Platone, Leopardi e l’eroe imperfetto. Esiodo e l’eroismo del contadino. Ettore e Fausto Coppi di Paolo Volponi. Temistocle. Kierkegaard e Achille (l’eroe non prende moglie). Kafka e T. Mann. Ben venga maggio
La filosofia non resta estranea al riconoscimento dell'eroe avido di gloria: Platone nel V libro della Repubblica , che presenta il codice della guerra, prescrive premi onorifici per i prodi in guerra :"divkaion tima'n tw'n nevwn o{soi ajgaqoiv"(468d), è giusto onorare tra i giovani quanti sono valenti. Viene fatto l'esempio di Aiace che nell'Iliade (VII, 321) riceve in dono intere terga di bue. Omero, che per altri versi è è confutato, nel campo dell'eroismo guerriero dà un esempio sutorevole.
Nel Fedro il filosofo ateniese approva le persone che giungono ad avere il dominio di sé, e sono moderate, grazie al prevalere della parte migliore e più elevata dell’anima. Costoro, giunti al termine della vita, ridivenuti alati e leggeri, hanno vinto una delle tre gare veramente olimpiche (tw'n triw'n palaismavtwn tw'n wJ~ ajlhqw'~ jOlumpiakw'n e{n, 256b).
Nel Simposio Platone fa dire a Diotima che Alcesti, Achille e Codro hanno dato la vita , non tanto per gli amati e la patria, quanto convinti che immortale sarebbe stata la fama della loro virtù ("ajqavnaton mnhvmhn ajreth'" pevri eJautw'n e[sesqai", 208d). Tutti fanno ogni cosa per la virtù immortale e tale fama gloriosa ("uJpe;r ajreth'" ajqanavtou kai; toiauvth" dovxh" eujkleou'""). E in effetti il coro dell'Alcesti di Euripide, il cosiddetto filosofo della scena, elogia l'eroina morente con queste parole:" i[stw nun eujklehv" ge katqanoumevnh-gunhv t j ajrivsth tw'n uJf j hjlivw/ makrw'/"(vv. 150-151), sappia dunque che morrà gloriosa/di gran lunga la migliore delle donne sotto il sole.
Una gloria che la stessa moribonda rivendica, biasimando i genitori di Admeto ("oJ fuvsa" chJ tekou'sa",v. 290), poiché hanno perduto l'occasione di salvare nobilmente il figlio e morire con gloria ("kalw'" de; sw'sai pai'da keujklew'" qanei'n", v. 292).
Secondo Jaeger questa aspirazione alla gloria e alla perfezione della virtù viene intesa da Aristotele "quale emanazione d'un amor di sé elettissimo, la filautiva". L'espressione si trova nell'Etica Nicomachea che séguita con questo brano:"Invero vivere breve tempo in somma gioia sarà preferito, da chi sia animato da tale amor di sé, ad una lunga esistenza in pigra quiete. Egli vivrà piuttosto un anno solo per uno scopo elevato, che non condurre una lunga vita per nulla. Compirà piuttosto un'unica magnifica e grande azione, che non molte insignificanti"[1].
L'autore di Paideia conclude così:" In queste parole è espressa la fondamentale concezione della vita dei Greci, nella quale ci sentiamo loro affini d'indole e di razza: l'eroismo"[2].
Il nostro Leopardi ha assunto più volte atteggiamenti eroici[3] però, o forse perciò, nello Zibaldone fa notare che l'eroismo non coincide con la perfezione né con la grandezza: :"Omero ha fatto Achille infinitamente men bello di quello che poteva farlo...e noi proviamo che ci piace più Achille che Enea ec. onde è falso anche che quello di Virgilio sia maggior poema ec."(2).
Più avanti leggiamo:"L'eroismo e la perfezione sono cose contraddittorie. Ogni eroe è imperfetto. Tali erano gli eroi antichi (i moderni non ne hanno); tali ce li dipingono gli antichi poeti ec. tale era l'idea ch'essi avevano del carattere eroico; al contrario di Virgilio, del Tasso ec. tanto meno perfetti, quanto più perfetti sono i loro eroi, ed anche i loro poemi" (471).
Alcuni anni più tardi Leopardi scrive: “L’eroismo ci trascina non solo all’ammirazione, all’amore. Ci accade verso gli eroi, come alle donne verso gli uomini. Ci sentiamo più deboli di loro, perciò gli amiamo. Quella virilità maggior della nostra, c’innamora. I soldati di Napoleone erano innamorati di lui, l’amavano con amor di passione, anche dopo la sua caduta: e ciò malgrado che avevano dovuto soffrire per lui, e gli agi di cui taluni godevano dopo il suo fato. Così gli strapazzi che gli fa l’amato, infiammano l’amante. E similmente tutta la Francia era innamorata di Napoleone. Così Achille c’innamora per la virilità superiore, malgrado i suoi difetti e bestialità, anzi in ragione ancora di queste. (22 Settembre 1828)”[4].
L‘eroismo del contadino
L'eroismo può essere individuato anche in gare non propriamente epiche né olimpiche: per esempio nella lotta tenace che conduce il contadino di Esiodo con una terra avara per strapparle i frutti estremi
Nelle Opere e giorni il poeta mette in rilievo il valore del lavoro. Non c'è il duello dell'eroe cavalleresco con l'avversario che lo osteggia in campo, ma la lotta silenziosa e tenace del lavoratore con la dura terra e con gli elementi
Tale lavoratore è anche il Duvskolo" di Menandro:"tw'n dunamevnwn ta;" pevtra" -ejnqavde gewrgei'n"(vv. 3-4), uno di quelli capaci di coltivare le pietre in questa zona.
Né manca l'eroe perdente, forse anzi il più bello: Ettore che sente l'amor patrio e dice:"ei|" oijwno;" a[risto" ajmuvnesqai peri; pavtrh"" ( Iliade , XII, 243) uno è l'auspicio ottimo: difendere la patria, destinata comunque a cadere dopo la morte del suo migliore, unico vero difensore. Prima di morire decide di fare fronte da solo al suo destino. Nell’Iliade il sentimento della miseria umana dà agli eroi un accento di autenticità e semplicità che è il marchio del genio greco e costituisce il pregio di questo poema e delle tragedie.
L’eroismo, soprattutto quando siamo bambini, possiamo individuarlo anche in campioni dello sport.
Il nei primi anni Cinquanta[5] tifavo per Fausto Coppi vicino al tramonto: identificavo "il campionissimo" con Ettore, per il quale, pure, tenevo. Ho trovato di recente questo paragone in un bel libro sul mio eroe della bicicletta:
" diceva Paolo Volponi:" Io sentivo Bartali come un uomo quieto, appagato di un certo tipo di società, di società minore. Insomma me lo figuravo come un democristianone. Coppi, invece, lo vivevo come uno dell'opposizione, uno che sfidava le circostanze, la realtà, i suoi stessi limiti fisici. Aveva cuore e polmoni prodigiosi, ma era anche un pò rachitico. Non aveva l'aria di uno nato per vincere. Ero coppiano perché mi sembrava uno non immediatamente vincitore, uno non sicuro di sé, non creato per trionfare, ma che trionfava con un grande alone di passione, di fatica. Vinceva clamorosamente smentendo anche se stesso, con un impegno molto duro sul piano psicologico. Io tenevo per Coppi come, da ginnasiale, tenevo per Ettore contro Achille. Tenevano per Ettore, forse, quelli meno felici, meno sicuri di sé, meno integrati. Ettore era l'eroe che doveva soccombere, umano, dotato di grandi qualità, di grande passione. Doveva soccombere perché non aveva l'aiuto degli dei. Era l'uomo in lotta contro il destino. Ecco: Coppi era Ettore. Aveva quella faccia da uomo dolente, da uomo vero, da uomo di fatica. Anch'egli in lotta contro il destino"[6].
Ma torniamo ai Greci: a Erodoto che, come Foscolo, si sentiva chiamato dalle Muse "ad evocar gli eroi"[7], e dopo la battaglia di Salamina fa dire a Temistocle:"tavde ga;r oujk hJmei'" katergasavmeqa, ajlla; qeoiv te kai; h{rwe"",[8] questa impresa infatti non l'abbiamo compiuta noi ma gli dei e gli eroi. In questo contesto gli eroi sono gli spiriti dei morti, quelli che erano venerati secondo le consuetudini e le leggi più antiche:"Quando intorno all'anno 620 Dracone raccolse ad Atene per la prima volta in iscritto il diritto consuetudinario della sua città natale, prescrisse anche che si venerassero in comune gli dèi e gli eroi patrii secondo il costume degli antenati"[9].
“Anche in epoca storica, dèi e spiriti erano presenti alla mente dei greci con un’intensità di cui possiamo appena renderci conto. Quando essi sconfissero i Persiani, alla luce piena della storia, il commento del loro generale fu: “Non siamo noi che abbiamo fatto questo, ma gli dèi e gli eroi’ (Erodoto VIII, 109). Questa non è religiosità superficiale. Non è neppure un segno di umiltà particolarmente reverente; poiché chi parlò così era Temistocle, uomo duro e dai mille stratagemmi. E’ un residuo di quel sentimento che impronta di sé quanto è documentato dall’Età Eroica e delle sue battaglie, sentimento ancora vivo presso i popoli primitivi…Sappiamo che gli dèi Castore e Polluce combatterono per Roma al lago Regillo-496 a-C.-, e per i locresi contro Crotone. Sappiamo pure che i greci, prima della battaglia di Salamina, mandarono una nave ad Egina per prendere ‘Aiace e Telamone e gli altri Eacidi’, compresi Peleo e Achille, perché li guidassero contro i Persiani (Erodoto, VIII, 64). Essi sono senza dubbio compresi, se non specificamente menzionati, nelle frasi di Temistocle che attribuiva la vittoria ‘agli dèi e agli eroi’”[10].
Ritorno all’ Achille di Omero, il primo eroe, che anche Platone, come Leopardi, non trova perfetto, senza però che i suoi difetti glielo rendano simpatico, al punto che il filosofo ateniese ne prescrive la correzione in una generale ejpanovrqwsi" dei poeti e delle loro mende educative. Platone vorrebbe cancellare, tra l'altro, i versi pronunciati dal Pelide quando nell'Ade rimpiange la vita, la vita comunque. Egli osa dire che, pur di essere vivo, sarebbe disposto a servire ("qhteuevmen"[11]) un altro, anche un uomo povero. Questa brama della vita a tutti i costi è criticata da Platone che vorrebbe cancellarla[12] poiché insegna a preferire il servaggio alla morte.
Vengono altrettanto biasimati e considerati indegni di lettura i pianti e i lamenti del figlio di Tetide, dovunque si trovino rappresentati[13].
Non la pensa così Nietzsche che in questa volontà di vita individua il ribaltamento olimpico-apollineo della sapienza silenica. Questa considera primo bene non essere nati, poi, come secondo, morire appena nati . "Per esprimere con impressionante efficacia il suo rimpianto per la vita, il morto Achille dice a Odisseo che lo incontra nell'oltretomba: vorrei lavorare come un thes ( qhteuevmen, Od. XI, 489)"
“Non è indegno neanche del più grande eroe bramare di vivere ancora, fosse pure come lavoratore a giornata”[14].
Più benevolo dunque e generoso il filosofo tedesco, rispetto a Platone, nei confronti di Achille. Così pure Leopardi. Forse perché i due pensatori dell'Ottocento non sono dei sistematici e non sono filosofi in senso stretto:"I filosofi sono dei violenti che non dispongono di un esercito e perciò si impadroniscono del mondo rinchiudendolo in un sistema. Probabilmente è questa la ragione per cui nei tempi di tirannia vi sono stati grandi filosofi, mentre nei tempi di progresso civile e di democrazia non c'è verso che si produca una filosofia convincente, almeno per quanto se ne può giudicare dal rammarico che si sente universalmente esprimere a questo proposito"[15].
Questo non toglie che anche Platone, come Leopardi e Nietzsche, abbia saputo coniugare verità e bellezza. Interessante, e stravagante, è una riflessione di Mircea Eliade sulla "riattualizzazione" del modello eroico:"Ma i modelli trasmessi dal più lontano passato non scompaiono; non perdono il loro potere di riattualizzazione. Rimangono validi per la coscienza "moderna". Un esempio fra mille: Achille e Soeren Kierkegaard. Achille, come molti altri eroi, non si sposa, quantunque gli sia stata predetta una vita felice e feconda purché si ammogli; senonché, in questo caso, avrebbe dovuto rinunciare a diventare un eroe, non avrebbe realizzato l'"unico", non avrebbe conquistato l'immortalità. Kierkegaard attraversa lo stessissimo dramma esistenziale rispetto a Regina Olsen; respinge il matrimonio per rimanere se stesso, l'"unico", per poter aspirare all'eterno, rifiutando la modalità di un'esistenza felice nel "generale". Lo confessa chiaramente in un frammento del suo Giornale intimo (VIII, A 56) :"Sarei più felice, in senso finito, se potessi allontanare da me questa spina che sento nella mia carne; ma, in senso infinito, sarei perduto"[16].
Contro il matrimonio quale esperienza avversa a ogni grandezza si esprime il principe Andrej di Guerra e pace che dice all'amico Pierre:" Non ti venga mai in mente di sposarti, mio caro; questo è il mio consiglio, non prender moglie finché non avrai potuto dire a te stesso che hai fatto tutto il possibile per evitarlo,finché non avrai smesso di amare la donna che hai scelto, finché non la vedrai come in trasparenza, altrimenti sbaglierai crudelmente e senza rimedio. Sposati da vecchio quando non sarai buono a nulla...Altrimenti andrà perduto tutto ciò che in te è buono ed elevato. Tutto si disperderà in piccolezze"[17] .
Il timore del rischio di perdere una possibilità di vita, se non proprio eroica, certo meno insignificante di quella del marito borghese, viene manifestato anche da Kafka nella Lettera al padre :"Perché, dunque, non mi sono sposato? L'impedimento essenziale, purtroppo indipendente da ogni singolo caso, era che io, non v'è dubbio, sono spiritualmente incapace di sposarmi...ho già accennato che con lo scrivere e tutto ciò che vi si ricollega ho fatto alcuni mediocri tentativi di indipendenza e di evasione, ottenendo scarsissimi risultati...Ciò nonostante è mio dovere, o piuttosto è la mia vita stessa vegliare su essi, impedire per quanto sia in me che un pericolo, anzi la sola possibilità di un pericolo, li possa sfiorare. Il matrimonio è la possibilità di un tale pericolo"(p. 114 e sgg.).
Per diventare se stessi è necessario prendere le distanze anche dai genitori: lo insegna il Vangelo di Giovanni secondo il quale Gesù Cristo dice alla madre: " tiv ejmoi; kai; soiv, guvnai; -Quid mihi et tibi mulier? " (2, 4), che cosa ho da fare con te, donna?
T. Mann commenta queste parole, da par suo, nel Doctor Faustus:"In fondo, per una madre, il volo di Icaro del figlio eroe, la sublime avventura virile dell'uomo che non è più sotto la sua protezione è un'aberrazione tanto colpevole quanto incomprensibile, donde ella sente risuonare, con segreta mortificazione, le parole lontane e severe: "Donna, io non ti conosco". E così ella riprende nel suo grembo la povera, cara creatura caduta e annientata, tutto perdonando e pensando che questa avrebbe fatto meglio a non staccarsene mai" (p.691).
Bologna primo maggio 2025 ore 11, 41 giovanni ghiselli
Ben venga maggio.
Ben venga maggio
e 'l gonfalon selvaggio!
Ben venga primavera,
che vuol l'uom s'innamori:
e voi, donzelle, a schiera 5
con li vostri amadori,
che di rose e di fiori,
vi fate belle il maggio,
venite alla frescura
delli verdi arbuscelli. 10
Ogni bella è sicura
fra tanti damigelli,
ché le fiere e gli uccelli
ardon d'amore il maggio.
Chi è giovane e bella 15
deh non sie punto acerba,
ché non si rinnovella
l'età come fa l'erba;
nessuna stia superba
all'amadore il maggio 20
Ciascuna balli e canti
di questa schiera nostra.
Ecco che i dolci amanti
van per voi, belle, in giostra:
qual dura a lor si mostra 25
farà sfiorire il maggio.
Per prender le donzelle
si son gli amanti armati.
Arrendetevi, belle,
a' vostri innamorati, 30
rendete e cuor furati,
non fate guerra il maggio.
Chi l'altrui core invola
ad altrui doni el core.
Ma chi è quel che vola? 35
è l'angiolel d'amore,
che viene a fare onore
con voi, donzelle, a maggio.
Amor ne vien ridendo
con rose e gigli in testa, 40
e vien di voi caendo.
Fategli, o belle, feste.
Qual sarà la più presta
a dargli el fior del maggio?
-Ben venga il peregrino.- 45
-Amor, che ne comandi?-
-Che al suo amante il crino
ogni bella ingrillandi,
ché gli zitelli e grandi
s'innamoran di maggio.- Angelo Poliziano
[1]IX, 8, 1169 a 18 sgg.
[2]Paideia , I vol., pp. 46 e 47.
[3]Per esempio nella Canzone all'Italia :"L'armi, qua l'armi: io solo/combatterò, procomberò sol io"(vv. 37-38).
[4] Zibaldone, 4390.
[5]"E qualcuno ora è vecchio-e ti parla-...". C. Pavese: Dialoghi con Leucò, Gli Argonauti .
[6]Orio e Guido Vergani, Caro Coppi , p. 78.
[7]Dei Sepolcri , v.228. Del resto nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis Foscolo, attraverso un discorso attribuito al vecchio Parini dà un'interpretazione pessimistica e riduttiva dell'eroe:"Forse questo tuo furore di gloria potrebbe trarti a difficili imprese; ma-credimi-la fama degli eroi spetta un quarto alla loro audacia; due quarti alla sorte; e l'altro quarto a' loro delitti"(Milano, 4 dicembre).
[8]VIII, 109, 3.
[9]E. Rohde, Psiche , p. 150.
[10] G. Murray, Le origini dell’Epica greca, p. 290 e p. 291.
[11]Odissea , XI, 489.
[12]Repubblica , 386c. Più avanti (391c) Platone aggiunge che non si deve ammettere nemmeno l'avidità illiberale di Achille né il suo superbo disprezzo di uomini e dèi. Sentimenti che non si addicono a un giovane nato da una dea, pronipote di Zeus e allevato dal sapientissimo Chirone.
A questa educazione impartita dal buon centauro dà grande rilievo Euripide nell’Ifigenia in Aulide dove Agamennone chiarisce a Clitennestra che Achille venne educato da Chirone : “ i{n j h[qh mh; mavqoi kakw'n brotw'n” (v. 709), perché non imparasse gli usi degli uomini malvagi. Più avanti il figlio di Peleo riconosce tale alta paideia all'uomo piissimo che l'ha allevato:"ejgw; d j, ejn ajndro;" eujsebestavtou trafei;"-Ceivrwno", e[maqon tou;" trovpou" aJplou'" e[cein" (vv. 926-927), ho imparato ad avere semplici i costumi. L’antitesi del semplice, schietto Achille in questa tragedia, e non solo, è Odisseo del quale Agamennone dice: “Poikivlo~ ajei; pevfuke tou' t j o[clou mevta” (v. 526), è molteplice per natura e sempre dalla parte della massa.-
[13]Repubblica , 388b.
[14] F. Nietzsche, La nascita della tragedia, capitolo 3.
[15]R. Musil , L'uomo senza qualità ,pp. 243-244.
[16]M. Eliade, Trattato Di Storia Delle Religioni , pp. 440-450.
[17] L. Tolstoj, Guerra e pace, p. 41.
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