martedì 2 dicembre 2025

Ifigenia XXXVII. Problemi tormentosi finché comprendiamo che non ci riguardano. Verginità, patrimonio e matrimonio.


Apollonio Rodio ci avverte:  “noi stirpe infelice degli uomini non possiamo entrare nella gioia con piede intero o{lw/ podiv (Argonautiche, IV, 1166) e l’amaro dolore-pikrh; ajnivh (1167) sempre si insinua in mezzo ai momenti del nostro piacere.

Questi versi mi avevano colpito quando li lessi siccome mi sembravano scritti proprio per me.

 

Ifigenia era bella, non era stupida e voleva vivere la nostra storia con gioia; io viceversa, passate le ore dell’euforia sessuale, se scrutavo al di là del piacere goduto e  cercavo di antivedere la felicità e il bene di entrambi, ero  incline a sottilizzare e arzigogolare finché non scorgevo problemi, ostsacoli  cioè veri e propri, tali che ci avrebbero fuorviati verso situazioni difficili, forse anche dolorose. In certi momenti mi appariva senso vietato quello diretto al benessere permanente; temevo che la via da percorrere metodicamente per giungere a una gioia stabile e sicura fosse minata.

Di fatto le mine erano dentro di me e allora non avevo la forza mentale né  culturale né morale necessaria  per disinnescarle.

Gli ordigni più micidiali da me interiorizzati erano due cattive educazioni subite: quella clericale che allora criminalizzava il sesso quale porcheria peccaminosa, la più sporca, maximum scelus, e quella borghese ostile al  proletariato considerato feccia del mondo.

Ifigenia era di condizione proletaria appunto e questa la rendeva poco gradita alla mia famiglia: “bella sì -disse la madre mia come la vide- bella davvero, però non ha un soldo”.

Io all’epoca dipendevo ancora non poco da lei, dalle zie e dalla nonna, soprattutto mentalmente ma non solo.

 

Per quanto riguarda l’altra educazione cattiva, quella clericale, la ragazza non era vergine, non era la Madonna, nemmeno la santificata Maria Goretti di Corinaldo era, e  quando  portai Ifigenia a Pesaro le donne di casa non l’accolsero con il rispetto che avrebbe dovuto avere per la mia compagna. A chi chiedeva chi fosse, la zia Giulia rispondeva che era “  una cara amica di Gianni”. Una benevolenza equivoca: invero significava che  noi due non ci saremmo mai messi nella grazia di Dio e nemmeno nella loro. Questa storia della necessaria verginità della fidanzata è stato un problema, un ostacolo all’amore, alla libera scelta della persona più adatta e congeniale per molti ragazzi e ragazze della mia generazione.

A me dava l’angoscia. Mi capitava di sognare un’orribile Erinni che in preda al fanatismo dell’odio gridava: “Lurido sangue di donna dall’imene squarciato una volta caduto a terra ne insozza le zolle, le inaridisce, deturpa l’onore dell’uomo che l’ha sposata. Non c’è valore che possa redimere la donna traviata: né prezzo in denaro, né multa di roba può riscattare l’immonda, cancellare la macchia indelebile.

La tua “ amica” è solo carne squarciata da un altro  con tuo disonore perenne, con tua sempiterna infamia e pena mortale. Per giunta non è possidente di poderi con vigne, olive, granai, muggiti di buoi, porcili e pozzi, né di mobili antichi, quadri, appartamenti  affittati: niente

di niente ”.

Ora so che il patrimonio vero è quello della bellezza della mente e del corpo.

Mi sentìi dire perfino che se avessi sposato una ragazza con la quale avessi già fatto l’amore, pure se fossi stato soltanto io il drudo di quella svergognata, sarei stato “il cornuto di me stesso”.

“Becchi” secondo quanto si diceva in casa mia erano tutti gli uomini che sposavano la donna non illibata.

 

Mi svegliavo affranto, sudato. Lottavo con la forza della ragione alleata alla gioia dei sensi ma i demoni che pretendevano verginità e  denaro spuntavano quasi tutte le notti e talora anche di giorno a ribadire il loro catechismo infernale.

Se fossi stato meno immaturo avrei capito quello che compresi dopo altre esperienze amorose: che il matrimonio non è cosa per me, né con una proletaria né con un’ereditiera, né con una dissoluta né con una vergine.

Ho provato con ciascun tipo e non ho funzonato mai a lungo con nessuna.

Tante volte ci poniamo problemi che non sono i nostri, eppure ci tormentano fino a quando non abbiamo capito che non ci riguardano.

Helena Augusta che era fidanzata e incinta di uno che avrebbe sposato due mesi dopo la conclusione tra noi  è stata la più onesta con me tra le altre decine di amanti pulzelle o maritate, e, grazie a lei, ora comprendo-a[rti manqavnw-. Forse non è troppo tardi.

 

Bologna  3 dicembre 2025 ore 12, 55 giovanni ghiselli

p. s.

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