mercoledì 3 aprile 2013

I dieci saggi del 2013 e i dieci probuli ateniesi


La storia dei dieci “saggi”, cosiddetti saggi, detti anche “facilitatori”[1]  che in dieci giorni dovrebbero formulare e possibilmente imporre un’agenda[2] ai partiti, fa venire in mente, nell’ambito dell’ajnakuvklwsi~[3] dei regimi, e dell’eterno ritorno di Nietzsche, il golpe che, per poco tempo, sostituì la democrazia ateniese con un regime oligarchico.
E’ davvero ricurvo il sentiero dell’eternità[4]

Nell'inverno 413-412, successivo alla disfatta dell’armata spedita in Sicilia, tutti i Greci nemici di Atene, racconta Tucidide, erano eccitati (ejphrmevnoi h\san, VIII, 2), per quella frenesia vendicativa che si scatena davanti alla potenza che cade. Gli Ateniesi decisero che non si doveva cedere, ma, se non si voleva perdere la guerra, bisognava reperire del denaro con il quale ricostruire l’armata, e, per risparmiare (ej~ eujtevleian) si doveva nominare una magistratura di uomini, affinché pre-deliberassero[5] sulla situazione presente a seconda dell'opportunità ("oi{tine" peri; tw'n parovntwn wJ" a]n kairo;"  h\/  probouleuvsousin", VIII, 1, 3).
Si tratta dei i dieci probuli che dovevano preparare un regime oligarchico: quello dei Quattrocento. Tra questi, dispiace dirlo, c’era pure Sofocle, il quale del resto, per lo meno non usurpava la qualifica di saggio come non pochi dei dieci[6].
 Nella Retorica di Aristotele leggiamo che quando Pisandro gli domandò se era stato del parere, come gli altri probuli, di istituire i Quattrocento, il drammaturgo rispose di sì: “ouj ga;r h\n a[lla beltivw (1419a), poiché non c’erano altre soluzioni migliori.
Carlo Diano sostiene che il poeta di Colono si ritrasse presto da questo regime, come ne vide l’ingiustizia e la violenza. Il professore dell’ateneo padovano  interpreta  alcuni versi del secondo stasimo dell’ Edipo re come una preghiera contro il dispotismo che si veniva instaurando: “la nobile gara benefica per la città,/ chiedo a dio di non/ interromperla mai" (vv.879-881). Ebbene Sofocle, pur facendo parte della commissione di dieci Probuli istituita nel 413 per modificare la costituzione in senso oligarchico, nel 411 rivolse questo appello in favore della democrazia troppo duramente minacciata dai maneggi dei nemici del popolo. Diano conclude affermando che quella preghiera non avrebbe senso se non si riportasse a un pericolo reale: il terrore scatenato dalle eterie oligarchiche nell'anno della tirannide dei Quattrocento. Se Sofocle"soggiacque al ricatto, non fece lega coi vili...Il secondo stasimo fu scritto tra il gennaio e il febbraio del 411"[7].  

All’inizio dell’estate del 411 comunque ad Atene venne abbattuta la democrazia. Tucidide parla di giovani congiurati (xustavnte", VIII, 65, 2) che uccisero il demagogo Androcle, accusatore di Alcibiade, e intimorirono l'assemblea ammazzando altri oppositori.
Il popolo aveva paura, pensando che i congiurati fossero molti di più. Pisandro, trierarco di Samo, giunse ad Atene a compiere l'opera, ideata, forse, da Alcibiade[8] che poi la rinnegò[9].

L'assemblea fu convocata a Colono, in un luogo chiuso e Pisandro propose che le magistrature non dovevano più essere remunerate[10], che Quattrocento personaggi scelti avrebbero governato convocando i Cinquemila, quando avessero voluto.
. "In sostanza le deliberazioni dell'assemblea di Colono prevedevano una più larga oligarchia di cinquemila, ma provvisoriamente istituivano una dittatura di Quattrocento"[11].
La proposta  fatta da Pisandro era stata formulata da Antifonte, che viene elogiato da Tucidide come uomo secondo a nessuno ("oujdeno;" u{stero""VIII, 68, 1) tra gli Ateniesi di allora. Lo storico che probabilmente di Antifonte fu allievo, continua l'encomio del maestro dicendo che alla caduta del regime si difese con un'orazione splendida. Anche  altri due ideatori del colpo di stato, Frinico e Teramene, vengono presentati quali persone intelligenti e capaci: “infatti era difficile  togliere la libertà al popolo di Atene circa  cento anni dopo la caduta dei tiranni. Gli Ateniesi non solo non erano stati soggetti in tutto questo periodo, ma per metà di quegli anni si erano abituati a comandare su gli altri (VIII 68, 4)
 Questo dice qualcosa sulle simpatie politiche di Tucidide e ridimensiona la credibilità del male detto di Cleone: del resto se costui fosse stato quel becero violento che si dice, non avrebbe permesso ad Aristofane di farne strame pubblicamente, con assoluta parresia, nei Cavalieri  del 425, quando quel beniamino del popolo era al colmo della sua potenza.
“Pisandro e gli affilati delle eterie seminarono nuova confusione nello Stato. Poco dopo le grandi Dionisie del 411, più o meno durante la prima metà di aprile, Pisandro era ritornato ad Atene, per provocare la caduta della costituzione insieme ai congiurati residenti nella città. Si incominciò con la nomina di dieci dotati di poteri illimitati, incaricati di tracciare una nuova costituzione. Costoro convocarono un’assemblea popolare a Colono, alla quale fecero decretare che, d’allora in avanti, non solo sarebbe stato lecito avanzare impunemente qualsiasi proposta di legge, ma che il proponente non avrebbe potuto essere offeso, né citato in giudizio come attentatore della costituzione, senza che il suo accusatore andasse incontro a una pena severa. Così si toglieva di mezzo la legge della paranomia[12], la salvaguardia più importante della costituzione; infatti si vide subito che la costituzione[13] sarebbe caduta insieme a questa norma. Furono nominati cinque presidenti con l’incarico di nominare altri cento uomini…Un collegio dei Quattrocento doveva subentrare al tradizionale consiglio e governare a sua discrezione con poteri illimitati. Inoltre aveva il compito di riunire a suo piacimento quei cinquemila cittadini che si era preteso di eleggere a seconda del censo fra la massa del popolo, al solo fine di costituirli in comunità popolare e di salvare un po’ le apparenze ”[14].
Poi i Quattrocento sciolsero il Consiglio dei Cinquecento con la forza, e con violenza governavano la città:"ta; te a[lla e[nemon kata; kravto" th;n povlin"( Tucidide, VIII 70, 1).
  I marinai della flotta ateniese stanziata a Samo e i loro capi però,  erano contrari all’oligarchia. 
Anche in questa isola  gli oligarchi nello stesso 411 avevano  tentato  un  golpe uccidendo tra gli altri Iperbolo, il demagogo fatto ostracizzare dall’accordo Alcibiade-Nicia. Il golpe comunque fallì.   
Allora i Quattrocento inviarono ambasciatori alla flotta di Samo per quietare i democratici, spiegando che coloro i quali partecipavano all'assemblea non erano stati mai più di cinquemila.
I marinai volevano uccidere gli emissari del regime e navigare verso Atene contro gli oligarchi, ma Alcibiade, passato dalla loro parte, ne  trattenne l'ira,  e  rimandò in patria gli ambasciatori con la richiesta che venissero allontanati i Quattrocento e ripristinata la Bulè dei Cinquecento. Là i capi dell'oligarchia, per timore di Alcibiade e della flotta di Samo, iniziarono un'operazione trasformistica: dicevano che bisognava rendere la costituzione più egualitaria  ("th;n politeivan ijsaitevran kaqistavnai", VIII, 89, 2).
Fra  questi camaleonti c'era Teramene, un personaggio interessante, presente in diversi autori, e  non solo storiografi[15]
 Costui che era stato uno dei dieci probuli, la magistratura eccezionale, istituita dopo la sconfitta siciliana, come abbiamo visto, per "pre-meditare" l'oligarchia, poi fu uno degli artefici del governo dei Quattrocento, ma, dopo la reazione della flotta di Samo, ne prese le distanze fino a divenire accusatore di Antifonte che alla caduta di quel regime venne condannato a morte all’età di quasi settant’anni. Teramene allora si adoperò per realizzare il regime dei Cinquemila, quindi la restaurazione della democrazia. Alla fine della guerra (404) aderì e partecipò al regime tirannico dei Trenta, ma poi, avendo compreso che nemmeno questo sarebbe durato a lungo, se ne staccò disapprovandone gli eccessi.
Crizia però, il sanguinario capo della tirannide, fece in tempo a ucciderlo, prima di cadere lui stesso.
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Teramene venne soprannominato "coturno", come il calzare che si adatta a entrambi i piedi, per la sua ambiguità politica. Intanto  gli oligarchi più convinti e compromessi, Frinico, Aristarco, Pisandro, Antifonte, cercavano l'accordo con Sparta. Ma il coturno si era già tirato indietro.
 Tucidide ci informa che da tempo Teramene diffondeva sospetti contro i capi dell'oligarchia ( "oJ Qhramevnh" dieqrovei", VIII,91, 1) della quale pure era uno dei fondatori.
Il coturno dunque accusava gli oligarchi di intesa con il nemico, e Tucidide sembra dargli ragione dicendo che questa non era un'accusa solo di parole:"kai; ouj pavnu diabolh; movnon tou' lovgou"(VIII, 91, 3). Seguono ad Atene dei tumulti contro i Quattrocento e, fuori, la perdita dell'Eubea che, dopo il blocco dell'Attica, per gli Ateniesi era tutto (VIII, 95).
Ne deriva uno scoraggiamento generale.

Nell’agosto del 411 gli Ateniesi si riunirono in assemblea nella cosiddetta Pnice[16], posero fine al governo dei Quattrocento, decisero di affidare il potere esecutivo ai Cinquemila e di non remunerare nessuna magistratura ("kai; misqo;n mhdevna fevrein mhdemia'/ ajrch'/", VIII 97, 1). Riferisco questi particolari perché Tucidide approva senza riserve questo governo come una giusta mescolanza di elementi oligarchici e democratici: “e  allora per la prima volta , almeno al mio tempo, gli Ateniesi appaiono con un buon governo: avvenne infatti una misurata mescolanza di oligarchia e democrazia” (metriva ga;r h{ te ej" tou;" ojlivgou" kai; tou;" pollou;" xuvgkrasi" ejgevneto VIII, 97, 2). E’ una delle tante anticipazioni dell’elogio polibiano della mikth; politeiva, la costituzione mista.
Così sono dichiarati e del tutto chiariti i gusti politici di Tucidide.
Infine si decretò il rientro di Alcibiade.
“A quasi due mesi dal suo insediamento,  l’oligarchia dei Quattrocento era già crollata per le sue divisioni interne e per il malcontento generale del popolo. Tuttavia non si verificò il ritorno a un’amministrazione puramente democratica, poiché non esistevano più le risorse necessarie al pagamento dei funzionari e alle spese della democrazia. Così, a detta di Tucidide, subentrò una mescolanza assai felice di oligarchia e democrazia, grazie alla quale lo stato si risollevò dalla sua miseria, almeno in un primo tempo”[17].
Mi fermo qui, siccome mi rendo conto che per i non addetti ai lavori questo racconto, già molto lungo, può diventare noioso.
Invito comunque chi è arrivato in fondo a notare alcune analogie: una fra i dieci saggi di oggi  e i dieci probuli che coartarono e di fatto esautorarono tanto l’assemblea popolare quanto la boulhv.
 Un’altra similitudine si può trovare tra il fallimento dei probuli di allora e quella molto probabile tra i dieci presunti saggi di oggi. Una flotta di riserva l’abbiamo anche noi, ed è la facoltà di votare che non potranno toglierci.
 Infine vedo  un’analogia fra i trasformisti, i voltagabbana, i camaleonti di oggi e il coturno Teramene che, concludo, finirà giustiziato da Crizia quando, dopo la sconfitta definitiva di Atene (404), nella città che fu scuola dell’Ellade si istaurò la tirannide sanguinaria dei Trenta sostenuta dalle armi degli Spartani vincitori.
Vediamo il  racconto della  fine del coturno  nelle Elleniche  di Senofonte. Teramene parlò nella boulhv,  e il Consiglio lo applaudì.
 Ma Crizia non permise la votazione e convocò i suoi sicari per intimidire i buleuti. Quindi  disse a Teramene che lo escludeva dall’elenco dei Tremila che potevano partecipare al governo  e che pertanto poteva  condannarlo a morte senza il voto dei buleuti. Udendo queste parole, Teramene balzò sull'altare di Estia ("ajnephvdhsen ejpi; th;n eJstivan", Elleniche , II, 3, 52) sul quale i buleuti prestavano giuramento, e di lì si appellò agli dèi e alla giustizia, ma noi sappiamo da Tucidide (V, 105) che sia tra gli dèi sia tra gli uomini, per necessità di natura, dove uno sia più forte, comanda.
La giustizia insomma è sempre l’utile del più forte,  e il più forte, in questa fase, era Crizia. Il sanguinario capo dei Trenta tiranni.
Costui indicò  Teramene e disse al capo  degli Undici di polizia, l'audace e impudente Satiro: “ ti consegno il  qui presente Teramene, condannato secondo la legge” (Qhramevnhn toutoni; katakekrimevnon kata; to;n novmon, Senofonte, Elleniche  II, 3, 54).
 La vittima chiedeva aiuto, anche mentre veniva trascinata in mezzo all'agorà, ma nessuno la difese.
Non ricorda questa fine, mutatis mutandis, la morte di quel grande mediatore che fu Aldo Moro?
Quando gli fecero bere la cicuta, il condannato ne gettò le ultime gocce dicendo:"Kritiva/ tou't j e[stw tw'/ kalw'/"(II, 3, 56), Alla salute del bel Crizia.
Cicerone traduce questo brindisi con "Propino-inquit-hoc pulchro Critiae "[18] e manifesta simpatia per l'oligarca moderato ("quam me delectat Theramenes ! quam elato animo est! ", quanto mi piace Teramene! che animo elevato!)  non senza notare che l'estremista carnefice seguì la vittima non molto tempo dopo.
 Alcibiade, il dandy, morì in esilio per avere sedotto una ragazza di buona famiglia: i fratelli di lei, non sopportando l'offesa, diedero fuoco alla casa e lo uccisero mentre ne saltava fuori attraverso il fuoco ("dia; tou' puro;" ejxallovmenon", Plutarco, Vita di Alcibiade ,  39, 9).
Auguro ai“coturni” nostrani di fare delle fini un po’ meno tragiche.
 L’ho già detto: sono contrario alla pena di morte.
Per quanto riguarda Aldo Moro,  considero un crimine esecrando il suo assassinio, che non venne impedito dai suoi colleghi molti dei quali certamente pensarono e dissero a bassa voce con l’ipocrisia feroce del sommo sacerdote Caifas: “expedit unun hominem mori[19] .
Lo statista pugliese così brutalmente ammazzato,  rispetto agli improvvisati mediatori di oggi era un uomo nobile, nobile e  antico.

Giovanni ghiselli  g.ghiselli@tin.it 


[1] Di che cosa?  Fanno pensare a diversi lubrificanti.
[2] Di montiana memoria. In latino agenda è un neutro plurale e significa “le cose che si devono fare”: Io credo che il deputati e i senatori dovrebbero ricavare i loro doveri dai programmi per i quali i loro elettori, cioè il popolo sovrano li ha eletti . I dieci hanno il cattivo sapore dell’oligarchia.
[3] Ritorno ciclico.
[4] Krumm ist der Pfad der Ewigkeit."
 
Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Il convalescente, 2, 59-69
[5] Deliberassero prima della boulhv, del Consiglio dei Cinquecento, in sostanza del parlamento degli Ateniesi.
[6] Di quelli di ora o di quelli di allora? Decida il lettore.
[7] C, Diano, Edipo figlio della Tyche, in "Dioniso" XV,1952
[8]
Baudelaire ne fa il prototipo del dandy“Il  dandismo è un'istituzione vaga, bizzarra come il duello; antichissima, perché Alcibiade, Catilina Cesare,  ce ne forniscono degli splendidi tipi…è l'ultimo raggio di eroismo nei periodi di decadenza...è un sole che tramonta; come l'astro che declina, è superbo, senza calore e pieno di malinconia…Che questi uomini si facciano chiamare raffinati, zerbinotti, bellimbusti, lions o dandys, tutti derivano da una medesima origine; tutti partecipano del medesimo carattere di opposizione e di rivolta; tutti sono dei rappresentanti di ciò che vi ha di meglio nell'orgoglio umano, di questo bisogno, troppo raro presso gli uomini di oggi, di combattere e distruggere la trivialità"  (Curiosità estetiche). Ecco un altro personaggio che, come Sofocle, vola come un’aquila sopra i  corvi.
[9] Cfr: Domenico Musti, Storia greca, p. 437
[10] Anche in questa proposta si può cogliere un’analogia in alcune dei tempi nostri.
[11]De Sanctis, Storia dei Greci , 2,  p. 368
[12] Violazione di legge, illegalità consistente nell’attentare alla democrazia.Secondo questa modifica della costituzione, la legge che escludeva l’abbattimento della democrazia poteva essere violata, o elusa. Prima di questo golpe sarebbe stato impensabile. Come era impensabile qui in Italia, fino a due anni fa,  che un governo venisse formato da un neodesignato senatore a vita , uno non eletto dal popolo  ndr
[13] Quella democratica, ovviamente ndr.
[14] Droysen, Aristofane, p. 211 ss.
[15] Il personaggio  Euripide delle Rane di Aristofane si vanta di avere insegnato agli spettatori cose familiari e realistiche e di avere allevato discepoli come Teramene l'elegante (Qhramevnh" oJ komyov", v. 967).
[16] Pnuvx, la sede dell’assemblea popolare.
[17] Droysen, Aristofane, p. 217.
[18]Tusculanae disputationes , I, 96.
[19] Vangelo di Giovanni, 18, 14. Conviene che un uomo solo muoia. 

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