NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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martedì 28 maggio 2013

Perché i Grillini hanno perso parecchi sacchi di voti



In molti si chiedono perché i Grillini abbiano perso tanti consensi. La risposta diretta è molto semplice: perché non sanno parlare.
E non dico non sanno parlare al popolo, difetto che non li differenzierebbe granché dagli altri; no, questi nuovi deputati non sanno proprio parlare, e il Parlamento dove sono entrati da poco è il luogo dove si deve parlare, possibilmente anche bene, cioè in maniera efficace e persuasiva.
L’elettore, per quanto sprovveduto possa essere, e molti non lo sono, perde fiducia in un deputato, uomo o donna che sia, giovane o vecchio che sia, se costui, o costei, non sa parlare. Questi neoeletti hanno poco di proprio da dire, e quel poco non sanno esprimerlo. Grillo dovrebbe imporre loro non il silenzio ma la lettura di molti libri buoni perché questi poveretti, intendo culturalmente, imparino delle idee e sappiano a esprimerle, correttamente, politicamente, e pure - perché no? - retoricamente. I Greci distinguevano gli educati dai male educati, dagli ineducati, loro stessi dai barbari, con il criterio della facoltà verbale.

Il parlare male, fa male all'anima. Lo afferma Socrate nel Fedone: "euj ga;r i[sqi… a[riste Krivtwn, to; mh; kalw'" levgein ouj movnon eij" aujto; tou'to plhmmelev", ajlla; kai; kakovn ti ejmpoiei' tai'" yucai'"" (115 e), sappi bene… Ottimo Critone che il non parlare bene non è solo una stonatura in sé, ma mette anche del male nelle anime.
Fa male a chi parla e fa male a chi ascolta.
Non faccio nomi poiché non ho ancora sentito nemmeno un parlamentare grillino capace di parlare: questi poveri di lingua balbettano qualche luogo comune imparato a memoria, poi si allontanano. Al popolo questo non è mai andato bene. Né ai Greci, né ai Latini, né ai razionalisti, né ai religiosi.


Partiamo da questi. Nelle prime parole del suo Vangelo l’apostolo, Giovanni identifica il
lovgo~, il verbum, la parola insomma con l’ajrchv, con il principium, con l’Essere primo: "  jEn ajrch'/  h\n oJ lovgo", kai; oJ lovgo~ h\n pro;" to;n qeovn, kai; qeo;" h\n oJ lovgo". ou|to" h\n ejn ajrch'/ pro;" to;n qeovn. pavnta di' aujtou' ejgevneto, kai; cwri;" aujtou' ejgevneto oujdevn. In principio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum et Deus erat Verbum. Hoc erat in principio apud Deum. Omnia per ipsum facta sunt, et sine ipso factum est nihil (1, 1-3), in principio c'era la Parola e la Parola era con  Dio e la Parola era Dio. Questa era in principio con Dio. Tutto fu fatto tramite lei e senza lei nulla fu fatto.
Quindi il verbo si fece carne: "kai; oJ lovgo" savrx ejgevneto" (14). Io collego questa affermazione, del tutto arbitrariamente se volete, alla facundia persuasiva che attira gli ascoltatori che possono essere le donne, poiché è in corpo di donna che il verbo si fa carne, ma in generale affascina ogni fruitore della parola bella.
La parola brutta, ossia pedestre, vuota e insignificante, ripugna e respinge.
Lo sapeva benissimo don Milani che ha capito questa verità quando afferma: "Bisogna sfiorare tutte le materie un po' alla meglio per arricchirsi la parola. Essere dilettanti in tutto e specialisti nell'arte della parola"[1].
E’ importante anche ascoltare, per carità, una facoltà collegata, a quella del parlare poiché si impara a parlare leggendo e ascoltando e chi non dà importanza alla parola, non legge né ascolta. Costui parla a vanvera e  pochi lo ascoltano.

Torniamo ai Greci.
Ulisse se la cava sempre grazie alla forza e alla bellezza delle sue parole. Odisseo come eroe e artista della parola viene individuato già da Omero: nella teicoskopiva [2] del terzo canto dell'Iliade, Priamo chiede a Elena di identificare i capi dei guerrieri Achei visibili dalla torre presso le porte Scee; uno gli pareva "meivwn [3] me;n kefalh'/   jAgamevmnono"   jAtreïvdao, / eujruvtero" d  j w[moisin ijde; stevrnoisin ijdevsqai" (vv. 193-194), più piccolo della testa di Agamennone Atride, ma più largo di spalle e di petto a vedersi. La maliarda risponde che quello era Odisseo esperto di ogni sorta di inganni e di accorti pensieri (v. 202).
Quindi Antenore aggiunge che egli l'aveva visto una volta a Troia, in ambasciata con Menelao, e quando i due erano seduti, era più maestoso Odisseo, ma, come si alzavano, Menelao lo sovrastava delle larghe spalle ("stavntwn me;n Menevlao" uJpeivrecen eujreva" w{mou"", v. 210).
Odisseo, in piedi, se stava zitto, sembrava un uomo ignorante o addirittura uno furente e pazzo, ma, quando parlava, dal petto mandava fuori parole simili a fiocchi di neve d'inverno (Iliade, III, v. 222), ossia manifestava la potenza della natura.
Nell’XI canto dell’Odissea Alcinoo dice all’ospite itacese che ha morfh; ejpevwn, bellezza di parole kai; frevne~ ejsqlaiv e saggi pensieri e che il suo racconto è fatto con arte, come quello di un aedo (vv. 367-368). 
Nel Filottete di Sofocle, Odisseo chiarisce al giovane Neottolemo il percorso che l'ha portato a prediligere la glw'ssa (lingua) rispetto agli e[rga (le azioni): "ejsqlou' patro;" pai', kaujto;" w]n nevo" pote;- glw'ssan me;n ajrgo;n, cei'ra d j ei\con ejrgavtin:-nu'n d j eij" e[legcon ejxiw;n oJrw' brotoi'"-th;n glw'ssan, oujci; ta[rga, panq j hJgoumevnhn" (vv. 96-99), figlio di nobile padre, anche io da giovane un tempo avevo la lingua incapace di agire, la mano invece operosa; ora però, giunto alla prova, vedo che per gli uomini la lingua ha la supremazia su tutto, non le azioni. 
La capacità di parlare è preziosa in tutti i campi, da quello dell’avvocato, a quella del medico, del prete, dell’esteta, del seduttore.
"Non formosus erat, sed erat facundus Ulixes / et tamen aequoreas torsit amore deas", bello non era, ma era bravo a parlare Ulisse, e pure fece struggere d'amore le dee del mare, scrive Ovidio nell'Ars amatoria (II, 123-124).
Sono versi non per caso citati da Kierkegaard nel Diario del seduttore.

Odisseo non usa sempre questa facoltà in maniera etica: Pindaro lo colpevolizza per il fatto che ha ingannato Aiace l’incapace di parlare
/a[[glwsso~ [4] che poi si è ucciso.
Quindi la lingua può essere un’arma a doppio taglio e può trarre il suo fuoco dalla Geenna, come afferma l’apostolo Giacomo[5]
Questo è vero, ma è pure vero che l’assenza della capacità di parlare danneggia la vita. Isocrate sottolinea il valore anche etico del lovgo"  inteso come parola e come pensiero: "to; ga;r levgein wJ" dei' tou' fronei'n  eu\ mevgiston shmei'on poiouvmeqa, kai; lovgo" ajlhqh;" kai; novmimo" kai; divkaio" yuch'" ajgaqh'" kai; pisth'" ei[dwlovn ejstin" (Nicocle, 7) il parlare come si deve, lo consideriamo segno massimo del saper pensare, e un discorso veritiero, legittimo e giusto è l'immagine di un'anima buona e leale.
Potrei ricordare tanti altri autori che celebrano il valore della parola, e la onorano come una dea[6]
Invece concludo tornando agli a[glwssoi, ai Grillini privi di eloquenza.
Mi rivolgo anzi direttamente a loro, a voi Grillini a[glwssoi, e lo faccio non senza un poco di simpatia venata di compassione dopo il vostro insuccesso di ieri del quale non ho gioito: imparate a parlare, e, se avete delle idee, e forse le avete, imparate a esprimerle, prima con chiarezza e scioltezza, poi con eleganza.
Leggete i Greci e i Latini, possibilmente in lingua. Dante ha imparato a scrivere da Virgilio, Virgilio da Omero, da Euripide e da altri autori greci.
Orazio nell’Ars poetica prescrive: “vos exemplaria Graeca / nocturna versate manu, versate diurna” (vv. 268-269), voi leggete e rileggete i modelli greci, di notte e di giorno.
Concludo con Ovidio, uno dei cinque poeti che Dante indica tra gli autori della bella scuola di Omero[7]: "Iam molire animum qui duret, et adstrue formae: / solus ad extremos permanet ille rogos. / Nec levis ingenuas pectus coluisse per artes / cura sit et linguas edidicisse duas" (Ars amatoria, II, vv. 119-122), oramai prepara il tuo spirito a durare, e aggiungilo all'aspetto: solo quello rimane sino al rogo finale. E non sia leggero l'impegno di coltivare la mente attraverso le arti liberali, e di imparare bene le due lingue.

Il latino e il greco ovviamente. Senza con questo disprezzare altre lingue.

Giovanni Ghiselli  g.ghiselli@tin.it

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[1]Lettera a una professoressa, p. 95. 
[2] Osservazione dalle mura, spettacolo dalle mura. 
[3] Cfr. latino minor. 
[4] Nella Nemea VIII , Pindaro ricorda il torto subito da Aiace a[glwsso~ (v. 24), privo di eloquenza. 
[5] La lingua  è un piccolo membro e si vanta di grandi cose (mikro;n mevlo"  kai; megavvla aujcei'). Eppure essa è un fuoco, è il mondo dell'iniquità (oJ kovsmo" th'" ajdikiva") e contamina tutto il corpo e incendia la ruota della nascita e trae la sua fiamma dalla Gehenna (kai; flogizomevnh uJpo; th'" geevnnh")… Ogni specie di fiere e di uccelli e rettili e animali marini si doma ed è stata domata dalla razza umana, ma la lingua nessuno degli uomini può domarla, è un male inquieto, pieno di veleno mortifero (Epistola di Giacomo, 3, 2-8). La mancanza della lingua è un grave handicap, ma la lingua ingannevole produce il male e la morte. Lo scita Anacarsi che andò ad Atene nel 591 e fu ospite e amico di Solone, interrogato che cosa fosse insieme bene e male per gli uomini, rispose “la lingua” Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, I, 8. 
[6] O poeta, divina è la Parola;
Ne la pura Bellezza il ciel ripose
Ogni nostra letizia 
e il Verso è tutto (D’Annunzio, L’Isotteo) 
[7] Mira colui con quella spada in mano,
che vien dinanzi ai tre sì come sire.
Quelli è Omero poeta sovrano;
l’altro è Orazio satiro che vène;
Ovidio è il terzo, e l’ultimo è Lucano

Così vidi adunar la bella scola
Di quel signor dell’altissimo canto
Che sovra li altri com’aquila vola (Dante, Inferno, IV, 87-90; 94-96)

1 commento:

  1. Parole sagge, come sempre, le Sue, professore, speriamo che qualche lettore grillino ne faccia tesoro!
    Gli auctores greci e latini non ci hanno tramandato il mathos del turpiloquio, bensì l'amore per il bel discorso, e se alcuni poeti hanno usato l'invettiva, essa non è mai stata fine a stessa.
    Un saluto e complimenti, anche per il successo del Blog!
    Roberto B.

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