Ottava parte della presentazione del libro di
Remo Bodei
Generazioni
Età della vita, età delle cose.
Editori Laterza, Roma-Bari 2014.
Bodei procede citando “le parole di Agostino,
che tanto piacevano a Hannah Arendt ciascuno di noi nascendo costituisce una
novità inimitabile, inizia una nuova storia”[1].
Gli anni turbolenti, di mutazioni epocali, nel
quale visse Agostino (354-430 influirono indubbiamente su questo pensiero del
vescovo di Ippona: si pensi per esempio, alle alterne sorti di Stilicone e al
sacco di Roma da parte di Alarico.
Del resto, nota Bodei ciascun individuo
“giunge in una realtà già fatta e condivide con i coetanei e i contemporanei le
vicende del suo tempo”. Sono dunque le sensibilità diverse e le varie educazioni
che si ricevono a fare le differenze. In ogni caso ogni generazione fruisce, o
subisce, esperienze che la caratterizza. Per fare un esempio, la mia generazione
di studenti ha ricevuto un’impronta profonda dal movimento del ‘68.
Ma quanti anni dura ciascuna generazione?
“In senso biologico, come distanza temporale
tra genitori e figli, si contano tre o quattro generazioni per secolo” (Generazioni,
p. 47). Ma se si intende l’ “insieme di coetanei che condividono determinate
esperienze storiche…relativamente omogenee elaborate durante gli anni
formativi”, la durata di una generazione “si ridurrebbe invece a quindici anni.
Questa è, almeno, la proposta di José Ortega y Gasset, uno dei pionieri dello
studio sull’argomento, che segue l’indicazione di Tacito[2]”.
Tacito segnala cambiamenti grandi e rapidi
dei costumi e della cultura che i tiranni pervertono e deprimono abbastanza
rapidamente ma con danni difficilmente riparabili , siccome l’abitudine alla
severa disciplina richiesta dagli studi, una volta perduta, è molto difficile
ritrovarla[3].
Del resto lo storiografo del primo secolo
dell’impero fa anche l’ipotesi che le vicende dei mores umani siano
assimilabili all’avvicendarsi delle stagioni:"Nisi forte rebus cunctis inest
quidam velut orbis, ut quem ad modum temporum vices ita morum vertantur "(Annales
, III, 55), a meno che per caso in tutte le cose ci sia una specie di ciclo, in
modo che, come le stagioni, così si volgono le vicende alterne dei costumi.
In questo caso però il contesto è
diverso: Tacito applica l'idea polibiana del ciclo (ajnakuvklwsi"
) all'economia e alle mode: con l'avvento di Vespasiano (69 d. C.)
termina il tempo del luxus delle splendidissime famiglie senatorie, un
ciclo iniziato "a fine Actiaci belli "(Annales , III, 55) dalla
fine della guerra di Azio, il 31 a. C.
Il primo imperatore flavio infatti
era : "praecipuus adstricti moris auctor (...) antiquo ipse cultu
victuque " (Annales , III, 55) principale promotore di vita
austera...egli stesso di antica semplicità nel mangiare e vestire[4].
Lo storiografo vuole cercare le
cause di questo mutamento ("causas eius mutationis quaerere libet ",
Annales , III, 55) che fu graduale e variamente motivato, ma ebbe il
principale auctor in Vespasiano.
Infatti la cortigianeria verso
l'imperatore, e il desiderio di imitare tale modello, ebbero maggior valore
delle pena minacciata dalle leggi suntuarie e della paura:"Obsequium inde in
principem et aemulandi amor validior quam poena ex legibus et metus ".
Sappiamo da Omero, Esiodo e dalla tragedia greca che i costumi, virtù, vizi e
perfino malattie del capo si riverberano sulla sua terra per una sorta di
responsabilità collettiva.
Sul conto dei quindici anni, credo
che la generazione di Bodei e mia possa essere d’accordo: i nati tre lustri
dopo la guerra hanno respirato una cultura diversa dalla nostra.
“Nel suo secondo significato, la
generazione è una “coorte” di individui che nascono, crescono e si sviluppano
assieme…essi partecipano con i coetanei a vicissitudini storiche condivise in
maniera abbastanza simile e, pertanto differente dalle altre tre o quattro
generazioni a loro contemporanee” (p. 48)
Si può pensare alle esperienze
fatte in famiglia, ai rapporti con i fratelli, assai differenti ovviamente da
quelli con i genitori, con i nonni e magari, dato l’allungamento della vita, con
i bisnonni.
L’autore quindi si chiede quali
esperienze fondino una generazione. I grandi eventi epocali certamente, ma anche
“le vicende private” (p. 50) e, tra quelle pubbliche, pure le mode: “una
generazione è rappresentata non solo da coloro che, entro una certa fascia di
età, hanno vissuto una guerra, una rivoluzione, la nascita o il crollo di un
regime, determinati eventi traumatici o gioiosi, ma anche da quanti hanno in
comune gli anni in cui campeggiavano personaggi famosi e in cui erano in voga
determinate canzoni e particolari modi di dire.” (p. 51).
Su quanto influiscano le
mode sui mores sentiamo anche Musil:"se Arnheim avesse potuto figger lo
sguardo negli anni futuri, avrebbe visto che millenovecentovent'anni di morale
cristiana, milioni di morti in una guerra sconvolgente e una selva poetica
tedesca che aveva cantato il pudore della donna non aveva potuto ritardare di
un'ora il momento in cui gli abiti femminili si erano accorciati e le fanciulle
d'Europa per un certo tempo s'erano sbucciate nude come banane da millenari
divieti. Anche altri cambiamenti avrebbe veduto, che mai gli sarebbero parsi
possibili, e non importa sapere che cosa rimarrà e che cosa tornerà a sparire,
quando si pensa agli sforzi enormi e probabilmente vani che sarebbero occorsi a
promuovere un simile rivolgimento delle condizioni di vita scegliendo la via
cosciente e responsabile del progresso spirituale attraverso i filosofi, i
pittori e i poeti, invece di quella che passa attraverso gli avvenimenti della
moda, i grandi sarti e il caso; perché se ne può dedurre quanto sia grande la
forza creativa della superficie, paragonata alla sterile pervicacia del
cervello"[5].
Riprendo in mano Tacito il
quale fa notare che il costume prevalente non è modificabile con le leggi,
nemmeno da quelle di un autocrate
La lex Papia Poppaea (del 9
d. C.) comminava pene e sanzioni ai renitenti alle nozze, mentre concedeva
agevolazioni fiscali e legali a chi avesse almeno tre figli (ius trium
liberorum). Lo storiografo latino ci fa sapere che Augusto già piuttosto
vecchio (senior) l’aveva ratificata dopo le leggi Giulie[6]
incitandis caelibum poenis et augendo aerario (Annales III,
25), per aggravare le pene contro i celibi e per impinguare l’erario.
Non per questo i matrimoni e le
nascite dei figli divenivano più frequenti, praevalida orbitate, tanto si
era affermato il costume di non avere famiglia.
Cassio Dione[7]
racconta che Augusto nel 18 a. C. sottopose a punizioni fiscali le categorie dei
celibi e delle nubili, mentre istituì dei premi (a\qla
e[qhken) per il matrimonio e la procreazione (54, 16).
E siccome nella nobiltà c'erano
più maschi che femmine, consentì a chi lo desiderava, tranne che ai senatori, di
sposare delle liberte con nozze legittime.
Più avanti lo storiografo racconta
che l'imperatore nel 9 d. C. parlò agli sposati e ai celibi. Elogiò i primi,
meno numerosi, dicendo che erano cittadini benemeriti e fortunati: infatti
ottima cosa è una donna temperante, casalinga, buona amministratrice e nutrice
dei figli ("a[riston gunh; swvfrwn oijkouro;"
oijkovnomo" paidotrovfo" "(LVI, 3, 3) ed è una grande felicità lasciare
il proprio patrimonio ai propri figli; inoltre anche la comunità riceve vantaggi
dal grande numero (poluplhqiva, 3,
7) di lavoratori e di soldati.
Quindi Augusto parlò con parole di
biasimo ai non sposati che erano molto più numerosi. Voi, disse in sostanza,
siete gli assassini delle vostre stirpi e del vostro Stato. Voi tradite la
patria rendendo deserte le case e la radete al suolo dalle fondamenta:"a[nqrwpoi
gavr pou povli" ejstivn, ajll' oujk
oijkivai oujde; stoai; oujd j ajgorai; ajndrw'n kenaiv" (LVI, 4, 1), gli
uomini infatti in qualche modo costituiscono la città, non le case né i portici
né le piazze vuote di uomini.
Augusto seguita il suo discorso ricordando le leggi moralizzatrici, o presunte
tali, da lui volute, quindi accusa i celibi di essere simili ai briganti e alle
fiere selvatiche: voi, dice, non è che volete vivere senza donne, visto che
nessuno di voi mangia o dorme solo:"ajll'
ejxousivan kai; uJbrivzein kai;
ajselgaivnein e[cein ejqevlete" (LVI,
4, 6-7), ma volete avere la facoltà della dismisura e dell'impudenza.
Poi il Princeps ammette che nel matrimonio e nella procreazione ci sono
aspetti sgradevoli (ajniarav tina),
ma, aggiunge, non mancano i vantaggi. Ci sono i premi promessi dalle leggi:"kai;
ta; para;
tw'n novmwn a\j'qla",
8, 4).
Ma torniamo a Generazioni e
vediamo la conclusione di questo capitolo. Bodei segnala i mutamenti del
linguaggio con il succedersi delle generazioni. “Come esiste un lessico
familiare, così esiste uno specifico lessico generazionale” (p. 51). Condivido
con l’autore il ricordo dell’espressione “nella misura in cui” ripetuta a
proposito e a sproposito, negli anni Sessanta e Settanta.
E’ possibile notare anche vere e
proprie transvalutazioni lessicali come fa Tucidide raccontando la guerra civile
di Corcira[8],
e Sallustio nella monografia sulla congiura di Catilina[9].
Personalmente ho notato e segnalo
il capovolgimento di valore della parola “moderato” che alla fine degli anni
Sessanta aveva un significato del tutto negativo, mentre ora non c’è chi non si
dichiari tale
Bodei conclude il capitolo citando
Orazio: “Per l’Orazio dell’Ars poetica, nella stessa maniera in cui
esistono generazioni di uomini, esistono anche generazioni di parole: “come i
boschi mutano le loro foglie, con l’avvicendarsi degli anni, e cadono le foglie
precedenti, così muore la generazione di parole più vecchia, mentre le parole
appena nate fioriscono come giovani corpi, e crescono[10]”
.(Generazioni, p. 51).
Giovanni Ghiselli
P. S,
Questo libro verrà presentato a
Bologna nella libreria Feltrinelli di piazza di Porta Ravegnana, alle 18 del 17
settembre
Ecco l’annuncio
Dialogo con Remo Bodei .
Intervengono Walter Tega
e Francesca Emiliani
Presiede Gianni Ghiselli
Di R.Bodei: “Generazioni. Età
della vita, età delle cose”.
[1] Cfr.
Agostino, De civitate Dei, XII, 2, 4: “initium ergo ut esset
creatus est homo”. Si veda anche R. Bodei, Immaginare altre vite,
Feltrinelli, Milano 2013, pp. 10-11.
[2] Tacito,
De vita Agricolae, III, quindecim annos, grande mortalis aevi
spatium.
[3]
"natura tamen infirmitatis humanae, tardiora sunt remedia quam mala; et
ut corpora nostra lente augescunt, cito extinguuntur, sic ingenia
studiaque, oppresseris facilius quam revocaveris" ( Tacito,
Agricola, 3), Per natura della debolezza umana, i rimedi sono più
lenti dei mali, e come i nostri corpi crescono lentamente e rapidamente
si estinguono, così le attività dell'ingegno si possono più facilmente
opprimere che risvegliare.
[4] Nelle
Historiae Tacito aveva scritto: “"prorsus, si avaritia
abesset, antiquis ducibus par "( II, 5), addirittura simile ai
comandanti antichi se non ci fosse stata l'avarizia
[5] R. Musil,
L'uomo senza qualità , trad. it. Einaudi, Torino, 1972, p. 395.
[6]
De maritandis ordinibus e De adulteriis coërcendis del 18 a. C.
[7] Vissuto
tra il II e il III sec. d. C. , scrisse una Storia Romana in
greco. Constava di ottanta libri che andavano dalle origini al 229 d. C.
Ne restano 25 (dal 36 al 60) oltre alle epitomi di età bizantina.
[8]
427-425 a. C. quando ci fu una tranvalutazione generale e le stesse
parole cambiarono il loro significato originario:"Kai;
th;n eijwqui'an ajxivwsin tw`n ojnomavtwn ej" ta; e[rga ajnthvllaxan
th'/ dikaiwvsei. Tovlma me;n ga;r ajlovgisto" ajndreiva filevtairo"
ejnomivsqh" (III, 82, 4), e cambiarono arbitrariamente
l'usuale valore delle parole in rapporto ai fatti. Infatti l'audacia
irrazionale fu considerata coraggio devoto ai compagni di partito.
[9] Nel
De coniuratione Catilinae di Sallustio, Catone , parlando in
senato dopo e contro Cesare, il quale aveva chiesto di punire i
congiurati "solo" confiscando i loro beni e tenendoli prigionieri in
catene nei municipi, denuncia questo cambiamento del valore delle
parole:"iam pridem equidem nos vera vocabula rerum amisimus: quia
bona aliena largiri liberalitas, malarum rerum audacia fortitudo
vocatur, eo res publica in extremo sita est " (52, 11), già da
tempo veramente abbiamo perduto la verità nel nominare le cose: poiché
essere prodighi dei beni altrui si chiama liberalità, l'audacia nel
male, coraggio, perciò la repubblica è ridotta allo stremo
[10] Ut
silvae foliis pronos mutantur in annos, /Prima cadunt, ita verborum
vetus interit aetas /Et iuvenum ritu florent modo nata vigentque”
(Orazio, Ars poetica, vv. 60-62)
Condivido e ammiro il termine generazioni di parole ,sono d'accordo anche sul lasso di 15 anni ...da quando la comunicazione usa internet tutto corre più veloce , ammetto..per me , un poco troppo veloce .... anche , per me , troppo globale. A me piacciono le distanze fisiche e temporali . Caro Gianni leggo volentieri i tuoii saggi dove imparo sempre pensieri nuovi.E leggo volentieri gli autori che proponi, Mai banali , mai superficiali. Giovanna Tocco
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