venerdì 12 aprile 2013

Chi non vorrei come Presidente della Repubblica

Ho già scritto che auspicherei Gino Strada come Presidente di questa nostra povera, tormentata Repubblica. 
Oggi dirò in poche parole chi non vorrei.
Farò seguire  parte di uno studio su Nerone che presenterò qui a Bologna, sabato 20 aprile, all’Università Primo Levi.
Il nesso tra e Nerone, o Agrippina nel caso di un presidente donna, e la scelta del prossimo capo di Stato, è il rifiuto di persone  di potere che non siano filantropi.
Aggiungo alla richiesta platonica della filosofia nei re, quella della filantropia nel Presidente della nostra Repubblica.
Non è una esigenza utopica: ne sta dando un esempio il capo di Stato Papa Bergoglio.
Dalla guerra contro Saddam Hussein in poi,  sono stati effettuati migliaia di bombardamenti su abitazioni civili. Un crimine contro l’umanità.. Chi era al governo, o anche solo in parlamento, e non li ha condannati, a parer mio, ne è complice e non vorrei che venisse eletto, o eletta, Presidente della Repubblica.
Costui o costei, non sarà comunque il mio presidente.
In chi fa strage di uomini, donne e bambini, mi sembra torni a vivere Nerone, o Agrippina la quale era così assatanata dal demonio del potere che quando i Caldei le profetizzarono che suo figlio  sarebbe diventato imperatore e avrebbe ucciso la madre (fore ut imperaret matremque occideret),   rispose “occīdat, dum impĕret ” [1] ammazzi, purché regni.
Frase che riportata a ciascuno dei tanti politici che non rispettano la vita umana, suona: “occidant, dum imperem”, ammazzino, purché io comandi.
Certa gente non deve comandare, poiché il governo o la presidenza di un popolo deve essere un onorevole servizio.
Così in effetti aveva insegnato un discepolo di Zenone ad Antigono Gonata re di Macedonia [2]  cui "il regnare apparve un "onorevole servire", e[ndoxo" douleiva (Eliano, Var. hist.  II 20)" [3] 

Seneca  nell'ultimo capitolo del De clementia dedicato al  suo discepolo imperiale chiarisce che la tanto celebrata felicità del principe consiste nel dare salvezza a molti e nel richiamare la vita dalla morte stessa : “Felicitas illa multis salutem dare et vitam ab ipsa morte revocare ”.
Ecco le ultime parole del trattato, una specie di manifesto politico composto nel 55, un anno dopo la salita al trono di Nerone : “ Haec divina potentia est gregatim ac publice servare; multos quidem occidere et indiscretos incendi ac ruinae potentia est”, potenza divina è questa: salvare le folle e i popoli interi; invece è certo  che  è la potenza degli incendi e dei crolli ad ammazzare indistintamente molte persone.
All’epoca, gli aerei che bombardavano non esistevano.

Nerone succedette a Claudio, grazie agli intrighi della madre Agrippina in una corte dove c’erano pugnali perfino nei sorrisi.
“Due mogli dominarono Claudio…: Messalina [4] tutta amorazzi e dentifrici, poi, uccisa Messalina, l’ambiziosa nipote Agrippina, sorella di Caligola…Nerone era un ragazzo: aveva sedici anni. E’ l’età in cui si crede ciecamente ai maestri, specialmente se questi maestri si chiamano Seneca….Seneca…nel 56 fu console; Seneca sognava, in realtà, una specie di diarchia tra gli organi imperiali e il senato: teneret antiqua munia senatus  [5] fu l’essenza del discorso programmatico di Nerone…Claudio fu dichiarato divus…ma in compenso Seneca scrisse una caricatura del dio Claudio. Agrippina perdette presto il suo influsso a corte; ai primi del 55 Britannico fu avvelenato; Nerone si fece un’amante grata a Seneca (la liberta Acte), dimenticando Ottavia…Seneca sognava libertas senatoria e pieno ritorno alla costituzionalità; anche per questo detestava Claudio, il monarca della burocrazia libertina” [6].
Divenuto imperatore, il ragazzo  diede retta al filosofo, per qualche anno [7].
Poi, nel 59, uccise la madre Agrippina e nel 65 si sbarazzò anche del vecchio maestro. Nel  68, dichiarato nemico pubblico dal Senato e abbandonato da tutti,  si ammazzò, convinto che con la sua vita finisse l’esistenza di un grande artista. Infatti poco prima di uccidersi cacciandosi un ferro in gola, disse: “qualis artifex pereo!”[8] , quale artista muore con me!

L’imperatore matricida, uxoricida [9], fratricida [10], e, nei confronti di Seneca, pure parricida, morì presto e non ebbe modo di ravvedersi.

Il tiranno crudele è già abbastanza conosciuto; con questo pezzo voglio evidenziare l’artista, anzi l’artista mancato, che si suicidò nel giugno del 68 d. C. rivendicando  il suo ruolo di artifex piuttosto che quello di imperatore. Era nato nel dicembre del 37, quindi non aveva ancora compiuto 31 anni quando morì nel giugno del 68, e alcune sue stravaganze, anche terribili, si possono considerare dovute alla giovane età che il ragazzo Nerone non arrivò a superare. Per giunta ebbe una madre intrigante e atroce che voleva condizionarlo e della quale si sbarazzò uccidendola. Ma dovette sembrargli un delitto di dignità mitologica e teatrale, come quello di Oreste; infatti gli piaceva assai recitare, e tra le parti tragiche sceglieva spesso quella del figlio di Clitennestra, il matricida difeso da Apollo e assolto dal tribunale ateniese dell’Areopago presieduto da Atena [11].
Nella regia dello spettacolo, Nerone potè, forse, indicare un parallelo tra Agrippina che morendo aveva detto al sicario  “ventrem feri” [12] , colpisci il ventre,  e Clitennestra che si denuda il seno davanti a Oreste chiedendogli di fermarsi [13].
Nerone recitò più di una volta anche la parte di un altro uccisore della madre: Alcmeone che aveva ammazzato Erifile, la quale, per avere la collana di Armonia, aveva mandato a morire il marito Anfiarao.
L’imperatore interpretava spesso anche il ruolo di Edipo:  mendicante,  cieco,  parricida, incestuoso. 
Svetonio suggerisce un probabile rapporto erotico con Agrippina: si diceva che quando andava in lettiga con la  madre, il ragazzo si desse al piacere incestuoso,  testimoniato dalle macchie sulla veste [14]
 Dicevano pure che tra le sue concubine c’era una meretrice somigliantissima ad Agrippina.
Recitando, l’imperatore indossava maschere simili alle facce dei personaggi, oppure alla propria. Infatti voleva assomigliare ai suoi eroi.
 Interpretava anche Eracle furioso che aveva ucciso i propri figli in quanto reso pazzo da Giunone. Il figlio di Zeus non era responsabile del misfatto: altrettanto Nerone che aveva ucciso Poppea incinta in un accesso di follia.
Insomma: Nerone mitologizzava i propri delitti per prendere le distanze dai delinquenti comuni e assumere la veste del grande personaggio tragico. Recitava anche in ruoli femminili : una volta stava interpretando  Canace partoriente che ebbe un figlio dal fratello Macareo, e quando chiesero di lui, un soldato rispose: “partorisce”. 
Nel 66 e nel 67  l’imperatore calcò teatri e stadi greci.
Roma, il teatro di Pompeo e il grande circo dell’Urbe infatti non gli bastavano più.
Nella culla della civiltà, le folle e i soldati lo acclamarono vincitore di tutti i grandi giochi: Olimpici, Pitici, Nemei, Istmici [15]  Una specie di grande slam dell’epoca.
Nerone aveva una predilezione per i Greci dai quali si sentiva capito più che dai Romani, ed era talmente grato degli allori raccolti nella gare panelleniche che, partendo, soppresse la provincia Acaia e donò la libertà a tutta quella nazione di esteti,  quindi la esentò dai tributi.
Lo attesta l’iscrizione di Acrefia,  in Beozia, rinvenuta dall’epigrafista Maurice Holleaux: “Greci, vi faccio un dono tanto grande che voi stessi siete incapaci di chiederlo, ammesso che ci sia qualcosa che da un uomo magnanimo come me non si possa aspettare. A tutti voi, uomini dell’Acaia e del Peloponneso, accordo la libertà e l’esenzione dalle tasse”.  
Gli Elleni lo contraccambiarono: lo salutarono come Zeus liberatore e dopo la sua morte aspettavano il ritorno di Nerone, come Messia e vendicatore contro l'oppressione di Roma.
 E il greco, sacerdote delfico, Plutarco, immagina che l'anima di Nerone, già condannata a vivere nel corpo di una vipera, passi alla vita di un cigno, poiché aveva fatto qualche cosa di buono liberando i Greci, la stirpe più insigne e cara agli dèi [16]
Questa passione di recitare suonando la cetra non era la sola: amava altresì guidare la quadriga nel circo. Tacito considera ignobili queste attitudini, ma anche dietro il gusto delle corse con i cocchi c’era un’idea: l’ imperatore ricordava che gareggiare con i cavalli era stata attività di re, celebrata da grandi poeti [17],  e praticata in onore degli dèi.
Per quanto riguarda l’abbigliamento, Nerone seguiva i dettami di Petronio, il probabile autore del Satyricon, , l’elegantiae arbiter della corte, il quale gli insegnava lo stile della neglegentia , la sprezzatura, la noncuranza, esibita del resto. Nerone ostentava un vistoso non-conformismo, che rompeva con le tradizioni di dignità dei grandi personaggi della vita pubblica romana. Così, per esempio, compariva spesso in pubblico indossando una veste da camera e un fazzoletto annodato intorno al collo, senza cintura e a piedi scalzi: una negligenza che era solo apparente e dissimulava una raffinatezza estrema.
Poco tempo dopo il suo ritorno dalla Grecia fu dichiarato nemico pubblico dai senatori che erano stati umiliati e pure danneggiati nel patrimonio dalla svalutazione delle monete d’oro, da loro accumulate,  rispetto ai denari d’argento che erano la moneta della piccola borghesia dell’epoca.
Come vide che lo abbandonavano persino le guardie del corpo, Nerone fuggì a cavallo nel podere di Faonte accompagnato da costui che probabilmente lo aveva denunciato, e da altri due liberti: Epafrodito, fellone anche lui, e Sporo, un giovane già fatto castrare dall’imperatore il quale, dopo la morte di Poppea , lo aveva addirittura sposato con un grande corteo nuziale in cui Tigellino fungeva da padre della sposa.
Nelle ultime ore di vita gli venne in mente più volte  un verso di una tragedia greca, l’Edipo esule, nella quale il figlio di Giocasta si sente chiamato a morire dalla madre-moglie e dal padre. Alla fine Nerone  recitava direttamente se stesso.
Quando sentì sopraggiungere dei cavalieri, ordinò ai liberti di ucciderlo. Ma questi si rifiutarono e il disgraziato gridò: “ io solo dunque non ho un amico né un nemico?” Quindi aggiunse che la sua vita era diventata turpe, deforme, e come sentì avvicinarsi il rumore delle cavalcature, citò un verso dell’Iliade [18]: “ galoppo di cavalli dai piedi veloci mi percuote le orecchie”. Infine si cacciò un ferro in gola aiutato da Epafrodito, l’addetto alle suppliche [19] che gli diede il colpo di grazia.

Non c’è nemmeno bisogno di chiarire che nessuno dei “presidentabili” è uguale  a Nerone, se non altro per l’età, tuttavia ribadisco che il mio presidente non può essere chi maltratta la vita o, in vista del proprio tornaconto, omette di condannare chi la danneggia, bensì chi si adopera per salvarla e proteggerla.
Insomma vorrei che il prossimo Presidente della repubblica fosse un filantropo.
Allo stesso Gino Strada, che gli assomiglia,  non posso del resto non rimproverare la battuta impietosa sul povero ex ministro Brunetta che certamente non ha avuto una vita facile.
 E’ stata una pessima caduta di stile, e, molto peggio, di humanitas.
Ha fatto una brutta figura.
Dovrebbe chiedere scusa.

Giovanni Ghiselli g.ghiselli@tin.it



[1] Tacito, Annales, XIV, 9
[2] Dal 276 al 239 a. C.
[3] Pohlenz, La Stoa , p. 33.
[4] La terza, uccisa nel 48. Ndr.
[5] Tacito, Annales, XIII, 4, conservasse le sue antiche prerogative il senato. (ndr)
[6] S.  Mazzarino, L’impero romano, 1, p. 218.
[7] Secondo Svetonio, nei primi tempi del suo principato Nerone si comportò da filantropo, al punto che quando venne costretto dalle leggi a firmare una condanna a morte esclamò: “quam vellem, inquit, nescire litteras!” (Neronis vita, 10), come vorrei non saper scrivere! Inoltre soppresse o abolì le imposte più gravose, salutava i cittadini chiamandoli per nome, e al Senato, che gli porgeva ringraziamenti, rispose: “Cum meruero”, quando li avrò meritati. 
[8] Svetonio, Vita di Nerone, 49.
[9] Uccise la moglie Ottavia nel 62 e la seconda moglie Poppea nel 65
[10] Uccise il fratellastro Britannico nel 55.
[11] Cfr. l’Orestea di Eschilo.
[12] Tacito, Annales, XIV, 8.
[13] Eschilo, Coefore, 896
[14] Vita di Nerone, 28
[15] Cassio Dione, Storia Romana 63, 10.
[16] I ritardi della punizione divina  567 F.
[17] Si pensi a Pindaro.
[18] X, 525,
[19] Iuvante Epaphrodito a libellis, Svetonio, Vita, 49.

1 commento:

  1. quiero tener amigos de Italia para intercambiar ideas y aprender a hablar nuestras respectivas lenguas y algo mas.

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