domenica 26 maggio 2013

In memoria di don Andrea Gallo, un uomo buono, come deve essere un uomo

Voglio onorare la memoria di don Andrea Gallo, con quella di don Pino Puglisi,  di don Lorenzo Milani, non senza menzionare l’opera di don Ciotti e degli altri preti  benemeriti come loro.
Non farò un elogio legato al momento, infarcito dei luoghi comuni della circostanza, come se ne leggono tanti. Risalirò invece ai miei antichi per inserire questi uomini belli e buoni (kalokajgaqoiv) nel gruppo eletto dei magnanimi, ossia le persone dall’anima grande, le quali non possono che stare dalla parte degli ultimi, dei poveri, dei disadattati, degli sfortunati. E’ un capovolgimento della graduatoria formulata dalla volgarità della gente ordinaria, dal buon senso ottuso e reazionario dei più.
Una graduatoria che è stata ribaltata in primis da Cristo, e chi si professa cristiano non può seguire quella opposta, quella degli ottenebrati che disprezzano i deboli, i diseredati, gli ultimi insomma.

A proposito di Gesù, tre righe sopra  ho scritto “in primis” non per usare una locuzione colta, anzi pseudocolta, oltretutto oramai abusata, ma per significare che il Cristo non è stato il solo nell’antichità a dichiarare questo amore, a professare il culto dovuto da chi è umano ai poveri e agli infelici.
Faccio un primo esempio risalendo al più antico poeta europeo, quello di cui Giacomo Leopardi scrisse che "tutto si è perfezionato da Omero in poi, ma non la poesia"[1].
Allora vediamo il collegamento tra l’antichissimo aedo, il Cristo, e i preti che ho nominato sopra. Li chiamo “preti sublimi”, come faceva mia mamma, eppure non sono cristiano.
Nel XIV canto dell’Odissea,  Eumeo, il guardiano dei porci, accoglie nella sua capanna Ulisse trasformato da Atena in un mendicante vecchio e molto mal ridotto. Il porcaio che, dunque, non può aspettarsi niente in cambio da tale ospite, lo tratta con generosità, riguardo, cortesia signorile e afferma che si comporta in tal modo poiché gli ospiti e i poveri vengono tutti da parte di Zeus (pro;~ ga;r Diov~ eijsin a[pante~/ xei`noi te ptwcoiv  te, vv. 57-58)
Più avanti Eumeo ribadisce che intende ospitare quello che crede un mendico e vuole averne riguardo siccome ha timore di Zeus ospitale e sente compassione ("ejleaivrwn", v. 389) di lui che è un misero vecchio.

Per elogiare l’umanissima virtù  della compassione mi avvalgo un’altra volta di Leopardi: “Ma la compassione che nasce nell’animo nostro alla vista di uno che soffre è un miracolo della natura, che in quel punto ci fa provare un sentimento affatto indipendente dal nostro vantaggio o piacere, e tutto relativo agli altri, senza nessuna mescolanza di noi medesimi. E perciò appunto gli uomini compassionevoli sono sì rari, e la pietà è posta, massimamente in questi tempi, fra le qualità più ragguardevoli e distintive dell’uomo sensibile e virtuoso”[2].
Faccio un altro esempio tratto dai classici, pascendomi e pascendovi ancora “di quel cibo che solum è mio, e che io nacqui per lui”[3].
Ricordo quello che  il vecchio Sofocle fa dire a Teseo  nell'Edipo a Colono: "e[xoid  j ajnh;r w[n [4]"(v.567), so di essere un uomo. E' la coscienza della propria umanità senza la quale ogni atto volgare o violento è possibile.
Il sapere di essere uomo che cosa comporta?
Significa incontrare una creatura come Edipo, cieco, esule e mendico, malfamato, rifiutato da tutti, compresi i due figli maschi, provarne pietà, incoraggiarla ponendo domande, chiedendo di che cosa abbia bisogno: kaiv s  j oijktivsa"-qevlw  jperevsqai, duvsmor j Oijdivpou, tivna-povlew" ejpevsth" prostroph;n ejmou' t j e[cwn,-aujtov" te chj sh; duvsmoro" parastavti".", (vv. 556-559), e sentendo compassione, voglio domandarti, infelice Edipo, con quale preghiera per la città e per me ti sei fermato qui, tu e l’infelice che ti aiuta[5]...
Quindi vuol dire ascoltare, mettersi nei panni del supplice e comprenderlo con simpatia poiché tutti noi mortali siamo effimeri, sottoposti al dolore e destinati alla morte.
"Fammi sapere - continua l’umano re di Atene - poiché anche io sono stato allevato da straniero, come te, e in terra straniera ho affrontato più di ogni altro uomo lotte rischiose per la mia vita, sicché non rifuggirei dal salvare nessuno straniero, come ora sei tu, in quanto so di essere uomo e so che del domani nessun attimo appartiene più a me che a te"(vv.560-568).
Teseo pratica contro l’egoismo che minaccia sempre tutti, quella “terapia del rovesciamento”, ossia di mettersi al posto dell’altro, che fa parte dell’umanesimo che è amore per l’umanità, filanqrwpiva ,
Nella tragedia Antigone, la figlia di Edipo  afferma questa filantropia con le parole: "ou[toi sunevcqein ajlla; sumfilei'n e[fun", (v. 523), io non sono nata per condividere l’odio, ma l’amore.

Tale umanesimo si diffonderà in età ellenistica e partorirà l'humanitas latina che Terenzio interpreta quale interesse per l'uomo e disponibilità ad ascoltarlo: nell’Heautontimoroumenos, il punitore di se stesso, Menedemo,  chiede al vicino Cremete perché si occupi di fatti e persone che non lo riguardano. Allora quella persona umana che  aveva cercato di offrirgli amicizia e gli aveva posto domande premurose per aiutarlo, risponde: "Homo sum: humani nil a me alienum puto" (v. 77), sono uomo e tutto ciò che è umano mi riguarda. E’ il contrario del “me ne frego” fascista, è l’“I care” di Don Milani: “Cercasi un fine. Grande. Che non presupponga nel ragazzo null’altro che d’essere uomo. Cioè che vada bene per credenti e atei… Il fine giusto è dedicarsi al prossimo”[6].
Nell'Eneide di Virgilio, Didone incoraggia i Troiani, giunti naufraghi sulla costa africana, ricordando che anche lei è esperta di sventure le quali l'hanno resa non solo attenta e diffidente, ma pure compassionevole verso i disgraziati: "non ignara mali miseris succurrere disco "(I, 630), non ignara del male imparo a soccorrere gli sventurati. Tanta humanitas non verrà contraccambiata da Enea. Eppure questo è uno degli insegnamenti massimi dei nostri autori e dovrebbe esserlo  nella scuola: "E infine, possiamo imparare la lezione fondamentale della vita, la compassione per le sofferenze di tutti gli umiliati, e la comprensione autentica"[7].

Concludo con Fabrizio De Andrè i cui canti hanno accompagnato e aiutato la crescita della mia generazione. Ci ha insegnato la pietà per i diseredati e per i vinti dalla vita. Per collegarlo  a questo mio intervento con affetto e gratitudine  riferisco alcune sue parole di un'intervista trasmessa l’11 gennaio del 1999 dalla televisione, poco dopo la sua morte: "Ho cercato di analizzare il motivo per cui quando facevo le medie mi ero schierato dalla parte dei Troiani piuttosto che da quella degli Achei che vincevano, mentre vedevo che i coetanei e i miei compagni di scuola si schieravano dall'altra parte. Credo che siano fenomeni addirittura genetici, forse ereditati da qualche avo; non riesco a spiegarmi esattamente perché".
Il motivo della scelta dei vinti da parte di Fabrizio è quello che ho scritto nelle prime righe di questo pezzo: gli uomini onesti e generosi, gli uomini veri non possono che stare dalla parte di chi subisce oppressione e violenza. Anche io fin da bambino stavo istintivamente per i Troiani e per gli Indiani dei film western.
E non ho cambiato partito: il mio rimane e rimarrà sempre quello di chi subisce ingiustizia.

Giovanni Ghiselli  g.ghiselli@tin.it
Il blog http://giovannighiselli.blogspot.it/
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[1]Zibaldone ,  58.
[2] Leopardi, Zibaldone, 108.
[3]Niccolò Machiavelli,  Lettera a Francesco Vettori.
[4] Questa espressione può essere un ottimo punto di partenza per spiegare il participio predicativo a dei ragazzi e nello stesso tempo dare loro una lezione di morale. La grammatica e la sintassi, per riuscire interessanti, vanno “condite” subito con il sapore delle idee.
[5] E’ la figlia Antigone che accompagna. Molti tra i “rifiuti umani” aiutati da don Gallo erano dunque ancora più desolati di Edipo.
[6] Lettera a una professoressa, p. 94.
[7] E. Morin, La testa ben fatta, p. 49.

1 commento:

  1. Mi dispiace che sia morto un magnanimo e mi fa rabbia vedere come tutti ora si approprino della sua memoria.
    alessandro

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