Piero della Francesca - Madonna del parto |
Medea afferma di preferire la
guerra al parto inaugurando un tovpo"
che potrebbe
essere condiviso dalle soldatesse di oggi.
Ennio (239-169 a. C.) fa dire alla sua Medea exul: "Nam ter sub
armis malim vitam cernere / quam semel parere", infatti preferirei decidere la vita sotto le armi tre volte,
che partorire una volta sola. Medea dunque avverte gli
uomini che il parto può essere più tremendo della guerra.
Del resto il letto è il
mobile più importante della casa e talora è il campo di battaglia della donna.
Le
sofferenze del parto sono ricordate nell' Elettra di Sofocle da
Clitennestra, quando l’adultera assassina di Agamennone tenta di giustificarsi
per il trattamento riservato al marito il quale non era incolpevole: egli
sacrificò Ifigenia dopo averla seminata, senza avere passato il travaglio della
madre quando la partorì: "oujk i[son kamw;n ejmoi;-luvph", o{t'
e[speir' ,
w{sper hJ tivktous' ejgwv"
(vv. 531-532). Qui,
all’opposto di quanto sostiene Apollo nelle Eumenidi, il seminare conta meno del partorire.
Nelle
Fenicie di Euripide, la Corifea commenta la pena di Giocasta per
Polinice dicendo: "deino;n gunaixi;n aiJ di'
wjdivnwn gonaiv, / kai; filovteknovn pw" pa'n gunaikei'on gevno"" (vv. 355-356), sono
terribili per le donne i parti attraverso le doglie, e tutta la razza femminile
è in qualche modo amante dei figli.
Giocasta
lo è stata anche troppo con Edipo; Medea evidentemente fa eccezione.
Nell'Ifigenia in Aulide la Corifea comprende la pena di Clitennestra per la
figliola, ricordando quale prova
terribile sia il parto: "deino;n to; tivktein kai; fevrei fivltron
mevga / pa'sivn te koino;n w{sq' uJperkavmnein tevknwn" (vv. 917-918), tremendo è partorire e comporta una grande magia
d’amore comune a tutte, tanto da soffrire per i figli.
Partorire
dunque è una delle cose tremende (ta; deinav).
Nei
Memorabili di Senofonte, Socrate, ricordando al figlio Lamprocle i
benefici dei genitori alle proprie creature e il dovere della gratitudine, fa
presente che “il nascimento” mette a repentaglio la vita della madre: "hJ de;
gunh; uJpodexamevnh te fevrei to; fortivon tou'to, barunomevnh te kai;
kinduneuvousa peri; tou' bivou" (II, 2, 5), la donna, dopo avere concepito, porta questo peso,
aggravata e con rischio della vita.
In Anna Karenina
c'è il parto doloroso della giovane
moglie di Levin il quale partecipa, mentalmente, alla sua sofferenza, forse ingrandendola: "La faccia di Kitty non c'era più. Al posto dov'era prima, c'era
qualcosa di terribile e per l'aspetto di tensione e per il suono che di là
usciva. Egli lasciò cadere la testa sul legno del letto, sentendo che il cuore
gli si spezzava. L'orribile urlo non taceva, si era fatto ancora più orribile,
e, come se fosse arrivato all'ultimo limite dell'orrore, a un tratto si
spense"[1].
Eppure
molti uomini provano invidia per questa facoltà esclusivamente femminile:
Nerone recitava anche in ruoli femminili, e
una volta, mentre stava interpretando Canace partoriente la quale ebbe un figlio dal fratello Macareo, chiesero dell’imperatore, e un soldato
rispose: “Partorisce”[2].
Altri
maschi hanno del risentimento nei
confronti di questa creatività femminile.
Sentiamo Giasone nella Medea di Euripide: "Crh'n ga;r a[lloqevn poqen
brotou;" / pai'da" teknou'sqai, qh'lu d j oujk ei\nai gevno": / cou{tw" a]n oujk h\n
oujde;n ajnqrwvpoi" kakovn"
(vv. 573-575), bisognerebbe in effetti che gli uomini da qualche altro
luogo / generassero i figli e che la razza delle femmine non esistesse: / e così
non esisterebbe nessun male per gli uomini.
Insomma il male è la
femmina.
Nell'Ippolito di Euripide, il protagonista, sdegnato con la matrigna, è
talmente disgustato e terrorizzato dalle donne, ingannevole male per gli uomini ("kivbdhlon ajnqrwvpoi" kakovn", v. 616), male grande ("kako;n mevga",
v. 627), creatura perniciosa, o, più letteralmente, frutto dell'ate[3]
("ajthrovn[4]... futovn", v. 630), che auspica la loro collocazione
presso muti morsi di fiere (vv. 646-647) e la propagazione della razza umana
senza la partecipazione delle femmine umane.
Traduco alcune parole del
"puro" folle che dà in escandescenze: "O Zeus perché ponesti nella luce del
sole le donne, ingannevole male per gli uomini (kivbhdlon ajnqrwvpoi~ kakovn)? Se infatti volevi
seminare la stirpe umana, non era necessario ottenere questo dalle donne, ma
bastava che i mortali mettendo in cambio nei tuoi templi oro e ferro o un peso
di bronzo, comprassero discendenza di figli, ciascuno del valore del dono
offerto, e vivessero in case libere, senza le femmine. Ora invece quando
dapprima stiamo per portare in casa quel malanno, sperperiamo la prosperità
della casa" (vv. 616-626).
Giovanni Ghiselli
[1] L. Tolstoj, Anna Karenina (del 1877), p. 720.
[2] Il soldato rispose - tivktei -, a uno
che gli aveva domandato: "tiv
poiei' oJ aujtokravtwr;" (Cassio Dione, 63, 10)
[3] L'accecamento mentale, una smisurata forza
irrazionale.
[4] La protagonista dell'Andromaca fa l'ipotesi: "eij gunaikev~ ejsmen ajthro;n kakovn" (Andromaca, v.
353), se noi donne siamo un male pernicioso.
Detto di non so quale origine recita che se partorissero i maschi si estinguerebbe la razza umana...sarà vero? un bacio Giovanna con stima e affetto
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