latifondo romano |
Pharsalia I libro (vv. 1 - 66)
Lucano
dunque canta bella plus quam civilia e ius datum
sceleri e populum potentem conversum victrici dextrā in sua
viscera, cognatasque acies ; poi, rotto il patto del potere
rupto foedere regni tra i triumviri , certatum si combattè
totis viribus concussi orbis con tutte le forze del mondo
sconquassato, in commune nefas per la comune scelleratezza.
Quis furor,
o cives, quae tanta licentia ferri? (8) Furore, licenza della guerra.
Intanto
l’ombra di Crasso[1] vagabat
inulta (12).
Se invece di
rivolgere le armi contro se stessa, i Romani le avessero impiegate contro i
popoli esterni ci sarebbero state grandi conquiste: nondum tibi defuit
hostis, non ancora i nemici ti sono mancati: “totum sub Latias reges cum
misĕris orbem” (22) solo dopo che avrai messo il mondo intero sotto le
leggi latine in te verte manus (23).
L’Italia
del resto è in rovina: moenia pendent semirutis tectis le mura
pencolano su case diroccate, rarus habitator errat antiquis in urbibus,
horrida quod dumis, irta di macchie selvatiche multosque inarata per
annos - Hesperia est desuntque manus poscentibus arvis (29).
Ma questo non è colpa tua Pyrre ferox, nec tantis cladibus
auctor Poenus erit, alta sedent vulnera civilis dextrae (32)
profonde si stendono le ferite della destra armata per la guerra civile.
Il latifondisti
trascurano la terra
Per quanto
riguarda l’ Hesperia horrida dunis multosque inarata per annos Cfr.
Tacito Annali, XII, 43, un passo
“meritatamente celebre”[2]:"at
hercule olim Italia legionibus longiquas in provincias commeatus portabat, nec
nunc infecunditate laboratur, sed
Africam potius et Aegyptum exercemus, navibusque et casibus vita populi Romani permissa est ",
eppure, per Ercole, una volta l'Italia mandava vettovaglie per le legioni in
province lontane, né oggi la terra soffre di sterilità, ma noi preferiamo far
coltivare l'Africa e l'Egitto, e la vita del popolo romano è affidata ai rischi
della navigazione.
Sono parole dell’autore stesso.
Lo storico si riferisce all’ultimo periodo del principato di Claudio (41 - 54),
ma già Ottaviano Augusto temeva che le campagne rimanessero non coltivate a
causa dell'ozio della plebe, e decise di abolire le distribuzioni
frumentarie: "quod earum fiduciā cultură agrorum
cessaret " [3],
poiché, confidando in queste, la gente trascurava la coltivazione dei campi.
Tuttavia l'imperatore non perseverò nel proponimento. Poi "Una grande
crisi scoppiò nel 33 d. C. : i latifondi coltivati da schiavi rendevano
impossibile una qualunque concorrenza da parte di piccoli proprietari; questi
si erano indebitati, ricorrendo a prestiti di latifondisti senatori, sebbene ai
senatori fosse proibita l'usura (…) Ne derivò la rovina di molti piccoli
proprietari, i quali svendevano i campi per pagare i debiti"[4].
Elogio di Nerone nel proemio della Pharsalia
Ma le guerre
civili hanno portato a Nerone e scelera ipsa nefasque hāc mercede
placent. C’è stata Farsalo, Munda, Perugia, Modena, “multum Roma
tamen debet civilibus armis - quod tibi res acta est” (I, 45 - 46), poiché
è stata fatta per te. Verrai accolto tra le stelle, tardi - serus - , e
il cielo ne gioirà, ogni divinità ti cederà il passo tibi numine ab
omni cedetur (50)
Dopo
l’apoteosi di Nerone ci sarà la pax per orbem inque vicem gens omnis
amet e ogni popolo si ami reciprocamente, e “ferrea belligeri compescat
limina Iani” (62), si chiuda la porta di ferro di Giano bellicoso.
Sed mihi iam
numen, ma per me
tu sei già un dio, e prenderò ispirazione da te per scrivere il poema, non
invocherò Apollo né Dioniso “tu satis ad vires Romana in carmina
dandas” (66).
Cfr. l’elogio
di Domiziano nell’Achilleide di Stazio. L’eroe celebrato nel poema,
il Pelide, sarebbe stato un preludio dell’ultimo dei Flavi: “magnusque tibi praeludit
Achilles (I, 19).
Pharsalia I, vv. 70-140.
Le cause della guerra civile
Non possono coesistere due padroni
Spinse il popolo romano invida fatorum series summisque negatum - stare
diu e il fatto che è negato a chi è giunto in cima di restarvi, nec
se Roma ferens (70 - 71) e Roma che non reggeva se stessa (72).
Nello stesso modo riportando il caos tutte le costellazioni si scontreranno
con le costellazioni mescolate tra loro : “antiquum repĕtens iterum chaos,
omnia mixtis - sidera sideribus concurrent, ignea pontum - astra petent, tellus
extendere litora nolet” (74 - 76) gli astri di fuoco si dirigeranno sul
mare, la terra non vorrà estendere le coste.
E tutta macchina discorde confonderà i patti del mondo lacerato
“totaque discors - machina divulsi turbabit foedera
mundi” (79 - 80)
“In se magna ruunt: laetis hunc numina rebus - crescendi posuere modum”
(81 - 82) le cose grandi crollano su se stesse, i numi hanno posto questo
limite di crescita alle situazioni prospere.
Cfr. Orazio: “suis et ipsa Roma viribus ruit” (Epodi, 16, 2)
Ci fu il primo triumvirato (60) omnisque potestas - impatiens consortis
erit (Pharsalia I, 91 - 92).
In Tacito questo fa parte degli arcana domus: “eam
condicionem esse imperandi ut non aliter ratio constet quam si uni reddatur”
(Annales, I, 6)
Non c’è bisogno di cercare altrove gli esempi del destino: di Roma sono
maledette le origini “fraterno primi maduerunt sanguine muri” Pharsalia,
95).
Orazio: “sic est: acerba fata Romanos agunt - scelusque fraternae necis,
- ut inmerentis fluxit in terram Remi - sacer nepotibus cruor” (Epodi,
7, 17 - 20)
Crasso posto tra gli altri due era di indugio alla loro guerra. Li teneva
separati come fa la sottile striscia di terra dell’Istmo di Corinto dividendo
lo Ionio (golfo di Corinto) dall’Egeo (golfo Saronico).
Ma poi Crasso venne ucciso a Carre (53) e questi Parthica damna
solverunt Romanos furores (106) sciolsero i lacci ai furori romani.
Con la morte di Giulia, la figlia di Cesare, sposata a Pompeo, le fiaccole
matrimoniali divennero funerarie.
Solo Giulia avrebbe potuto trattenere le furie del padre e del marito“ut
generos soceris mediae iunxere Sabinae ” (118). La fortuna
di Cesare è impatiens loci secundi (124) . Cesare non sopporta
chi gli stia davanti, Pompeo chi gli sia pari
E’ difficile stabilire chi è il meno peggio: il migliore è Catone cui
victa causa placuit (128) mentre victrix causa
deis placuit.
Pompeo va verso la vecchiaia (106 - 48) e oramai abituato alla toga dedidicit
iam pace ducem (131), nella pace ha disimparato a fare il comandante;
concede molto al volgo per acquisire popolarità, e gode dell’applauso del
teatro suo[5].
Si erge come ombra del suo grande nome stat magni nominis
umbra (135).
Vengono in mente le teste svigorite della Nevkuia omerica (" ajmenhna;
kavrhna", XI, 29)
E’ quale una quercia che oramai secca e dalle radici deboli, rimane
tuttavia conficcata per il suo peso nec iam validis radicibus haerens -
pondere fixa suo est, e fa ombra con il tronco, non con le fronde: trunco,
non frondibus efficit umbram (140) sola tamen colitur,
però è la sola a essere venerata.
giovanni ghiselli Pesaro 2 agosto, ore 11, 50
p. s.
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[5] Costruito nel 54 - 52, il primo in pietra a Roma
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