Voglio onorare la memoria di
don Andrea Gallo, con quella di don Pino Puglisi, di don Lorenzo Milani, non senza menzionare
l’opera di don Ciotti e degli altri preti benemeriti come loro.
Non farò un elogio legato al
momento, infarcito dei luoghi comuni della circostanza, come se ne leggono
tanti. Risalirò invece ai miei antichi per inserire questi uomini belli e buoni
(kalokajgaqoiv) nel gruppo eletto dei magnanimi, ossia le persone
dall’anima grande, le quali non possono che stare dalla parte degli ultimi, dei
poveri, dei disadattati, degli sfortunati. E’ un capovolgimento della
graduatoria formulata dalla volgarità della gente ordinaria, dal buon senso
ottuso e reazionario dei più.
Una graduatoria che è stata
ribaltata in primis da Cristo, e chi
si professa cristiano non può seguire quella opposta, quella degli ottenebrati
che disprezzano i deboli, i diseredati, gli ultimi insomma.
A proposito di Gesù, tre righe sopra ho scritto “in primis” non per usare una locuzione colta, anzi pseudocolta, oltretutto oramai abusata, ma per significare che il Cristo non è stato il solo nell’antichità a dichiarare questo amore, a professare il culto dovuto da chi è umano ai poveri e agli infelici.
A proposito di Gesù, tre righe sopra ho scritto “in primis” non per usare una locuzione colta, anzi pseudocolta, oltretutto oramai abusata, ma per significare che il Cristo non è stato il solo nell’antichità a dichiarare questo amore, a professare il culto dovuto da chi è umano ai poveri e agli infelici.
Faccio un primo esempio
risalendo al più antico poeta europeo, quello di cui Giacomo Leopardi scrisse
che "tutto si è perfezionato da Omero in poi, ma non la poesia"[1].
Allora
vediamo il collegamento tra l’antichissimo aedo, il Cristo, e i preti che ho nominato
sopra. Li chiamo “preti sublimi”, come faceva mia mamma, eppure non sono
cristiano.
Nel XIV
canto dell’Odissea, Eumeo, il guardiano dei porci, accoglie nella
sua capanna Ulisse trasformato da Atena in un mendicante vecchio e molto mal
ridotto. Il porcaio che, dunque, non può aspettarsi niente in cambio da tale
ospite, lo tratta con generosità, riguardo, cortesia signorile e afferma che si
comporta in tal modo poiché gli ospiti e i poveri vengono tutti da parte di
Zeus (pro;~ ga;r
Diov~ eijsin a[pante~/ xei`noi te ptwcoiv
te, vv. 57-58)
Più avanti Eumeo ribadisce che intende
ospitare quello che crede un mendico e vuole averne riguardo siccome ha timore
di Zeus ospitale e sente compassione ("ejleaivrwn", v. 389) di lui che è un misero vecchio.
Per elogiare l’umanissima virtù della compassione mi avvalgo un’altra volta di Leopardi: “Ma la compassione che nasce nell’animo nostro alla vista di uno che soffre è un miracolo della natura, che in quel punto ci fa provare un sentimento affatto indipendente dal nostro vantaggio o piacere, e tutto relativo agli altri, senza nessuna mescolanza di noi medesimi. E perciò appunto gli uomini compassionevoli sono sì rari, e la pietà è posta, massimamente in questi tempi, fra le qualità più ragguardevoli e distintive dell’uomo sensibile e virtuoso”[2].
Per elogiare l’umanissima virtù della compassione mi avvalgo un’altra volta di Leopardi: “Ma la compassione che nasce nell’animo nostro alla vista di uno che soffre è un miracolo della natura, che in quel punto ci fa provare un sentimento affatto indipendente dal nostro vantaggio o piacere, e tutto relativo agli altri, senza nessuna mescolanza di noi medesimi. E perciò appunto gli uomini compassionevoli sono sì rari, e la pietà è posta, massimamente in questi tempi, fra le qualità più ragguardevoli e distintive dell’uomo sensibile e virtuoso”[2].
Faccio un altro esempio tratto dai classici,
pascendomi e pascendovi ancora “di quel cibo che solum è mio, e che io nacqui per lui”[3].
Ricordo
quello che il vecchio Sofocle fa dire a Teseo nell'Edipo a Colono: "e[xoid j ajnh;r w[n [4]"(v.567), so di essere un
uomo. E' la coscienza della propria umanità senza la quale ogni atto volgare o
violento è possibile.
Il sapere di essere uomo che cosa comporta?
Significa incontrare una creatura come Edipo, cieco, esule e mendico, malfamato,
rifiutato da tutti, compresi i due figli maschi, provarne pietà, incoraggiarla ponendo domande, chiedendo di che cosa
abbia bisogno: “kaiv
s j oijktivsa"-qevlw jperevsqai, duvsmor j Oijdivpou,
tivna-povlew" ejpevsth" prostroph;n ejmou' t j e[cwn,-aujtov" te chj sh;
duvsmoro" parastavti".",
(vv. 556-559), e sentendo compassione, voglio domandarti, infelice Edipo, con
quale preghiera per la città e per me ti sei fermato qui, tu e l’infelice che
ti aiuta[5]...
Quindi
vuol dire ascoltare, mettersi nei panni del supplice e comprenderlo con
simpatia poiché tutti noi mortali siamo effimeri, sottoposti al dolore e
destinati alla morte.
"Fammi sapere - continua l’umano re di Atene - poiché anche io sono stato allevato da straniero,
come te, e in terra straniera ho affrontato più di ogni altro uomo lotte
rischiose per la mia vita, sicché non rifuggirei dal salvare nessuno straniero,
come ora sei tu, in quanto so di essere uomo e so che del domani nessun attimo
appartiene più a me che a te"(vv.560-568).
Teseo
pratica contro l’egoismo che minaccia sempre tutti, quella “terapia del
rovesciamento”, ossia di mettersi al posto dell’altro, che fa parte dell’umanesimo che è amore per l’umanità, filanqrwpiva ,
Nella
tragedia Antigone, la figlia di
Edipo afferma questa filantropia con le
parole: "ou[toi
sunevcqein ajlla; sumfilei'n e[fun",
(v. 523), io non sono nata per condividere l’odio, ma l’amore.
Tale
umanesimo si diffonderà in età ellenistica e partorirà l'humanitas latina che
Terenzio interpreta quale interesse per l'uomo e disponibilità ad ascoltarlo:
nell’Heautontimoroumenos, il
punitore di se stesso, Menedemo, chiede
al vicino Cremete perché si occupi di fatti e persone che non lo riguardano.
Allora quella persona umana che aveva cercato di offrirgli amicizia e gli
aveva posto domande premurose per aiutarlo, risponde: "Homo
sum: humani nil a me alienum puto" (v. 77), sono uomo e tutto ciò che
è umano mi riguarda. E’ il contrario del
“me ne frego” fascista, è l’“I care”
di Don Milani: “Cercasi un fine. Grande. Che non presupponga nel ragazzo
null’altro che d’essere uomo. Cioè che vada bene per credenti e atei… Il fine
giusto è dedicarsi al prossimo”[6].
Nell'Eneide di Virgilio, Didone incoraggia i Troiani,
giunti naufraghi sulla costa africana, ricordando che anche lei è esperta di
sventure le quali l'hanno resa non solo attenta e diffidente, ma pure
compassionevole verso i disgraziati: "non
ignara mali miseris succurrere disco "(I, 630), non ignara del male imparo a soccorrere gli sventurati.
Tanta humanitas non verrà
contraccambiata da Enea. Eppure questo è uno degli insegnamenti massimi dei
nostri autori e dovrebbe esserlo nella
scuola: "E infine, possiamo imparare la lezione fondamentale della vita,
la compassione per le sofferenze di tutti gli umiliati, e la comprensione
autentica"[7].
Concludo con Fabrizio De Andrè i cui canti hanno
accompagnato e aiutato la crescita della mia generazione. Ci ha insegnato la
pietà per i diseredati e per i vinti dalla vita. Per collegarlo a questo mio intervento con affetto e
gratitudine riferisco alcune sue parole di
un'intervista trasmessa l’11 gennaio del 1999 dalla televisione, poco dopo la
sua morte: "Ho cercato di analizzare il motivo per cui quando facevo le
medie mi ero schierato dalla parte dei Troiani piuttosto che da quella degli
Achei che vincevano, mentre vedevo che i coetanei e i miei compagni di scuola
si schieravano dall'altra parte. Credo che siano fenomeni addirittura genetici,
forse ereditati da qualche avo; non riesco a spiegarmi esattamente
perché".
Il motivo della scelta dei
vinti da parte di Fabrizio è quello che ho scritto nelle prime righe di questo
pezzo: gli uomini onesti e generosi, gli uomini veri non possono che stare
dalla parte di chi subisce oppressione e violenza. Anche io fin da bambino
stavo istintivamente per i Troiani e per gli Indiani dei film western.
E non ho cambiato partito: il
mio rimane e rimarrà sempre quello di chi subisce ingiustizia.
Giovanni Ghiselli g.ghiselli@tin.it
Il blog http://giovannighiselli.blogspot.it/
È arrivato a
52953 lettori
[1]Zibaldone , 58.
[2] Leopardi, Zibaldone,
108.
[3]Niccolò Machiavelli,
Lettera a Francesco Vettori.
[4] Questa espressione può essere un ottimo punto di
partenza per spiegare il participio predicativo a dei ragazzi e nello stesso
tempo dare loro una lezione di morale. La grammatica e la sintassi, per
riuscire interessanti, vanno “condite” subito con il sapore delle idee.
[5] E’ la figlia Antigone che accompagna. Molti tra i
“rifiuti umani” aiutati da don Gallo erano dunque ancora più desolati di Edipo.
[6]
Lettera a
una professoressa, p. 94.
[7] E. Morin, La testa
ben fatta, p. 49.
Mi dispiace che sia morto un magnanimo e mi fa rabbia vedere come tutti ora si approprino della sua memoria.
RispondiEliminaalessandro