mercoledì 26 gennaio 2022

Terenzio, Heautontimorumenos. 17

teatro romano
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Atto IV scena 6

 
Clitifone e Siro

Clitifone non si sente lontano da Bacchide.
Inizia però con una sentenza generale tutt’altro che insignificante, anzi molto significativa e istruttiva: “Nullast tam facilis res, quin difficilis siet-quam invitu’s faciat (805-806) non c’è cosa tanto facile da non diventare difficile se tu la fai contro voglia.
 
Si può pensare allo studente che non è motivato a studiare. Credo che un ottimo insegnante che conosce bene la sua materia e l’ha capita, sa renderla prima interessante poi facile a un giovane di intelligenza anche non eccezionale.
Egregio deve essere il docente e lo è se ama la sua disciplina, la studia, la capisce la impara poi la comunica ai suo studenti. Con amore dei ragazzi e della sua materia.
 
Il giovane innamorato è sfinito dopo una passeggiata nemmeno faticosa. Me haec deambulatio- quam non laboriosa ad languorem dedit  (806-807)
Il fatto è che camminando si allontanava da Bacchide. Ciò che lo fa soffrire smisuratamente è venire allontanato da quell’etera.
 Clitifone si sente miser  (809) dal momento che il piano di Siro lo tiene lontano dalla donna amata.
 
 Cfr Catullo- miser Catulle desinas ineptire (8, 1); poi gli elegiaci: miser qualifica l’innamorato infelice.
“Grazie a Catullo una nutrita serie di vocaboli acquista diritto di cittadinanza nel linguaggio d'amore: basterà ricordare la definizione dell'amore come dolor  (2 7) ardor  (2 8) cura  (2 10; 68 51), ma anche come morbus  (76 25) , come pestis  e pernicies  che s'insinua nelle membra simile a un torpor  (76 20) e le divora (31 15) ; oppure la definizione dell'amata come desiderium  (2 5); dell'innamorato come vesanus  (7 10) miser  (8 1; 51 5) e dell'innamorata che si strugge come misella (31 14); dell'innamoramento come equivalente dell'ineptire  (8 1), del perdite amare  (45 3) dell'amore deperire (35 12), del tabescere (68 55) dell'ardere (68 53)"[1].
Catullo dopo molte sofferenze cerca di liberarsi dalla follia amorosa che lo rende malato.
A un certo punto, attraverso il dolore capisce che l'infelicità dell'amore deluso ha la forza negativa di una malattia mortale ed è necessario liberarsi da quel morbo deleterio , e dalla donna, per salvarsi la vita:"Non iam illud quaero, contra me ut diligat illa,/aut (quod non potis est) esse pudica velit;/ipse valere opto et taetrum hunc deponere morbum./O di, reddite mi hoc pro pietate mea" (vv. 23-26) Non chiedo più quel miracolo, che quella là contraccambi il mio affetto,/o (cosa di cui non è capace) che voglia essere pudica;/io desidero stare bene e mettere via questo male oscuro./O dei, datemi questo in cambio della mia devozione.
 
 Clitifone invece si crogiola nel dolore e se la prende con il servo che invero si è adoperato per aiutarlo.
Syro allora gli rinfaccia la protervitas (814) la sfrontatezza indisciplinata con la quale stava per mandare all’aria il piano ben preparato.
Il giovane insiste a maledire il servo il quale gli dice che è già pronto il denaro per tenere legata Bacchide.
Clitifone accenna a scusarsi ma Syro si mostra  magnanimo e dice: “Iam non sum iratus” (820).
 
Mi vengono in mente gli “imi che comandano ai potenti” dell’Ode La caduta (56) di Parini
 
Syro chiarisce che Bacchide si trova a casa di Clinia e presto avrà il denaro che Clitifone le ha promesso. Lo ha messo a disposizione Cremete.
Il ragazzo domanda: Ludis fortasse me? (824), mi canzoni per caso?
Lo schiavo risponde che la prova di quanto dice verrà dai fatti e Clitifone gli crede, tanto che passa dalle imprecazioni a una dichiarazione di amore.
Ne ego homo sum fortunatus; deamo te, Syre” 825  davvero io sono un uomo fortunato, ti amo fortemente Siro. Ne è asseverativo
Quindi si avvicina Cremete e il servo dà al figlio del padrone le istruzioni  su come deve comportarsi se vuole che tutto fili liscio: in pratica dovrà assecondare  al momento opportuno lo stratega che ha avuto successo, obbedire al padre e parlare pochino: “obsecundato in loco,-quod imperabit facito, loquitur paucula” (827-828).
Mi viene da dire che Clitifone non è un giovane uomo ma una testa svigorita cone le yucaiv dei morti (" ajmenhna; kavrhna", Odissea,  XI, 29) evocati da Odisseo.


 
Bologna 26 gennaio 2022
Giovanni ghiselli

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[1]Lo spazio letterario di Roma antica, 1, p. 153.

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