 9), dico però a quanti non sono sposati e alle vedove: è bene per loro che stiano così come sto io, ma se non si contengono, si sposino. E' meglio infatti sposarsi che ardere (krei'tton gavr ejstin gamh'sai h] purou'sqai).
Possiamo dedurne una riflessione : se l'amore è fuoco, come l’arte. e il matrimonio lo spenge, il matrimonio nega l'amore.
L'amore causato da una freccia che provoca una ferita associata a una fiamma, è un viluppo doloroso che si trova già nelle Argonautiche di Apollonio Rodio: Eros scaglia contro Medea un dardo poluvstonon (III, 279), penoso; quindi la freccia ardeva nella ragazza sotto il cuore, simile a una fiamma ("bevlo" d j ejnedaiveto kouvrh/-nevrqen uJpo; kradivh/, flogi; ei[kelon", III, 286-287).
Penoso è anche il dardo d'amore che colpisce Didone: è come una canna mortale ficcata nel fianco:"haeret lateri letalis harundo " (IV, v.73). Il sentimento amoroso è dunque connesso al dolore, alla morte e al senso di colpa.
Il nesso amore-dolore proviene dal terrore dell'istinto che secondo Nietzsche è un sintomo di decadenza e di senilità tanto di una persona quanto di una civiltà.
"Combattere gli istinti-questa è la formula della décadence ; fintanto che la vita è ascendente, felicità e istinti sono uguali"[4].
Di questa lotta contro gli istinti abbiamo un'iterata formulazione latina in Cicerone che riprende Platone (Repubblca e Fedro con la biga alata e i due cavalli):"primum ut appetitus rationi pareat...praestantissimum est appetitum obtemperare rationi "(De Officiis , I, 141), la prima regola è che l'istinto obbedisca alla ragione...la regola più importante è che l'istinto si sottometta alla ragione.
"Molti provano, per un istante, una penosa tristezza perché tra la loro vita e i loro istinti c'era un tale dissidio, un tale conflitto che la loro vita non era affatto una danza, bensì un faticoso e affannato respirare sotto i pesi: pesi che in fin dei conti essi stessi si erano accollati"[5].
Rimasta sola nella casa vuota, la digraziata regina si tormenta:"sola domo maeret vacua " (Eneide, IV, v. 82) o in altri momenti inganna se stessa trattenendo in grembo Ascanio "infandum si possit fallere amorem " (v. 85), per vedere se possa illudere l'indicibile amore.
Anche Giunone, benevola verso la regina di Cartagine, individua l'amore della sua protetta come ardore e furore:"ardet amans Dido traxitque per ossa furorem " ( IV, 101), arde d'amore Didone e ha contratto nelle ossa il furore. La moglie di Giove sta parlando con Venere mentre le propone un matrimonio tra Enea e la regina. Ma parlava subdolamente-simulata mente- (105) per deviare sulle rive dell’Africa il regno d’Italia quo regnum Italiae libycas averteret oras (106).
Nell'Eneide il bruciare della regina innamorata, prima ancora che l'amore venga consumato e che fallisca, rende la donna miserrima (v. 117) secondo la qualificazione della stessa dea che la protegge.
Il desiderio amoroso della donna viene realizzato durante una tempesta- correlativo oggettivo del turbamento della donna- e a questo punto il male diviene irreversibile e letale:"Ille dies primus leti primusque malorum/ causa fuit "(v. 169-170), quel giorno fu il primo della morte e il primo dei mali, e ne fu la causa; anche perché Didone non si preoccupa della fama , ossia dell'infamia che gliene deriverà, in quanto pensa a un amore coniugale, senza contare che quel sant'uomo di Enea non voleva rimanere con lei.
Il desiderio non trova un limite nella vergogna che viene momentaneamente repressa, ma non superata dalla regina: il conflitto tra queste due forze contrastanti è drammaticamente sentito dalla Medea vergine di Apollonio Rodio che il pudore (aijdwv") tratteneva , mentre un desiderio possente (qrasu;" i{mero" ) la spingeva (Argonautiche , III, 653).
La Medea di Apollonio ondeggia a lungo in preda alle contraddizioni: prima impreca contro Giasone (III, 466), quindi contro il pudore e la fama (" ejrrevtw aijdwv" , ejrrevtw ajglai?h ", III, 785-786). Poi però pensa di nuovo a cosa dirà la gente, a quale sarà la sua vergogna (ai\sco", v. 797), quale la sua disgrazia (a[th, v. 798). Sballottata tra il desiderio e il terrore, la fanciulla arriva ad augurarsi di morire.
Questo turbamento può essere naturale in una ragazza senza esperienza. Assai meno plausibili sono turbe del genere in una donna matura e non inesperta.
Se poi la Fama è un monstrum horrendum pieno zeppo di occhi, piume, lingue, bocche, orecchie ( Eneide, IV, vv. 181-183), se è una dea foeda (v. 195), una divinità oscena, non è retta, nobile e meritevole di un premio, o almeno di un encomio, Didone che per un momento pensa di averla neutralizzata?
Invece la disgraziata si punirà da sola diverrà heautontimorouménh.
"Se gli dèi olimpici non sono certo accusati e condannati si manifesta nel libro IV...un'altra presenza divina, che è, invece, tanto ripugnante quanto terribile, la presenza di un mondo demoniaco inferiore che, anche se talora asservito a quello celeste, ne è diverso per natura: da questo mondo proviene la Fama, divinità maligna e sinistra (173-195), il cui fascino demoniaco si avverte, anche se l'abilità letteraria di Virgilio l'abbia un pò sciupato"[6].
Leggiamo qualche altra parola di Virgilio sulla Fama
Questa è la dea foeda (Eneide IV, 95) la dea oscena che infama Didone per l'amore con Enea:"malum qua non aliud velocius ullum:/mobilitate viget virisque adquirit eundo;/parva metu primo, mox sese attollit in auras/ingrediturque solo et caput inter nubila condit " (Eneide , IV, 174-177), la Fama di cui nessun altro male è più veloce: ha la sua forza nella mobilità e acquista potenza con l'andare; piccola per paura dapprima, presto si alza nell'aria e avanza sulla terra e nasconde il capo tra le nubi.
Bologna 3 dicembre 2025 ore 10, 10 giovanni ghiselli
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[1] Che, con ragioni del resto assai diverse da quelle della regina vedova, lotta contro la propria passione.
[2] Euripide, Ippolito (del 428 a. C.), vv. 490-491.
[3]A. La Penna-C. Grassi, op. cit., p. 358.
[4]F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli (del 1888), p. 57.
[5] H. Hesse, Klein e Wagner (del 1920).p. 126.
[6]A. La Penna-C. Grassi, op. cit., p. 361.
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