Ultimo Aggiornamento sul dibattito di oggi 16 luglio. 250 anni di Teatro Comunale.
Martedì 16 luglio alle ore 18.30 nel foyer del Teatro Comunale: 250 anni di vita del Teatro Comunale.
Piero Mioli presenta il volume "Sonata a tre. Verdi, Wagner e Bologna.
Ne parlano il sovrintendente Francesco Ernani,il Prorettore Roberto Nicoletti,Milena Naldi,presidente del Quartiere San Vitale e il prof.Giovanni Ghiselli.
Presiede Otello Ciavatti.
Segue un breve concerto.
ingresso libero.
Appunti per la conferenza
Schopenhauer Die Welt als Wille und Vorstellung del 1819.
L’arte è il modo di considerare le cose indipendentemente dal principio di ragione.
Cosa in sé è solamente la volontà: ogni rappresentazione, ogni oggetto, è fenomeno, estrinsecazione visibile di lei.
La volontà è l’intimo essere, il nocciolo di ogni singolo e del Tutto. E’ l’essenza di ciascuna cosa del mondo.
Sta fuori dal tempo e dallo spazio e sta fuori dalla pluralità, dal principium individuationis.
L’arte nasce come liberazione della volontà dai suoi fini, come rassegnazione (p. 218).
L’arte riproduce le eterne idee afferrate mediante pura contemplazione, l’essenziale e il permanente di tutti i fenomeni del mondo e può essere arte plastica, poesia o musica.
E’ la via intuitiva di Platone. La via di Aristotele è quella della ragione.
In La scuola di Atene di Raffaello (1510) Platone punta l’indice verso l’alto, Aristotele verso il basso.
Gli oggetti sono manchevoli rappresentazioni dell’idea e il genio deve cogliere non quello che la natura ha formato, ma quello che si sforzava di formare (259).
La conoscenza geniale non è volta alle relazioni (p. 263) Orazio chiama l’estro poetico amabilis insania (Od. III, 4) E Seneca Nullum magnum ingenium sine mixtura dementiae fuit (de tranq. animi 15, 16).
Cfr. la follia del poeta in Platone nell’ultima parte.
Il genio non vede il nesso che lega le cose, conosce le idee non gli individui. L’artista ci fa guardare dentro il mondo.
Quando ci liberiamo dall’ansia della volontà conoscendola attraverso l’arte, la ruota d’Issione si ferma e celebriamo il sabato dei lavori forzati, p. 271.
La musica non è come le altre arti immagine delle idee, bensì l’immagine della volontà stessa della quale le idee sono riflessi, p. 346.
Perciò l’effetto della musica è tanto più potente e insinuante di quello delle altre arti che manifestano il riflesso della volontà, mentre la musica ne manifesta l’essenz.
La musica narra la storia più segreta della volontà, ne dipinge ogni emozione. La musica è il linguaggio del sentimento e della passione, la parola quello della ragione p. 349.
La musica esprime solo la quintessenza della vita e dei suoi avvenimenti, mai gli eventi stessi.
Tale universalità le dà l’alto valore di panacea di tutti i nostri dolori.
Se si adatta troppo alle parole la musica si snatura, poiché si sforza di parlare una lingua che non è la sua.
Rossini si è tenuto lontano da questo difetto e la sua musica parla in modo chiaro il proprio linguaggio che non ha affatto bisogno di parole e produce tutto il suo effetto anche con i soli strumenti.
La musica ci dà il cuore delle cose.
La creazione compensa l’artista della sua solitudine in mezzo a una razza eterogenea.
L’arte toglie la nebbia delle accidentalità (Supplementi, p. 98).
La musica non esprime il fenomeno ma l’intimo essere in sé di ogni fenomeno, la volontà stessa 351.
“Le parole sono e rimangono per la musica un accessorio estraneo, di valore subordinato, giacché l’effetto dei suoni è molto più potente, infallibile e rapido di quello delle parole: queste quindi devono essere incorporate nella musica e assumere un posto completamente subordinato... La musica esprime ogni sentimento, ogni moto della volontà, le parole aggiungono le oggettità di questa.
La musica esprime la tempesta delle passioni e il pathos dei sentimenti infatti per lei esistono solo le passioni della volontà; ella vede, come Dio, solo i cuori.
Il ritmo è nel tempo ciò che nello spazio è la simmetria. L’architettura e la musica sono gli antipodi dell’arte.
Nell’architettura l’ordinatrice è la simmetria, nella musica chi dà ordine è il ritmo. Goethe ha scritto che l’architettura è una musica irrigidita (Colloqui con Eckermann vol. II, p. 88).
Nietzsche
"Il 2 gennaio 1872 apparve nelle librerie La nascita della tragedia; l’editore era Ernst Fritzsch di Lipsia, lo stesso che aveva pubblicato le opere di Richard Wagner.
Il disegno nel frontespizio mostrava Prometeo liberato”...[1]
Il Satiro, il finto essere naturale, sta rispetto all'uomo civile nello stesso rapporto in cui la musica dionisiaca sta rispetto alla civiltà. Di quest'ultima Richard Wagner dice che viene annullata dalla musica, come il lume della lampada dalla luce del giorno. In ugual maniera, io credo, l’uomo civile greco si sentiva annullato al cospetto del coro dei Satiri; e l'effetto immediato della tragedia dionisiaca consiste in questo, che Stato e la società, e in genere gli abissi fra uomo e uomo, cedono a un soverchiante sentimento di unità che riconduce al cuore della natura. La consolazione metafisica, lasciata alla fine in noi da ogni vera tragedia-lo dico fin d’ora- per cui la vita è, a dispetto di ogni mutare delle apparenze, indistruttibilmente potente e gioiosa, questa consolazione, appare in corposa chiarezza come coro dei Satiri, come coro di esseri naturali, che per così dire vivono incorruttibili dietro ogni civiltà, e, nonostante ogni mutamento delle generazioni e della storia dei popoli, rimangono eternamente gli stessi"[2].
Quanto alla “consolazione metafisica”, la cui scomparsa Nietzsche, in La nascita della tragedia, attribuisce a Euripide[3] quale colpa, nel Tentativo di autocritica aggiunto nel 1886 a quest’opera giovanile, essa verrà ripudiata come un errore dovuto alla prolissità della giovinezza appunto, all’influenza del romanticismo e del cristianesimo: “Metafisicamente consolati, insomma come finiscono i romantici, cristianamente… No! Dovreste prima imparare l’arte della consolazione dell’al di qua”[4].
La dialettica ottimistica scaccia la musica dalla tragedia con la sferza dei suoi sillogismi, cioè distrugge l'essenza della tragedia, che si può interpretare unicamente come una manifestazione e raffigurazione di stati dionisiaci, come simbolizzazione della musica, come il mondo di sogno di un'ebbrezza dionisiaca"[5].
Certo è che dal ditirambo originario, a Eschilo a Euripide, così come pure nella commedia, dal primo all’ultimo Aristofane, il coro perde progressivamente importanza, a mano a mano che ne acquista l'individuo, sganciandosi sempre più dalla città, dalla religione, dalla stirpe.
La storia del sodalizio di Euripide con Socrate e addirittura della loro complicità , che Nietzsche considera foriera di morte per la tragedia classica, parte da Aristofane il quale nelle Rane [6] fa dire al coro soddisfatto per la vittoria di Eschilo su Euripide:" bella cosa è dunque non stare seduto a chiacchierare (lalei'n) con Socrate disprezzando la musica (ajpobalovnta mousikhvn) e trascurando la grandezza dell'arte tragica" (vv. 1492-1496).
Sul significato di mousikhv vedi l’ultima parte su Platone.
Dionisiaca per eccellenza è la musica (questo Nietzsche lo aveva imparato da Schopenhauer, per il quale, come si ricorderà, la musica era oggettità objektität immediata della volontà di vivere).
Vediamo altre espressioni di questa critica demolitrice cui non mancano formule schopenhaueriane come lo stesso Nietzsche denuncerà più avanti[7]: "La musica veramente dionisiaca si presenta come un tale specchio universale della volontà del mondo…ora la musica è diventata una meschina immagine dell’apparenza, e per questo è infinitamente più povera dell’apparenza stessa…Vediamo in azione da un altro lato la forza di questo spirito antidionisiaco ostile al mito, quando volgiamo i nostri sguardi all’affermarsi nella tragedia, da Sofocle in poi, della rappresentazione di caratteri e della raffinatezza psicologica. Il carattere non deve più allargarsi come tipo eterno, ma deve al contrario, mediante tratti secondari e ombreggiature superficiali…agire in modo talmente individuale, che lo spettatore senta in genere non più il mito, bensì la potente verità naturalistica e la forza dell’imitazione dell’artista. Anche qui scorgiamo la vittoria dell’apparenza sull’universale e il piacere per così dire per il singolo preparato anatomico; respiriamo già l’aria di un mondo teorico, per il quale la conoscenza scientifica vale più del rispecchiamento artistico di una regola del mondo”[8].
“Circa la posizione della musica nel dramma antico vale pienamente ciò che Gluck nella celebre prefazione al suo Alcesti esprime in termini di esigenza. La musica dovrebbe sostenere la poesia, rafforzare l’espressione dei sentimenti e l’interesse delle situazioni, senza spezzare l’azione o disturbarla con inutili sfiorettature”[9].
La prefazione dell’Alceste (1767) prescrive l’unitarietà del dramma. La musica deve essere legata alla parola e non deve interrompere l’azione. Il coro deve assumere la funzione di personaggio. Il melodramma come la tragedia greca deve offrire allo spettatore una consolazione purificatrice.
La musica dovrebbe essere “ immagine del noumeno e non del fenomeno”[10].
Più avanti Nietzsche cambierà idea, anche in seguito alla cambiata opinione su Wagner. “E con ciò il rapporto di soggezione a Wagner completamente capovolto. Ma non basta., Nel frammento postumo 2 (29) dell’autunno 1886 Nietzsche afferma perentoriamente: “La musica non rivela l’essenza del mondo e la sua “volontà”, come ha sostenuto Schopenhauer (…); la musica rivela solo i signori musicisti! Ed essi stessi non lo sanno! E che buona cosa, forse, che non lo sappiano!”[11].
Sapere non è sapienza
Vale la pena di riferire il commento di T. Mann: "A questa tragica saggezza, che benedice la vita in tutta la sua falsità, durezza e crudeltà, Nietzsche ha dato il nome di Dioniso. Il nome del dio ebbro appare per la prima volta in quell’opera estetico-mistica della sua giovinezza che s’intitola La nascita della tragedia dallo spirito della musica in cui l’elemento dionisiaco come disposizione artistico-psichica è contrapposto al principio artistico del’apollineo distanziarsi obiettivarsi in modo molto simile a quello in cui Schiller nel famoso saggio[12] contrappone “l’ingenuo”[13] al “sentimentale”[14]. Qui ricorre per la prima volta l’espressione “uomo teorico” e viene assunta la posizione polemica contro Socrate, il prototipo di quest’uomo teorico: contro Socrate, lo spregiatore dell’istinto, l’esaltatore della coscienza, colui che insegnava essere bene soltanto ciò che è cosciente, il nemico di Dioniso e il distruttore della tragedia.Da lui deriva, secondo Nietzsche, una cultura scientifica alessandrina, pallida, dottorale, estranea al mito, estranea alla vita, una cultura in cui hanno vinto l’ottimismo e la fede nella ragione, l’utilitarismo pratico e teorico che, come la democrazia stessa, è un sintomo della stanchezza psicologica e del decadere della forza. L’uomo di questa cultura socratica, antitragica, l’uomo teorico non vuol possedere più nulla nella sua interezza, con tutta la naturale crudeltà delle cose. Il suo atteggiamento ottimistico lo ha svigorito "[15].
Musica e mito
Il mito che Ecateo aveva cominciato a razionalizzare, il mito che era già stato messo in discussione dalla “pretesa della religione alla fondatezza storica”.
Con la tragedia di Eschilo si risollevò: “Questo mito morente fu afferrato allora dal rinato genio della musica dionisiaca; e in mano sua esso fiorì ancora una volta, con colori quali non aveva mai mostrati, con un profumo che suscitava uno struggente presentimento di un mondo metafisico”[16]. Ma poi giunse il sacrilego Euripide a dargli il colpo di grazia che aprì la strada a tutti “i beffardi Luciani” dell’antichità: “Che cosa volevi, empio Euripide, quando cercasti di costringere ancora una volta questo morente a servirti? Morì tra le tue braccia violente, e allora sentisti il bisogno di un mito imitato, mascherato, che come la scimmia di Ercole sapeva oramai soltanto adornarsi con l’antica pompa. E come per te moriva il mito, moriva per te anche il genio della musica: per quanto tu saccheggiassi con avide mani tutti i giardini della musica, anche così giungesti solo a una musica imitata e mascherata. E poiché avevi abbandonato Dioniso, anche Apollo abbandonò te”[17].
“Socrate, l’eroe dialettico del dramma platonico, ci ricorda la natura affine dell’eroe euripideo, che deve difendere le sue azioni con ragioni e controragioni, e che per questo rischia tanto spesso di non suscitare più la nostra compassione tragica”[18]. Nietzsche deplora il fatto che la dialettica, a partire da Sofocle, un poco alla volta abbia annientato il coro e la musica.
La dialettica prevale sulla musica. “La coscienza socratica e la sua fede ottimistica circa il legame necessario di virtù e sapere, di felicità e di virtù, ha avuto l’effetto, su buona parte delle opere di Euripide, di aprirsi nell’epilogo a una prospettiva d’un’esistenza ulteriore del tutto confortevole, per lo più grazie a un matrimonio… Se virtù è sapere, l’eroe virtuoso dev’essere un dialettico…troppo spesso l’eroe che dialettizza eticamente appare come un araldo della realtà banale e del filisteismo…con Sofocle inizia il declino graduale, finché Euripide con la sua reazione consapevole alla tragedia eschilea chiude precipitosamente la partita…a questo proposito può essere fatta valere una testimonianza non certo di poco conto, quella di Aristofane, il quale è selettivamente affine a Euripide come nessun altro. Si sa, solo il simile riconosce il simile”[19].
Ancora sulla musica, sentiamo il giovane Nietzsche influenzato da Schopenhauer:
l’artista “per mezzo del suono esprime i più intimi pensieri
della natura: non solo il genio della specie, come nel gesto, ma il genio dell’esistenza in sé e cioè la volontà si fa qui
immediatamente comprensibile…con il
suono egli dissolve il mondo dell’apparenza nella sua originaria unità e il
mondo di Maia si annichilisce di fronte al suo incantesimo”[20]. L’epica “porta all’arte figurativa”, la lirica alla
musica; “il piacere dell’apparenza domina l’epica, la volontà si manifesta
nella lirica”[21].
T. Mann: L'intellettuale tedesco è sempre stato un frondista contro la parola e contro la ragione e ha fatto l'occhiolino alla musica"[22].
La cultura greca invece è assolutamente logocentrica.
La musica, per i Greci, amantissimi del parlare e del discutere, è il “companatico di arti sulle quali si può veramente discutere e parlare... I pitagorici, quei Greci per molti versi eccezionali, furono, come si dice, anche grandi musicisti: gli stessi che inventarono il silenzio di cinque anni, ma non la dialettica”[23].
Aristosseno di Taranto (IV sec. a. C.) fu allievo del pitagorico Senofilo.
T. Mann: L'intellettuale tedesco è sempre stato un frondista contro la parola e contro la ragione e ha fatto l'occhiolino alla musica"[22].
La cultura greca invece è assolutamente logocentrica.
La musica, per i Greci, amantissimi del parlare e del discutere, è il “companatico di arti sulle quali si può veramente discutere e parlare... I pitagorici, quei Greci per molti versi eccezionali, furono, come si dice, anche grandi musicisti: gli stessi che inventarono il silenzio di cinque anni, ma non la dialettica”[23].
Aristosseno di Taranto (IV sec. a. C.) fu allievo del pitagorico Senofilo.
Nietzsche e Wagner
Nella conferenza Il dramma musicale greco tenuta a Basilea il 18 gennaio 1870, Nietzsche definisce il dramma antico “arte totale”; quindi “la festa della rappresentazione drammatica è come la festa della riunificazione delle arti”[24]
Nella IV inattuale Richard Wagner a Bayreuth (del 1876), Nietzsche conserva l’entusiasmo per il compositore e per Schopenhauer che vengono accostati ad altri grandi personaggi della cultura europea (Kant, gli Eleati, Empedocle ed Eschilo). Wagner è “un artista globale…un semplificatore del mondo”[25]. L’arte mostra dei conflitti “che sono semplificazioni delle reali lotte della vita” (p. 268).
Nella conferenza Il dramma musicale greco tenuta a Basilea il 18 gennaio 1870, Nietzsche definisce il dramma antico “arte totale”; quindi “la festa della rappresentazione drammatica è come la festa della riunificazione delle arti”[24]
Nella IV inattuale Richard Wagner a Bayreuth (del 1876), Nietzsche conserva l’entusiasmo per il compositore e per Schopenhauer che vengono accostati ad altri grandi personaggi della cultura europea (Kant, gli Eleati, Empedocle ed Eschilo). Wagner è “un artista globale…un semplificatore del mondo”[25]. L’arte mostra dei conflitti “che sono semplificazioni delle reali lotte della vita” (p. 268).
La
voce dell’arte di Wagner “mostra soprattutto che la vera musica è un frammento di fato e di legge primordiale” (p.
279).
Sentiamo Wagner
: “L’opera d’arte, lirica e drammatica,
era un atto religioso vero e proprio;
e in quest’atto, paragonato alla semplicità delle cerimonie religiose
primitive, già s’affacciava il desiderio di rappresentare collettivamente e
deliberatamente il ricordo comune… La
tragedia fu dunque il trasformarsi di una cerimonia religiosa in opera d’arte”[26].
Nello scritto L'arte
e la rivoluzione (1849), Wagner
definisce il dramma "arte
complessiva dove l'elemento maschile e intellettuale, la parola, feconda quello
femminile, la musica che ha la risonanza dei tempi primordiali".
La tragedia greca era una forma d’arte
connessa a una “religione inviscerata nelle leggi e ne’ costumi d’un popolo”[27], quello ateniese.
Cito ancora Wagner: “L’opera d’arte è la
rappresentazione vivente della religione;
ma la religione non l’inventa l’artista: essa deve le sue origini al popolo”[28].
Nietzsche vede nell’arte di Wagner il superamento
della cultura di una casta. “Con ciò
essa si pone in contrasto con tutta la cultura del Rinascimento…Proprio perché
l’arte di Wagner ci porta per attimi fuori da essa, noi possiamo ora in genere
dominarne con lo sguardo il carattere omogeneo: allora Goethe e Leopardi ci
appaiono come gli ultimi grandi epigoni dei filologi poeti italiani”[29]. Il Faust quindi rappresenta l’enigma non
popolare dell’uomo teoretico assetato di vita.
L’arte di Wagner solarmente chiara e calda è capace di
liquefare la superbia dei sapienti (p. 313).
L’abiura di Nietzsche
In
Ecce
homo (del 1888) Nietzsche scrive che con Umano, troppo umano[30], si era liberato di
ciò che non apparteneva alla sua natura. “io avvertii allora una generale aberrazione del mio istinto,
della quale l’errore singolo, si
chiamasse Wagner o cattedra di Basilea[31], era solo un sintomo… Avevo dimenticato una quantità insensata di
cose in cambio di tutto un ciarpame di polverosa erudizone”[32]. Poco più avanti
l’arte di Wagner viene definita “arte
narcotica” cui si era avvicinato per “anestetizzare un senso di fame e di
desolazione”.
“Gli
dà dunque dell’anestetico e del narcotico”[33].
Vediamo
alcune frasi di Il caso Wagner (1888)
dove Nietzsche abiura l’entusiasmo per il musicista espresso nella IV inattuale, e definisce Wagner “un tipico
décadent” .
Nietzsche dopo essere stato
sedotto dal "vecchio mago"[34] lo rinnegò come "tipico décadant " e
nel Lohengrin,
che impone a Elsa di non chiedergli l'identità, ravvisa "una solenne messa
al bando di ogni indagine e di ogni domanda. Wagner - continua il
filosofo - rappresenta in tal modo il concetto cristiano "tu devi e non puoi
fare a meno di credere"[35].
E ancora: “Wagner è l’artista moderno par excellence,
il Cagliostro della modernità”[36]. Cagliostro visse tra il 1743 e il 1795. I
suoi trucchi si basavano su pozioni magiche e alchimia.
In una lettera del 13 luglio 1882, Nietzsche scrive a Malwida von Meysenburg: “Pensi che sono assai contento di non dover ascoltare la musica del Parsifal. A parte due brani (gli stessi che anche Lei mi segnala), io non amo questo “stile” (frammentario, faticoso e sovraccarico): questo è hegelismo in musica, e per di più è una dimostrazione tanto di pochezza inventiva quanto di presunzione smodata e di cagliostrismo dell’autore”[37].
Quindi Nietzsche si sofferma sulla questione dello stile che riferisco perché può essere utilizzata dallo studente anche per la letteratura Novecento: “Da che cosa è caratterizzata ogni décadence letteraria? Dal fatto che la vita non risiede più nel tutto. La parola diventa sovrana e spicca un salto fuori dalla frase, la frase usurpa e offusca il senso della pagina, la pagina prende vita a spese del tutto,- il tutto non è più tutto. Ma questa è l'allegoria di ogni stile della décadence: sempre anarchia atomistica, disgregazione del volere… Il tutto non vive generalmente più”[38].
Il grande stile viceversa consiste nel “dominare il caos che si è, costringere il proprio caos a diventare forma: a diventare logico, semplice, univoco, matematica, legge: è questa qui la grande ambizione”[39].
“Quando Nietzsche presenta come una caratteristica dello stile decadente (Il caso Wagner, 7) il fatto che le diverse parti si rendano indipendenti, cosa che va a svantaggio dell’insieme, egli non ci dà che una variazione del giudizio di Schlegel su Euripide, e come Schlegel egli involontariamente caratterizza se stesso. Anche il suo odio contro Euripide è odio contro una parte di sé. Il suo sguardo acuto distrugge le illusioni, i sogni, le speranze che danno sicurezza all’uomo, gli rimane però una nostalgia per ciò che è semplice, sano e forte, per l’arte vera che è per lui-come per Schlegel e già per Herder-creazione su basi mitiche”[40].
In una lettera del 13 luglio 1882, Nietzsche scrive a Malwida von Meysenburg: “Pensi che sono assai contento di non dover ascoltare la musica del Parsifal. A parte due brani (gli stessi che anche Lei mi segnala), io non amo questo “stile” (frammentario, faticoso e sovraccarico): questo è hegelismo in musica, e per di più è una dimostrazione tanto di pochezza inventiva quanto di presunzione smodata e di cagliostrismo dell’autore”[37].
Quindi Nietzsche si sofferma sulla questione dello stile che riferisco perché può essere utilizzata dallo studente anche per la letteratura Novecento: “Da che cosa è caratterizzata ogni décadence letteraria? Dal fatto che la vita non risiede più nel tutto. La parola diventa sovrana e spicca un salto fuori dalla frase, la frase usurpa e offusca il senso della pagina, la pagina prende vita a spese del tutto,- il tutto non è più tutto. Ma questa è l'allegoria di ogni stile della décadence: sempre anarchia atomistica, disgregazione del volere… Il tutto non vive generalmente più”[38].
Il grande stile viceversa consiste nel “dominare il caos che si è, costringere il proprio caos a diventare forma: a diventare logico, semplice, univoco, matematica, legge: è questa qui la grande ambizione”[39].
“Quando Nietzsche presenta come una caratteristica dello stile decadente (Il caso Wagner, 7) il fatto che le diverse parti si rendano indipendenti, cosa che va a svantaggio dell’insieme, egli non ci dà che una variazione del giudizio di Schlegel su Euripide, e come Schlegel egli involontariamente caratterizza se stesso. Anche il suo odio contro Euripide è odio contro una parte di sé. Il suo sguardo acuto distrugge le illusioni, i sogni, le speranze che danno sicurezza all’uomo, gli rimane però una nostalgia per ciò che è semplice, sano e forte, per l’arte vera che è per lui-come per Schlegel e già per Herder-creazione su basi mitiche”[40].
Apollineo e
Dionisiaco in Nietzsche, poi in Jung
Nietzsche: “Sotto l'incantesimo del Dionisiaco non solo si stringe il legame fra uomo e uomo, ma anche la natura estraniata, ostile o soggiogata, celebra di nuovo la sua festa di riconciliazione col suo figlio perduto, l'uomo. La terra offre spontaneamente i suoi doni, e gli animali feroci delle terre rocciose e desertiche si avvicinano pacificamente. Il carro di Dioniso è tutto coperto di fiori e ghirlande: sotto il suo giogo si avanzano la pantera e la tigre.
Si trasformi l'Inno alla gioia di Beethoven in un quadro e non si rimanga indietro con l'immaginazione, quando i milioni si prosternano rabbrividendo nella polvere: così ci si potrà avvicinare al dionisiaco. Ora lo schiavo è uomo libero, ora s'infrangono tutte le rigide, ostili delimitazioni che la necessità, l'arbitrio o la moda sfacciata hanno stabilite fra gli uomini. Ora, nel vangelo dell'armonia universale, ognuno di sente non solo riunito, riconciliato, fuso col suo prossimo, ma addirittura uno con esso, come se il velo di Maia fosse stato strappato e sventolasse ormai in brandelli davanti alla misteriosa unità originaria"[41].
Le parole scritte da Beethoven (e non da Schiller) come introduzione, sono mostrate in corsivo.
Nietzsche: “Sotto l'incantesimo del Dionisiaco non solo si stringe il legame fra uomo e uomo, ma anche la natura estraniata, ostile o soggiogata, celebra di nuovo la sua festa di riconciliazione col suo figlio perduto, l'uomo. La terra offre spontaneamente i suoi doni, e gli animali feroci delle terre rocciose e desertiche si avvicinano pacificamente. Il carro di Dioniso è tutto coperto di fiori e ghirlande: sotto il suo giogo si avanzano la pantera e la tigre.
Si trasformi l'Inno alla gioia di Beethoven in un quadro e non si rimanga indietro con l'immaginazione, quando i milioni si prosternano rabbrividendo nella polvere: così ci si potrà avvicinare al dionisiaco. Ora lo schiavo è uomo libero, ora s'infrangono tutte le rigide, ostili delimitazioni che la necessità, l'arbitrio o la moda sfacciata hanno stabilite fra gli uomini. Ora, nel vangelo dell'armonia universale, ognuno di sente non solo riunito, riconciliato, fuso col suo prossimo, ma addirittura uno con esso, come se il velo di Maia fosse stato strappato e sventolasse ormai in brandelli davanti alla misteriosa unità originaria"[41].
Le parole scritte da Beethoven (e non da Schiller) come introduzione, sono mostrate in corsivo.
(DE)
«O Freunde, nicht diese Töne!
Sondern laßt uns angenehmere anstimmen und freudenvollere. Freude! Freude!
Freude, schöner
Götterfunken
Tochter aus Elysium, Wir betreten feuertrunken, Himmlische, dein Heiligtum! Deine Zauber binden wieder Was die Mode streng geteilt; Alle Menschen werden Brüder,[1] Wo dein sanfter Flügel weilt.
Wem der große
Wurf gelungen,
Eines Freundes Freund zu sein; Wer ein holdes Weib errungen, Mische seinen Jubel ein! Ja, wer auch nur eine Seele Sein nennt auf dem Erdenrund! Und wer's nie gekonnt, der stehle Weinend sich aus diesem Bund!
Freude trinken alle Wesen
An den Brüsten der Natur; Alle Guten, alle Bösen Folgen ihrer Rosenspur. Küsse gab sie uns und Reben, Einen Freund, geprüft im Tod; Wollust ward dem Wurm gegeben, Und der Cherub steht vor Gott.
Froh, wie seine
Sonnen fliegen
Durch des Himmels prächt'gen Plan, Laufet, Brüder, eure Bahn, Freudig, wie ein Held zum Siegen.
Seid
umschlungen, Millionen!
Diesen Kuß der ganzen Welt! Brüder, über'm Sternenzelt Muß ein lieber Vater wohnen. Ihr stürzt nieder, Millionen? Ahnest du den Schöpfer, Welt? Such' ihn über'm Sternenzelt! Über Sternen muß er wohnen. » |
(IT)
«O amici, non questi suoni!
ma intoniamone altri più piacevoli, e più gioiosi. Gioia! Gioia! Gioia, bella scintilla divina, figlia di Elisio, noi entriamo ebbri e frementi, celeste, nel tuo tempio. Il tuo fascino riunisce ciò che la moda separò ogni uomo s'affratella dove la tua ala soave freme.
L'uomo a cui la sorte benevola,
concesse il dono di un amico, chi ha ottenuto una donna leggiadra, unisca il suo giubilo al nostro! Sì, - chi anche una sola anima possa dir sua nel mondo! Chi invece non ci è riuscito, lasci piangente e furtivo questa compagnia!
Gioia bevono tutti i
viventi
dai seni della natura; vanno i buoni e i malvagi sul sentiero suo di rose! Baci ci ha dato e uva, un amico, provato fino alla morte! La voluttà fu concessa al verme, e il cherubino sta davanti a Dio!
Lieti, come i suoi astri volano
attraverso la volta splendida del cielo, percorrete, fratelli, la vostra strada, gioiosi, come un eroe verso la vittoria.
Abbracciatevi, moltitudini!
Questo bacio vada al mondo intero! Fratelli, sopra il cielo stellato deve abitare un padre affettuoso. Vi inginocchiate, moltitudini? Intuisci il tuo creatore, mondo? Cercalo sopra il cielo stellato! Sopra le stelle deve abitare! » |
(Nona
sinfonia in Re minore,
Op. 125 di Ludwig van Beethoven - IV movimento)
Riporto alcuni versi (417-423) del I stasimo delle Baccanti di Euripide:
“Il demone figlio di Zeus
gioisce delle feste,
Riporto alcuni versi (417-423) del I stasimo delle Baccanti di Euripide:
“Il demone figlio di Zeus
gioisce delle feste,
e
ama Irene che dona benessere,
dea nutrice di figli.
Uguale (i[san) al ricco e a quello di rango inferiore
Concede (dw'k j) di avere la
gioia del vino che toglie gli affanni” (oi[nou tevryin a[lupon)
dea nutrice di figli.
Uguale (i[san) al ricco e a quello di rango inferiore
Concede (dw'k j) di avere la
gioia del vino che toglie gli affanni” (oi[nou tevryin a[lupon)
Il
vino è un elemento fondante il dionisiaco. I Romani che cercarono di opporsi ai
riti bacchici, senza successo nonostante la
repressione scatenata dal senatoconsulto del 186 a. C., avevano anche la
pretesa di proibire il vino alle donne.
Trasformando l'Inno alla gioia di Beethoven (ultimo movimento della nona sinfonia con parole di Schiller che invitano all'unità e all'amore) in un quadro, si può avere l'idea del dionisiaco che stringe il vincolo dell'uomo con l'uomo, e con la natura.
Trasformando l'Inno alla gioia di Beethoven (ultimo movimento della nona sinfonia con parole di Schiller che invitano all'unità e all'amore) in un quadro, si può avere l'idea del dionisiaco che stringe il vincolo dell'uomo con l'uomo, e con la natura.
Nella
Nascita della tragedia Nietzsche mantiene alla musica il primato
assegnatole da Schopenhauer…con la tragedia come suprema forma di
poesia…Nietzsche indica come principali arti apollinee la scultura e l’epica.
Che cos’è invece il musicista dionisiaco? “Il musicista dionisiaco è, senza
alcuna immagine, egli stesso totalmente e unicamente il dolore originario
stesso e l’eco originaria di esso”[42]… Il dionisiaco
comunque non è soltanto il dolore originario, è anche l’ebbrezza, la gioia e la
voluttà originarie”[43].
Dionisiaco
è il sì alla vita nella sua totalità: “Il sì alla vita anche nei suoi problemi
più scuri e avversi, la volontà di vita, che nell’immolare i suoi esempi più
alti sente la gioia della propria inesauribilità-questo io chiamo dionisiaco…L’affermazone del flusso e dell’annientare ,
che è il carattere decisivo in una filosofia dionisiaca, il sì al contrasto e alla guerra, il divenire, con rifiuto radicale perfino del concetto di “essere”-in
questo io debbo riconoscere quanto di più affine a me sotto ogni aspetto sia
mai stato pensato finora”[44].
Il sì alla guerra viene duramente, e giustamente confutato da T. Mann: quando si vedono le conseguenze di una guerra mondiale “quale rovina, in ogni senso, produce una guerra, sia pur condotta per l’umanità, quale decadenza dei costumi, quale avido prorompere di istinti egoistici e antisociali…allora le rodomontate di un Nietzsche sulla funzione culturale e selettiva della guerra ci appaiono come le fantasie di un ragazzo inesperto”[45].
"Con il termine "dionisiaco" si esprime: un impulso verso l'unità, un dilagare al di fuori della persona, della vita quotidiana, della società, della realtà, come abisso dell'oblio…un'estatica accettazione del carattere totale della vita…la grande e panteistica partecipazione alla gioia e al dolore, che approva e santifica anche le qualità più terribili e problematiche della vita…
L’Apollineo
Il sì alla guerra viene duramente, e giustamente confutato da T. Mann: quando si vedono le conseguenze di una guerra mondiale “quale rovina, in ogni senso, produce una guerra, sia pur condotta per l’umanità, quale decadenza dei costumi, quale avido prorompere di istinti egoistici e antisociali…allora le rodomontate di un Nietzsche sulla funzione culturale e selettiva della guerra ci appaiono come le fantasie di un ragazzo inesperto”[45].
"Con il termine "dionisiaco" si esprime: un impulso verso l'unità, un dilagare al di fuori della persona, della vita quotidiana, della società, della realtà, come abisso dell'oblio…un'estatica accettazione del carattere totale della vita…la grande e panteistica partecipazione alla gioia e al dolore, che approva e santifica anche le qualità più terribili e problematiche della vita…
L’Apollineo
Con il
termine apollineo si esprime: l'impulso verso il perfetto essere per sé, verso
l'"individuo" tipico, verso
tutto ciò che semplifica, pone in rilievo, rende forte… Lo sviluppo ulteriore
dell'arte è legato all'antagonismo di queste due forze artistiche della natura
così necessariamente come lo sviluppo ulteriore dell'umanità è legato
all'antagonismo dei sessi. La pienezza
della potenza e la moderazione, la più alta affermazione di sé in una bellezza
fredda, aristocratica, ritrosa: l'apollinismo della volontà ellenica"[46].
Apollineo
è dunque anche principium individuationis
e volontà di potenza. La volontà propria dell’über mensch è la
libertà creatrice che si erge al di sopra del caos e impone i propri valori
alle cose.
Poco più avanti Nietzsche aggiunge che il greco dionisiaco ha bisogno di divenire apollineo, ossia di
spezzare la sua inclinazione verso l'immane e l'incerto mediante una volontà di
misura e ordine: “ Nel fondo del Greco c'è la mancanza di misura, la
caoticità, l'elemento asiatico: la prodezza del Greco consiste nella lotta con
il suo asiatismo: la bellezza non gli è donata, non più della logica, della
naturalezza dei costumi-esse sono conquistate, volute, strappate- sono la sua
vittoria"[47]..
L’apollineo
è la giustificazione estetica della vita umana terrorizzata dai
mostri del Caos primordiale e negata dalla cupa tristezza silenica che giudica
non essere nati, non essere, la cosa più bella.
Del
resto l’apollineo è una illusione poiché “Il carattere complessivo del mondo è
invece caos per tutta l’eternità, non nel senso di un difetto di necessità,
ma di un difetto di ordine, articolazione, forma, bellezza, sapienza e di tutto
quanto sia espressione delle nostre estetiche nature umane”[48].
Nietzsche
mette in rilievo, oltre al valore della bellezza, quello della misura nella
sfera dell'apollineo:"Apollo, come
divinità etica, esige dai suoni la misura e, per poterla osservare, la
conoscenza di sé. E così, accanto alla necessità estetica della bellezza,
si fa valere l'esigenza del
"conosci te stesso" e del "non troppo", mentre
l'esaltazione di sé e l'eccesso furono considerati i veri demoni ostili della
sfera non apollinea, dell'età titanica, e del mondo extraapollineo, cioè del mondo
barbarico"[49].
Omero liberò i Greci dalla
pompa asiatica; ma nei Greci incombe sempre il pericolo di una ricaduta nell'asianismo che ogni tanto si
abbatte su di loro con un fiume di
emozioni mistiche. Noi li vediamo sommergersi, vediamo l'Europa come spazzata
via, inondata, ma essi tornano sempre
alla luce, da buoni nuotatori e tuffatori quali sono, essi, il popolo di
Odisseo.[50]
“Il culto dell’immagine che è proprio della cultura apollinea, quale si manifesta nel tempio, nella statua o
nell’epos omerico, aveva il suo scopo più alto nell’esigenza etica della misura, che corre parallela all’esigenza estetica della bellezza…La
misura, sotto il cui giogo si muoveva il nuovo mondo di dèi (a fronte di un
distrutto mondo di Titani), era quella della bellezza: il limite, cui il greco
doveva attenersi, quello della bella apparenza”[51].
La bella apparenza spesso può nascondere il
profondo ma può anche prefigurarlo: “Oh questi Greci! Loro sì sapevano vivere; per vivere occorreva arrestarsi
animosamente alla superficie, all’increspatura, alla scorza, adorare
l’apparenza, credere a forme, suoni, parole, all’intero olimpo dell’apparenza! Questi Greci erano superficiali –per profondità! E non facciamo
appunto ritorno a essi, noi temerari dello spirito…Non siamo esattamente in questo –dei Greci? Adoratori delle forme, dei
suoi, delle parole? Appunto perciò…artisti”[52].
L’apparenza
può, talora deve occultare la verità: “al ricercatore instancabile nel
perseguirla così come al tracotante
Titano viene rivolto l’ammonimento del medèn
ágan. Nel Prometeo si mostra alla grecità un esempio di come
un ampliamento eccessivo della conoscenza umana abbia effetti nefasti sia per
chi lo promuove sia per chi ne risulti favorito…In un mondo così strutturato e
protetto ad arte fece allora irruzione il suono estatico della festa di Dioniso, dove tutto l’eccesso della natura,
in gioia e dolore e conoscenza si rivelò in un colpo solo” [53].
Lukács vede in Dioniso, nel Dioniso interpretato da Nietzsche il paradigma
mitico della classe dominante che si è trasformata da decadente in attivista.
“Dioniso è il simbolo mitico di questa conversione della classe dominante…il predominio dell’istinto sull’intelletto
e sulla ragione (perciò nell’opera giovanile la figura di Socrate è
contrapposta a Dioniso)…Dioniso appare
come il simbolo della decadenza gravida dell’avvenire e degna di
approvazione, della decadenza dei forti,
in opposizione al fiacco e deprimente pessimismo (Schopenhauer) e alla
liberazione degli istinti con accenti plebei (Wagner)…Il dio di questa
decadenza “riscattata” e convertita in attività è Dioniso; sue caratteristiche
sono crudeltà e sensualità”[54].
Jung, Hillman e Ortega y Gasset
Su Apollineo e
Dionisiaco torna C. G. Jung:"Esaminiamo i
concetti di apollineo e dionisiaco nelle loro caratteristiche psicologiche…
Prendiamo in considerazione anzitutto il dionisiaco. Secondo la
descrizione di Nietzsche è chiaro che esso
indica un espandersi, uno zampillare e uno scaturire…E' una fiumana
di sensazioni paniche di grande potenza che erompe irresistibile e inebria i
sensi come un vino gagliardo. E' ebbrezza nel significato più elevato del
termine…Si tratta quindi di una estroversione di sentimenti indissolubilmente legata all'elemento
sensoriale…
Per contro, l'apollineo è la percezione
delle immagini interiori della bellezza, della
misura e di sentimenti armonicamente disciplinati. Il paragone con il sogno
chiarisce il carattere dello stato apollineo: è uno stato d'introspezione, di contemplazione rivolta verso l'interno,
verso il mondo di sogno delle idee eterne, quindi uno stato d'introversione"[55].
L’Apollineo è l’affermazione della propria individualità che si manifesta somaticamente prima di tutto nella faccia: “ Pare che una volta Anna Magnani, la grande interprete del cinema neorealista italiano, avesse detto al truccatore che la stava preparando per una scena: “Non mi togliere nemmeno una ruga. Le ho pagate tutte care…Gli adolescenti ricorrono a frotte al chirurgo plastico per farsi cambiare la faccia…vogliono cambiare la faccia che ha incominciato a esteriorizzare la loro solitaria individualità”[56].
Infine Ortega y Gasset: “Apollo è la misura, la norma rigorosa della vita, il “restare in sé”, la severa condotta- la condotta conforme, “l’essere in forma”. Ma è anche, beninteso, la danza…Apollo è il dio danzatore per eccellenza, solo che la sua danza è un ritmo rigido e severo, e per questo il culto che gli si dedica consiste in danze moderate. Est modus in rebus, e Apollo è il modus, il logos della vita e delle cose”[57].
L’Apollineo è l’affermazione della propria individualità che si manifesta somaticamente prima di tutto nella faccia: “ Pare che una volta Anna Magnani, la grande interprete del cinema neorealista italiano, avesse detto al truccatore che la stava preparando per una scena: “Non mi togliere nemmeno una ruga. Le ho pagate tutte care…Gli adolescenti ricorrono a frotte al chirurgo plastico per farsi cambiare la faccia…vogliono cambiare la faccia che ha incominciato a esteriorizzare la loro solitaria individualità”[56].
Infine Ortega y Gasset: “Apollo è la misura, la norma rigorosa della vita, il “restare in sé”, la severa condotta- la condotta conforme, “l’essere in forma”. Ma è anche, beninteso, la danza…Apollo è il dio danzatore per eccellenza, solo che la sua danza è un ritmo rigido e severo, e per questo il culto che gli si dedica consiste in danze moderate. Est modus in rebus, e Apollo è il modus, il logos della vita e delle cose”[57].
Il canto in 1984 di Orwell
Una
donna canta sotto la finestra di Winston. Era un orribile donnone e cantava una
canzonetta insignificante
“Ma
la donna cantava così intonata e con un timbro così pieno e vivo da trasformare
quella robaccia in qualcosa di gradevole” (p. 147)
La follia. Platone Fedro, Repubblica
La follia. Platone Fedro, Repubblica
Gli
antichi-scrive Platone nel Fedro[58]-
ritenevano la follia tanto superiore alla sapienza in quanto l’una proviene
dagli dèi, l’altra dagli uomini. Poco oltre egli distingue quattro forme di
follia prodotta da “un divino straniarsi” ( uJpo; qeiva~ ejxallagh`~[59]): quella profetica, regolata da Apollo, che penetra
nella mente della Pizia e la rende capace di divinare gli eventi futuri; quella poetica, grazie alla quale gli
uomini ottengono dalle Muse il dono dell’ispirazione; quella erotica generata
da Afrodite; quella iniziatica (telestikhv) che
appartiene al dominio di Dioniso… E’ appunto una follia di questo genere, la
“follia iniziatica”, che costituisce la trama delle Baccanti di Euripide: essa si può definire come una forma di
esaltazione collettiva,ottenuta attraverso un rituale estatico e posta sotto il
patrocinio di una divinità.”[60].
La follia iniziatica e quella
poetica possono essere collegate alla musica.
Il mito della caverna. Chi ha visto la luce del sole verrebbe deriso come pazzo e ucciso da quelli immersi nel buio dell’errore (Repubblica VII, 517).
Ancora Platone, Repubblica, “musica” e ginnastica
Una forma di incultura deriva dal praticare la ginnastica senza la musica, ossia la sola educazione fisica, per cui si diviene:" ajgriwvteroi tou' devonto"", più rozzi del necessario (Platone, Repubblica , 410d
Il mito della caverna. Chi ha visto la luce del sole verrebbe deriso come pazzo e ucciso da quelli immersi nel buio dell’errore (Repubblica VII, 517).
Ancora Platone, Repubblica, “musica” e ginnastica
Una forma di incultura deriva dal praticare la ginnastica senza la musica, ossia la sola educazione fisica, per cui si diviene:" ajgriwvteroi tou' devonto"", più rozzi del necessario (Platone, Repubblica , 410d
Del resto l’assenza della ginnastica rende malavkwteroi, più molli del necessario.
Fedone “
musica” e filosofia
Socrate nel Fedone
ricorda che in sogno gli appariva in passato una visione che gli diceva di
comporre ed eseguire musica ( w\ Swvkrae~ mousikh;n poivei kai; ejrgavzou, 60e). Ma lui era convinto
che la filosofia fosse la musica suprema wJ~ filosofiva~ me;n ou[sh~
megivsth~ mousikh`~ (61a).
Ma vicino alla morte Socrate ha pensato di dovere
comporre miti e non ragionamenti (poie`in muvqou~ ajll j ouj
lovgou~, 61b),
ma io confessa Socrate non ero muqologikov~, perciò ho messo in versi quei miti che conoscevo,
ossia le favole di Esopo.
Le Leggi
Le necessarie leggi della musica
Nelle Leggi di Platone ( III libro, 700), l’Ateniese fa una storia della musica. Dice che l’antico popolo non compiva trasgressioni e obbediva alle leggi. C’erano leggi che regolavano la musica. C’erano vari generi: inni agli dèi, treni (canti funebri), peani e ditirambi che riguardano la nascita di Dioniso. Poi i canti citarodici accompagnati dalla cetra. Ogni genere aveva la sua melodia e queste non erano interscambiabili. E non era la folla a giudicare con i suoi fischi e a[mousoi boavi (700c) strepiti incompetenti né con gli applausi (krovtoi) a distribuire elogi o biasimi, ma i competenti dovevano ascoltare in silenzio fino al termine. La folla era tenuta a bada da verghe. La massa non osava krivnein dia; qoruvbou, giudicare con strepiti. Ma con il passare del tempo gli stessi poeti divennero promotori di trasgressioni contro la musica a[rconte~ me;n th`~ ajmouvsou paranomiva~, ed erano pronti a baccheggiare, a mescolare inni e peani con ditirambi a imitare le aulodie con le citarodie panta eij~ pavnta sunavgonte~, confondendo tutto con tutto.
Così promossero la paranomìa, l’arbitrio nel campo musicale e l’audacia di emettere giudizi. Sicché le cavee dei teatri da silenziose divennero vocianti e al posto dell’aristocrazia del gusto subentrò una sfacciata teatrocrazia per quanto riguarda quest’arte (701). Partendo dalla musica poi dilagò la dovxa, la presunzione di sapere tutto, come se fossero stati tutti sapienti, diventarono impavidi e l'audacia generò l'impudenza prodotta da una troppo sfrenata libertà. (701b).
Nel II libro l’Ateniese dice che la musica comprende la danza e il canto. Il canto ha le melodie, la danza le movenze. Sono belle se stanno dalla parte della virtù, brutte se stanno dalla parte del vizio.
Non è compito della musica quello di suscitare piacere in tutti. Deve dilettare coloro che sono moralmente migliori, chi si distingue per virtù e cultura. Il canto sarà un incantamento dell’anima per i giovani. Deve riprodurre nei ritmi le movenze degli uomini saggi e nelle armonie le loro melodie.
In Egitto i giovani vengono abituati a coltivare belle movenze e belle melodie. Dicono che le melodie siano creazioni di Iside.
La musica come rumore e strepito
Livio e Lucrezio
Livio racconta che nel 186 a. C. una prostituta buona, Fecenia, informa il giovane Ebuzio sulla turpitudine dei baccanali, un rito immondo durante il quale un ragazzo viene sacrificato dai sacerdoti.
Questi lo conducono in un luogo “qui circumsonet ululatibus cantuque symphoniae et cymbalorum et tympanorum pulsu, ne vox quiritantis, cum per vim stuprum inferatur, exaudiri possit” (39, 10) che rimbomba di grida, di canti e della percussione di strumenti di cimbali, di timpani, perché non si potesse udire distintamente la voce di chi implorava aiuto, quando gli veniva inflitta violenza carnale.
E’ un’interpretazione malevola dei riti bacchici, non meno di quella lucreziana.
Il poeta del De rerum natura descrive una processione dei sacerdoti fanatici i quali vogliono sottomettere la gente con la paura: “I tamburelli tesi tuonano sotto i palmi e i cembali concavi / intorno (tympana tenta tonant palmis et cymbala circum-concava), con il rauco suono minacciano i corni, /e il cavo flauto con frigia cadenza (Phrygio numero) esalta le menti, / e davanti a sé brandiscono armi, segni di furia violenta,/che possano atterrire, con lo spavento della potenza della dea/gli animi ingrati e i petti ribaldi del volgo” (II 618-623)
Le Leggi
Le necessarie leggi della musica
Nelle Leggi di Platone ( III libro, 700), l’Ateniese fa una storia della musica. Dice che l’antico popolo non compiva trasgressioni e obbediva alle leggi. C’erano leggi che regolavano la musica. C’erano vari generi: inni agli dèi, treni (canti funebri), peani e ditirambi che riguardano la nascita di Dioniso. Poi i canti citarodici accompagnati dalla cetra. Ogni genere aveva la sua melodia e queste non erano interscambiabili. E non era la folla a giudicare con i suoi fischi e a[mousoi boavi (700c) strepiti incompetenti né con gli applausi (krovtoi) a distribuire elogi o biasimi, ma i competenti dovevano ascoltare in silenzio fino al termine. La folla era tenuta a bada da verghe. La massa non osava krivnein dia; qoruvbou, giudicare con strepiti. Ma con il passare del tempo gli stessi poeti divennero promotori di trasgressioni contro la musica a[rconte~ me;n th`~ ajmouvsou paranomiva~, ed erano pronti a baccheggiare, a mescolare inni e peani con ditirambi a imitare le aulodie con le citarodie panta eij~ pavnta sunavgonte~, confondendo tutto con tutto.
Così promossero la paranomìa, l’arbitrio nel campo musicale e l’audacia di emettere giudizi. Sicché le cavee dei teatri da silenziose divennero vocianti e al posto dell’aristocrazia del gusto subentrò una sfacciata teatrocrazia per quanto riguarda quest’arte (701). Partendo dalla musica poi dilagò la dovxa, la presunzione di sapere tutto, come se fossero stati tutti sapienti, diventarono impavidi e l'audacia generò l'impudenza prodotta da una troppo sfrenata libertà. (701b).
Nel II libro l’Ateniese dice che la musica comprende la danza e il canto. Il canto ha le melodie, la danza le movenze. Sono belle se stanno dalla parte della virtù, brutte se stanno dalla parte del vizio.
Non è compito della musica quello di suscitare piacere in tutti. Deve dilettare coloro che sono moralmente migliori, chi si distingue per virtù e cultura. Il canto sarà un incantamento dell’anima per i giovani. Deve riprodurre nei ritmi le movenze degli uomini saggi e nelle armonie le loro melodie.
In Egitto i giovani vengono abituati a coltivare belle movenze e belle melodie. Dicono che le melodie siano creazioni di Iside.
La musica come rumore e strepito
Livio e Lucrezio
Livio racconta che nel 186 a. C. una prostituta buona, Fecenia, informa il giovane Ebuzio sulla turpitudine dei baccanali, un rito immondo durante il quale un ragazzo viene sacrificato dai sacerdoti.
Questi lo conducono in un luogo “qui circumsonet ululatibus cantuque symphoniae et cymbalorum et tympanorum pulsu, ne vox quiritantis, cum per vim stuprum inferatur, exaudiri possit” (39, 10) che rimbomba di grida, di canti e della percussione di strumenti di cimbali, di timpani, perché non si potesse udire distintamente la voce di chi implorava aiuto, quando gli veniva inflitta violenza carnale.
E’ un’interpretazione malevola dei riti bacchici, non meno di quella lucreziana.
Il poeta del De rerum natura descrive una processione dei sacerdoti fanatici i quali vogliono sottomettere la gente con la paura: “I tamburelli tesi tuonano sotto i palmi e i cembali concavi / intorno (tympana tenta tonant palmis et cymbala circum-concava), con il rauco suono minacciano i corni, /e il cavo flauto con frigia cadenza (Phrygio numero) esalta le menti, / e davanti a sé brandiscono armi, segni di furia violenta,/che possano atterrire, con lo spavento della potenza della dea/gli animi ingrati e i petti ribaldi del volgo” (II 618-623)
I
tamburelli erano maneggiati dai Galli, sacerdoti frigi della Magna Mater Cibele
(Idaea mater, dal monte Ida nella
Frigia). Nel "prendere i voti" i Galli
si autoeviravano ad imitazione di Attis, il ragazzo divino associato al culto
della dea.
Giovanni Ghiselli
Giovanni Ghiselli
[1]
Nolte, op. cit., p. 39.
[2]La nascita della tragedia , pp. 52 sgg.
[3] Con Euripide "Al posto della consolazione metafisica è subentrato il deus ex machina ...ossia il dio delle
macchine e dei crogiuoli" (La nascita della tragedia , p. 117 e p.
118.)
[4]
Tentativo di un’autocritica, p. 14.
[5]La nascita della tragedia , pp. 96-97.
[6] Del 405 a. C.
[7]
E’ Umano,
troppo umano pubblicato nel 1878 che segna il distacco da Wagner e da
Schopenhauer.
[8]
La nascita della tragedia, pp.
115-116.
[9]
Nietzsche, Il dramma musicale greco, p. 47.
[10]
S. Giametta, Introduzione a Nietzsche,
p. 111.
[11]
S. Giametta, Op. cit., p. 112
[12]
Della poesia ingenua e sentimentale,
1808. Ndr.
[13]
Il poeta ingenuo è natura, la poesia
ingenua è natura (ndr.)
[14]
Il poeta sentimentale cerca la natura (ndr).
[15] T. Mann, La
filosofia di Nietzsche (del 1948), in Nobiltà
dello Spirito, pp. 814-815.
[16]
La nascita della tragedia , p. 74.
[17]La nascita della tragedia , pp. 74-75.
[18]
F. Nietzsche, La nascita della tragedia,
pp. 95-96.
[19]
Nietzsche, Socrate e la tragedia, p62 ss.
[20]
La visione dionisiaca del mondo, p. 85.
[21]
Op. cit. p. 86.
[22]
H. Hesse, Il lupo della steppa, p. 181.
[23]
Umano, troppo umano II, p. 185.
[24]
In Verità e menzogna, p. 13.
[25]
In Considerazioni inattuali, p. 264.
[26]
R. Wagner, L’opera d’arte dell’avvenire (del 1849), p. 252.
[27]
Cfr. U. Foscolo, Ultime lettere di Iacopo
Ortis, 17 marzo 1798.
[28]
R. Wagner, L’opera d’arte dell’avvenire,
p. 133.
[29] R. Wagner a Bayreuth, cap. 10.
[30]
Del 1878 ndr
[31]
Dalla quale si mise in congedo assai per tempo. In una lettera del luglio 1879
si firma Friedrich Nietzsche ex professore ora fugitivus errans.
[32]
Ecce homo, p. 60.
[33]
S. Giametta, Introduzione a Nietzsche, p. 288.
[34]
Wagner, ovviamente-
[35]
Il caso Wagner , Lettera da Torino del maggio 1888.
[36]
Il caso Wagner, cap. 5.
[37]
Triangolo di lettere, p. 136.
[38]
F. Nietzsche, Il caso Wagner, p. 180.
[39]
Frammenti postumi Primavera 1888 14 (61).
[40]
B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, p. 188.
[41]
F. Nietzsche, La nascita della tragedia, pp. 25-26.
[43]
S. Giametta, Introduzione a Nietzsche,
p. 113.
[44]
Ecce homo, La nascita della tragedia.
[45]
Nobiltà dello spirito, p. 829.
[46]
F. Nietzsche, Frammenti postumi, Primavera 1888-14.
[47]
F. Nietzsche, Frammenti postumi, Primavera 1888-14, p. 217.
[48]
La gaia scienza, p. 114.
[49]
La nascita della tragedia, p. 37.
[50]
Cfr. Umano troppo umano II, p. 78.
[51]
La visione dionisiaca del mondo, p. 76.
[52]
Nietzsche, Prefazione alla seconda edizioni di La gaia scienza (1886)
[53]
La visione dionisiaca del mondo, p. 76.
[54]
La distruzione della ragione, pp.
399-400.
[55]
C. G. Jung, Tipi psicologici,
(1921), p. 156.
[56]
J. Hillman, La forza del carattere,
p. 198 e p. 203.
[57]
J. Ortega y Gasset, Idea del teatro
(del 1946) p. 93.
[58]
244d
[59]
Fedro 265. Socrate invero distingue
due tipi di mania: una che deriva da malattie umane (th;n me;n uJpo; noshmavtwn
ajnqrwpivnwn) e un’altra appunto da una divina alterazione delle
consuetudini comuni (uJpo; qeiva~
ejxallagh`~ tw`n eijwqovtwn nomivmwn ). Ndr
[60]
Guidorizzi, Euripide, Baccanti, p. 9.
come il vino anche la musica propizia alle belle cose della vita come l'amore...-Gio
RispondiElimina