sabato 8 giugno 2013

A Ilaria Cucchi, con simpatia

Riporto alcune parole di Ilaria Cucchi : “quelli che in aula hanno esultato alla lettura del dispositivo e hanno fatto gesti indecenti nei nostri confronti, sono gli stessi che, a neanche un mese dalla morte di Stefano, dicevano al telefono: “Pesava 40 chili, era un tossico di merda e ora i genitori vanno a cercare il pelo nell’uovo”.
Parole che meritano una cupa risonanza  e un commento pieno di biasimo.
Esse descrivono l’abisso di barbarie in cui sta precipitando l’Italia. Piuttosto che tenere troppo a lungo lo sguardo in tale burrone correndo il rischio di caderci dentro, o prima che il baratro entri in noi, dobbiamo cercare di colmare questo vuoto di umanità con altre parole che siano quelle della pietà.
Non so se Stefano Cucchi fosse davvero un  drogato e pesasse solo quaranta chili, ma sono sicuro che una persona, qualunque persona, in siffatte condizioni va aiutata in tutti i modi.
Pestarla fino a ucciderla è una scelleratezza anche peggiore che barbarica: è un crimine di lesa umanità.
Vengono in mente le parole di Andromaca, la vedova di Ettore, quando nelle Troiane di Euripide, le  viene detto che i Greci distruttori di Troia hanno deciso di ucciderle il figlio, il piccolo Astianatte, per timore che diventi un giovane grande e forte, un uomo  in grado di vendicare il padre. Allora la madre dolorosa grida parole piene di lugubre stupore e di sdegno “ w\ bavrbar ejxeurovnte~ [Ellhne~ kakav-tiv tonde pai`da kteivnet j oujde;n ai[tion "(vv.764-765), o Greci inventori di atrocità barbariche, perché uccidete questo bambino che non è colpevole di niente?
Vorrei rivolgere la stessa domanda ai carnefici di Stefano.
Quali sentimenti negativi fino alla volontà di massacrare possono scatenarsi di fronte a un ragazzo che pesa quaranta chili? 
Il fatto è che le persone prive di sensibilità e di coscienza non sono capaci di mettersi nei panni degli altri. Anzi, fanno proprio il contrario: proiettano la propria matta bestialità sui malcapitati che finiscono nelle loro grinfie. Del resto ci comportiamo tutti su per giù in questa maniera: chi è buono, si aspetta che anche gli altri siano persone per bene, e chi è cattivo vede le proprie cattiverie da lui stesso fatte riverberare su tutti quelli che incontra.

Capire il dolore degli altri, condividerlo per alleviarlo, è segno di umanità. Pirandello nel saggio L’umorismo [1] chiama questa simpatia nel dolore “il sentimento del contrario”. Fa tre esempi.
Il  primo è quello celeberrimo della  “vecchia signora coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d'abiti giovanili”.
La prima reazione è quella di deriderla e canzonarla. “Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa prima impressione cronica. Il comico è appunto un avvertimento del contrario”.
Ma poi interviene la riflessione che suscita  il sentimento del contrario ossia l'umorismo: "Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s’inganna che, parata così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l'amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto più addentro: da quel primo avvertimento del contrario, mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l'umoristico" [2]. 

Si tratta insomma di riflettere sul dolore del prossimo, di considerare le difficoltà che ha trovato e non ha superato colui che soffre, quindi provare compassione, sentire con lui la sua sofferenza, per  aiutarlo.
Parole intelligenti e sante scrive anche T. Mann sull’argomento: “Indifferenza e ignoranza della vita intima degli altri esseri umani finiscono per creare un rapporto affatto falso con la realtà, una specie di abbigliamento. Dai tempi di Adamo ed Eva, da quando uno divenne due, chiunque per vivere ha dovuto mettersi nei panni altrui, per conoscere veramente se stesso ha dovuto guardarsi con gli occhi di un estraneo. L’immaginazione e l’arte di indovinare i sentimenti degli altri, cioè l’empatia, il con-sentire con gli altri, è non solo lodevole ma, in quanto infrange le barriere dell’io, è anche un mezzo indispensabile di autopreservazione”[3].
Chi picchia un debole, violenta la vita che poi, immancabilmente, lo punisce.
La vita infatti ci contraccambia sempre.
Invito Ilaria a ricordare le parole indirizzate da Winston, il protagonista del romanzo 1984 di Orwell, ai carnefici che lo torturano: "Something will defeat you", qualche cosa vi sconfiggerà, "Life will defeat you", la vita vi sconfiggerà.
Sicuramente tuo fratello, novella Antigone, non è morto per nulla. Il suo martirio e la tua nobile testimonianza, hanno dato e daranno coscienza a tanta gente.

Giovanni Ghiselli g.ghiselli@tin.it 
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[1] Del 1908.
[2] Luigi Pirandello, Op. cit., p. 173.
[3] T. Mann, Il giovane Giuseppe, p. 117.

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