NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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venerdì 26 luglio 2013

I dolori del parto. L’invidia e il risentimento dell’uomo.



Piero della Francesca - Madonna del parto
Famosissimi sono questi versi della Medea di Euripide pronunciati dalla stessa protagonista eponima della tragedia:Dicono di noi che viviamo una vita senza pericoli in casa, mentre loro combattono con la lancia, pensando male: poiché io preferirei stare tre volte accanto a uno scudo piuttosto che partorire una volta sola”. (248-251).
Medea afferma di preferire la guerra al parto inaugurando un tovpo" che potrebbe essere condiviso dalle soldatesse di oggi.

Ennio (239-169 a. C.) fa dire alla sua Medea exul: "Nam ter sub armis malim vitam cernere / quam semel parere", infatti preferirei decidere la vita sotto le armi tre volte, che partorire una volta sola. Medea dunque avverte gli uomini che il parto può essere più tremendo della guerra.
Del resto il letto è il mobile più importante della casa e talora è il campo di battaglia della donna.

Le sofferenze del parto sono ricordate nell' Elettra di Sofocle da Clitennestra, quando l’adultera assassina di Agamennone tenta di giustificarsi per il trattamento riservato al marito il quale non era incolpevole: egli sacrificò Ifigenia dopo averla seminata, senza avere passato il travaglio della madre quando la partorì: "oujk i[son kamw;n ejmoi;-luvph", o{t' e[speir' , w{sper hJ tivktous' ejgwv" (vv. 531-532). Qui, all’opposto di quanto sostiene Apollo nelle Eumenidi, il seminare conta meno del partorire.

Nelle Fenicie di Euripide, la Corifea commenta la pena di Giocasta per Polinice dicendo: "deino;n gunaixi;n aiJ di' wjdivnwn gonaiv, / kai; filovteknovn pw" pa'n gunaikei'on gevno"" (vv. 355-356), sono terribili per le donne i parti attraverso le doglie, e tutta la razza femminile è in qualche modo amante dei figli.
Giocasta lo è stata anche troppo con Edipo; Medea evidentemente fa eccezione.
Nell'Ifigenia in Aulide la Corifea comprende la pena di Clitennestra per la figliola,  ricordando quale prova terribile sia il parto: "deino;n to; tivktein kai; fevrei fivltron mevga / pa'sivn te koino;n w{sq' uJperkavmnein tevknwn" (vv. 917-918), tremendo è partorire e comporta una grande magia d’amore comune a tutte, tanto da soffrire per i figli.
Partorire dunque è una delle cose tremende (ta; deinav).
Nei Memorabili di Senofonte, Socrate, ricordando al figlio Lamprocle i benefici dei genitori alle proprie creature e il dovere della gratitudine, fa presente che “il nascimento” mette a repentaglio la vita della madre: "hJ de; gunh; uJpodexamevnh te fevrei to; fortivon tou'to, barunomevnh te kai; kinduneuvousa peri; tou' bivou" (II, 2, 5), la donna, dopo avere concepito, porta questo peso, aggravata e con rischio della vita.
In Anna Karenina c'è il parto doloroso della giovane moglie di Levin il quale partecipa, mentalmente, alla sua sofferenza, forse ingrandendola: "La faccia di Kitty non c'era più. Al posto dov'era prima, c'era qualcosa di terribile e per l'aspetto di tensione e per il suono che di là usciva. Egli lasciò cadere la testa sul legno del letto, sentendo che il cuore gli si spezzava. L'orribile urlo non taceva, si era fatto ancora più orribile, e, come se fosse arrivato all'ultimo limite dell'orrore, a un tratto si spense"[1].

Eppure molti uomini provano invidia per questa facoltà esclusivamente femminile: Nerone recitava anche in ruoli femminili, e una volta, mentre stava interpretando Canace partoriente la quale ebbe un figlio dal fratello Macareo,  chiesero dell’imperatore, e un soldato rispose: “Partorisce”[2].
Altri maschi hanno del risentimento nei confronti di questa creatività femminile.
Sentiamo Giasone nella Medea di Euripide: "Crh'n ga;r a[lloqevn poqen brotou;" / pai'da" teknou'sqai, qh'lu d j oujk ei\nai  gevno": / cou{tw" a]n oujk h\n oujde;n ajnqrwvpoi" kakovn" (vv. 573-575), bisognerebbe in effetti che gli uomini da qualche altro luogo / generassero i figli e che la razza delle femmine non esistesse: / e così non esisterebbe nessun male per gli uomini.
Insomma il male è la femmina.

Nell'Ippolito di Euripide, il protagonista, sdegnato con la matrigna, è talmente disgustato e terrorizzato dalle donne, ingannevole male per gli uomini ("kivbdhlon ajnqrwvpoi"  kakovn", v. 616), male grande ("kako;n mevga", v. 627), creatura perniciosa, o, più letteralmente, frutto dell'ate[3] ("ajthrovn[4]... futovn", v. 630), che auspica la loro collocazione presso muti morsi di fiere (vv. 646-647) e la propagazione della razza umana senza la partecipazione delle femmine umane.
Traduco alcune parole del "puro" folle che dà in escandescenze: "O Zeus perché ponesti nella luce del sole le donne, ingannevole male per gli uomini (kivbhdlon ajnqrwvpoi~ kakovn)? Se infatti volevi seminare la stirpe umana, non era necessario ottenere questo dalle donne, ma bastava che i mortali mettendo in cambio nei tuoi templi oro e ferro o un peso di bronzo, comprassero discendenza di figli, ciascuno del valore del dono offerto, e vivessero in case libere, senza le femmine. Ora invece quando dapprima stiamo per portare in casa quel malanno, sperperiamo la prosperità della casa" (vv. 616-626).

Giovanni Ghiselli





[1] L. Tolstoj, Anna Karenina (del 1877), p. 720. 
[2] Il soldato rispose - tivktei -, a uno che gli aveva domandato: "tiv poiei' oJ aujtokravtwr;" (Cassio Dione, 63, 10)
[3] L'accecamento mentale, una smisurata forza irrazionale. 
[4] La protagonista dell'Andromaca fa l'ipotesi: "eij  gunaikev~ ejsmen  ajthro;n kakovn" (Andromaca, v. 353), se noi donne siamo un male pernicioso.

1 commento:

  1. Detto di non so quale origine recita che se partorissero i maschi si estinguerebbe la razza umana...sarà vero? un bacio Giovanna con stima e affetto

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