Oggi,
poche ore fa, è morto Andreotti. Non posso dire che ne sono addolorato, ma,
comunque, un po’ mi dispiace poiché se n’è andato un personaggio di non basso
rilievo, un uomo di cui ho sentito parlare da quando ero bambino. E’ stato
anche lui in qualche modo un nostro compagno di viaggio su questa terra.
In ogni caso non scrivo per elogiare Giulio né per offrirgli un viatico elogiativo, dovunque egli stia andando.
Scrivo questo pezzo piuttosto per ricordare, a chi vorrà leggermi, alcuni degli arcana imperii, i segreti del potere di cui il compianto e discusso uomo politico è stato officiante.
In ogni caso non scrivo per elogiare Giulio né per offrirgli un viatico elogiativo, dovunque egli stia andando.
Scrivo questo pezzo piuttosto per ricordare, a chi vorrà leggermi, alcuni degli arcana imperii, i segreti del potere di cui il compianto e discusso uomo politico è stato officiante.
Andreotti
è stato un vero sacerdote del potere.
Alla caduta del fascismo, e poi per alcuni anni, ha collaborato a gestirlo in maniera piuttosto dura poiché i governi della DC erano ancora recenti e "ogni potere che comanda da poco tempo è aspro", come afferma Efesto che esegue con qualche riluttanza gli ordini spietati di Zeus, recente signore del cosmo nel Prometeo incatenato di Eschilo ( v. 35).
Un arcanum rivelato anche da Didone la quale, anzi, se ne scusa con i Troiani di Enea:"Res dura et regni novitas me talia cogunt/ moliri" (Eneide, I, 563-564), la dura condizione e la novità del regno mi costringono a tali precauzioni. Una condizione svelata "alle genti" [1] pure da Machiavelli: "Et infra tutti e' principi, al principe nuovo è impossibile fuggire el nome di crudele, per essere li stati nuovi pieni di pericoli" (Il Principe, XVII).
Poi il divo Giulio, salito più in alto, come ogni altro uomo di grande potere in questa civitas terrena ha eliminato, non so se solo politicamente, degli avversari. E’ questo un segreto che Tacito annovera tra gli arcana domus, i segreti del palazzo. Lo storiografo all'inizio degli Annales, racconta della successione di Tiberio ad Augusto (14 d, C.) e svela questo segreto: "eam condicionem esse imperandi ut non aliter ratio constet quam si uni reddatur" (I, 6), questa è la condizione dell'impero che i conti tornano bene soltanto se si rendono a uno solo.
Un arcanum che dopo qualche decennio di potere assoluto perse la sua segretezza e divenne vox populi in seguito all'uccisione di Britannico da parte di Nerone (55 d. C.): "facinus cui plerique etiam hominum ignoscebant, antiquas fratrum discordias et insociabile regnum aestimantes" (Annales XIII, 17, 6), un delitto per il quale la maggior parte della gente aveva addirittura indulgenza, tenendo conto dei contrasti tra i fratelli e del fatto che il potere non si può dividere.
Alcuni segreti dunque prima o poi vengono scoperti. Certo non tutti. Altri arcana vengono infatti coperti sotto il telone impermeabile del “segreto di Stato”. A tutt’oggi non sappiamo chi ha ordinato le stragi da Portella della Ginestra in avanti, chi ha fatto ammazzare Aldo Moro, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, solo per indicare i nomi più noti. E il giornalista Pecorelli, meno importante e noto. Ma è stato ammazzato pure lui. E tanti altri di cui nemmeno si ricordano i nomi.
Perché tanta segretezza? Lo ha scritto molto efficacemente Francesco Guicciardini nei Ricordi “Spesso tra il palazzo e la piazza è una nebbia sì folta o uno muro sì grosso che, non vi penetrando l'occhio degli uomini, tanto sa el popolo di quello che fa chi governa o della ragione perché lo fa, quanto delle cose che fanno in India" (141).
Francesco De Sanctis marchiò quest’opera come "la corruttela italiana codificata e innalzata a regola di vita” [2]. Regole di vita che esistono ancora, che sono sempre esistite e, probabilmente esisteranno sempre. Chi ama il potere sa bene di non amare una cosa buona e santa.
Lo sapeva Seneca che aveva cercato di educare Nerone: Un anatema del "bene fallace" costituito dal comandare si trova nella tragedia Oedipus:"Quisquamne regno gaudet? O fallax bonum, / quantum malorum fronte quam blandā tegis"(vv. 6-7), qualcuno gioisce del regno? O bene ingannevole, quanti mali copri sotto un'apparenza così lusinghiera!
In un’altra tragedia scritta dal maestro del giovane imperatore pazzo, le Fenicie, Giocasta dice che Eteocle pagherà a caro prezzo la sua pena con il fatto di essere re: "poenas, et quidem solvet graves: regnabit "(v.645).
Conosceva il male annidato nel potere anche Alessandro Manzoni il quale nell’Adelchi rappresenta il principe ferito che dice al padre, il re Desiderio, sconfitto da Carlo Magno: "Godi che re non sei; godi che chiusa / all'oprar t'è ogni via: loco a gentile, / ad innocente opra non v'è: non resta / che far torto, o patirlo. Una feroce / forza il mondo possiede, e fa nomarsi / Dritto…” (V, 8)
Ora forse Giulio Andreotti ha motivo di godere del fatto di avere perduto ogni potere.
Forse anche nella Civitas Dei troverà, nonostante tutto, un posto che gli piace. Magari capirà che comandare non è cosa migliore che essere comandato. Partecipano della stessa logica e si equivalgono.
Gli auguro di cuore la pace con se stesso, e lo saluto da uomo colto quale era: “sit tibi terra levis”. Faccio uso del tu in nome della cultura classica che ci accomuna: “et tu litteras scis, et ego”[3].
Anzi, te lo dico anche in greco in segno di riconoscimento della tua conoscenza della classicità[4] di cui tanti tuoi diadochi ed epigoni nemmeno conoscono l’esistenza. Sono nani saliti sulle spalle[5] tue e di altri come te.
“kouvfa soi-cqw;n ejpavnwqe pevsoi”[6].
Addio dunque Giulio, e ti sia lieve il suol.
Giovanni Ghiselli g.ghiselli@tin.it
Alla caduta del fascismo, e poi per alcuni anni, ha collaborato a gestirlo in maniera piuttosto dura poiché i governi della DC erano ancora recenti e "ogni potere che comanda da poco tempo è aspro", come afferma Efesto che esegue con qualche riluttanza gli ordini spietati di Zeus, recente signore del cosmo nel Prometeo incatenato di Eschilo ( v. 35).
Un arcanum rivelato anche da Didone la quale, anzi, se ne scusa con i Troiani di Enea:"Res dura et regni novitas me talia cogunt/ moliri" (Eneide, I, 563-564), la dura condizione e la novità del regno mi costringono a tali precauzioni. Una condizione svelata "alle genti" [1] pure da Machiavelli: "Et infra tutti e' principi, al principe nuovo è impossibile fuggire el nome di crudele, per essere li stati nuovi pieni di pericoli" (Il Principe, XVII).
Poi il divo Giulio, salito più in alto, come ogni altro uomo di grande potere in questa civitas terrena ha eliminato, non so se solo politicamente, degli avversari. E’ questo un segreto che Tacito annovera tra gli arcana domus, i segreti del palazzo. Lo storiografo all'inizio degli Annales, racconta della successione di Tiberio ad Augusto (14 d, C.) e svela questo segreto: "eam condicionem esse imperandi ut non aliter ratio constet quam si uni reddatur" (I, 6), questa è la condizione dell'impero che i conti tornano bene soltanto se si rendono a uno solo.
Un arcanum che dopo qualche decennio di potere assoluto perse la sua segretezza e divenne vox populi in seguito all'uccisione di Britannico da parte di Nerone (55 d. C.): "facinus cui plerique etiam hominum ignoscebant, antiquas fratrum discordias et insociabile regnum aestimantes" (Annales XIII, 17, 6), un delitto per il quale la maggior parte della gente aveva addirittura indulgenza, tenendo conto dei contrasti tra i fratelli e del fatto che il potere non si può dividere.
Alcuni segreti dunque prima o poi vengono scoperti. Certo non tutti. Altri arcana vengono infatti coperti sotto il telone impermeabile del “segreto di Stato”. A tutt’oggi non sappiamo chi ha ordinato le stragi da Portella della Ginestra in avanti, chi ha fatto ammazzare Aldo Moro, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, solo per indicare i nomi più noti. E il giornalista Pecorelli, meno importante e noto. Ma è stato ammazzato pure lui. E tanti altri di cui nemmeno si ricordano i nomi.
Perché tanta segretezza? Lo ha scritto molto efficacemente Francesco Guicciardini nei Ricordi “Spesso tra il palazzo e la piazza è una nebbia sì folta o uno muro sì grosso che, non vi penetrando l'occhio degli uomini, tanto sa el popolo di quello che fa chi governa o della ragione perché lo fa, quanto delle cose che fanno in India" (141).
Francesco De Sanctis marchiò quest’opera come "la corruttela italiana codificata e innalzata a regola di vita” [2]. Regole di vita che esistono ancora, che sono sempre esistite e, probabilmente esisteranno sempre. Chi ama il potere sa bene di non amare una cosa buona e santa.
Lo sapeva Seneca che aveva cercato di educare Nerone: Un anatema del "bene fallace" costituito dal comandare si trova nella tragedia Oedipus:"Quisquamne regno gaudet? O fallax bonum, / quantum malorum fronte quam blandā tegis"(vv. 6-7), qualcuno gioisce del regno? O bene ingannevole, quanti mali copri sotto un'apparenza così lusinghiera!
In un’altra tragedia scritta dal maestro del giovane imperatore pazzo, le Fenicie, Giocasta dice che Eteocle pagherà a caro prezzo la sua pena con il fatto di essere re: "poenas, et quidem solvet graves: regnabit "(v.645).
Conosceva il male annidato nel potere anche Alessandro Manzoni il quale nell’Adelchi rappresenta il principe ferito che dice al padre, il re Desiderio, sconfitto da Carlo Magno: "Godi che re non sei; godi che chiusa / all'oprar t'è ogni via: loco a gentile, / ad innocente opra non v'è: non resta / che far torto, o patirlo. Una feroce / forza il mondo possiede, e fa nomarsi / Dritto…” (V, 8)
Ora forse Giulio Andreotti ha motivo di godere del fatto di avere perduto ogni potere.
Forse anche nella Civitas Dei troverà, nonostante tutto, un posto che gli piace. Magari capirà che comandare non è cosa migliore che essere comandato. Partecipano della stessa logica e si equivalgono.
Gli auguro di cuore la pace con se stesso, e lo saluto da uomo colto quale era: “sit tibi terra levis”. Faccio uso del tu in nome della cultura classica che ci accomuna: “et tu litteras scis, et ego”[3].
Anzi, te lo dico anche in greco in segno di riconoscimento della tua conoscenza della classicità[4] di cui tanti tuoi diadochi ed epigoni nemmeno conoscono l’esistenza. Sono nani saliti sulle spalle[5] tue e di altri come te.
“kouvfa soi-cqw;n ejpavnwqe pevsoi”[6].
Addio dunque Giulio, e ti sia lieve il suol.
Giovanni Ghiselli g.ghiselli@tin.it
[1] Cfr. Foscolo, Sepolcri, 157.
[2] F. De Sanctis, Storia della letteratura italiana, 2, p. 107
[3] Lo dice Encolpio ad Ascilto nel decimo capitolo del Satyricon: siamo tutti e due letterati. Un poco farabutti a dire il vero.
[4] Una mia collega di greco, Giancarla Codrignani, che fu anche tua collega in parlamento nella seconda metà degli anni Settanta, mi disse che una volta facesti terminare un lungo discorso di Adele Faccio citandolo un verso dell’Aiace di Sofocle che dice a Tecmessa: "guvnai, gunaixi; kovsmon hJ sigh; fevrei", donna, alle donne il silenzio porta ornamento (v. 293)
[5] Cfr. l’aforisma che Giovanni di Salysbury (XII secolo) attribuisce a Bernardo di Chartres, un filosofo scolastico francese morto nel 1130: "Dicebat Bernardus Carnotensis nos esse quasi nanos gigantum humeris insidentes, ut possimus plura eis et remotiora videre, non utique proprii visus acumine, aut eminentia corporis, sed quia in altum subvehimur et extollimur magnitudine gigantea" (Metalogicon III, 4), diceva Bernardo di Chartres che noi siamo come dei nani che stanno sulle spalle di giganti, in modo tale che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, comunque sia non per l'acume della nostra vista o la statura del corpo ma poiché siamo portati in alto ed elevati da quella grandezza gigantesca
[6] Euripide, Alcesti, 463-464, che la terra cada leggera su di te, kouvfa soi-cqw;n ejpavnwqe pevsoi
[2] F. De Sanctis, Storia della letteratura italiana, 2, p. 107
[3] Lo dice Encolpio ad Ascilto nel decimo capitolo del Satyricon: siamo tutti e due letterati. Un poco farabutti a dire il vero.
[4] Una mia collega di greco, Giancarla Codrignani, che fu anche tua collega in parlamento nella seconda metà degli anni Settanta, mi disse che una volta facesti terminare un lungo discorso di Adele Faccio citandolo un verso dell’Aiace di Sofocle che dice a Tecmessa: "guvnai, gunaixi; kovsmon hJ sigh; fevrei", donna, alle donne il silenzio porta ornamento (v. 293)
[5] Cfr. l’aforisma che Giovanni di Salysbury (XII secolo) attribuisce a Bernardo di Chartres, un filosofo scolastico francese morto nel 1130: "Dicebat Bernardus Carnotensis nos esse quasi nanos gigantum humeris insidentes, ut possimus plura eis et remotiora videre, non utique proprii visus acumine, aut eminentia corporis, sed quia in altum subvehimur et extollimur magnitudine gigantea" (Metalogicon III, 4), diceva Bernardo di Chartres che noi siamo come dei nani che stanno sulle spalle di giganti, in modo tale che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, comunque sia non per l'acume della nostra vista o la statura del corpo ma poiché siamo portati in alto ed elevati da quella grandezza gigantesca
[6] Euripide, Alcesti, 463-464, che la terra cada leggera su di te, kouvfa soi-cqw;n ejpavnwqe pevsoi
Certo se ne è andato un uomo poco pulito, ma se ne è andato anche un uomo significativo; così non sarà per quelli che lo hanno solo cronologicamente seguito.
RispondiEliminaalessandro
Mi complimento per la consueta profondità e maturità del suo giudizio, che sa guardare oltre, non inscrivendosi nel corposo coro dei detrattori
RispondiEliminadella persona da poco defunta, ancorché questa non sia immune da eventuali critiche per diversi aspetti del suo operato da uomo di Stato. La pietas che lei comunque fa prevalere nel suo pensiero è vera humanitas.
Roberto B.
Io invece mi dissocio un po', nel senso che se ammiro la facondia e la cultura di Andreotti, non posso non biasimare il fatto ha messo l'intelligenza al servizio non del bene del Paese, ma del suo controllo. La barbarie culturale e l'ignoranza dei "politici" attuali fa rimpiangere Andreotti, ma ciò non lo rende migliore!
RispondiEliminaSe l'Italia va male è colpa sicuramente degli italiani, ma non solo! E' colpa anche di questi "prìncipi" come lui, che non fanno del bene dell'Italia lo scopo della loro vita politica. Non gli auguro che gli sia lieve il suol, gli auguro - se esiste un aldilà - di pagare le nequizie e di migliorarsi, diventando quel che ogni uomo intelligente dovrebbe diventare: un uomo buono, giusto, teso al bene più che al potere. A quel punto se rinasce sono contenta
Maddalena Roversi
Pur apprezzando il tono di questo epitafio e pur concedendo il rispetto per le persone morte, mantengo un giudizio straordinariamente negativo.
RispondiEliminaUna persona cinica e con orizzonte limitato.
Due frasi per tutti:
1) Disse di Ambrosoli (lui si, vero eroe civile): "Era uno che se la cercava".
1) Disse del presunto golpe russo contro Gorbacov :"Non commento eventi interni di altri paesi".
Cinismo e mediocrità.
Ha contribuito a permeare di questi (dis)valori l' Italia per più di 50 anni.
Non piango una lacrima