Il sindaco Marco
Macciantelli, risponde ad alcuni rilievi mossi al piano regolatore del suo comune. Vediamo alcuni punti della
disputa. Metto in grassetto le parole del primo cittadino di San Lazzaro.
Se
mi si chiede: nel passato si è costruito troppo? La mia
risposta è sì. Se mi si chiede: nel
futuro si costruirà di più? La mia risposta è: dobbiamo evitarlo. Però deve essere chiaro che, a proposito del
consumo del suolo, al momento, stiamo parlando dei Piani regolatori generali
del passato…
Quindi attenzione a non confondere ieri con oggi
e domani. Nessuno pensa che le
risorse, specie quelle naturali, siano infinite. Il punto di vista corretto,
oggi, non può più essere meramente quantitativo. Ma qualitativo: ciò che serve
all’evoluzione civile di una comunità, quindi le dotazioni territoriali. Se
occorre una scuola, quella scuola va fatta. La priorità sulla riqualificazione,
sapendo che anch’essa deve sottostare all’interesse pubblico, come ogni altra
cosa.
La mia opinione è
che la qualità della vita dei cittadini, a partire da quella dei bambini e dei
più bisognosi, deve essere la stella polare che guidi i progetti di un
amministratore. E tra i bisogni primari, dopo il nutrimento e il riscaldamento
invernale, metto quello dell’istruzione come ho scritto nel pezzo precedente,
quello sul discorso della ragazzina pakistana. Quindi approvo prima di tutte
queste parole:
Se occorre una scuola, quella scuola va fatta.
Se occorre una scuola, quella scuola va fatta.
Approvo anche Bisogna
non confondere ieri con oggi e domani.
Tale bisogno
distingue le persone dotate di equilibrio e ragione dagli irragionevoli
squilibrati poiché la confusione, il guazzabuglio, è la sorgente di molti mali, è un ritorno al caos
primigenio[1]
, il vuoto immenso, spaventoso dove volteggiavano i mostri.
Ma andiamo avanti. Continuerò ad alternare le parole del
sindaco, in grassetto, con le mie.
E’ un errore considerare i Comuni un
intralcio all’affermazione dei valori ambientali. I
Comuni sono il primo presidio a favore della comunità, anche da questo punto di
vista
Macciantelli fa
poi notare che il consumo del suolo, nel decennio 2000-2010, è andato verso una
progressiva riduzione rispetto al periodo precedente.
Questo
naturalmente è un dato positivo, ma anche il consumo del suolo non deve
diventare un tabù, oggetto di orrore superstizioso. Se l’impiego del suolo è
funzionale al miglioramento della vita delle persone, ben venga tale uso e
utilizzo.
La vita degli
uomini insomma deve avere una precedenza assoluta rispetto a quella degli
alberi, delle bestie e delle cose. Le cose sono degi uomini, disse Pericle, non
gli uomini delle cose[2].
Lo stratego ateniese che aveva fatto della sua città la scuola
dell’Ellade[3], disse pure che un albero
potato e tagliato ricresce in breve tempo, mentre la vita di un uomo una volta
spezzata non torna più[4].
Sentiamo di nuovo il sindaco: L’idea che la riqualificazione giustifichi ogni cosa, non l’ho mai
trovata persuasiva. Può comportare il ricorso all’istituto del cambio di
destinazione d’uso, che può avere delle giustificazioni, ma può anche non
averne.
Il criterio che giustifica il cambio della destinazione d’uso deve
essere sempre il progresso, ossia l’avanzamento del benessere. Vero è che il
maggior benessere di alcuni può significare il minor benessere di altri. In
questo caso si dovrebbe scegliere adottando una visione il più possibile ampia
e lungimirante, capace di individuare il benessere dei più per un periodo il
più possibile lungo.
A complicare le cose c’è da tempo la crisi.
La crisi è un convitato di pietra che,
in questo momento, condiziona e orienta le scelte di Piano. Sì, il “Piano”, la
potestà pubblica che fa proprie le attese della comunità e le traduce in fatti
orientati al futuro; ciò che definisce la potestà pubblica, dagli Uffici
comunali, alla Giunta al Consiglio, nel fare scelte, a favore della comunità,
sulla base di una considerazione attenta dei legittimi interessi, coinvolgendo
in essi, in forme flessibili, le istanze più libere e aperte della
partecipazione e del coinvolgimento della cittadinanza.
La crisi può essere, paradossalmente, un’occasione per varare riforme che agevolino appunto la partecipazione dei cittadini, la loro socialità e politicità, il loro interesse agli affari della polis. Le temperate spese, l’abolizione di ogni spreco, la maggiore attenzione ai bisogni della comunità, alle necessità di tutti, tutto questo ha un significato morale ancor prima che economico.
La crisi impone leggi comuni a tutti, valide per tutti, rispettate da tutti. Leggi rinnovate laddove le passate siano ormai obsolete e incongrue rispetto alla situazione attuale.
Il problema del consumo del suolo ha un tale rilievo da dover essere affrontato non solo a livello locale. E’ auspicabile una legge che regoli il fenomeno, ci sono le condizioni, dopo gli indirizzi dati dall’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna, perché si vada in questa direzione anche a livello nazionale. Per una legge che disciplini finalmente la materia. Non è un granché giudicare adesso ciò che è stato fatto sulla base di regole fissate 13 anni fa. Non deve succedere che, giustamente, qui si chieda di fare ancora di più e altrove non vi sia alcuna sensibilità in proposito. L’Italia è una. Il territorio è un bene pubblico che va tutelato, dappertutto, allo stesso modo.
Alcune esigenze di base dei cittadini italiani sono le stesse dappertutto, altre possono variare a seconda del territorio, del clima, del calo o della crescita demografica e così via. Allora i Comuni devono rispondere alle esigenze degli abitanti, a partire dall’istruzione, dalla salute, dalla possibilità di socializzare.
I Comuni si rendono conto che per l’evoluzione della comunità servono determinati servizi. Tali servizi possono essere realizzati dal Piano. Che senso avrebbero anni di studio, di elaborazione, di discussione, senza dare risposte alle esigenze della comunità? Quindi: prima di tutto, interventi di riqualificazione, di rigenerazione del tessuto urbano, recupero del costruito, e, dove è previsto del “nuovo”, edifici improntati al risparmio energetico sino alla classe A. Contro il consumo del suolo, contro lo spreco di territorio. Occupandosi delle criticità, delle priorità…Portare nel Piano le esigenze della comunità non significa essere subalterni o accondiscendenti alla logica del cemento. Ma esattamente il contrario. Il tema non è mai solo il cemento. Ma la qualità di un Piano. Le sue motivazioni, le sue finalità, il suo equilibrio, la sua misura.
Il cemento è diventata parola esecranda quanto l’incesto e lo stupro.
Ma si tratta di una moda e di una superstizione. Costruire case non è necessariamente una cosa cattiva. Bisogna distinguere: vedere come si costruisce, dove, per si costruisce. La gente che vive per strada o in baracche, quelli che d’inverno muoiono assiderati, non fanno onore a una città e ai suoi benestanti.
E l’ostilità verso il Piano non fa del tutto onore alle ragioni di chi la esprime. Rischia cioè di apparire e, in alcuni casi, di essere, un modo per disattendere al quadro normativo e, paradossalmente, a dispetto delle buone intenzioni, di andare contro l’interesse pubblico.
L’amore per la natura e per gli animali non deve diventare disamore, indifferenza o addirittura odio per gli esseri umani. Se la natura può essere vista come il paradiso perduto da parte del cittadino metropolitano, credo nello stesso tempo che la mancanza un un’abitazione civile, di edifici scolastici sicuri, di biblioteche attrezzate, di cinema di teatri, di ambulatori e ospedali, sia un inferno per chi non può fruire di tali beni e di tali servizi.
E’ sempre sbagliato affrontare la complessità in modo settoriale. Guardare all’insieme tenendo conto di un solo aspetto.
Di fatto è la visione d’insieme, la sinossi, che distingue l’uomo accorto e previdente dallo sprovveduto dannoso.
Il tema non è solo il consumo del suolo. Accentuare solo quello non deve significare derogare all’interesse pubblico a favore di altri aspetti. In cima a tutto deve stare l’interesse pubblico. L’importante è sempre quello che si fa e come lo si fa, per corrispondere al quadro normativo, tutelare l’ambiente, servire la comunità. Un Piano deve impostare una ragionevole composizione di interessi.
Certamente non sono uguali gli interessi di tutti. Ma chi amministra dovrebbe tenere conto di tutti gli interessi. La casa è certamente un interesse di tutti, a partire da quelli che non ce l’hanno.
Ecco: fare o non fare edilizia sociale? Dal passato ereditiamo un patrimonio residenziale pubblico. Tutti diciamo: coesione sociale. Ma se non si vogliono fare delle chiacchiere, occorrono dei fatti. Oggi la casa è ciò che più di ogni altro definisce chi ce la può fare rispetto a chi rischia di non farcela. Dobbiamo custodire quel patrimonio, può accedervi chi ne ha realmente diritto, se no fuori, com’è giusto, senza guardare in faccia a nessuno. Ma occorre proseguire l’opera avviata, prevedendo, nei Piani, l’edilizia sociale, in una quota consistente. ….Ma anche qui c’è modo e modo di fare edilizia. C’è la classe A, il risparmio energetico, magari il co-housing con forme comunitarie molto innovative, o progetti di modernizzazione della vecchia edilizia residenziale pubblica: non è che tutta la pianificazione sia scempio, cementificazione.
La forma più radicale di rigenerazione del tessuto urbano è l’abbattimento e la ricostruzione. Noi, a San Lazzaro, stiamo procedendo in questo senso a favore di circa un terzo di Erp[5]. Su 450 alloggi storici, 150 circa. Infine, una osservazione: gli oneri di urbanizzazione servono soprattutto er gli investimenti, cioè per la manutenzione, di scuole, palestre, strade, parchi.
Questi sono edifici e ambienti necessari allo sviluppo mentale e fisico degli abitanti, alla loro salute, alla vita sociale. Perché se è un inferno non avere una casa, è una pena peggio che purgatoriale non avere luoghi, possibilmente ameni, in cui trovarsi, parlare, giocare. Soprattutto per i bambini. Le persone della mia generazione osserva e nota con una stretta al cuore che non si vedono più bambini giocare all’aperto. Noi scorrazzavamo nelle strade che ora sono diventati piste riservate alle automobili e alle motociclette, con i marciapiedi e tutto.
Lascio la conclusione a Macciantelli la cui opera va incoraggiata appunto per il fatto che la sua graduatoria di valori mette a gli uomini al primo posto: davanti alle cose, ai pregiudizi, ai luoghi comuni rancidi nei quali si tuttavia rifugiano le persone incapaci di osservare con sguardo mentale diritto quella che è la realtà dei fatti, una realtà effettuale talora così complessa e complicata da sembrare inestricabile. Ma le spade incruente che risolvono tale nodo gordiano sono sempre il buon senso, l’intelligenza e la sollecitudine per il bene pubblico.
L’ambiente, in primo luogo, va custodito, ma bisogna avere anche un progetto per il suo migliore utilizzo, sostenibile e corretto. Come spiega Alfonso Pascale, presidente della rete fattorie sociali, esperto di sviluppo rurale e welfare locale, occorre dare senso alla qualità ambientale, puntando su giardini, parchi, aree agricole, orti, eco-villaggi, co-housing, riqualificazione delle aste fluviali, ma anche alloggi in classe A, alle soluzioni più innovative di risparmio energetico. Pascale la chiama rurbanizzazione. Una sorta di continuum urbano-rurale. D’altra parte, nuova città e vecchio contado possono stare insieme. Qualcosa che ha a che vedere, non solo, ma anche col sistema territoriale bolognese, tra collina, pianura e area urbana. Ciò che, significativamente, sta dentro le aste fluviali tra Savena e Idice.
La crisi può essere, paradossalmente, un’occasione per varare riforme che agevolino appunto la partecipazione dei cittadini, la loro socialità e politicità, il loro interesse agli affari della polis. Le temperate spese, l’abolizione di ogni spreco, la maggiore attenzione ai bisogni della comunità, alle necessità di tutti, tutto questo ha un significato morale ancor prima che economico.
La crisi impone leggi comuni a tutti, valide per tutti, rispettate da tutti. Leggi rinnovate laddove le passate siano ormai obsolete e incongrue rispetto alla situazione attuale.
Il problema del consumo del suolo ha un tale rilievo da dover essere affrontato non solo a livello locale. E’ auspicabile una legge che regoli il fenomeno, ci sono le condizioni, dopo gli indirizzi dati dall’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna, perché si vada in questa direzione anche a livello nazionale. Per una legge che disciplini finalmente la materia. Non è un granché giudicare adesso ciò che è stato fatto sulla base di regole fissate 13 anni fa. Non deve succedere che, giustamente, qui si chieda di fare ancora di più e altrove non vi sia alcuna sensibilità in proposito. L’Italia è una. Il territorio è un bene pubblico che va tutelato, dappertutto, allo stesso modo.
Alcune esigenze di base dei cittadini italiani sono le stesse dappertutto, altre possono variare a seconda del territorio, del clima, del calo o della crescita demografica e così via. Allora i Comuni devono rispondere alle esigenze degli abitanti, a partire dall’istruzione, dalla salute, dalla possibilità di socializzare.
I Comuni si rendono conto che per l’evoluzione della comunità servono determinati servizi. Tali servizi possono essere realizzati dal Piano. Che senso avrebbero anni di studio, di elaborazione, di discussione, senza dare risposte alle esigenze della comunità? Quindi: prima di tutto, interventi di riqualificazione, di rigenerazione del tessuto urbano, recupero del costruito, e, dove è previsto del “nuovo”, edifici improntati al risparmio energetico sino alla classe A. Contro il consumo del suolo, contro lo spreco di territorio. Occupandosi delle criticità, delle priorità…Portare nel Piano le esigenze della comunità non significa essere subalterni o accondiscendenti alla logica del cemento. Ma esattamente il contrario. Il tema non è mai solo il cemento. Ma la qualità di un Piano. Le sue motivazioni, le sue finalità, il suo equilibrio, la sua misura.
Il cemento è diventata parola esecranda quanto l’incesto e lo stupro.
Ma si tratta di una moda e di una superstizione. Costruire case non è necessariamente una cosa cattiva. Bisogna distinguere: vedere come si costruisce, dove, per si costruisce. La gente che vive per strada o in baracche, quelli che d’inverno muoiono assiderati, non fanno onore a una città e ai suoi benestanti.
E l’ostilità verso il Piano non fa del tutto onore alle ragioni di chi la esprime. Rischia cioè di apparire e, in alcuni casi, di essere, un modo per disattendere al quadro normativo e, paradossalmente, a dispetto delle buone intenzioni, di andare contro l’interesse pubblico.
L’amore per la natura e per gli animali non deve diventare disamore, indifferenza o addirittura odio per gli esseri umani. Se la natura può essere vista come il paradiso perduto da parte del cittadino metropolitano, credo nello stesso tempo che la mancanza un un’abitazione civile, di edifici scolastici sicuri, di biblioteche attrezzate, di cinema di teatri, di ambulatori e ospedali, sia un inferno per chi non può fruire di tali beni e di tali servizi.
E’ sempre sbagliato affrontare la complessità in modo settoriale. Guardare all’insieme tenendo conto di un solo aspetto.
Di fatto è la visione d’insieme, la sinossi, che distingue l’uomo accorto e previdente dallo sprovveduto dannoso.
Il tema non è solo il consumo del suolo. Accentuare solo quello non deve significare derogare all’interesse pubblico a favore di altri aspetti. In cima a tutto deve stare l’interesse pubblico. L’importante è sempre quello che si fa e come lo si fa, per corrispondere al quadro normativo, tutelare l’ambiente, servire la comunità. Un Piano deve impostare una ragionevole composizione di interessi.
Certamente non sono uguali gli interessi di tutti. Ma chi amministra dovrebbe tenere conto di tutti gli interessi.
Ecco: fare o non fare edilizia sociale? Dal passato ereditiamo un patrimonio residenziale pubblico. Tutti diciamo: coesione sociale. Ma se non si vogliono fare delle chiacchiere, occorrono dei fatti. Oggi la casa è ciò che più di ogni altro definisce chi ce la può fare rispetto a chi rischia di non farcela. Dobbiamo custodire quel patrimonio, può accedervi chi ne ha realmente diritto, se no fuori, com’è giusto, senza guardare in faccia a nessuno. Ma occorre proseguire l’opera avviata, prevedendo, nei Piani, l’edilizia sociale, in una quota consistente. ….Ma anche qui c’è modo e modo di fare edilizia. C’è la classe A, il risparmio energetico, magari il co-housing con forme comunitarie molto innovative, o progetti di modernizzazione della vecchia edilizia residenziale pubblica: non è che tutta la pianificazione sia scempio, cementificazione.
La forma più radicale di rigenerazione del tessuto urbano è l’abbattimento e la ricostruzione. Noi, a San Lazzaro, stiamo procedendo in questo senso a favore di circa un terzo di Erp[5]. Su 450 alloggi storici, 150 circa. Infine, una osservazione: gli oneri di urbanizzazione servono soprattutto er gli investimenti, cioè per la manutenzione, di scuole, palestre, strade, parchi.
Questi sono edifici e ambienti necessari allo sviluppo mentale e fisico degli abitanti, alla loro salute, alla vita sociale. Perché se è un inferno non avere una casa, è una pena peggio che purgatoriale non avere luoghi, possibilmente ameni, in cui trovarsi, parlare, giocare. Soprattutto per i bambini. Le persone della mia generazione osserva e nota con una stretta al cuore che non si vedono più bambini giocare all’aperto. Noi scorrazzavamo nelle strade che ora sono diventati piste riservate alle automobili e alle motociclette, con i marciapiedi e tutto.
Lascio la conclusione a Macciantelli la cui opera va incoraggiata appunto per il fatto che la sua graduatoria di valori mette a gli uomini al primo posto: davanti alle cose, ai pregiudizi, ai luoghi comuni rancidi nei quali si tuttavia rifugiano le persone incapaci di osservare con sguardo mentale diritto quella che è la realtà dei fatti, una realtà effettuale talora così complessa e complicata da sembrare inestricabile. Ma le spade incruente che risolvono tale nodo gordiano sono sempre il buon senso, l’intelligenza e la sollecitudine per il bene pubblico.
L’ambiente, in primo luogo, va custodito, ma bisogna avere anche un progetto per il suo migliore utilizzo, sostenibile e corretto. Come spiega Alfonso Pascale, presidente della rete fattorie sociali, esperto di sviluppo rurale e welfare locale, occorre dare senso alla qualità ambientale, puntando su giardini, parchi, aree agricole, orti, eco-villaggi, co-housing, riqualificazione delle aste fluviali, ma anche alloggi in classe A, alle soluzioni più innovative di risparmio energetico. Pascale la chiama rurbanizzazione. Una sorta di continuum urbano-rurale. D’altra parte, nuova città e vecchio contado possono stare insieme. Qualcosa che ha a che vedere, non solo, ma anche col sistema territoriale bolognese, tra collina, pianura e area urbana. Ciò che, significativamente, sta dentro le aste fluviali tra Savena e Idice.
Giovanni Ghiselli
[1] Cfr. Esiodo, Teogonia, 116 “Prwvtista cavo~ gevnet j“, all’inizio c’era il Caos.
il miglior utilizzo del territorio è sicuramente il miglior progetto che si possa auspicare,chi lo osteggia spesso dimentica che i nuovi sistemi di costruzione a risparmio energetico e basso impatto ambientale sono dei piccoli gioielli di cui l'Emilia Romagna può fare sfoggio con orgoglio. La paura del progresso è sempre esistita ...se l'umanità avesse assecondato la paura di cambiare (e quindi di migliorare)vivremmo ancora nelle caverne e si morirebbe di raffreddore.
RispondiEliminaViva dunque un progresso sano ed ecocompatibile e tutti quelli che lo sostengono