Leonardo da Vinci, Studi di carri falcati |
Torniamo alla guerra di Lucrezio
Segue una storia
delle arti belliche che mette in rilievo il carattere perverso della guerra la
quale uccide non solo i nemici ma anche gli amici.
Prima combatterono
a cavallo, poi sulle bighe, poi i carri falcati falciferi currus (1301).
“Uno dei molti
composti epicheggianti coniati da Lucrezio (già in III 642; il termine comune e
prosaico era falcatus). La nobilitazione epica si accentua quando
arriviamo al culmine del progresso nell’uso bellico degli animali, cioè all’uso
degli elefanti (1302-1304) . Il primo nome con cui i Romani indicarono
l’elefante (Luca bos), testimoniatoci da Nevio, richiamava alla memoria
la guerra contro Pirro, ma il richiamo dei Poeni come primi istruttori degli
elefanti alla guerra rimanda alle guerre puniche, la più grandiosa esperienza
bellica che i Romani avessero avuto prima di Lucrezio…La nobilitazione epica è
nelle scelte lessicali e nell’allitterazione di 1304; un segno particolare
l’allusione ad Ennio nell’epiteto taetras, riferito agli elefanti…il
grandioso, accentuato anche da turrito corpore, qui fa tutt’uno con
l’orrido, col mostruoso; questo aspetto è accentuato dall’immagine della
proboscide come un lungo serpente, che si profila nello strano, allucinante
epiteto anguimanus, da Lucrezio coniato appositamente per gli elefanti
(ad elefanti è riferito già in II 537): la massiccia bestia è armata di una
specie di drago…La breve storia dell’uso degli animali in guerra (1297-1304) si
chiude con un commento epico-lirico (1305-1307), che delinea il progresso
tecnico come un crescendo di orrore e di terrore, crescendo causato dalla discordia
tristis. Come in altri punti ben noti della storia della civiltà umana
tracciata da Lucrezio, come, immediatamente prima, nella storia dell’uso dei
metalli, il progresso tecnico si rovescia in processo di corruzione; se il
processo è visibile nell’aumento dei consumi superflui (cioè non richiesti
dalla vita secondo natura), ancora più visibile è nel crescere del furore della
guerra, nell’affinarsi della tecnica bellica, nel moltiplicarsi delle stragi;
del resto già per Lucrezio, come poi per i poeti augustei, il furore bellicoso
è alimentato generalmente dalla fame di ricchezza e di lusso” (La Penna , Da Lucrezio a
Persio , p. 38-40)
I Cartaginesi istruirono
boves lucas (acc. da luca bos, elefante) gli elefanti (buoi
lucani perché i Romani li videro la prima volta in Lucania), turrito corpore,
anguimanus (gen. -us (1303) dalla mano di serpente (la
proboscide)
Così la funesta
discordia produsse una cosa dall’altra
Sic alid ex alio peperit discordia tristis (1305) e inventò ordigni sempre nuovi per
accrescere gli orrori della guerra.
Scagliarono anche
tori, leoni e cinghiali.
I leoni
sconvolgevano tutte le schiere senza distinzione.
Et validos partim prae se misere leones
Cum doctoribus –domatori-armatis saevisque magistris
Qui moderarier his possent vinclisque tenere
Nequiquam, quoniam permixta caede calentes infiammati da strage promiscua
Turbabant saevi nullo discrimine turmas sconvolgevano feroci le schiere senza
distinzione
terrificas
capitum quatientes undique cristas (1310-1315).
Scuotendo ovunque le terrificanti criniere
“Nel pezzo che
comprende i due versi introduttivi e il primo quadro dei leoni (1308-1317), saevus
è una parola chiave: saevi sono i leoni
(1314); ma saevi sono anche i domatori
(1311) : non accorti ammaestratori, non blandi moderatori che ammansiscono, ma
feroci e violenti come le bestie che devono domare…la logica del fallimento è
nell’impossibilità di orientare la furia delle bestie, che si dimostra non meno
devastante per i padroni che per i nemici. Nel rilievo icastico del quadro
emergono in primo piano le teste terrificanti dei leoni che scuotono le loro
criniere:
terrificas capitum quatientes undique cristas (1315)
La ripresa di un
verso dal quadro che rappresenta i riti sanguinosi e ripugnanti dei Galli
seguaci di Cibele (II 632 terrificas capitum quatientes numine cristas con un gesto del capo) rientra nel calco di un
procedimento “omerico”, che contribuisce in misura notevole a dare al poema la
nobilitante patina epica; c’è qualche cosa di più: come in qualche altro caso, la Wiederholung
(ripetizione) suggerisce analogie più ampie: i due quadri hanno in comune
anche l’eccitamento dato dal sangue che scorre (cfr. II 631 in numerumque
exultant sanguine laeti con V 1313 permixta caede calentes) (La Penna , p. 41).
Le leonesse
avventavano i corpi infuriati a salti da ogni parte
irritata leae iaciebant corpora saltu
Undique et adversum venientibus ora petebant (1318-9) assalivano al volto
Mentre altri li
dilaniavano da tergo
morsibus
adfixae validis atque unguibus uncis (1322)
avvinghiandosi con
morsi forti e artigli adunchi
I tori sbalzavano
via i conduttori poi incornavano dal basso i cavalli,
i cinghiali con
forti zanne straziavano anche gli alleati
et
validis socios caedebant dentibus apri (1326)
e facevano strage
di fanti e di cavalieri.
Anche la guerra
dunque fa parte dell’irrazionalità umana
Non si fanno queste
battaglie tanto con la speranza di vincere
“Sed facere id
non tam vincendi spe voluerunt-
quam dare quod gemerent hostes, ipsique perire
qui numero diffidebant armisque vacabant” (1347-8) mancavano di armi
Fromm assimila il
genocidio di Cartagine perpetrato dai Romani ad altri scempi commessi dai
vincitori nei confronti dell’umanità: “The
history of civilization, from the destruction of Carthage and Jerusalem to the
destruction of Dresden, Hiroshima, and the people, soil, and trees of Vietnam,
is a tragic record of sadism and destructiveness” (The anatomy of human
destructiveness, p. 192), la storia della “civiltà” dalla distruzione di
Cartagine e Gerusalemme, alla distruzione di Dresda, Hiroshima, e del popolo,
del suolo, degli alberi del Vietnam, è un documento tragico di sadismo e
distruttività.
“Di questa sequela di crimini sfuggono le motivazioni nonché
le ragioni della sua ininterrotta durata, sicché la storia nel suo complesso si
configura, per dirla con Hegel, come un “mattatoio” di dimensioni planetarie[1]
ovvero come un insondabile mysterium
iniquitatis. A questo punto-possiamo osservare con Gramsci-“irrazionale” e
“mostruoso” ci appare il “passato” in quanto tale: la storia nel suo complesso
si configura come una “grottesca vicenda di mostri”[2], come “teratologia”[3].
Poi la tessitura
La natura spinse
gli uomini prima delle donne a filare la lana (1354 ss.) poiché gli uomini ne
sono più capaci.
Vediamo un aspetto dei costumi egiziani. Erodoto, lo storiografo che ama rilevare
le diversità degli usi dei vari popoli, non senza la santa tolleranza[4], nota
che questo popolo, conformemente al clima diverso e al fiume differente dagli
altri, ha costumi e leggi contrari a quelli degli altri uomini:" ejn toi'si aiJ me;n gunai'ke" ajgoravzousi
kai; kaphleuvsi, oiJ de; a[ndre" kat j oi[kou" ejovnte"
uJfaivnousi" (II, 35, 2), presso di loro le donne vanno al mercato
e trafficano, gli uomini invece tessono stando in casa.
Di questo passo erodoteo si ricorda Sofocle nell'Edipo a Colono
senza però che il protagonista consideri equivalenti, o dipendenti dal clima,
costumi tanto diversi: infatti il vecchio cieco incestuoso e parricida biasima
i figli maschi poiché hanno costumi simili agli Egiziani: là i maschi siedono
in casa lavorando al telaio (oiJ me;n
a[rsene~ kata; stevga~-qakou'sin iJstorgou'nte~, vv. 339-340), mentre le
loro compagne vanno sempre fuori a procurare il cibo per vivere. Altrettanto
fanno i figli di Edipo e Giocasta: Eteocle e Polinice " kat j oi\kon oijkourou'sin w{ste parqevnoi"
(v. 343) restano in casa come fanciulle, mentre le due figlie, Antigone e Ismene
, si sobbarcano i gravi affanni del padre.
Ma poi i severi
agricolae si sentirono in colpa e si diedero a lavori più duri
La rerum natura
creatrix (1362) insegnò la semina e l’innesto facendo germogliare quanto
cadeva in terra. Tagliarono i boschi e cominciarono le piantagioni di messi e
fecondi vigneti e la fascia degli olivi sparsa come un manto sui poggi. Ora la
campagna è vario distincta lepore (1376) suddivisa in varia bellezza.
L’uomo ha appreso
la musica dalla natura: dagli uccelli il canto, dal sibilo del vento il flauto
(De rerum natura, V, 1379-1382).
Il
flauto risuona “per loca pastorum deserta atque otia dia” (1387).CONTINUA
[1] Hegel, Werke in zwanzig Bänden, a curadi E.
Moldenhauer e K. M. Michel, Suhrkamp. Frankfurt a.. M. (1969-1979) vol.
12, p. 35.
[2] A. Gramsci, Quaderni dal carcere, edizione critica a
cura di V. Gerratana, p. 1417.
[3] D. Losurdo, Stalin, p. 310.
[4] Nel terzo libro troviamo
un episodio che afferma il valore della tolleranza e lo riferisco poiché mi
sembra uno dei più alti insegnamenti della storiografia antica. Contro "la
tolleranza zero" tanto sbandierata oggi dai razzisti e dagli ignoranti. Il
re Dario aveva domandato a dei Greci se sarebbero stati disposti a cibarsi dei
loro padri morti, ed essi risposero che non l'avrebbero fatto per niente al
mondo. Quindi il re dei Persiani chiese agli Indiani chiamati Callati" oiJ; tou;" goneva" katesqivousi"(
III, 38, 4) che mangiano i genitori, a quale prezzo avrebbero accettato di
bruciarli nel fuoco, e quelli gridando forte lo invitavano a non dire tali
empietà. Così, conclude Erodoto, queste
usanze sono diventate tradizionali, e a me sembra che giustamente Pindaro abbia
fatto, affermando che la consuetudine è regina di tutte le cose ("novmon pavntwn basileva fhvsa" ei\nai").
Vedi a questo proposito il volumetto novmo~
basileuv~ a cura di Ivano Dionigi.
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