Rubens, la caduta di Fetonte |
Torniamo al Bellum civile di
Petronio comparato con la Pharsalia di Lucano
Alla
crudeltà si coniuga la depravazione: "omnibus ergo/scorta placent
fractique enervi corpore gressus/et laxi crines et tot nova nomina
vestis,/quaeque virum quaerunt" (119, vv. 24 - 27), a tutti dunque
piacciono le sgualdrine e i passettini stremati con il corpo languido, e i
capelli sciolti e tante vesti dai nomi nuovi, e tutto quello che attira l'uomo.
Segue il
lusso delle mense e la turba sepulta mero (v. 31) la folla
annegata nel vino. Ingeniosa gula est (v. 33), la gola è ricca
di espedienti.
Identica
espressione si trova in Marziale
(XIII, 62) a proposito dell'ingrasso delle galline.
Vengono
indicati da Eumolpo alcuni lussi alimentari: lo scarus (v.
33), un pesce fatto arrivare vivo dalla Sicilia, le ostriche (conchylia,
v. 35) e i fagiani di cui è rimasta orbata (v. 37) la Colchide
"mutoque in litore tantum/solae desertis adspirant frondibus aurae"(vv.
37 - 38), e sul lido silenzioso soltanto le brezze spirano sulle fronde
deserte.
Calgaco
di Tacito dirà: "atque
ubi solitudinem faciunt, pacem appellant (Agricola, 30), e dove
fanno il deserto lo chiamano pace.
E' il motivo
della pretiosa fames e del conturbator macellus [1] (Marziale, X, 96, 9), la fame che
costa cara e il mercato rovinoso.
Quindi tutto
è venale: "venalis populus, venalis curia patrum:/est favor in pretio"
(Marziale, X, 41 - 42), è in vendita il popolo, è in vendita la Curia dei
senatori, il favore è questione di prezzo.
Della
venalità di Roma si era già accorto il Giugurta di Sallustio il quale aveva saputo a Numanzia dagli amici omnia
Romae venalia esse (Bellum Iugurthinum, 20) che a Roma tutto
era in vendita, e più avanti, allontanandosi dall’ Urbe, esclamò:"Urbem
venalem et mature perituram, si emptorem invenerit!" ( 35), città
venale e destinata a perire presto, se troverà un compratore!
Secondo
l'autore, Roma si adulterò in seguito alla distruzione di Cartagine; prima
"metus hostilis in bonis artibus civitatem retinebat" (Bellum
Iugurthinum, 41), la paura dei nemici conservava la città nei comportamenti
onesti.
"pellitur
a populo victus Cato[2]; tristior ille est,/qui vicit,
fascesque pudet rapuisse Catoni./namque - hoc dedecoris populo morumque
ruina/non homo pulsus erat, sed in uno victa potestas/romanumque decus"
(Satyricon, 119, 45 - 49), viene cacciato Catone vinto dal popolo; più
abbattuto è quello che ha vinto, e si vergogna di avere strappato i fasci a
Catone. Infatti questo torna a disonore del popolo ed è la rovina dei costumi,
non un uomo era stato cacciato ma in quello era stata vinta la potenza e la gloria
di Roma[3].
Insomma Roma
è come invasa da una peste odiosissima[4], al
pari della Tebe di Edipo:"sed veluti tabes tacitis concepta
medullis/intra membra furens curis latrantibus errat" (Satyricon,
119, vv. 53 - 54), ma come una peste assorbita nelle viscere silenziose, si aggira
furente tra le membra con spasimi che fanno latrare.
L'immagine
della peste contagiosa e il vocabolo tabes si trova già
nel Bellum Catilinae di Sallustio:" tanta vis
morbi atque uti tabes plerosque civium animos invaserat" (36), tanto
grande era la forza del morbo e, come un'epidemia, aveva invaso gli animi dei
cittadini.
Quindi
la scena del Satyricon si apre sull'Averno dove il padre Dite
istiga l'alata Fortuna facendole notare il rovesciamento dell'ordine naturale a
causa dello sperpero e dell'avidità:"aedificant auro sedesque ad sidera
mittunt/expelluntur aquae saxis, mare nascitur arvis,/et permutata rerum
statione rebellant" (120, vv. 87 - 89), edificano con l'oro le
abitazioni e le spingono fino alle stelle, le acque sono deviate con i massi,
il mare nasce nei campi, e rovesciata la posizione delle cose, rinnovano la
guerra. - permutata rerum statione: cfr. Mutatus ordo est, sed
nil propria iacet;/ sed acta retro cuncta [5] ";
"versa natura est retro "[6].
Pertanto, la
Fortuna deve scatenare la guerra.
Si devono
rinnovare i massacri del tempo di Silla, quando" horrida
tellus/extulit in lucem nutritas sanguine fruges" (120, vv. 98 - 99),
la terra rabbrividendo portò alla luce messi nutrite con il sangue.
La Fortuna promette
le guerre civili e il mondo ridotto a brandelli (laceratus orbis, 121,
v. 121). Seguirono subito stragi di uomini (continuo clades hominum, 122,
126). E' la strategia della tensione dell'antichità. Si vedono cattivi presagi:"
namque ore cruento/deformis Titan vultum caligine texit" (122, vv. 127
- 128), infatti il Titano brutto per il volto insanguinato oscurò il suo
aspetto con la caligine.
Anche nella
I Georgica, per la morte di Cesare, il sole si oscura:" cum
caput obscura nitidum ferrugine texit" (v. 467), quando coprì il volto
splendente con una ruggine fosca. I segni dati dal sole non sono mai vani :"Solem quis dicere falsum/audeat? " Georgica
I, vv. 463 - 464, il sole chi oserebbe chiamarlo falso?
Dante afferma che il sole deve essere usato come guida: "Tu
scaldi il mondo, tu sovr'esso luci:/s'altra ragione in contrario non
pronta,/essere dien sempre li tuoi raggi duci"[7].
Quindi la luna e una cometa diedero altri segni cattivi. Cesare allora
"exuit omnes quippe moras" (Satyricon, 122,
vv. 141 - 142), senza dubbio depose ogni indugio e iniziò la sua guerra con
tanto di cadat alea (122, v. 174), cada il dado. Il vincitore
designato ebbe presagi favorevoli dal falco, l'uccello delfico[8]:"de caelo Delphicus
ales/omina laeta dedit " (v. 177).
Perfino il sole che non mente mutò il suo splendore. Alla terribile guerra
presero parte anche gli dèi: tanto quelli dell'Olimpo quanto il Ditis
chorus (124, v. 255), lo stuolo di Dite, quelli della mitologia inferiore.
Si dirigono invece in fuga verso l'implacabile regno di Dite, la Pace, la Fede
dimessa, la Giustizia col crine sciolto, ac maerens lacera Concordia
palla (v. 253) e la Concordia afflitta con il mantello a brandelli.
Virgilio descrivendo la battaglia di Azio come e[kfrasi" , in quanto presentata sullo scudo che Vulcano ha fabbricato per
Enea, raffigura invece la vittoria della Discordia :"et scissa
gaudens vadit Discordia palla" (Eneide, VIII, 702), e provando
gioia con il mantello lacerato si scatena la Discordia. In effetti gli echi virgiliani non
mancano, ma il significato ultimo è tutt’altro nei due testi. L'ultimo
verso del Bellum civile constata il trionfo definitivo della
Discordia:"factum est in terris, quicquid Discordia iussit "
(124, v. 295). Così si chiude il poema declamato da Eumolpo.
Quindi i tre arrivano a Crotone.
Qui Eumolpo ha successo spacciandosi per ricco senza figli e venendo
corteggiato da tutti cacciatori di eredità i quali fanno a gara per conquistare
i suoi favori a forza di regali:"certatim omnes heredipetae muneribus
gratiam Eumolpi sollicitant " (124, 4).
A proposito
della guerra civile del 69 Tacito scrive
che agli dei non sta a cuore la nostra sicurezza ma la loro vendetta (ultio).
Lo
aveva già affermato Lucano che
aveva scritto che Roma sarebbe felice “si libertatis superis tam cura
placeret, - quam vindicta placet” (IV, 808 - 809)
Però poi,
nella carestia del 51, il popolo si salvò per l’inverno mite e per la magna
deum benignitas (Annales, XII, 43).
Petronio, Lucano e altri personaggi di grande rinomanza sono ricordati da
Tacito solo per la parte che il destino diede loro nelle vicende dell’impero.
Per quanto
riguarda la libertà e il servilismo, sentiamo Leopardi : “Se non altro non si potè più né lodare né
insinuare e inculcare la libertà ai contemporanei espressamente, e la libertà
non fu più un nome pronunziabile con lode, riguardo al presente e al moderno.
Quando anche non tutti si macchiassero della vile adulazione di Velleio, e
Livio fosse considerato come Pompeiano nella sua storia, e sieno
celebrati i sensi generosi di
Tacito, ec. ma neppur egli troverebbe che, sebbene condanna la tirannia, lodi
mai la libertà in persona propria. Dei poeti, come Virgilio, Orazio, Ovidio non discorro.
Adulatori per lo più de’ tiranni presenti, sebbene lodatore degli antichi
repubblicani. Il più libero è Lucano” (Zibaldone 463).
Ovidio prima
di adulare Augusto invero lo ha provocato cantando e celebrando il
libertinaggio
Lucano secondo
Tacito odiava Nerone quod famam carminum eius premebat Nero
prohibueratque ostentare, vanus adsimulatione (Annales, XV,
49), poiché soffocava quanto si diceva dei suoi versi, e gli proibiva di
recitarli, frustrato nel tentativo di stargli alla pari.
Eppure Lucano inizia la Pharsalia celebrando
Nerone come il nuovo Fetonte, un Fetonte però che non
fallisce (I, 45 - 58).
C’è un elogio sperticato del giovanissimo imperatore: Roma deve molto alle
guerre civili nonostante tutto: “multum Roma tamen debet civilibus armis ”
(v. 44), quod tibi res acta est, perché sono state fatte per te,
per farti arrivare al potere.
Nerone avrebbe impersonato un nuovo sole.
Lucano non ha bisogno di Apollo o di Dioniso che
lo ispirino: tu satis (Pharsalia I, v.
66) in quanto Nerone è già un dio.
Ma gli chiede di non rinunciare alle tradizioni romane (I, 53 - 55).
Nei libri IV - X Lucano accentuerà l’anticesarismo. Criticherà anche
Alessandro, l’ispiratore della monarchia ellenistica e maestro della tirannide
cesariana (X e ultimo libro, 21 - 36).
Cassio Dione: “oJ de; Loukano;~ ejkwluvqh poiei'n, ejpeidh; ijscurw'~ ejpi; th'/
poihvsei ejph/nei'to” (62, 29, 4), Lucano venne impedito nella creazione
siccome veniva molto elogiato per la sua attività di poeta.
giovanni ghiselli. Pesaro 1 agosto 10, 30
[2] - victus Cato: nel 55 a. C. i consoli Pompeo e Crasso
imposero il loro candidato Vatinio alla pretura.
[3] fascesque: facevano parte della pompa esterna di cui si
circondava la magistratura, in gran parte derivata dagli Etruschi. I fasci e le
scuri erani portati dalle guardie del corpo, i lictores, addetti al
Dittatore, ai Consoli, ai Pretori. Costoro turbam summovebant,
facevano largo, e animadvertebant, sorvegliavano che venisse reso
il debito onore a questi magistrati. -
[5] Seneca, Oedipus , vv. 366 - 367, è mutato l'ordine
naturale e nulla si trova al suo posto; ma tutto va alla rovescia.
[8] Cfr. Odissea, XV, 526:"kivrko",
jApovllwno" tacu;" a[ggelo" , il falco, rapido messaggero di Apollo.
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