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martedì 23 luglio 2013

La fobia dell’amore e del sesso. Anatemi, calunnie e riabilitazione

scritta su un muro di San Pietroburgo
foto di Polina Oshmyanskaya

 
Contro la fobia dell’amore e del sesso 

L’omofobia è solo una parte, forse  nemmeno la più grande, della fobia che dai tempi antichi ha colpito la sessualità e la colpisce tuttora.
Ti garantisco lettore che la mia eterosessualità praticata senza risparmio, e mai nascosta, mi è costata calunnie e anatemi che tanti colleghi e amici omosessuali non hanno subito. Sul loro conto giravano battute di derisione o compatimento; sul conto mio hanno sempre gravato le feroci maledizioni dei frustrati sessuali, degli impotenti, dei brutti schifati della vita e dalla vita.

Il mio orgoglio di eterosessuale mi è sempre costato caro.
Ma non voglio parlare di me. Dopo avere affermato con forza che pure l’eterosessualità deve essere difesa dopo secoli di esecrazioni e persecuzioni, anche perché negli ultimi tempi si viene riducendo anno dopo anno, riferisco una serie di anatemi  letterari che riguardano il sesso.
Un’infamia per tutte: il priapismo che è solo grazia di Dio, di un dio grande per giunta , viene indicato come una malattia dai malefici avvelenatori della vita. C’è chi viene spinto a curarsi dal priapismo e chi è incoraggiato a prendere il viagra. Io mi vanto della mia eterosessualità e del fatto che mi piacciono molto le donne.
In conclusione presenterò  una doverosa  riabilitazione di Eros.

La Medea di Euripide, la donna vilipesa e abbandonata dice: “feu` feu`, brotoi`~ e[rwte~ wJ~ kako;n mevga”, ahi che grande male è l’amore per gli uomini!
E’ una delle tante, troppe calunniose esecrazioni dell’amore presenti nella letteratura europea. Vediamone altre. 
L’antefatto della Medea di Euripide si trova nelle Argonautiche, il poema epico di Apollonio Rodio che nel terzo e penultimo libro descrive la fase iniziale della nipote del sole per Giasone. Ebbene questa storia è piena di anatemi su Eros: il dio quando arriva, mandato dalla madre Afrodite, per costringere Medea ad amare e aiutare Giasone, è invisibile, sconvolgente (tetrhcwv~, Argonautiche, 3, 276), come l’assillo (oi\stro~) che si scaglia sulle giovani vacche[1].
Rapidamente questo dio prese una freccia dolorosa: “poluvstonon ejxevlet  j ijovn” (v. 279). La freccia ardeva profonda nel cuore della ragazza, come una fiamma (flogi; ei[kelon, v. 287), ed ella consumava l’anima in una dolce afflizione: “glukerh'/ de; kateivbeto qumo;n ajnivh/” (v. 290). Quindi ardeva in segreto Eros funesto: “ai[qeto lavqrh/ ou\lo~   [Erw~” (vv. 296-297).
Come Giasone appare splendidissimo al desiderio di Medea, il giovane prestante  viene paragonato a Sirio che si leva alto sopra l'Oceano, bello e splendente però reca sciagure infinite alle greggi: così il figlio di Esone portava il travaglio di un amore angoscioso (Argonautiche, 3, vv. 957-961). L'infelicità è connessa all'amore prima ancora che questo si realizzi: quando la ragazza si avvia incontro a Giasone, che è stato salvato da lei e le ha promesso le nozze, la Luna la osserva e, con parole ambigue tra la simpatia e il dispetto, le dice: il dio del dolore ("daivmwn  ajlginovei"", IV, v. 64) ti ha dato il penoso Giasone per la tua sofferenza. Va' allora e preparati in ogni modo a sopportare, per  quanto sapiente tu sia, il dolore luttuoso. Ti chiedo, lettore: non sono queste, parole di un’empietà blasfema, assoluta?
Non nasce dall’amore “il bene - il piacer maggiore - che per lo mar dell’essere si trova”[2]
Questo presunto amore di Medea e Giasone non dona gioia ai due amanti, anzi produce orrori: dopo che i due scellerati hanno concordato l’assassinio del fratello di lei, lo stesso autore del poema rivolge un'apostrofe ad Eros quale latore di infiniti dolori: “Eros atroce, grande sciagura, grande abominio per gli uomini ("Scevtli j  [Erw", mevga ph'ma, mevga stuvgo" ajnqrwvpoisin") da te provengono maledette contese e gemiti e travagli, e dolori infiniti si agitano per giunta. Ármati contro i figli dei miei nemici, demone, quale gettasti l'accecamento odioso nell'animo di Medea (oi|o" Mhdeivh/ stugerh;n fresi;n e{mbale" a[thn)"[3] 

L'amore sembra legato alla pena da un vincolo di necessità. Si ricorderà che anche Virgilio apostrofa l’amore come un dio malvagio: “Improbe Amor, quid non mortalia pectora cogis!" (Eneide, IV, 412).
Questo è l’amore di Didone, frustra moritura, destinata a morire invano, per Enea che non si comporta meglio di Giasone, come farà notare Ovidio.
Lo vedremo più avanti. 
Nell’Ippolito di Euripide, quando Fedra domanda alla nutrice che cosa è ciò che gli uomini chiamano amore, ella risponde: una cosa dolcissima (h[diston) e nello stesso tempo dolorosa (taujto;n ajlgeinovn q  j a{ma, v. 348).
Poi Fedra le confessa di essere innamorata di Ippolito: allora la nutrice vede il sovvertimento della bellezza e dei valori: “ejcqro;n eijsorw' favo~” (v. 355), odiosa vedo la luce.
Più avanti però la trofov~ consiglia alla pupilla l’ardimento di amare (tovlma d’ ejrw'sa, v. 476) e poco dopo le dice: non di parole decorose hai bisogno tu, ma di quell’uomo (ouj lovgwn eujschmovnwn / dei' s j, ajlla; tajndrov~, vv. 490-491).
La premessa è che Cipride non si può sostenere, quando si avventa con tutta la forza: “Kuvpri~ ga;r ouj forhtov~, h]n pollh; rJuh'/”(v. 443) e gli dèi stessi ne sono stati soggetti, come Zeus che amò Semele. Tu non puoi essere più forte degli dèi: cessa di essere arrogante: “lh'xon d j uJbrivzous j ouj ga;r a[llo plh;n u{bri~  / tavd  j ejstiv, kreivssw daimovnwn ei\nai qevlein” (vv. 474-475), non è altro che arroganza questo, voler essere più forte degli dèi. Dunque: “tovlma d’ ejrw'sa: qeo;~ ejboulhvqh tavde" (v. 476), osa amare,  un dio l’ha voluto!
Ora, aggiunge la nutrice, è giunto il momento dell’"ajgw;n mevga~ / sw'sai bivon sovn" (Ippolito, vv. 496-497) e in questa gara suprema dove si tratta di salvare la vita,  non si possono lesinare o riprovare i mezzi per vincerla.
Ecco come si presenta Cipride entrando in scena all’inizio di questa tragedia: “Pollh; me;n ejn brotoi'" koujk ajnwvnumo" / qea; kevklhmai Kuvpri~, oujranou' t j e[sw (Ippolito,  vv. 1-2), grande e non oscura dea, sono chiamata Cipride, tra i mortali e nel cielo.
The Kypris of the Hippolytus is none other than the Venus Genetrix of Lucretius, the Life Force of Schopenhauer, the élan vital of Bergson : a force unthinking, unpityng, but divine. Opposed to her, as the negative to the positive pole of the magnet, stands Artemis, the principle of aloofness, of refusal, ultimately of death. Between these two poles swings the dark and changeful life of Man, the plaything which they exalt for a moment by their companinship, and drop so easily when it is broken: "makra;n de; leivpei~ rJa/divw~ oJmilivan"[4] says Hippolytus bitterly[5], La Cipride dell’Ippolito non è altro che la Venere Genitrice di Lucrezio, la Forza della Vita di Scopenhauer, lo slancio vitale di Bergson: una forza che non pensa, non sente pietà, ma divina. Opposta ad essa, come il polo negativo a quello positivo del magnete, sta Artemide, il principio della freddezza, del distacco, e in definitiva della morte. Tra questi due poli oscilla la scura e cangiante vita dell’Uomo, il giocattolo che essi innalzano per un momento con la loro amicizia, e poi cade così facilmente quando è rotto: "Tu lasci facilmente la nostra lunga compagnia" dice Ippolito amaramente.
Il primo stasimo dell’Ippolito, cantato da donne trezenie invoca Eros come colui che infonde piacere a chi muove guerra (v. 527). Poi le coreute  annunciano con sgomento la necessità di venerare questo dio  che è tiranno degli uomini (tuvrannon ajndrw'n, v. 538) e distrugge (pevrqonta, v. 541) e incede in mezzo a sventure di ogni tipo (dia; pavsa~ / ijovnta sumfora'~, 541-542). La madre Cipride non è da meno: ella uccise la madre di Bacco con folgore fiammeggiante  e dovunque spiri, terribile (deinav), continua a volare come un’ape (mevlissa oi{a, vv. 563-564). Cioè punge[6].

Nella Fedra di Seneca la figlia di Pasife, innamorata del proprio figliastro, cerca di giustificarsi con la nutrice denunciando l’onnipotenza del dio alato, Amore, cui soggiacciono gli stessi dèi maggiori poiché egli ha un potere incontrollato in ogni parte del mondo: “Hic volucer omni pollet in terra impotens" (v. 186) e vola parimenti penoso nel cielo e sulla terra: “Volitat caelo pariter et terra gravis” (v. 194).
Secondo Christa Wolf invece, la negazione della gioia non è implicita nell'amore in sé, ma al contrario deriva dall'odio per la vita. Ecco quanto Giasone nel suo monologo ricorda di avere sentito dalla madre dei suoi figli, la quale gli parlava senza essere stata corrotta dal rancore: "Ma tu, ascolta bene quello che ti dico, non fare del male a Glauce. Perché ti ama, ed è fragile, molto fragile… Non ne proverai gioia. Non proverai mai più molta gioia. Le cose si stanno mettendo in un modo che non solo quelli che sono costretti a subire un torto, ma anche quelli che il torto lo fanno saranno scontenti della loro vita. Del resto mi domando se il piacere di distruggere la vita degli altri non dipenda dal fatto che si ricava pochissimo piacere e pochissima gioia dalla propria"[7].
Nella letteratura latina  il sermo amatorius pullula di metafore che  identificano l'amore con il fuoco, le ferite, la peste, il veleno, la follia, addirittura il cancro: "Sed antiquus amor amor cancer est" (Satyricon  42, 7), ma un amore vecchio è un cancro.

Catullo usa la parola pestis  in nesso allitterante con pernicies[8] per definire il proprio amore doloroso dal quale vorrebbe liberarsi, con l'aiuto degli dèi, come da una malattia non meritata (76, 20-22). Nella parola pestis  è già implicita l'idea, oggi terroristicamente conclamata, dell'Aids, chiamata la peste del secolo, quando negli incidenti stradali muoiono, in Italia, ottomila persone all'anno[9], ne restano ferite molte di più, e chissà quante altre  vengono consumate dal cancro, quello vero, dovuto ai gas di scarico. Se i rapporti umani, in primis quelli amorosi, non venissero sporcati, calunniati, annichiliti, gli uomini non comprerebbero tante macchine e altre schifezze nocive, o quanto meno inutili.
Sono le distruzioni e le guerre che spingono a comprare. Il consumare è collegato al distruggere, è una sua metafora. Sono le attività empie, le malattie dello spirito che distolgono dall’amore.
Nell'Atene dominata dal demagogo guerrafondaio Cleone, Diceopoli, il cittadino giusto compiange la città perché gli abitanti non si curano della pace (Acarnesi, v. 27) e pure  odia la vita cittadina, mentre rimpiange il suo villaggio dove ciascuno produceva il necessario per sé. Nella povli" invece è onnipresente l'invito a comprare: "privw"[10], che si tratti di carbone, di aceto o di olio[11] ( vv. 34-36). 
Ecco dunque un altro male deleterio dell’amore oltre la guerra: il consumismo e il mercato che uccide gli affetti. Un disagio analogo viene manifestato da Ulrich in L'uomo senza qualità: "Come gettando uno sguardo fuori d'una finestra aperta di colpo, egli sentì quello che in realtà lo circondava; i cannoni, i commerci d'Europa"(p. 800). 

Qualche anno fa il regista Attilio Bertolucci disse che andava a cercare valori in Oriente, dove infatti sono ambientati alcuni suoi film, siccome in Occidente non c'è altro interesse che il vendere e il comprare. 
"In Apollonio e in Catullo era presenteEneide ci mostra come egli utilizzi e fondi suggestioni non solo di autori vari, ma di autori che sono già tra loro in un rapporto di dipendenza, quasi ponendosi coscientemente all'estremità di una catena letteraria. Euripide poteva offrirgli spunti non solo per il personaggio di Didone, ma anche, con Giasone o altri, per il personaggio di Enea"[12]. Veramente il nesso Giasone-Enea, individuato come seduttore, lo denuncia Ovidio: nell’Ars amatoria il poeta peligno mette il fallax Iason (Ars, III, 33), l’ingannevole Giasone, al primo posto nel terzetto dei  seduttori perfidi: gli altri due sono Teseo[13] e quel “sant’ uomo” del pius Aeneas: "Et famam pietatis habet, tamen hospes et ensem[14] / praebuit et causam mortis, Elissa, tuae" (Ars, III, 39-40), ha la nomèa di uomo pio, tuttavia da ospite ti offrì la spada e il motivo della morte tua, Elissa.

La personificazione del tormento amoroso dei mortali nel De rerum natura di Lucrezio è costituita da Tizio: "Sed Tityos nobis hic est, in amore iacentem / quem volucres lacerant atque exest anxius angor" (III, 992-993), ma Tizio è qui in noi, quello che, prostrato nell'amore, gli uccelli dilaniano e un angoscioso affanno divora. "La pena di Tizio - il gigante ucciso da Apollo per aver insidiato Latona, e disteso nel Tartaro col fegato continuamente roso dagli avvoltoi - è per Lucrezio, come sarà pure per Orazio (carm. 3, 4, 77-79; cfr. Servio, ad Aen. 6, 596), allegoria dell'angosciosa passione amorosa, la cupido"[15]. 
Ma i versi più dolorosi sull'amore sono quelli dove il termine vulnus, ferita, non basta più e il segno lasciato dall'ansia erotica diviene una piaga, un ulcus  che potrebbe diventare mortale se non curato: "Ulcus enim vivescit et inveterascit alendo / inque dies gliscit furor atque aerumna gravescit, / si non prima novis conturbes vulnera plagis / vulgivagaque vagus Venere ante recentia cures / aut alio possis animi traducere motus" (De rerum natura, IV, 1068-1072), la piaga infatti si ravviva e vigoreggia a nutrirla, la smania cresce di giorno in giorno, e l'angoscia si aggrava, se non confondi le antiche ferite con nuovi colpi, e le recenti non  curi prima, vagando con una Venere vagabonda o ad altro oggetto tu non drizzi i moti dell'animo.
Il linguaggio erotico lucreziano oscilla tra il tovpo" dell'amore-ferita (il peggiorativo e prosastico ulcus  sostituisce il nobile ed epico vulnus ; cfr. vv. 1048-1055) e il tovpo" dell'amore-follia"[16].

Per quanto riguarda l’amore follia si può ricordare a questo punto il terzo stasimo dell’Antigone di Sofocle, vv. 781-790. Strofe:
"Eros invincibile in battaglia, / Eros che sulle ricchezze ti abbatti, / che nelle morbide guance / della fanciulla trascorri la notte, / vai e vieni tanto sul mare quanto / nelle agresti dimore: / e degli immortali nessuno ti sfugge / né degli uomini effimeri; / ma chi ti possiede è impazzito"
vv. 791-800. Antistrofe:
"Tu anche dei giusti le non più giuste / menti trascini alla rovina: / tu anche questa contesa consanguinea/di uomini hai scatenato; / e vince il desiderio vivace / degli occhi della fidanzata bella nel letto / e siede accanto nella gestione delle grandi / leggi: ineluttabile infatti / gioca la dea Afrodite".

Nel IV libro dell’Eneide Didone “s’ancise amorosa”[17], ma già nelle opere precedenti  Virgilio fa bruciare, soffrire e lottare per amore non solo gli uomini e le donne, ma anche gli animali che sono omologati agli umani nel patimento erotico.
Fanno eccezione le api le quali hanno un costume che desta meraviglia in quanto non si concedono all'accoppiamento né sciolgono neghittose i corpi in Venere né  producono la prole con le doglie: "Quod neque concubitu[18] indulgent nec corpora segnis[19] / in Venerem solvunt aut fetus nixibus edunt" (Georgica IV , vv. 198-199).
Nella II ecloga di Virgilio, il pastore Coridone arde d'amore per il bell'Alessi ("Formosum pastor Corydon ardebat Alexin", 1), che non ha pietà di lui. Fin dalle Bucoliche  Virgilio è il poeta dell'amore infelice e luttuoso, il cantore della passione sulla quale si proietta un'ombra di morte: "O crudelis Alexi, nihil mea carmina curas? / nihil nostri miserere? Mori me denique coges" (vv. 6-7), o crudele Alessi, non ti curi dei miei canti? non hai compassione di me? Infine mi costringerai a morire, sospira l'innamorato ardente.
Coridone non ha tregua dall'ardore amoroso nemmeno quando il bestiame e, con motivo teocriteo[20]  perfino i ramarri, riposano al fresco: "Nunc etiam pecudes umbras et frigora captant / Nunc viridis[21] etiam occultant spineta lacertos" (vv. 8-9), ora anche il bestiame cerca di prendere le ombre e il fresco, ora i rovi spinosi nascondono perfino i verdi ramarri.
Alla fine della II bucolica, il tramonto raddoppia le ombre ma non concede pausa all'ardore di Coridone e alla passione che trascina ciascuno sconvolgendo ogni misura: "…Trahit sua quemque voluptas... Et sol crescentes decedens duplicat umbras; / me tamen urit amor: quis enim modus adsit amori?" (v.65 e vv. 67-68). Chi è afferrato da Eros ignora la giusta misura siccome l'amore è follia: "A Corydon, Corydon, quae te dementia cepit!", v. 69. 

Amor omnibus idem 
Nella Georgica III, che tratta l'allevamento del bestiame, la conflagrazione amorosa riguarda, oltre gli umani, anche gli animali: "Carpit enim vires paulatim uritque videndo / femina, nec nemorum patitur meminisse nec herbae / dulcibus illa quidem inlecebris et saepe superbos / cornibus[22] inter se subigit decernere amantis[23]" (v. 215-218) logora infatti le forze a poco a poco e li brucia guardandoli la femmina, e non lascia che si ricordino dei boschi né dell'erba, ma quella certo li attira con dolci seduzioni e spesso costringe i fieri pretendenti a combattere con le corna.
Tale istinto è uguale per tutte le creature viventi: "Omne adeo genus in terris hominumque ferarumque / et genus aequoreum, pecudes pictaeque volucres / in furias ignemque ruunt: amor omnibus idem" (vv. 242-244) così ogni specie sulle terre di uomini e di animali, e la razza marina, il bestiame e gli uccelli colorati si precipitano in ardori furiosi, amore è lo stesso per tutti.
Esso accresce la ferocia delle belve: "Tempore non alio catulorum oblita leaena / saevior erravit campis nec funera volgo / tam multa informes ursi stragemque dedere / per silvas; tum saevos aper, tum pessima tigris; / heu, male tum Libyae solis erratur in agris" (vv. 245-249), in nessun altro tempo, dimentica dei cuccioli, la leonessa ha errato più furiosa per le pianure, né tanti lutti e strage sparsero gli orsi orribili per le selve; allora il cinghiale è furioso, allora la tigre è più feroce che mai; ahi allora si vaga con rischio nei campi deserti della Libia.
Nella letteratura italiana,  Boccaccio, in un brano di chiara derivazione virgiliana, fa descrivere l'invasamento erotico e bellicoso degli animali dalla dea Venere che vuole convincere Fiammetta ad assecondare la sua passione amorosa e adulterina: "Ne' boschi li timidi cervi, fatti tra sé feroci quando costui[24] li tocca, per le disiderate cervie combattono, e, mugghiando, delli costui caldi mostrano segnali; e i pessimi cinghiari[25], divenendo per ardore spumosi, aguzzano gli eburnei denti; e i leoni africani, da amore tocchi, vibrano i colli"[26].

Torniamo a Didone la quale, poco dopo avere visto Enea, è già "infelix pesti devota futurae" (Eneide, I, 712), disgraziata, consacrata alla rovina imminente: infatti dopo un altro po’ di tempo lo ama, spiritualmente e carnalmente, quindi muore suicida "misera ante diem" (IV, 697), infelice prima del tempo, maledicendo l’amante e i suoi discendenti.
L’amore spesso ferisce e brucia.
Nel Pervigilium Veneris[27] che celebra l'inizio della primavera e la potenza di Afrodite, Amore è in vacanza ("feriatus est amor", v. 31) perciò gli è stato ordinato di andare inerme, di andare nudo: "neu quid arcu, neu sagitta, neu quid igne laederet" (v. 33), per non ferire qualche creatura con l'arco, con la saetta, con il fuoco. Eppure, avverte l'autore, o l'autrice, "Nymphae, cavete, quod Cupido pulcher est: / totus est in armis idem quando nudus est amor" (vv. 34-35), guardatevene o Ninfe, poiché Cupido è bello: ed è tutto armato anche quando è nudo Amore.
In Love’ s labour’s lost[28] di Shakespeare, lo spiritoso Berowne che era stato la frusta dell’amore (love’s whip), il fustigatore degli innamorati, si innamora di Rosaline e interpreta questa sua contraddizione come una punizione di Cupido: “It is a plague / That Cupid will impose for my neglect / Of his almight dreadful little might”(III, 1), è una peste che Cupido vuole infliggermi perché ho trascurato il suo onnipotente, tremendo, piccolo potere.

La pessima fama di Eros non è assente dalla prosa. Platone nella Repubblica rappresenta Sofocle come un vecchio[29] pentito del sesso: Cefalo riferisce di essere stato presente quando un tale  domandò al poeta di Colono: "pw'"... e[cei" pro;" tajfrodivsia; e[ti oi|ov" te ei\ gunaiki; suggivgnesqai;" come ti va nelle cose d'amore? sei ancora capace di congiungerti con una donna?
Quindi il tragediografo rispose: "eujfhvmei w\ a[nqrwpe: aJsmenevstata mevntoi aujto; ajpevfugon, w{sper luttw'ntav tina kai; a[grion despovthn ajpodrav"" (Repubblica , 329c), sta' zitto tu, infatti con grandissima gioia me ne sono liberato, come se fossi fuggito da un padrone furente e selvaggio.
La vecchiaia, commenta il padrone di casa, significa dunque un liberarsi da moltissimi tiranni numerosi e pazzi: "despotw'n pavnu pollw'n e[sti kai; mainomevnwn ajphllavcqai" (329d). Tra questi, in primis, Eros. 
Questo anatema di Sofocle viene ripetuto non senza compiacimento da Catone il Vecchio nel De senectute  di Cicerone: "Bene Sophocles, cum ex eo quidam iam affecto aetate quaereret utereturne rebus veneriis: 'Di meliora! inquit; libenter vero istinc sicut ab domino agresti ac furioso profugi'" (14), opportunamente Sofocle quando, già vecchio e fiaccato dagli anni, un tale gli chiedeva se facesse ancora del sesso, disse: dio ne scampi, volentieri invero sono scappato di lì come da un padrone selvaggio e furioso!
Nella stessa opera il piacere dei sensi in generale viene smontato: "Impedit enim consilium voluptas, rationi inimica est, mentis, ut ita dicam, praestringit oculos, nec habet ullum cum virtute commercium" (12), in effetti il piacere impedisce il giudizio, è nemico della ragione, abbaglia, per così dire, gli occhi della mente e non ha alcun rapporto con la virtù.
Di fatto ancora negli anni Cinquanta del Novecento la pretaglia delle parrocchie di Pesaro diceva ai ragazzini che se uno pensava troppo alle femmine umane, fino a “toccarsi”[30], diventava cieco, e non solo di mente. Tutta gente che non aveva più abbastanza corpo per soddisfare l'anima e si rifiutava di ammetterlo.
Il cristianesimo "diede a Eros del veleno da bere: egli non ne morì, ma degenerò in vizio"[31]. Non solo il cristianesimo che è "un platonismo per il popolo"[32].
Leopardi trova che l’essenza del Cristianesimo sia “il fare che l’esistenza non s’impieghi, non serva ad altro che a premunirsi contro l’esistenza: e… Il migliore, anzi l’unico vero e perfetto impiego dell’esistenza si è annullarla quanto è possibile all’ente… Il detto scopo dev’essere la nonesistenza. Assolutamente nell’idea caratteristica del Cristianesimo, l’esistenza ripugna e contraddice per sua natura a se stessa”[33].

Cerchiamo qualche spiegazione di questa congiura contro l’amore, quindi tentiamo una difesa dell'amore e del sesso. 
D. H. Lawrence[34] scrive: "C'è un desiderio incoffessato, implacabile, dietro a tutte le teorie del sesso. Ed è desiderio di annullare, di cancellare completamente il mistero della bellezza.
tramonto a forma di cuore
foto di M. Roversi
(…) La scienza ha una misteriosa avversione per la bellezza, in quanto non riesce a sistemarla adeguatamente nella visione che essa ha del mondo come serie di cause ed effetti. La società a sua volta ha una misteriosa avversione per il sesso, in quanto interferisce perpetuamente con la organizzazione bene ordinata che l'uomo sociale ha inventato per fare quattrini. Le due avversioni si assommano e ne risulta che il sesso e la bellezza sono soltanto espressioni dell'istinto di riprodursi. E allora diciamolo: il sesso e la bellezza sono una cosa sola, come la fiamma e il fuoco. Se provi odio per il sesso, lo provi anche per la bellezza. Se ammiri la bellezza vivente, provi rispetto anche per il sesso… La sventura della nostra civiltà deriva dall'odio morboso che proviamo per il sesso"[35]. Tutto ciò che è morboso è contro la vita.

Sentiamo una riflessione di Giacomo Casanova, personaggio di La recita di Bolzano:“Ma qual era dunque il morbo? Riflettè. Quindi, solo nella stanza, disse a voce alta: l’egoismo. Dietro ogni mal d’amore si udiva sempre la vocina stridula dell’egoismo, che cercava di salvare quanto poteva e pretendeva tutto ciò che un essere umano può pretendere da un altro, possibilmente senza dover offrire in cambio nulla di autentico e di sostanziale”[36].
Ricordo anche Marcela Serrano[37], una delle nuove voci della narrativa sudamericana: "Sai una cosa? Penso all'amore. Tutto, gira e rigira, ha a che vedere con questo sentimento così comune, fantastico, alienante, sopravvalutato, raro. Ho l'impressione che tutte quante, senza rendercene conto, siamo ferme davanti al nocciolo del dramma di questi tempi, uno dei dilemmi fondamentali di questa fine secolo: la mancanza di un punto d'incontro tra i due sessi… E' tutto molto moderno. Com'è frigida questa modernità… In tutto e per tutto frigida. Al giorno d'oggi il grande sconfitto è l'amore… Il sistema vuole escludere l'amore e il piacere. Allora bisogna abbattere il sistema, Floreana, come vecchi rivoluzionari"[38]. 
Wilhelm Reich considera il terrorismo sessuale inflitto ai bambini come un'arma che ammorba la vita erotica e nello stesso tempo annienta per sempre la loro indipendenza: "L'inibizione morale della sessualità naturale del bambino, la cui ultima tappa è una grave limitazione della sessualità genitale del bambino piccolo, rende quest'ultimo pauroso, timido, timoroso dell'autorità, ubbidiente, 'buono' ed 'educabile' in senso autoritario: l'inibizione morale paralizza, perché ormai ogni impulso libero e vivo è affetto da grave paura e provoca, attraverso la proibizione del pensiero sessuale, una generale inibizione del pensiero e una incapacità critica; in breve il suo obiettivo è la creazione di un suddito che si adatti all'ordine autoritario e lo subisca nonostante la miseria e l'umiliazione"[39]. 

Kritikov" deriva da krivnw, "giudico"; ebbene per giudicare ci vuole esperienza, altrimenti non si tratta di giudizio ma di pregiudizio: è il caso di Demea, il fratello all'antica, catoniano, degli Adelphoe di Terenzio, come viene interpretato da Micione, l'altro fratello, lo zio liberale, politicamente corretto si direbbe oggi: "Homine imperito numquam quicquam iniustiust, / qui nisi quod ipse fecit nil rectum putat" (vv. 98-99), Non c'è mai niente di più ingiusto di un uomo senza esperienza che considera tutto sbagliato tranne quello che ha fatto lui.
Non solo il cristianesimo istituzionalizzato dai Padri della Chiesa  si è adoperato per l'infibulazione mentale delle nostre donne e la castrazione spirituale di noi maschi.
Orwell in 1984 fa un discorso più ampio descrivendo un regime repressivo, tra l'altro, della libertà erotica poiché l'astinenza sessuale  produceva isterismo il quale " si poteva facilmente trasformare nell'infatuazione per la guerra e nell'adorazione dei capi… Il partito cercava con ogni mezzo di annullare l'istinto sessuale, ovvero, nel caso in cui non fosse riuscito ad annullarlo, di pervertirlo e insudiciarlo" (p. 70)
Ma c'è una ragazza, Jiulia, che comprende e si ribella facendo l'amore con gioia, e spiega: “Quando fai all'amore, spendi energia; e dopo ti senti felice e non te ne frega più di niente. Loro non possono tollerare che ci si senta in questo modo (...) Tutto questo marciare su e giù, questo sventolio di bandiere, queste grida di giubilo non sono altro che sesso che se ne va a male, che diventa acido. Se sei felice e soddisfatto dentro di te, che te ne frega del Grande Fratello e del Piano Triennale, e dei Due Minuti di Odio, e di tutto il resto di quelle loro porcate?"[40]. Spogliandosi questa ragazza bruna "faceva un gesto magnifico, proprio quello stesso magnifico gesto dal quale sembra che venga distrutta tutta intera una civiltà" (p.133). Il  protagonista del romanzo, Winston, vede nell'istinto della donna sensuale "un colpo inferto al Partito (...) un atto politico". Quando la sua giovane amante si spoglia infatti la osserva pieno di ammirazione, quindi le dice:"Sta' a sentire. Con più uomini sei stata e più ti voglio bene. Hai capito?"[41].

La fobia del sesso fa parte della propaganda di qualsiasi regime. L'odio dell'amore si volge facilmente in amore per la guerra.
Infatti nella Lisistrata[42], che alla vigilia della prima guerra contro l’Iraq dei gruppi di femministe rappresentavano in alcune città americane, la protagonista afferma che se Eros glukuvqumo", delizioso, e Afrodite, spireranno desiderio sui seni e le cosce delle femmine e infonderanno nei maschi una piacevole tensione e turgore di clave (rJopalismouv" ), le donne un giorno tra i Greci saranno chiamate Lisimache (vv. 551-553), ossia dissolvitrici di battaglie. Del resto lo stesso nome parlante della protagonista eponima  significa "colei che dissolve l'esercito". Qui il discorso funziona a rovescio rispetto a quello di Orwell: nel suo romanzo gli umani vengono inibiti sessualmente perché vogliano fare la guerra; nella commedia antica i maschi devono smettere di fare la guerra, se vogliono fare l'amore con le loro donne. La parola d'ordine di Lisistrata è "bisogna astenersi dal bischero!"(v. 124). Una situazione che la guerra rende comunque necessaria: "monokoitu'men  dia; ta;" stratiav" " (v. 592), dormiamo sole a causa delle spedizioni militari, lamenta la stessa Lisistrata, la quale aggiunge che le donne vengono particolarmente penalizzate da queste assenze dovute alla guerra oramai ventennale, poiché per loro il tempo opportuno è breve (th'" de; gunaiko;" mikro;" oJ kairov", v. 596) : l'uomo quando torna, anche se è canuto, sposa una giovinetta, mentre l'attempata nessuno la vuole più, e resta seduta a fare pronostici (vv. 596-597).

La repressione sessuale è funzionale al potere, a qualsiasi potere: "Il padre primigenio vietava ai propri figli il soddisfacimento dei desideri sessuali diretti; li costrinse all'astinenza e perciò a quei legami emotivi con lui stesso e fra loro che potevano scaturire dagli impulsi la cui meta sessuale era inibita…Il capo della massa è ancor sempre il temuto padre primigenio, la massa continua a voler essere dominata da una violenza senza confini, è sempre sommamente avida di autorità, ha, secondo l'espressione di Le Bon, sete di sottomissione…Le pulsioni sessuali inibite nella meta hanno su quelle non inibite un grande vantaggio funzionale. Non essendo propriamente capaci di soddisfacimento completo, risultano particolarmente idonee a creare legami duraturi"[43].
Ora riferisco una riflessione di matrice freudiana ricavata da un film di Woody Allen, Crimes and Misdemeanors, Crimini e misfatti del 1989: "When we fall in love is a very strange paradox. The paradox consists of the fact that, when we fall in love, we are seeking to re-find all, or some, of the people to whom we were attached as children… On the other hand, we ask our beloved to correct all the wrongs that these early parents or siblings inflicted upon us. So the love contains in it the contradiction: the attempt to return to the past and the attempt to undo the past”, quando ci innamoriamo c’è un paradosso molto strano. Il paradosso consiste nel fatto che, quando ci innamoriamo, noi cerchiamo di ri-trovare tutte, o alcune delle persone alle quali eravamo attaccati da bambini… D’altra parte, noi chiediamo al nostro amato di correggere tutti i torti che quegli antichi genitori o fratelli ci hanno inflitto. Così l’amore contiene in esso la contraddizione: tra il tentativo di tornare al passato e il tentativo di disfare il passato.

“In tutte le religioni pessimistiche l’atto generativo viene sentito come per sé cattivo, ma questo non è in alcun modo un sentimento universalmente umano, e neanche in ciò il sentimento di tutti i pessimisti è identico. Empedocle, per esempio, non sa assolutamente nulla del vergognoso, del diabolico e del peccaminoso in tutte le cose erotiche; egli vede, al contrario, sul gran prato del male una sola apparizione piena di salute e di speranza, Afrodite; essa è per lui la garanzia che la contesa non dominerà in eterno, ma che un giorno consegnerà lo scettro a un più mite demone”[44].
Empedocle ricorda un aspetto canonico dell’età dell’oro: l’assenza di conflitti. Nel Poema lustrale (fr. 119) narra che gli uomini della primitiva età felice non avevano un Ares come dio, né il Tumulto della battaglia (“oujdev ti" h\n keivnoisin  [Are" qeo;" oujde; Kudoimov""), né Zeus, né Crono né Poseidone, ma solo Cipride regina (vv. 1-3). Inoltre non si bagnava l'altare con il sangue dei tori, ma si offriva mirra, incenso e miele, poiché per gli uomini era massima contaminazione (muvso~mevgiston, v. 9) divorare le membra staccandone l'anima (vv. 9-10).

In chiusura di scheda voglio mostrare una completa riabilitazione di Amore da tante calunnie attraverso alcune parole di Agatone nel Simposio  platonico: Eros è il più felice, il più bello e il più nobile fra tutti gli dèi. Ed è anche  il più giovane, sicché non derivano da Amore le mutilazioni dei tempi primordiali di cui parlano Esiodo e Parmenide, anzi, se ci fosse stato lui, non sarebbero avvenute quelle ejktomaiv, castrazioni vere e proprie, né incatenamenti reciproci, desmoi; ajllhvlwn, e molte altri prevaricazioni anche violente kai; a[lla polla; kai; bivaia (195c), ma solo amicizia e pace, come ai tempi nostri, da quando Amore regna tra i numi.  Inoltre egli è delicato: aJpalov" , tant'è vero che  cammina e si ferma sulle entità più tenere: infatti ha fondato la sua dimora nei caratteri e nelle anime degli dèi e degli uomini. Anzi ripudia le anime dure e rozze. Inoltre possiede tutte le virtù, compreso il coraggio: infatti neppure Ares tiene testa a Eros (196d) che viceversa tiene in pugno il dio della guerra. Che è poi quanto sosterrà anche l'inno a Venere di Lucrezio (De rerum natura, I, 29-40).
Sulla delicatezza di amore ritorna Shakespeare: “Love’s feeling is more soft and sensible-than are tender horns of cockled snails” (Love’s labour’s lost, IV, 3), il sentimento d’amore è più lieve e sensibile delle tenere antenne di chiocciole increspate.

Giovanni Ghiselli
g.ghiselli@tin.it 

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[1] Si pensi a Io la fanciulla trasfigurata in mucca del Prometeo incatenato, tormentata da un assillo appunto (oi\stro~, v. 566) e fissata dallo sguardo del pastore Argo dai diecimila occhi: “E subito l'aspetto e la mente furono / stravolti: divenni cornigera, come vedete, e punta / da un assillo dall'acuto morso, con salti furibondi / balzai verso la corrente Cercnea dolce da bere / e alla fonte di Lerna: e il bovaro nato dalla terra / Argo violento nell'ira mi scortava / spiando i miei passi con occhi fitti” (vv. 673-679).  
[2] Cfr. Leopardi, Amore e morte, vv. 5-7. 
[3] Argonautiche, IV, vv. 445-449. 
[4] 1441 
[5] Dodds, The ancient concept of progress, p. 87. 
[6] Nel XIX Idillio di Teocrito Eros punto da un’ape si lamenta che una piccola bestia lo abbia ferito. Afrodite gli dice: “i{so~ ejssi; melivssai~”, sei uguale alle api; sei piccolo ma procuri grandi ferite. 
[7] Medea, p. 203. 
[8] "Me miserum aspicite et, si vitam puriter egi, / eripite hanc pestem perniciemque mihi" (76, 19-20), guardate me disgraziato e, se ho passato la vita senza tradire, / strappatemi questa peste e rovina. 
[9] L’automobile è una vera e propria arma terroristica usata contro pedoni e ciclisti in primis, poi contro gli stessi automobilisti che si ammazzano a vicenda come i nati dalla terra e dai denti del drago seminati da Giasone nelle Argonautiche (3, 1372 sgg.). 
[10] Imperativo dell'aoristo III di privamai, "compro". 
[11] Aristofane, Acarnesi, vv. 34-36. 
[12] A. La Penna - C. Grassi (a cura di) Virgilio, Le Opere, Antologia, p. 357. 
[13] Tanto perfido questo che, se fosse dipeso da lui, Arianna avrebbe nutrito gli uccelli marini 
[14] Spada lasciata da Enea (ensem relictumEneide, IV, 507)  e  impiegata  da Didone  per il suicidio: “non hos quaesitum munus in usus”, Eneide, IV, 647, dono richiesto non per questo uso. Didone conclude la VII Epistula scrivendo il proprio epitaffio: “Praebuit Aeneas et causam mortis et ensem; / ipsa sua Dido concidit usa manu” (Heroides, VII, 199-200), Enea offrì il motivo della morte e la spada; Didone morì da sola, uccisa dalla sua mano. 
[15] Lucrezio, La Natura Delle Cose, testo e commento di Ivano Dionigi, p. 320. 
[16] Lucrezio, La Natura Delle Cose, commento di I. Dionigi, p. 408. 
[17] Dante, Inferno, V, 61. 
[18] Concubitu:  forma di dativo che si trova anche nella prosa classica. 
[19] segnis = segnes con funzione predicativa. 
[20] Cfr. VII, Le Talisie , 22. 
[21] = virides. 
[22] In questi versi l'istinto amoroso si associa non solo al fuoco ma anche a Eris. 
[23] = amantes. 
[24]Amore 
[25] Da confrontare con "tum pessima tigris " e "tum saevos aper" visti sopra (Georgica III , v. 248) 
[26] Elegia di Madonna Fiammetta, (del 343-1344) cap. 1. E' questa una lunga lettera che la protagonista scrive idealmente a tutte le donne innamorate. 
[27] La veglia di Venere, un carme anonimo, compreso nell'Anthologia latina, di novantatré versi (tetrametri trocaici catalettici), di età e attribuzione incerta, dal II secolo d. C., al IV, al VI; da Floro, a Tiberiano, a un'autrice anonima. 
[28] Del 1595. 
[29] La Repubblica di Platone è ambientata al Pireo, in casa del meteco Cefalo, padre di Lisia e Polemarco, nella primavera del 408 a. C. quando Sofocle (497-406 a. C.) aveva quasi novant'anni. L'episodio raccontato risalirà a qualche tempo prima. 
[30] Cfr Amarcord di Fellini 
[31] Nietzsche, Di là dal bene e dal male, trad. it. Mursia, Milano, 1977, p. 96. 
[32]Nietzsche, Di là dal bene e dal male, p. 26. 
[33] Zibaldone, 2384. 
[34] 1885-1930. 
[35] Fantasia dell'inconscio e altri saggi sul desiderio, l'amore, il piacere, Mondadori, Milano, 1978. Tratto da Lunario dei giorni d'amore , pp. 427-428. 
[36] S. Màrai, La recita di Bolzano, p. 126 
[37] Nata a Santiago del Cile nel 1951. 
[38] Marcela Serrano, L'albergo delle donne tristi , pp. 75 , 168-169, 192.
[39] W. Reich, Psicologia di massa del fascismo, p. 43. 
[40] G. Orwell, 1984, p. 142. 
[41] G. Orwell, 1984, p. 134. 
[42] Di Aristofane, del 411. 
[43] S. Freud, Psicologia delle masse, in Freud, Opere, vol 9, pp. 312, 315, 325. 
[44] Nietzsche, Umano troppo umano I, 141.

2 commenti:

  1. Amore è la macchina che muove il mondo...condivido pienamente la difesa dell'eros e ho letto con piacere anche la controparte ...quante cose imparo leggendo queste lezioni magistrali.
    Giovanna

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