ottava parte del Percorso sull'amore nei classici
Come può avvenire la guarigione
dalla piaga e dalla follia amorosa? Lucrezio , Ennio ed Empedocle
. Un elogio della Sicilia. Epicuro, Lucrezio e la considerazione razionale della
natura ( naturae species ratioque). La ragione secondo Proust non arriva
a spiegare tutto. Il IV libro del De rerum natura è un'antologia
di tovpoi negativi sull'amore.
Analisi dei vv. 1073-1191. Lo stesso atto sessuale è congiunto alla
frustrazione, al dolore e alla pena. L'amore possessivo non è amore.
Lucrezio, Platone, Cicerone,
Leopardi e Schopenhauer.
Le nozze di Figaro:
“Aprite un po' quegli occhi uomini incauti e sciocchi”. Il medesimo argomento
può essere impiegato in modi diversi, addirittura per sostenere tesi
contrapposte, anche dal medesimo autore. Così fa Ovidio nell' Ars amatoria
e nei Remedia amoris a proposito dei difetti delle donne. Con
l'adulazione si può sedurre persino una vestale: Dostoevskij.
Petrarca e Machiavelli. Di
nuovo Lucrezio. Il lamento davanti alla porta
chiusa (
paraklausivquron).
Callimaco e Properzio. Il
paraklausivquron rovesciato nel Processo di Kafka. L'attesa
dell'innamorato con angoscia e senza. L'amore come superstizione, anzi come
superstizione caratteristica delle donne.
Alcuni classici dell'antifemminismo.
Esiodo, Semonide, Euripide, Leopardi, Schopenhauer, Weininger.
I Remedia amoris di Ovidio.
Proemio del poemetto. (1-78). Antologia dei Remedia amoris . E' bene
togliere di mezzo l'otium. Egisto amò e andò in rovina siccome non aveva
niente da fare. Si possono coltivare i campi o andare a caccia. Il
tovpo"
della inutile mutatio locorum
viene ribaltato. Il motivo dei
favrmaka inutili. La donna che
preferisce il venditore ambulante o il gladiatore all'uomo civile. Ovidio e
Giovenale. Il tovpo"
dell'invidia. L'elegia, come ciascun genere, ha il suo registro, i suoi temi e
il suo metro. Un consiglio sbagliato. Il tema dell'impotenza e quello del
piacere. Un assaggio del Satyricon. Conviene osservare i difetti
dell'amante fino alla nausea. Ovidio e D'Annunzio. E' opportuno avere più di
un'amante. Ovidio, Meleagro, Properzio e Svevo il quale del resto dà il
suggerimento opposto: "un'amante in due è l'amante meno compromettente" (Una
vita). Consigli di simulazione. Il
paraklausivquron
anomalo di Ovidio. L'amore che insegue chi fugge e viceversa: Callimaco, Orazio,
Ovidio, Goldoni, Dostoevkij, Proust, Pavese. Il fiore non colto è più bello e
desiderabile: Ariosto, Tolstoj, Gozzano. Chiodo schiaccia chiodo, ma quattro
chiodi fanno una croce. Loca sola caveto . Bisogna evitare i luoghi
isolati. Fillide, Arianna e la catena letteraria. Bisogna fare attenzione al
contagio. Evitare la domina. Non parlare di lei. Rifiuto dell' odi et
amo. E' meglio lasciarsi in pace evitando giudici e avvocati. L'amor
proprio. Guardarsi dalle lacrime delle donne che sono a buon mercato come le
bugie (Shakespeare). Apprezzamenti delle lacrime in Euripide. Non si devono
rileggere le lettere del tempo dell'amore. E' bene allontanare le immagini. Il
surrogato funereo di Laodamia e Admeto. Bisogna evitare i luoghi "consci"
dell'amore perduto. Cenere, fuoco e amore in Ovidio e D'Annunzio. Un platonismo
applicato ai Remedia . La ricchezza è un'occasione per l'amore sregolato,
ma non per questo viene raccomandata la povertà. Rassegna dei poeti d'amore:
Callimaco, Filita, Anacreonte, Tibullo, Properzio, Gallo. Leopardi su Ovidio.
Bisogna evitare la gelosia escludendo o
ignorando la presenza di rivali. Non è il caso di mangiare cibi afrodisiaci:
cipolla e rucola che fa saltare.
Gli stessi che invece vengono consigliati
nell'Ars amatoria con l'aggiunta di altri: uova, miele e pinoli. Il vino
nei Remedia e in Apuleio. Epilogo del poemetto. Il rimedio migliore è la
moralizzazione del rapporto amoroso: Musil . Dalla donna che ci fa soffrire
comunque si impara: Proust. Il rispetto: Moravia, Buzzati e Fromm. L'antistrofe
del III Stasimo dell'Antigone.
Partiamo da Lucrezio
dandone qualche notizia. Del poeta, vissuto tra il 94 e il 50 a. C., ci è
arrivato un poema didascalico in esametri, diviso in sei libri lunghi, ossia
tutti superiori ai mille versi. Il genere fu iniziato da Esiodo, ma il
poeta latino risente anche dell'entusiasmo profetico dell'agrigentino
Empedocle che pure scrisse un poema Sulla natura , e di Ennio,
onorato come archetipo della poesia latina: Ennius ut noster cecinit qui
primus amoeno/detulit ex Helicone perenni fronde corona,,/ per gentis Italas
hominum quae clara clueret" (I, 117-118), come cantò il nostro Ennio che per
primo portò giù dall'ameno Elicona una corona dalle fronde perenni, la quale
brillasse luminosa per le genti degli uomini italici.-gentis=gentes.-ut
cecinit : si riferisce all'accoglimento da parte di Ennio della dottrina
della metempsicosi che invece viene respinta da Lucrezio il quale"distingue il
proprio dissenso filosofico antipitagorico dalla simpatia letteraria. Senz'altro
Ennio è il poeta più imitato da Lucrezio (e forse anche amato: noster ha
una carica anche affettiva)"
[1] .
"La voce vaticinante di
Empedocle, il poeta che aveva conosciuto i segreti della natura, echeggia ora
nei versi di Lucrezio ansioso di farsi 'vate di verità'. Empedocle diventa la
figura (la figura letteraria) di una poesia filosofica impegnata quanto una
profezia"
[2] .
Abbiamo già incontrato più di una
volta Empedocle : "Lucrezio lo giudica esemplare come poeta (vv. 729-733), al
punto da meritare gli accenti entusiastici e innologici riservati al solo
Epicuro (cfr. i vv. 731-733 con gli elogi dei proemi III, V e VI)…invece
inattendibile come filosofo (vv. 740 sgg.), in quanto assertore dei quattro
principi non solidi, deperibili e tra loro inconciliabili. La nascita dei corpi,
secondo tale teoria, si avrebbe con l'unione dei principi ("Amore",
Storghv, e la morte con la loro
separazione ("Odio", Nei'ko" )"
[3] .
L'elogio di Empedocle di
Agrigento comprende anche la sua terra siciliana: ne riporto alcuni versi,
per siculofilia e per euripidofilia: infatti secondo me uno di questi ricorda,
almeno concettualmente, un passo delle Troiane del drammaturgo ateniese
:"Quae cum magna modis multis miranda videtur/gentibus humanis regio
visendaque fertur,/rebus opima bonis, multa munita virum vi,/nil tamen hoc
habuisse viro praeclarius in se/nec sanctum magis et mirum carumque videtur"
(I, 725-730), questa regione mentre appare in molti modi grande e ammirabile
alle genti umane e si dice che deve essere visitata siccome ricca di cose buone
e munita di gran forza di uomini, tuttavia nulla sembra avere avuto in sé più
glorioso di quest'uomo, né di più santo, meraviglioso e prezioso.-multa
munita virum vi: doppia allitterazione. Questa abbondanza di uomini forti,
precisamente di atleti, viene attribuita all'isola anche dal Coro delle
prigioniere Troiane che si augurano come male minore di finire nella terra di
Teseo, ossia ad Atene, oppure nella valle del Peneo ai piedi dell'Olimpo, e,
come terza ipotesi augurabile di essere portate nell'etnea terra di Efesto,
posta davanti a Cartagine, madre dei monti Siculi della quale si sente dire "kavrussesqai
stefavnoi" ajreta'" "( Troiane, v. 223) che viene celebrata per le
corone del valore. Questo dramma è del 415, lo stesso anno della spedizione in
Sicilia e non è del tutto chiaro se l'autore abbia voluto scoraggiare gli
Ateniesi dall'impresa. Probabilmente Lucrezio ha in mente le tragedie, quella
letteraria e quella storica di Siracusa.
La dottrina illustrata dai versi
di Lucrezio dunque è quella di Epicuro che viene celebrato come un eroe
liberatore dell'umanità, attraverso quattro elogi situati in quattro libri (I,
III, V, VI). Lo scopo è quello di contribuire ad affrancare l'umanità dalle
tenebre dai terrori dell'animo che derivano dalla religio e più in
generale dal difetto della conoscenza razionale della natura ( naturae
species ratioque , I, 148).
L'amore è una delle superstizioni,
almeno una superfetazione emotiva che equivale a una malattia dell'animus
(la nostra parte razionale) e va estirpato come un morbo maligno.
Abbiamo già visto, parlando dell'amore come ferita, che Tizio straziato dagli
uccelli nel Tartaro
[4] è allegoria della passione amorosa, la proiezione, in una
seconda vita presunta, di una delle peggiori angosce tra quelle che devastano la
vita terrena. Altre sono la paura degli dèi, l'ambizione politica e
l'insaziabilità che fanno immaginare le orribili pene di Tantalo, di Sisifo e
delle Danaidi. Sicché è qui sulla terra che diventa infernale la vita degli
stolti:"Hic Acherusia fit stultorum denique vita " (III, 1023).
Nel IV libro il poeta latino
mostra tutta la penosità dell'amore, quindi ne
smonta le cause affermando che gli uomini ingannati dai sensi attribuiscono alle
donne pregi di cui le disgraziate sono sprovvedute.
A proposito del
tovpo" della piaga i vv. 1068-1072
sono stati utilizzati nel VII capitolo .
Lì abbiamo visto che il primo
consiglio "terapeutico" è quello di confondere le piaghe antiche con le recenti
e curare queste con una "Venere vagabonda".
Procediamo dal v. 1073 del IV
libro.
Lucrezio consiglia di fruire
delle gioie di Venere senza innamorarsi, tenendo il piacere sotto il controllo
della ratio :" Nec Veneris fructu caret is qui vitat amorem, /sed
potius quae sunt sine poena commoda sumit./Nam certe purast sanis magis inde
voluptas/quam miseris " (IV, 1073-1076), non rimane senza il frutto di
Venere chi schiva l'amore, ma piuttosto ne prende i vantaggi senza la pena.
Infatti il piacere che viene di lì è più puro per gli equilibrati che per i
dissennati.
Comunque Venere quale ipostasi della
voluptas è il timone del mondo, come si legge nel proemio e senza la sua
presenza non si può nemmeno poetare:"Quae quoniam rerum naturam sola gubernas/nec
sine te quicquam dias in luminis oras/exoritur neque fit laetum neque amabile
quicquam,/te sociam studeo scribendis versibus ess/quos ego de rerum natura
pangere conor. " (I, 21-24), e siccome tu sei la sola che governi la
natura/né senza te alcuna cosa sorge alle luminose spiagge/del sole, né niente
si fa di lieto e amabile,/voglio che tu sia compagna allo scrivere i versi/che
io cerco di comporre sulla natura.-De rerum natura :" è il titolo
dell'opera e rende il Peri; fuvsew"
, titolo del poema di Empedocle e dell'opera fondamentale, oggi perduta, di
Epicuro (in ben 37 libri)"
[5] . Il lepos , il fascino di Venere è necessario
anche ai versi del poeta perché vengano letti:" Quo magis aeternum da dictis,
diva, leporem " (I, 28), tanto più concedi, o dea, fascino eterno alle
parole.
Il proemio però, si è detto, è "fuoritesto",
ossia alquanto anomalo rispetto all'insieme del poema.
Qui nel IV canto l'autore precisa
che bisogna mangiare la piacevole esca senza essere presi dall'amo cui rimangono
attaccati i miseri, dibattendosi in convulsioni atroci.
Si è già notato che da Catullo in
avanti miser è la vittima della passione amorosa che è una forma di
insania e, secondo Lucrezio, può essere spiegata, contrastata e annullata
dalla ragione.
Molti autori moderni invece ci
hanno chiarito che la ragione non arriva a spiegare tutto, e tra gli enigmi
irrisolvibili c'è il grande mistero dell'amore. Un fine osservatore di questo
miracolo è Proust:"per tutti gli avvenimenti che nella vita e nelle sue
contrastate situazioni riguardano l'amore, la miglior cosa è non cercare di
comprendere, perché in quello che essi hanno sia d'inesorabile come d'insperato
sembrano retti da leggi magiche piuttosto che razionali"
[6] . Del resto l'irriducibilità di eros agli schemi angusti
dell'intelletto era già stata affermata da Platone, come s'è visto in
precedenza.
Procediamo nel IV libro del De
rerum natura dove troveremo un'antologia di tutti i
tovpoi negativi su Eros: dall' amore
follia, all'amore possesso, all'amore bruciore, all'amore guerra e ferita:"
Etenim potiundi tempore in ipso/fluctuat incertis erroribus ardor amantum/nec
constat quid primum oculis manibusque fruantur./Quod petiere, premunt arte
faciuntque dolorem/corporis et dentis inlidunt saepe labellis/osculaque afligunt,
quia non est pura voluptas/et stimuli subsunt qui instigant laedere id ipsum/quodcumque
est, rabies unde illaec gemina surgunt " (vv.1076- 1083), In effetti, nel
momento stesso del possedere, fluttua tra ondeggiamenti incerti l'ardore degli
amanti né sanno di che cosa prima godere con gli occhi e le mani. Ciò cui hanno
aspirato premono stretto e provocano dolore al corpo e spesso affondano i denti
nelle labbra e infliggono baci, poiché non è puro il piacere e ci sono sotto dei
pungoli che stimolano a ferire quello stesso oggetto, qualunque esso sia da dove
sorgono quei germi di furia.
In potiundi (genitivo del
gerundio di potior , arcaico per potiendi ) c'è quella negativa
volontà di possesso che inquina l'amore il quale nella forma sana è desiderio di
vedere il potenziamento, non la sottomissione dell'amato.
L'atteggiamento negativo
dell'innamorato possessivo quale viene descritto dal discorso di Lisia del
Fedro platonico viene spiegato meglio da Socrate quando chiarisce che
siffatto ejrasthv" è malato e, per
chi ha tale malattia (nosou'nti), è
piacevole l'amato incapace di opporgli resistenza, mentre chi è più forte di lui
o anche pari, gli è ostile, pertanto cerca di renderlo inferiore e più debole
(239a). Insomma in rapporti del genere l'
ejrwvmeno" , l'amato, diviene vittima dell'
ejrasthv" , l'amante, il quale ama
wJ" luvkoi a [rna" ajgapw'sin (241d)
come i lupi amano gli agnelli..
Ebbene, chiarisce Socrate, tale
relazione non ha niente a che vedere con Eros che è figlio di Afrodite e, come
un dio o qualcosa di divino, non può essere un male (qeo;"
hj; ti qei'on oJ [Erw", oujde;n aj;n kako;n ei [h", 242e). Allora
è necessaria una palinodia e una confutazione dei detrattori. In effetti l'amore
sano non può che desiderare l'accrescimento e il potenziamento della persona
amata. L' eros positivo "si fonda sempre su certi elementi comuni a tutte
le forme d'amore. Questi sono: la premura , la responsabilità , il
rispetto e la conoscenza ...Amore è interesse attivo per la vita
e la crescita di ciò che amiamo...Cura e interesse implicano un altro aspetto
dell'amore: quello della responsabilità...la mia risposta al bisogno espresso o
inespresso di un altro essere umano. Essere "responsabile" significa essere
pronti e capaci di "rispondere". Giona non si sentiva responsabile degli
abitanti di Ninive. Egli, come Caino, poteva domandare:"Sono il custode di mio
fratello?". La persona che ama risponde. La vita di suo fratello non è solo
affare di suo fratello, ma suo"
[7] .- fluctuat incertis erroribus ardor amantum (v.
1077): il poeta applica agli amanti in genere la metafora nautica con la
quale diversi autori greci raffigurano la città che, sconvolta dalla guerra
civile, è come una nave travagliata dai flutti. E' uno dei
tovpoi letterai più diffusi nella
letteratura europea
[8] .
Cacciari vede
l'antitesi di questo fluttuare della polis degli uomini nella stabilità della
casa e della famiglia voluta dalle donne. "La commedia di Aristofane ha
gettato uno sguardo profondo sul carattere, tragico, di tale relazione.
Arduo è per le donne l' "éxodos", l'uscir-fuori (Lisistrata , 16), il
loro luogo è "dentro" (510, 517). Se si decidono finalmente ad 'uscire' è per
convincere la polis all'ordine dell' 'interno'. E cioè per fare di essa un
oikos-anzi non solo della polis, ma dell'intera Ellade. "Ma voi come pensate di
far cessare tutta questa confusione, di risolvere questi affari?", chiede a
Lisistrata il probulo. Semplicemente trattando le cose della polis come la
nostra lana, risponde la donna, tendendola, sbrogliandola. E Prassagora:"Voglio
fare della città una casa sola ( mivan oi [khsin),
abbattendo tutti i muri, così che si possa andare dall'una all'altra" (Ecclesiazuse,
673-674). Gli uomini fanno la guerra, dilapidano, pensano a prendere e basta,
inseguono cariche, chiacchierano insopportabilmente nell'agorà. Impossibile pace
finché comanderanno le loro leggi. La polis, anche quando le cose funzionano,
non sta bene "se non escogita qualche novità (ti
kainovn)" (Ecclesiazuse, 218-220); l'ordine dell'oikos, invece, è
totalmente estraneo a tentativi ed esperimenti (koujci;
metapeirwmevna"-i [doi" a] n aujtav"
[
[9] , 217-218). Finché
esisteranno remi e triremi, e finché vi sarà denaro per armarle, non vi sarà
tranquillità (Lisistrata, 172-174); finché lo Stato sarà una nave, vivrà
agitato come Ulisse "kuvmasi kai; polevmw/"
[10] . Le donne di Aristofane lo sanno come lo sa la tragedia"
[11] .
"Ardor amantum è clausola
allitterante dopo la dieresi bucolica. Al v. 1078 (quid...fruantur ) la
costruzione di fruor con l'accusativo (invece dell'ablativo) è arcaica
(si trova, per esempio, in Catone il Vecchio e in Terenzio)"
[12] . Si può forse aggiungere che quando l'ardor è
potente come quello di Leandro, viene spento dall'ondeggiare del flutto non
prima della vita dell'amante. Il verbo fruor rende non solo l'idea del
godimento ma anche quella dell'uso. Arte con la -e lunga è
avverbio da artus -a-um.- Dentis (=dentes)… inlidunt labellis al
v. 1080, fa riferimento ai morsi d'amore che gli amanti si scambiano (le
molles morsiunculae , "morsettini" sui teneri labelli di Plauto,
Pseudolus , v. 67; cfr. Catullo, carme 8, v. 18: Quem basiabis? cui
labella mordebis? ); ma qui la scelta del verbo inlidere (da
in+laedo ; il verbo semplice torna al v. 1082) sottolinea la violenza
irrazionale dell'atto, e labellis serve proprio a rilevare il contrasto
fra la situazione amorosa (cui il diminutivo affettivo è funzionale) e l'impulso
violento che spinge, invece, a far male"
[13] . Questo mordere e il successivo adfligunt
(lezione di O concorrente con afigunt di Q) rendono l'idea
dell'ostilità degli amanti intrecciati da tale voluptas non pura. Il
mordere durante la copula erotica corrisponde alla volontà di impossessarsi di
qualcosa dell'altro, all'amare wJ" luvkoi a
[rna" ajgapw'sin (Fedro , 241d) s'è detto. Già nell'inno a Venere
del proemio ci sono avvisaglie della violenza dell'amore dove gli uccelli del
cielo sono "perculsae corda tua vi" (I, 13), colpite (da percello)
nel cuore (corda è accusativo di relazione) dalla tua forza. Ma lì si
tratta appunto di aeriae…volucres (I, 12). "Nell'uomo (per ora assente
nel proemio) all'istinto naturale dell'accoppiamento s'unisce perniciosamente la
passione psicologica, il che non avviene negli animali"
[14] .
Secondo Lucrezio ogni forma di
eros che non sia controllato dalla ratio è malsana e contaminata dalla
violenza, dal dolore, dall'angoscia . "Rabies è una forma alternativa
di genitivo per rabiei ; la passione erotica è vista espressamente come
rabies o furor (v. 1117). Rabida è detto talora della
libido (specie femminile)"
[15] . "In più occasioni Lucrezio consegue effetti di
alta espressività e di vero e proprio espressionismo incentrato sulla violenza e
ostilità dei due sessi"
[16] .
Procediamo con la lettura del
poema di Lucrezio:"Sed leviter poenas frangit Venus inter amorem/blandaque
refrenat morsus admixta voluptas./Namque in eo spes est, unde est ardoris origo,/restingui
quoque posse ab eodem corpore flammam./ Quod fieri contra totum natura repugnat;/unaque
res haec est, cuius quam plurima habemus,/tam magis ardescit dira cuppedine
pectus./ Nam cibus atque umor membris assumitur intus;/quae quoniam certas
possunt obsidere partis, /hoc facile expletur laticum frugumque cupido " (IV,
1084-1093), ma un poco spezza i tormenti Venere in mezzo all'amore e il piacere
carezzevole, pur mescolato, doma i morsi. Infatti in questo si spera, che da
dove scaturisce l'ardore, dal medesimo corpo possa anche spengersi la fiamma. Ma
la natura ribatte che avviene tutto il contrario, e questa è la sola cosa di
cui, quanto più ne abbiamo, tanto più il petto arde di una brama tremenda.
Infatti il cibo e i liquidi vengono assunti dentro le membra dal momento che
essi possono occupare determinate parti, perciò facilmente si sazia la brama di
liquidi e cibo.
Da frangit si vede che
anche il carezzevole alleviamento dei tormenti è traumatico siccome la
voluptas è admixta , quia non est pura (v. 1081) non è
integrale ma è mischiata di dolore. L'orgasmo di una ragazza toccata dal suo
ragazzo viene descritto da Giuseppe Berto come qualcosa di simile a una
frattura in una pagina che contiene qualche eco lucreziana:" mentre in lei
avveniva un che di poco chiaro come una specie d'irrigidimento cedevole o di
cedevolezza contratta e smetteva anche di dire le parole tenere inquantoché si
teneva le labbra a morsi forse temendo di mettersi a gridare e quindi respirava
col naso sempre più frequentemente e in ultimo dopo una rottura piena di brividi
gli diceva basta..."
[17] . In flammam (v. 1087) torna l'immagine
topica che abbiamo trovato tante volte con l'indicazione dell'illogicità della
speranza che l'esca della fiamma, il corpo desiderato. possa spengere lo stesso
fuoco suscitato da lui. Di fatto l'amore non è logico: può essere al di sopra o
al di sotto della logica, ma puramente logico non è. Lo ha chiarito Socrate nel
Fedro platonico. In dira cuppedine (forma arcaica di cupidine
, v. 1090) torna la terribilità della brama già denunciata al v. 1046. E' il
tovpo" dell'amore tremendo, deinov"
, che è davvero tale quando è ostacolato come quello, già visto, di Ero (Ero
e Leandro , v. 245) o non è contraccambiato, come quello dell'Ermengarda
manzoniana:"Amor tremendo è il mio"
[18] .- Assumitur intus (v. 1091): la
differenza tra il cibo che si mangia, o i liquidi che si bevono, e il corpo
dell'amante è che questo, a meno di essere cannibali, non può essere
inghiottito, anche se certe persone nei rapporti umani appaiono voraci. La
trasfusione possibile e accrescitiva, abbiamo visto è solo quella delle anime.
Secondo Lucrezio gli amanti possono introiettare soltanto simulacra...tenuia
(vv. 1095-1096), simulacri sottili che si staccano dal corpo bramato ma con
questi non si saziano, come un assetato che nel sonno crede di bere non si
disseta:"Ex hominis vero facie pulchroque colore/nil datur in corpus praeter
simulacra fruendum/tenuia; quae vento spes raptast saepe misella./
Ut bibere in somnis sitiens cum quaerit et umor/non datur,
ardorem qui membris stinguere possit,/sed laticum simulacra petit frustraque
laborat/in medioque sitit torrenti flumine potans…"
(vv. 1093-1100), ma dell'aspetto e dell'incarnato bello dell'essere umano
nulla è concesso da godere dentro il corpo, se non simulacri sottili; speranza
meschina che spesso viene involata dal vento. Come quando chi ha sete nel sonno
cerca di bere, e non gli è concessa l'acqua che possa spengere l'ardore del
corpo, ma si lancia su simulacri di liquidi e si affanna per niente, e mentre
beve in mezzo a un fiume che scorre, ha sete.-simulacra: sono le membrane
impalpabili che si staccano dai corpi e colpiscono la nostra percezione visiva.
Il termine greco corrispondente è ei [dwla.-tenuia:"
trisillabico, con -u- semiconsonantico, che chiude la prima sillaba,
allungandola. Nel risalto datogli dall'enjambement, dice anche la
delusione dell'amante: ciò di cui si può appropriarsi veramente (frui)
sono solo immagini sottili e inconsistenti"
[19] .
La vita umana come ombra e
sogno.
Non è l'uomo comunque sogno di
un'ombra? E' questa una considerazione che va da Pindaro:"
skia'" o [nar/a
[nqrwpo""
[20] ; a Sofocle che nell'Aiace fa dire a
Ulisse, preso da rispetto e compassione per il nemico precipitato nella follia
:" JOrw'' ga;r
hJ ma'" oujde;n oj;nta" a [llo plh;n-ei [dwl j, o{soiper zw'men, hj; kouvfhn
skiavn "(vv.125-126) vedo
infatti che non siamo altro che larve, quanti viviamo, o muta ombra; a
Shakespeare nel Macbeth fa dire al protagonista prossimo alla fine:"Life's
but a walking shadow; a poor player, That struts and frets his hour upon the
stage, And then is heard no more: it is a tale Told by an idiot, full of sound
and fury, Signifyng nothing" (V, 5), la vita è solo un'ombra che cammina; un
povero attore che si pavoneggia e si agita sulla scena nella sua ora e poi non
se ne parla più: è la storia raccontata da un idiota, piena di frastuono e di
furia, che non significa nulla.
Prospero nella La
tempesta (del 1612) conclude :" We are such stuff/as dreams are made
on; and our little life/is rounded with a sleep", Noi siamo fatti con la
materia dei sogni, e la nostra breve vita è circondata dal sonno"(IV, 1).
"Fu nel Rinascimento-le utopie lo
dimostrano-, che l'uomo cominciò nuovamente a sognare se stesso, a fantasticare
sul suo essere, e ridestò il dubbio, l'angoscia, il sogno riguardo al proprio
destino. Più tardi, nella Controriforma, l'inquietudine metafisica sarebbe stata
rimodellata in forma ortodossa affermando che la vita è sogno"
[21] .
-vento : si ricorderà che
nel carme 70 di Catullo citato sopra il vento costituisce, insieme con l'acqua,
la materia instabile su cui non si possono scolpire le parole di devozione e
fedeltà di Lesbia per il poeta innamorato.-umor: etimologicamente
imparentato con uJgrovth" , umidità
e uJgrov" , umido. Nella tragedia
greca la polvere, che deriva dalla mancanza di umido, è segno di sterilità, un
simbolo ripreso da T. S. Eliot.
"sic in amore Venus simulacris
ludit amantis/nec satiare queunt spectando corpora coram/nec manibus quicquam
teneris abradere membris/possunt errantes incerti corpore toto./Denique cum
membris collatis flore fruuntur/aetatis, iam cum praesagit gaudia corpus/atque
in eost Venus ut muliebria conserat arva,/adfigunt avide corpus iunguntque
salivas/oris et inspirant pressantes dentibus ora,/nequiquam, quoniam nil inde
abradere possunt/nec penetrare et abire in corpus corpore toto;/nam facere
interdum velle et certare videntur:/usque adeo cupide in Veneris compagibus
haerent,/ membra voluptatis dum vi labefacta liquescunt " (IV, vv.
1101-1114), così nell'amore Venere con i simulacri beffa gli amanti, né possono
saziarsi rimirando i corpi presenti, né con le mani possono raschiare via nulla
alle tenere membra, mentre errano incerti per tutto il corpo. Infine, come,
congiunte le membra, godono del fiore della giovinezza, quando già il corpo
pregusta il piacere e Venere è sul punto di seminare i campi della femmina,
inchiodano avidamente il corpo e mescolano le salive della bocca, e ansimano
premendo coi denti le labbra, invano poiché di lì non possono raschiare via
niente, né penetrare e sparire nel corpo con tutto il corpo, infatti sembrano
talvolta volere farlo lottando: a tal punto sono avidamente attaccati nei
lacci di Venere, mentre le membra sdilinquite dalla violenza del piacere si
struggono.-corpora coram "nota la clausola allitterante e fortemente
assonante, dopo la dieresi bucolica...Teneris abradere membris è di
nuovo una iunctura ossimorica (vedi sopra: vv. 1080-1081), in cui si
uniscono un verbo connotato di violenza e un epiteto (teneris ) indicante
delicatezza e affettività (come, al v. 1080, labellis ). L'insistenza
sull'impotenza degli amantes a raggiungere la soddisfazione (nec...queunt...nec
possunt ), cui così freneticamente aspirano, genera la consueta reazione
mista di pietà e derisione"
[22] .
Vorrei aggiungere un mio
contributo comparativistico: ne Il castello di Kafka viene
descritta una copula del genere per denunciare l'impossibilità o l'impotenza
dell'amore tra K. e Frieda:"poiché la seggiola era accanto al capezzale,
vacillarono e caddero sul letto. E lì giacquero, ma non con l'abbandono di
quella prima notte. Lei cercava qualcosa, e lui pure, e ciascuno, furente e col
viso contratto, cercava, conficcando il capo nel petto dell'altro: né i loro
amplessi né i loro corpi tesi li rendevan dimentichi, ma anzi li richiamavano al
dovere di cercare ancora; come i cani raspano disperatamente il terreno, così
essi scavavano l'uno il corpo dell'altro, e poi, delusi, smarriti, per trovare
un'ultima felicità, si lambivano a volte con la lingua vicendevolmente il viso.
Solo la stanchezza li pacificò e li riempì di mutua gratitudine. Poi
sopraggiunsero le due serve. "Guarda quei due sul letto" disse l'una, e per
compassione li coprì d'un lenzuolo"
[23] .- Membris collatis è ablativo assoluto con il
participio di confero . In questa espressione c'è l'idea di un corpo a
corpo ostile (cfr. arma, manum, pedem, signa conferre nel senso di
ingaggiare il combattimento).- "Flore fruuntur è clausola allitterante
dopo la dieresi bucolica"
[24] .-Eost=eo est .-Ut muliebria conserat arva
: "Per rendere efficace e visibile la dinamica del rapporto sessuale, Lucrezio
non rifugge da immagini potenti e crude, prese a prestito dall'agricoltura"
[25] . Per questa immagine metaforica cfr. la scheda
"assimilazione della donna alla terra".- oris :"è inutile per il senso,
ma permette la raffinatezza del poliptoto a cornice (oris...ora )"
[26] .-nequiquam : "la pesante parola, che costituisce
un molosso (una sequenza, cioè, di tre sillabe lunghe) ed è collocata nel
risalto della sede iniziale davanti a cesura semiternaria, non lascia scampo
alle illusioni degli amantes "
[27] . La stessa situazione si ripete al v. 1133.-in corpus
corpore : il poliptoto a contatto è espressivo del desiderio simbiotico dei
due amanti, ma la simbiosi non è amore:"In contrasto con l'unione
simbiotica, l'amore maturo è unione a condizione di preservare la propria
integrità, la propria individualità"
[28] .-certare : la volontà simbiotica include quella
di lottare per la sopraffazione poiché ognuno dei due vuole essere l'elemento
predominante e un rapporto alla pari non è possibile siccome anche le relazioni
erotiche, come tutte quelle umane, se non vengono corrette dalla moralità, sono
connotate dalla legge del più forte che sottomette e sfrutta chi è più debole.
Abbiamo già sentito Tucidide (V, 105, 2) per la sfera politico-militare, ora
diamo la parola a C. Pavese per quella più genericamente umana e più
specificamente amorosa:" Tipologia delle donne: quelle che sfruttano e quelle
che si lasciano sfruttare....Le prime sono melliflue, urbane, signore. Le
seconde sono aspre, maleducate, incapaci di dominio di sé. (Ciò che rende
villani e violenti è la sete di tenerezza.) Tutti e due i tipi confermano la
impossibilità di comunione umana. Ci sono servi e padroni, non ci sono
uguali. La sola regola eroica: essere soli soli soli"
[29] .- In Veneris compagibus : l'amore come trappola
che allaccia e come rete è denunciato da Cassandra nell'Agamennone di
Eschilo:"ajll& a [rku" hJ xuvneuno""
(v. 1116), ma una rete è la compagna di letto.-labefacta liquescunt :
l'allitterazione in clausola con la liquida rende fonicamente l'idea dello
scioglimento delle membra.
"Tandem ubi se erupit nervis
conlecta cupido/parva fit ardoris violenti pausa parumper./Inde redit rabies
eadem et furor ille revisit,/cum sibi quid cupiant ipsi contingere quaerunt,/nec
reperire malum id possunt quae machina vincat:/usque adeo incerti tabescunt
vulnere caeco " (IV, 1115-1120), finalmente, quando si è lanciato fuori dai
nervi il desiderio raccolto, segue per un poco una piccola pausa dell'ardore
violento. Quindi torna la medesima rabbia e quella smania a infuriare, mentre
essi stessi si chiedono che cosa bramano raggiungere, né sono capaci di trovare
quale espediente superi quel male: sino a tal punto senza saperlo si struggono
con cieca ferita.-Nervis : nervus è etimologicamente imparentato
con neu'ron e i suoi significati
vanno da "membro virile" (in Orazio, Epodi , 12, 19) a "carcere".
Comunque l'eiaculazione è una scarica di tensione nervosa che fornisce una
parva pausa...parumper . "Le due parole (parva...parumper )
etimologicamente collegate sono poste a cornice del verso (e l'allitterazione è
rinforzata da pausa , grecismo per mora)"
[30] . Né sembra che ci sia gioia in questa pausa breve e
malsicura. Pare che ci sia al massimo un "piacer figlio d'affanno" come
nell'idillio di Leopardi
[31] .
Schopenhauer afferma
esplicitamente la scarsa soddisfazione che consegue alla scarica erotica:"Non si
è notato come "illico post coitum cachinnus auditur diaboli "? La qual
cosa, detta seriamente, si fonda sul fatto che il desiderio sessuale,
soprattutto quando si concentra nell'innamoramento fissandosi su di una donna
determinata, è la quintessenza dell'imbroglio di questo nobile mondo; perché
promette così indicibilmente, infinitamente e straordinariamente molto, e
mantiene, poi, così miserabilmente poco"
[32] .-redit rabies...furor revisit : chiasmo e
allitterazione in r -. Sembra che la copula si prepari con un digrignare
di denti.
Il messaggio è che l'atto
sessuale è congiunto al dolore e all'infelicità.
Sentiamo ancora Schopenhauer:"giustamente
Platone (all'inizio della Repubblica ) stima felice la vecchiaia, in
quanto infine libera dall'istinto sessuale, che tormenta incessantemente l'uomo
sino a quel momento. Si potrebbe anzi sostenere che i molteplici e infiniti
capricci provocati dall'istinto sessuale, e gli affetti sorti da questi,
mantengono nell'uomo una costante e soave follia, sintanto che egli resta sotto
l'influsso di quell'impulso o di quel diavolo, da cui è di continuo posseduto;
soltanto con la sua estinzione egli diventerebbe quindi del tutto assennato...La
causa di ciò non sta in altro se non nel fatto che la gioventù rimane ancora
sotto il dominio, o meglio il servaggio di quel demone, che non le concede
facilmente neppure un'ora libera, e al tempo stesso è l'autore immediato e
mediato di quasi tutte le sventure che colpiscono e minacciano l'uomo: la
vecchiaia ha per contro la serenità di chi si è liberato da una catena portata
per lungo tempo, e si muove ora liberamente...il vecchio è penetrato della
massima del'Ecclesiaste : "tutto è vano", e sa che tutte le noci sono
vuote, per quanto esse possano venir ricoperte d'oro"
[33] .
La vecchiaia per giunta "è libertà
dall'obbligo di attestare a se stessi e agli altri il proprio valore, la propria
capacità e vitalità" scrive Magris
[34] a proposito dei vecchi di Svevo i quali del resto
non hanno deposto del tutto le loro pretese sessuali.
Il biasimo del sesso invece viene
attribuito da Platone a Sofocle oramai anziano, il quale, quando Cefalo gli
domanda:"pw'"...e [cei" pro;" tajfrodivsia;
e [ti oiJov" te ei'j gunaiki; suggivgnesqai
" , come ti va nelle cose d'amore? sei ancora capace di congiungerti con
una donna?, risponde: "eujfhvmei w'j a [nqrwpe:
aJsmenevstata mevntoi aujto; ajpevfugon, wJvsper luttw'ntav tina kai; a [grion
despovthn ajpodrav"" (Repubblica
, 329c), sta' zitto tu, infatti con grandissima gioia me ne sono liberato, come
se fossi fuggito da un padrone furente e selvaggio.
Questo anatema di Sofocle viene riferita e approvata da Catone il vecchio nel
De senectute di Cicerone :" Bene Sophocles, cum ex eo quidam
iam affecto aetate quaereret utereturne rebus veneriis:"Di meliora! inquit;
libenter vero istinc sicut ab domino agresti ac furioso profugi " (14),
opportunamente Sofocle quando, già vecchio e fiaccato dagli anni, un tale gli
chiedeva se facesse ancora del sesso, disse: dio ne scampi, volentieri invero
sono scappato di lì come da un padrone selvaggio e furioso!
Nella stessa opera del resto il piacere dei sensi in generale viene smontato:"
impedit enim consilium voluptas, rationi inimica est, mentis, ut ita dicam,
praestringit oculos, nec habet ullum cum virtute commercium " (12), in
effetti il piacere impedisce il giudizio, è nemico della ragione, abbaglia, per
così dire, gli occhi della mente e non ha alcun rapporto con la virtù.
Di fatto ancora negli anni Cinquanta del Novecento la pretaglia delle parrocchie
di Pesaro diceva ai ragazzini che se uno pensava troppo alle femmine diventava
cieco, e non solo di mente.
-quid cupiant : il desiderio di fondo è quello di generare nel bello.
Diotima, volendo dire che cos'è l'amore tradotto in atto (to;
e [rgon), dà questa definizione:"
e [sti ga;r tou'to tovko" ejn kalw'/
, kai; kata; to; sw'ma kai; kata; th;n yuchvn
" (Simposio , 206b), questo è generazione nel bello sia secondo il corpo
sia secondo l'anima. La nostra natura infatti, precisa Diotima, desidera
generare, ma generare nel brutto non può, bensì nel bello ("tivktein
ejpiqumei' hJmw'n hj fuvsi" : tivktein de; ejn me;n aijscrw'/ ouj duvnatai, ejn
de; tw'/ kalw'/", 206c). Questo è il
vero motivo del cupere . Infatti tutti i tentativi di svalutare l'atto
sessuale non resistono a questa obiezione di C. Pavese:" Se il chiavare
non fosse la cosa più importante della vita, la Genesi non comincerebbe di lì"
[35] . Abbiamo già detto del
tentativo di sottrarre la creazione della vita all'accoppiamento tra il maschio
e la femmina. Succede quando non è possibile unirsi nel bello e si copula nel
brutto, in maniera non creativa ma distruttiva, tanto che "l'amore divino si
trasforma in lussuria, l'abbraccio in una spaventevole, digrignante chiavata"
[36] .-machina : è un
altro grecismo ( mhcanhv):
l'uomo erotico in effetti deve essere come Odisseo
polumhvcano",
poiché la sessualità è centrale nella vita:" Ulisse è l'eroe polùmetis
(scaltro) come è polùtropos (versatile) e poluméchanos nel senso
che non manca mai di espediento, di pòroi , per trarsi d'impaccio in ogni
genere di difficoltà, aporìa ...La varietà, il cambiamento della metis,
sottolineano la sua parentela con il mondo multiplo, diviso, ondeggiante dove
essa è immersa per esercitare la sua azione. E' questa complicità con il reale
che assicura la sua efficacia"
[37] .
Aggiungo che la metis è lo strumento con cui Polluce prevale sulla forza
bruta di Amico, il re dei Bebrici che lo aveva sfidato nella gara di pugilato:
Polluce schivava gli assalti dello sfidante bestiale e grazie all'intelligenza (dia;
mh'tin
[38]
) restava semptre incolume-tabescunt :
tabescere indica lo struggersi d'amore anche in Properzio (3, 6, 23) e in
Ovidio (Met. 3, 445) Dalla stessa radice il sostantivo tabes,
decomposizione e, il verbo greco,
thvkw, sciolgo.-vulnere caeco :
la ferita è cieca in quanto è incomprensibile a chi intende l'amore quale azione
prevaricatoria ed essa non dà luce come invece fanno i vulnera sanati
dalla comprensione che, lo abbiamo detto, ci parlano come bocche non mute.
"Adde quod absumunt viris pereuntque labore/adde quod alterius sub nutu
degitur aetas/languent officia atque aegrotat fama vacillans " (1121-1123),
aggiungi che esauriscono le forze e si annientano con la fatica, aggiungi che la
vita si consuma sottomessa ai cenni di un altro, nei doveri sei fiacco e la
reputazione si ammala e traballa.-absumunt viris (vires ): è solo l'amore
non contaccambiato, che, come un investimento improduttivo, provoca questa
sensazione di illangidimento; l'eros indirizzato sulla persona congeniale,
viceversa, dà un senso di potenziamento, di vitalità rinnovata e di gioia.-sub
nutu : probabilmente Leopardi ricorda questo passo scrivendo:"Or ti vanta,
che il puoi. Narra che sola/sei del tuo sesso a cui piegar sostenni/l'altero
capo "
[39] .-fama : l'alta considerazione della fama è indizio
dell'appartenenza alla civiltà di vergogna. L'innamorato invece è un ispirato
che vede oltre le cose terrene e non si cura dell'opinione dei più.
maggioli
"Labitur interea res et Babylonica fiunt/unguenta et pulchra in pedibus
Sicyonia rident/scilicet et grandes viridi cum luce zmaragdi/ auro includuntur
teriturque thalassina vestis/assidue et Veneris sudorem exercita potat " (vv.
1124-1128), si scialacqua nel frattempo la roba, e diventa profumi di Babilonia,
e calzari belli di Sicione sorridono nei piedi e naturalmente grossi smeraldi
con la luce verde sono incastonati nell'oro e si consuma la veste colore del
mare continuamente, e tenuta in esercizio beve sudore di Venere.-Labitur...res
: cfr. Sofocle, Antigone , 782:"
jvErw", oJ;" ejn kthvmasi pivptei"",
Eros che sulle ricchezze ti abbatti.-Babylonica : nella nostra tradizione
letteraria le cose di Babilonia sono spesso esotiche, lussuriose e smisurate.
Sentiamo, per esempio il realismo magico di Marquez:"in un mercoledì di
gloria fecero venire un treno carico di puttane inverosimili, femmine
babiloniche addestrate a trucchi immemorabili, e provviste di ogni sorta di
unguenti e dispositivi per stimolare gli inermi, aizzare i timidi, saziare i
voraci, esaltare i modesti, temperare i multipli e correggere i solitari"
[40] . "Nei codici il nostro
v. 1124 si legge in realtà dopo il v. 1122 e fu il filologo del XVI secolo
Lambinus (=Denys Lambin) a dare al testo l'attuale ordine, che ha il pregio di
riferire Babylonica (come aggettivo sostantivato di difficile
comprensione: "oggetti di Babilonia" ?) a unguenta ( erano noti i
profumi di Babilonia, come informa Erodoto, Storie I, 195); l'inversione
sarà stata provocata o facilitata dall'identica iniziale delle due parole
languent e labitur . In fiunt il numero plurale (dopo il
singolare res ) si spiega come attrazione da parte del predicato "
[41] . -rident :
il sorriso è trasferito dal volto della
donna, o dell'amante, al regalo di cui essi sono soddisfatti. I sandali insomma
riverberano il sorriso delle persone come la distesa marina quello di Venere:"
tibi rident aequora ponti " (I, 8).-grandes viridi cum luce zmaragdi
: evocano le spese folli dell'amante innamorato, e , forse, occhi femminili tesi
ad affascinare come quelli, già segnalati, della Carmen di Svevo.-thalassina
: aggettivo, hapax , è formato su
qavlassa,
"mare", dunque "marina". Tale veste può riprodurre il colore degli smeraldi o
degli occhi dell'amata cui l'amante avrebbe potuto rivolgere la battuta che
Proust fa dire a Swann rivolto a una prostituta:"Che cosa carina: ti sei
messa degli occhi azzurri dello stesso colore della tua cintura!"
[42] .-potat :
Lucrezio vuole indicare una bevuta laida, quasi una fellatio della
vestis . "La radice del verbo deriva dall'indoeuropeo *po- che ha
dato come esito in greco pi-/po-/pw-,
in latino po- (il verbo bibo deriva da *bi-po )"
[43] .
"Et bene parta patrum fiunt anademata, mitrae, /interdum in pallam atque
Alidensia Ciaque vertunt " (1129-113O), e il patrimonio dei padri
onestamente acquistato diventano bende e copricapi, talora si cambia in pepli e
in tessuti di Alinda e di Ceo".-anademata : è una traslitterazione di
ajnadhvmata,
"bende", da ajnadevw=cingo.-mitrae
da mitra che traslittera
mivtra, ed è un copricapo orientale,
una specie di cuffia.-pallam : è una sopravveste da donna, pure di
origine greca.-Alidensia : da Alinda, in Caria.-Ciaque : "di Ceo
nelle Cicladi, che Lucrezio-come già Varrone e poi Plinio (vd. nat. hist.
4, 62)- confonde qui con Cos, celebre per le sue stoffe"
[44] . Sembra che l'amore
provochi sperperi tesi a gratificare la sanguisuga amata . Questo è detto
esplicitamente nella tirata antifemminista dell'Ippolito di Euripide
di alcuni versi della quale forse si è ricordato Lucrezio:" E quello che ha
preso in casa la pianta perniciosa gode nel porre intorno all'idolo malvagio (ajgavlmati…
kakivstw/////) ornamenti belli e si
affatica intorno ai pepli, infelice (kai;
pevploisin ejkponei'-duvsthno") ,
distruggendo la ricchezza della casa" (vv. 630-633). Ma la brama di tale
distruttiva pianta dell'accecamento ("ajthrovn...futovn",
v. 630) non è amore poiché l'amore è un'entità benefica e costruttiva.
Vediamo un momento, purtroppo fuggitivo, di vero amore in Resurrezione di
Tolstoj:" Bastava che Katjuŝa entrasse nella stanza o che da lontano Nechljùdov
scorgesse il suo grembiule bianco, perché tutto gli apparisse illuminato dal
sole, tutto diventasse più interessante, più giocondo, più ricco di significato,
perché la vita diventasse più lieta. E anche per lei era così"
[45] .
"Eximia veste et victu convivia, ludi, /pocula
crebra, unguenta coronae serta parantur, /nequiquam, quoniam medio de fonte
leporum/surgit amari aliquid quod in ipsis floribus angat
..." (vv. 1131-1134):"si preparano conviti con apparato e portate sfarzose,
giochi, tazze fitte, profumi, corone. ghirlande, invano poiché dal mezzo della
sorgente dei piaceri sgorga qualche cosa di amaro che angoscia persino in mezzo
ai fiori.-"Eximia è ablativo concordato con il solo veste , ma si
riferisce anche a victu ; veste varrà qui vestis stragula
(a differenza di vestis al v. 1127), drappo per divani in stoffa
evidentemente preziosa"
[46] . Tutto lo sfoggio
pacchiano (trimalchionesco diremmo, dopo il Satyricon , ma si può pensare
anche a quello del Creso erodoteo) attira consensi che non appagano. Una via di
soddisfazione autentica, senza angoscia, la indica Seneca :"qui domum
intraverit nos potius miretur quam supellectilem nostram " (Ep. a Lucilio
, 5, 6) , chi sarà entrato in casa nostra ammiri noi piuttosto che le nostre
suppellettili.-nequiquam : la parola lunga e pesante, in posizione
enfatica, inficia l'accumulo di cose ammucchiate ed esibite.-amari :"la
paronomasia-come ai vv. 1054 e 1056 riduceva l'amor a pura
manifestazione fisiologica (umorem )- qui lo riduce a semplice sofferenza
interiore (amari )"
[47] .
"aut cum conscius ipse animus se forte remordet/desidiose agere aetatem
lustrisque perire..." (vv. 1135-1136), o perché l'animo senza volere si
tormenta da solo rendendosi conto di passare la vita senza far nulla e di
esaurirsi nella crapula...-forte : il tormento viene addosso "per caso"
nel senso che quando agiamo in maniera distruttiva e contraria alla vita in
generale, o, nella fattispecie, al mos maiorum , cerchiamo di respingere
la pena, ma questa, sempre viva, ci vola addosso. Per l'immagine mutuata cfr.
Edipo re , vv. 481-482.
"aut quod in ambiguo verbum iaculata reliquit/quod cupido adfixum cordi
vivescit ut ignis, aut nimium iactare oculos aliumve tueri/quod putat in
vultuque videt vestigia risus " (vv. 1137-1140), o perché ella, scagliata
una parola in parte incerta, ha lasciato una cosa che, conficcata nel cuore
bramoso, fiammeggia viva come fuoco, o perché egli pensa che lei lanci troppe
occhiate e miri a un altro e vede nel volto il riflesso di un sorriso.-aut
: altra spiegazione di questa eziologia del dolore.- in ambiguo=in
ambiguum . Ambiguus è formato da amb- e ago:" che
inclina in due direzioni, malfermo".
Abbiamo visto che Pirandello estende questa ambiguità a ogni comunicazione
verbale
[48] .-iaculata
(da iaculor ; iaculum è il giavellotto): la parola della donna
amata, se non è del tutto benevola, diventa un arma. Sentiamo di nuovo Leopardi
in Aspasia :" Narra che prima,/e spero ultima certo, il ciglio mio/supplichevol
vedesti, a te dinanzi/me timido, tremante (ardo in ridirlo/di sdegno e di rossor),
me di me privo,/ogni tua voglia, ogni parola, ogni atto/spiar sommessamente, a'
tuoi superbi/fastidi impallidir, brillare in volto/ad un segno cortese, ad ogni
sguardo/mutar forma e color" (vv. 92-101).-adfixum...ignis : la ferita e
la fiamma sono messe insieme perché si potenzino a vicenda nel rappresentare la
pena d'amore.-iactare oculos : il verbo, etimologicamente imparentato con
iaculor , lancio, iaculum, giavellotto, e iactura, danno,
rende l'idea del lancio dannoso: in questo caso di un'arma a doppio taglio che
lusinga l'occhieggiato e ferisce l'amante.-vultuque videt vestigia : la
triplice allitterazione in v- sembra rendere fonicamente il rimuginare
sofferente del geloso.
"Atque in amore mala haec proprio summeque secundo/inveniuntur; in adverso
vero atque inopi sunt,/prendere quae possis oculorum lumine operto,/innumerabilia;
ut melius vigilare sit ante,/qua docui ratione, cavereque ne inliciaris " (vv.
1141-1145), e questi mali si trovano in un amore conquistato e corrisposto al
massimo, ma in uno non contraccambiato e per il quale non si ha la forza, ce ne
sono innumerevoli che puoi afferrare a occhi chiusi; sicché è meglio mettersi in
guardia prima, secondo il metodo che ho insegnato, e stare attento a non essere
adescato.-inopi : per conquistare l'amore come per vincere guerre o gare
ci vogliono mezzi (opes ) che possono variare dalla bellezza, alla
ricchezza, al potere, al genio, poiché l'amore, soprattutto quello delle donne,
nasce dall'ammirazione. "Farsi amare per pietà, quando l'amore nasce solo
dall'ammirazione, è un'idea molto degna di pietà"
[49] .-
Nelle Troiane di Euripide, Elena, secondo Ecuba, fu attirata dallo
splendore di Paride: sia quello della bellezza, sia quello delle ricchezze che
portava con sé e che possedeva a Troia dove l'oro scorreva a fiumi. L'adultera,
lasciata Sparta, sperava di sommergere nelle spese la città dei Frigi, poiché
non le bastavano i palazzi di Menelao per trasmodare nel lusso (vv. 994-995).
Quanto al suo parteggiare per i Troiani o per i Greci durante la guerra, la
bellissima stava sempre dalla parte del vincitore: se prevaleva Menelao,
lo esaltava per umiliare Paride, se avevano successo i Troiani, lo spartano non
era più nulla ("oujde;n h'jn ovJde",
v. 1007). La figlia di Zeus insomma seguiva la fortuna, non la virtù. In effetti
non solo l'adultera di Sparta ma le femmine, umane e no, in genere hanno senso
pratico e stanno sempre dalla parte di chi ha i mezzi per vincere. "Le donne non
perdonano l'insuccesso", dice bene Kostantin, il ragazzo suicida de Il
gabbiano
[50]
di Cechov ; "Se
una donna non tradisce, è perché non le conviene" sostiene Pavese
[51] . Inoltre:"Le puttane
battono a soldi. Ma quale donna si dà altro che a ragion veduta?"
[52] .-ut :
conclusivo.-inliciaris : verbo formato da in +lacio
(attiro, irretisco)). Per non lasciarsi sedurre bisognerebbe mangiare soltanto
l'esca, senza essere mai presi, come suggerisce Kierkegaard. Prima di
innamorarci di una donna dovremmo guardare, oltre che al suo aspetto,
importantissimo per carità, anche alla sua moralità, alla sua educazione, alle
sue abitudini. Abbiamo già detto di Swann che, adescato, non vede
l'insufficienza dell'educazione di Odette.
"Nam vitare, plagas in amoris
ne iaciamur,/non ita difficile est quam captum retibus ipsis/exire et validos
Veneris perrumpere nodos " (1146-1148), infatti evitare di gettarsi nelle
reti d'amore, non è così difficile come una volta incappato nelle stesse reti
uscirne e spezzare a forza i robusti nodi di Venere.-plagas ...retibus
...nodos : l'amore ancora una volta
[53] che imbriglia, allaccia, inceppa. Ma si tratta sempre
di amori sbagliati, anzi di rapporti malevoli che tendono appunto a depotenziare
e sottomettere. Come questo descritto da Pavese:"Quale mezzo migliore per
una donna che vuole fottere un uomo, se non portarlo in un ambiente non suo,
vestirlo in un modo ridicolo, esporlo a cose di cui è inesperto, e-quanto a
lei-avere nel frattempo altro da fare, magari quelle cose stesse che l'uomo non
sa fare? Non solo lo si fotte davanti al mondo, ma-importante per una donna che
è l'animale più ragionevole che esista-ci si convince che va fottuto, si
conserva la buona coscienza"
[54] . Tale pessimismo nei confronti dell'amore e delle donne
certamente non è estraneo al suicidio di tali autori .
"Et tamen implicitus quoque possis inque peditus/effugere infestum, nisi tute
tibi obvius obstes/et praetermittas animi vitia omnia primum/aut quae corpori'
sunt eius, quam praepetis ac vis " (vv. 1149-1152), e tuttavia anche
avviluppato e impedito potresti schivare il danno, se non ti ostacolassi da solo
andandole incontro e per prima cosa non lasciassi correre tutti i vizi
dell'animo o quelli evidenti del corpo di colei che più tutte desideri e vuoi.-implicitus
: da implico, avviluppo.-inque peditus : et impeditus in
tmesi, da in e pes, con le pastoie ai piedi, il contrario di
expeditus , sciolto. L'amore è considerato come un laccio che inceppa e
impedisce la visione della realtà effettuale, quasi il corrispettivo dell'
a [th,
l'accecamento, che, nel IX dell'Iliade , è una "smisurata forza
irrazionale"contro la quale"ogni arte dell'educazione umana, ogni buon consiglio
è impotente"
[55] . Infatti la donna
viene definita da Ippolito
ajthrovn…futovn
(v.630), pianta dell'accecamento.-Infestum: aggettivo sostantivato.-tute
tibi obvius obstes : il pronome personale in poliptoto e la doppia
allitterazione rendono l'idea dell'uomo che ostacola se stesso andando da solo
incontro al suo danno.-corpori' (=corporis ) quae sunt : i
difetti del corpo sono evidenti e reali, particolarmente dopo che la donna si è
spogliata, mentre gli animi vitia possono anche passare inosservati.
Si tratta di aprire bene gli occhi sui difetti dell'amante, come vedremo tra
poco.
Ovidio utilizzerà questa lezione nei Remedia amoris .
"Come dimenticare che Lucrezio aveva raccomandato di non ostacolare con
l'autoinganno la guarigione dall'amore? e aveva anche aggredito satiricamente la
cecità di chi non vuol vedere nella persona amata i difetti dell'animo e del
corpo ma preferisce nasconderli dietro un repertorio di nomignoli blandi. E così
i Rimedi contro l'amore ripetono questa lezione e anzi aumentano le dosi
terapeutiche: non solo saranno banditi gli autoinganni dell'eufemismo ("aprite
gli occhi e chiamate i difetti col loro vero nome") ma addirittura bisognerà
rovesciare in difetto ogni pregio esistente ("se è formosa, chiamala grassa; se
bruna, chiamala negra; se è snella, chiamala quattrossa; se non è rozza, dì che
è sfacciata".). E' questo uno dei punti in cui l'Ovidio dei Remedia
sembra più esplicitamente disfare gli insegnamenti dell'Ars . Nell'Ars
l'eufemismo d'amore (se è grassa, dilla formosa...) era raccomandato a chi
voleva farsi amare: ma si trattava di una tecnica di corteggiamento, e la
possibilità di scivolare nell'autoinganno era solo un corollario di cui il poeta
scrupolosamente avvertiva i suoi discepoli (Ars amatoria 2, 647 ss.).
Sia l'Ars che i Remedia fanno tesoro della lezione diatribica di
cui Lucrezio era stato portavoce, la lezione secondo cui gli innamorati sono
ciechi fino al ridicolo. Una proposizione da cui conseguono due opposte
possibilità: se si tratta di mostrarsi innamorati, bisogna accettare di apparire
ciechi e ridicoli (l'Ars ); se si tratta di liberarsi dall'amore, bisogna
bene aprire gli occhi, e magari finanche vedere troppo (i Remedia )"
[56] .
"Nam faciunt homines plerumque cupidine caeci/et tribuunt ea quae non sunt
his commoda vere " (vv.1153-1154), infatti fanno così di solito gli uomini
acciecati dalla brama e attribuiscono a queste quei pregi che esse non hanno.-cupidine
caeci : clausola allitterante con il
tovpo"
di "aprite un po' quegli occhi,/uomini incauti e sciocchi" ripreso e spiegato
dall'aria del Figaro delle nozze di Mozart-Da Ponte:"Guardate queste
femmine,/guardate cosa son./Queste chiamate dee/dagli ingannati sensi/a cui
tributa incensi/la debole ragion./Son streghe che incantano/per farci
penar,/sirene che cantano/per farci affogar;/civette che allettano/per trarci le
piume,/comete che brillano/per toglierci il lume./Son rose spinose,/son volpi
vezzose,/son orse benigne,/colombe maligne,/maestre d'inganni,/amiche
d'affanni/che fingono, mentono,/che amore non sentono,/ non senton pietà./Il
resto nol dico./Già ognuno lo sa"
[57] . Infatti era già
scritto nella nostra letteratura classica.-
"Multimodis igitur pravas turpisque videmus/esse in deliciis summoque in
honore vigere " (1155-1156), quindi vediamo quelle per molti versi deformi e
ripugnanti essere vezzeggiate e tenute nella considerazione più alta.-turpisque=turpesque
. Questa trasfigurazione è motivata non solo dalla cecità dell'uomo ma anche
dall'astuzia della donna che, al pari di Ulisse, può essere seduttiva senza
essere bella
[58] . Kafka racconta
in diverse pagine gli espedienti di una donna brutta, Frieda, spietatamente
denunciati attraverso il discorso indiretto di un'altra donna, Pepi,
naturalmente una rivale:" Frieda, una ragazza bruttina, magra, non giovane, con
pochi aridi capelli, e per giunta una sorniona sempre piena di misteri, cosa che
probabilmente dipende dal suo aspetto; meschina com'è di faccia e di corpo, deve
ben avere altri segreti che nessuno può indagare...Nessuno sa meglio di Frieda
stessa quanto sia misero il suo aspetto, chi la vede, ad esempio, per la prima
volta coi capelli sciolti giunge le mani per la pietà; una ragazza così, se ci
fosse giustizia, non dovrebbe fare neanche la cameriera, lo sa anche lei e ne ha
pianto per nottate intere, stringendosi a Pepi e mettendosi intorno al capo le
trecce di Pepi. Ma quando è in servizio ogni dubbio l'abbandona, si crede la più
bella di tutte e riesce a comunicare agli altri la sua convinzione. Conosce i
suoi polli Frieda; quella è la sua vera arte. Ed è pronta nel mentire e
nell'ingannare affinché la gente non abbia tempo di osservarla bene.
Naturalmente queste arti alla lunga non bastano, la gente ha occhi e finirebbe
per servirsene. Ma nell'istante in cui ella fiuta il pericolo ha già pronto un
espediente nuovo: ultimamente, per esempio, la sua relazione con Klamm!...Che
furba, che furba!…Ma quello che basta a Klamm come potrebbe non essere ammirato
dagli altri?…gli è davvero piaciuta quella cosettina gialla e patita? Ma no, non
l'ha neanche guardata, lei gli ha solo detto che era l'amante di Klamm, per lui
il trucco era ancora nuovo, ed eccolo perduto...D'altronde Frieda non si sa
vestire, è completamente priva di gusto; chi ha una pelle giallastra è obbligato
a tenersela, ma non occorre che si metta per giunta, come Frieda, una camicetta
color crema, molto scollata, così che vien da piangere davanti a tutto quel
giallo...Pepi invece detestava simili artifici "
[59] .
"Atque alios alii irrident Veneremque suadent/ut placent, quoniam foedo
adflictentur amore,/nec sua respiciunt miseri mala maxima saepe " (vv.
1157-1159), e si deridono a vicenda, e consigliano di placare Venere, poiché
sono tormentati da un amore ripugnante, e spesso non considerano, disgraziati i
propri grandissimi mali.-alios alii irrident : poiché vedono la follia
degli altri ma non la propria. Si comportano in modo simile ai
deiloiv
, i plebei, stigmatizzati da Teognide:"
ajllhvlou" d& ajpatw'sin ejp& ajllhvloisi
gelw'nte"" (Silloge, v. 59) si
ingannano a vicenda deridendosi a vicenda. La differenza è che gli innamorati
pazzi ingannano se stessi. "Suadent è trisillabico con -u- con
forza di vocale...Al v. 1158 è da notare la clausola allitterante (adflictentur
amore ) e al v. 1159 l'allitterazione in s- e la triplice
allitterazione in m- . (sua...saepe; miseri mala maxima )"
[60] . Aggiungo la
segnalazione dell'ossimoro foedo...amore .
"Nigra melichrus est, immunda et foetida
acosmos " (v. 1160), la nera ha
l'incarnato di miele, la lercia e puzzolente è trasandata.-nigra : la
pelle scura era apprezzata molto meno della candida . Catullo mette la
carnagione chiara tra le doti fisiche gradite a molti, ma non sufficienti
secondo lui, quando mancano la venustas, la grazia, e la mica salis
, il grano di sale, a costituire una bella donna. Tale è solo Lesbia :"Quintia
formosa est multis, mihi candida, longa, recta est…Lesbia formosa est " (86,
1-2, 5), Quinzia per molti è bella, per me di carnagione chiara, lunga,
diritta…Lesbia sì che è bella.
Il Creonte della Medea di Grillparzer, rimpiangendo la figlia
fatta morire dalla rivale, gli sembra di vederla :"così bianca, così bella,
scendere leggera tra le nere rovine" (atto V). L' Antigone di Anouilh
non è sicura di essere desiderata veramente da Emone per il suo aspetto, meno
attraente di quello della sorella:"Sono nera e magra. Ismene è rosa e dorata
come un frutto"
[61] . Ma il fidanzato, forse perché impazzito, l'ha preferita
all'altra figlia di Edipo. -melichrus: è traslitterazione dell'aggettivo
greco melivcrou"
composta da mevli
(miele) e crova
(carnagione). Questo travisamento ricorda l'idealizzazione
dell'innamorato Buceo nel X idillio di Teocrito:"Suvran
kalevontiv tu pavnte", /ijscna;n aJliovkauston, ejgw; de; movno" melivclwron"
(vv. 26-27), tutti ti chiamano Sira, secca, bruciata dal sole, io solo colore
del miele.-immunda
: formato da in , prefisso negativo, e mundus , pulito. Significa
sciatto e sudicio. Una curiosità: Cicerone, deluso dal comportamento di Pompeo
che pensava solo a fuggire, lo paragona a quelle donne immundae, insulsae,
indecorae, sudicie, sciocche, brutte che ci distolgono dall'amarle (Att.
9, 10, 2).-foetida : è quella che foetet , puzza, la
portatrice di foetor , trasfigurata in acosmos (traslitterazione
di a [kosmo"
, disordinato) che qui dovrebbe indicare la neglegentia sui , l'
apparente noncuranza di sé; insomma una trasandatezza elegante.
"caesia Palladium, nervosa et lignea dorcas " (v. 1161), quella con gli
occhi glauchi è un simulacro di Pallade, la nervosa e legnosa una gazzella".-Palladium
: corrisponde al greco
Pallavdion , statua di Pallade che
infatti Omero chiama glaukw'pi",
dagli occhi lucenti. Nel nostro contesto gli occhi chiari, tra il verde e
l'azzurro, non sono considerati un pregio.-dorcas : traslitterazione del
greco dorkav",
gazzella e capriolo, animali agili, eleganti. Il verbo reggente è sempre est
.
"parvula, pumilio, chariton mia, tota merum sal " (1162), la piccina, la
nana, è una delle grazie, tutta sale puro.-parvula : cfr. "la piccina è
ognor vezzosa" della lista di Don Giovanni di Mozart-Da Ponte (I,
5), ma questo è il seduttore per il quale
conta non l'individualità della donna bensì quello che tutte le donne hanno in
comune. Invece compie la stessa operazione di Lucrezio, Eliante nel
Misantropo di Moliere che aveva tradotto il De rerum natura
prima del 1660 :"La nera come un corvo è una splendida bruna: la magra ha vita
stretta e libere movenze; la grassa ha portamento nobile e maestoso; la sciatta,
che è fornita di non molte attrattive, diventa una bellezza che vuole
trascurarsi; la gigantessa sembra, a vederla, una dea; la nana è un riassunto di
celesti splendori; l'orgogliosa ha un aspetto degno d'una corona; la scaltra è
spiritosa; la sciocca è molto buona; la chiacchierona è donna sempre di
buonumore; la taciturna gode di un onesto pudore. Perciò lo spasimante, se è
molto innamorato, ama pure i difetti della persona amata"
[62] .-chariton mia :
traslitterazione di carivtwn miva,
una delle Cariti o Grazie.-tota merum sal (con clausola monosillabica):
noi usiamo piuttosto il pepe per una persona piccola ma non insignificante,
mentre della inespressiva e insipida diciamo "non sa di nulla". Anche per
Catullo, come abbiamo visto, il sapore di una donna è dato dal suo sale:"nulla
in tam magno est corpore mica salis " (86, 4), in un corpo tanto grande non
c'è un granello di sale. Il sapore ovviamente viene dallo spirito.
"magna atque immanis cataplexis plenaque honoris "(1163), la
mostruosamente grande è un incanto pieno di maestà.-immanis : formato da
in- prefisso negativo e manus=bonus , quindi mostruoso.-cataplexis
: traslitterazione di katavplhxi",
che ha la radice del verbo plhvssw,
colpisco.- honoris : cfr. "è la grande maestosa", (Don Giovanni ,
I, 5 ).
"Balba loqui non quit, traulizi, muta pudens est " (v. 1164), la
balbuziente, non sa parlare, cinguetta, la muta è riservata.-balba :
abbiamo visto che la donna deve essere silenziosa; la balbuziente invece appare
spregevole qui e ancor più nella ripresa dantesca:"mi venne in sogno una femmina
balba" (Purgatorio , XIX, 7).-traulizei : traslittera
traulivzei
con ei
pronunciato i.-muta pudens : il mutismo è un silenzio eccessivo e anche
qui un difetto è ribaltato in pregio.
"at flagrans odiosa loquacula lampadium fit " (1165).-ma quella che sputa
fuoco odiosa, chiacchierona diventa una fiammetta.-flagrans : una megera
o un'erinni fiammeggiante.-Lampadium : traslittera
lampavdion,
diminutivo di lampav",
fiaccola.
"Ischnon eromenion fit, cum vivere non quit/prae macie; rhadine verost iam
mortua tussi " (1166-1167), diventa uno snello tesorino, quando non può
vivere per la magrezza; poi è delicata quella che crepa dalla tosse.-Ischnon
eromenion =ijscno;n ejrwmevnion=snello
amoruccio .-rhadine =rJadinhv.
"questo quadro ironico e caricaturale delle illusioni dell'amante...è accentuato
dalla conservazione delle parole greche, altrove nel poema costantemente rese
nelle equivalenti forme latine"
[63] . Dionigi segnala pure
che questo motivo, già presente in Platone (Rsp. 474d), Teocrito 10, 26
sg. , già citato, e nell'Anthologia Palatina , "sarà caro alla
letteratura posteriore (Orazio, serm. I, 3, 38 sgg.; Ovidio, ars
2, 657-662; rem. am. 315 sgg.), fino a riaffiorare nel Misanthrope
di Moliere (2, 5)". Ancora un paio di versi poi vediamo quali parole ci
appulcrano Orazio e Ovidio.
"At tumida et mammosa Ceres est ipsa ab Iaccho,/simula Silena ac Saturast,
labeosa philema " (vv. 1168-1169), ma la turgida e pocciona è Cerere stessa
sgravata da Iacco, la camusa una Silena o una Satira, la labbrona un bel bacio.-tumida:
questa, che è gonfia (tumet ) e con tette enormi viene interpretata come
un'incarnazione della magna mater dopo che ha partorito Iacco "divinità
associata ai culti eleusini di Demetra; è probabile che Lucrezio identifichi
Iacco con Liber (divinità italica corrispondente al greco Dioniso), nato
da Cerere (Cicerone, De natura deorum II, 24, 62). "Ab Iaccho è
espressione molto densa con ab causale ("a causa di Iacco", appena
partorito) o temporale ("subito dopo" aver partorito)"
[64] .-simula :
diminutivo di sima ricavato dal greco
simov",
camuso.- Silena : ai sileni rappresentati con zampogna o flauto viene
assimilato Socrate, che infatti aveva il naso camuso, dal bell' Alcibiade il
quale era affascinato dal maestro nonostante la bruttezza, nel Simposio
platonico (215). Simula Silena costituiscono " una iunctura non
solo allitterante ma anche omeoptotica, isosillabica e parafonica"
[65] .-labeosa :
formato da labea , labbro, + il suffisso -osus che, presente pure
in mammosa , significa grandezza.-philema : traslitterazione di
fivlhma,
bacio.
Dicevamo che pure Orazio e Ovidio si sono espressi in questo
tovpo"
il quale effettivamente può trovare risonanze
in tutti gli uomini di tutti i tempi.
Il Venosino nella Satira I 3 afferma che le brutture e i difetti
dell'amante ingannano l'innamorato cieco e addirittura proprio quelle
imperfezioni gli piacciono (vv. 38-40). Si deve porre mente a questo per
imparare un poco di indulgenza verso le manchevolezze del prossimo . Il locus
è utilizzato come exemplum di tolleranza. La conclusione della satira è
che se compatiremo, verremo compatiti. Si vede come un
argomento
può essere impiegato per dare insegnamenti opposti.
Lo stesso poeta può usare il medesimo
tovpo"
in libri diversi per sostenere una tesi e quella contraria.
Così fa Ovidio che nei Remedia amoris apre gli occhi sui difetti
delle donne suggerendo perfino di accentuarli con il pensiero, mentre nell'Ars
amatoria consiglia di guardarsi bene dal rinfacciare alle ragazze le loro
imperfezioni (parcite praecipue vitia exprobrare puellis , II, 640): a
molti fu utile avere fatto finta di non vedere. Questo vale per non disgustare
le donne le quali anzi vanno adulate. Del resto chiunque chieda qualche cosa
deve essere un adulatore, si dice il cuoco Sicone nel
Duvskolo"
di Menandro , preparandosi a chiedere un lebete al vecchio scorbutico "
dei' ga;r ei''j nai kolakiko;n-to;n
deovmenon tou"
(vv. 492-493).
Con l'adulazione si può sedurre persino una
vestale.
L'adulazione funziona sempre quando si vuole compiacere una donna. Sentiamo
Svidrigàilov il " vecchio libertino incancrenito" di Delitto e castigo
che ha "una specie di scintilla sempre accesa nel sangue" :"... finalmente feci
ricorso al mezzo supremo e infallibile per soggiogare il cuore femminile, il
mezzo che non fallisce mai e che agisce decisamente su tutte le donne, senza
eccezione. Niente al mondo è più difficile della sincerità e più facile
dell'adulazione...per quanto infantilmente grossolana possa essere l'adulazione,
almeno per metà essa sembra senz'altro vera. E questo vale per gente di ogni
livello e di ogni ceto sociale. Con l'adulazione si può sedurre perfino una
vestale"
[66] .
Non è difficile essere creduti quando si adula, suggerisce Ovidio nel
primo libro dell'Ars amatoria :"Nec credi labor est: sibi quaeque
videtur amanda/pessima sit, nulli non sua forma placet " (vv.
611-612) e non è difficile essere creduto: a ognuna sembra di essere degna di
amore, sia pure pessima, a nessuna dispiace il suo aspetto . Sentiamo ancora il
seduttore di Madame Bovary:"Finalmente lo hai davanti, il tesoro tanto cercato:
risplende, scintilla. Eppure dubiti ancora, non osi crederci: ne resti
abbagliato come all'uscita dalle tenebre alla luce" (p. 118).
Restiamo ancora un poco sull'argomento trattato da Ovidio prima di tornare a
Lucrezio.
Il poeta nel II libro dell'Ars amatoria afferma che chiudere un
occhio sui difetti dell'amante è utile non solo alla conquista ma anche al
mantenimento del rapporto il quale riceve lunga vita dalla transigenza fondata a
sua volta sull'abitudine:"Quod male fers, adsuesce: feres bene: multa
vetustas/leniet; incipiens omnia sentit amor " (vv.647-648), a quello che
sopporti male, abituati: sopporterai bene: la lunga durata allevierà molte cose
difficili; l'amore all'inizio fa caso a tutto.
Lo stesso passare del tempo toglie tutte le pecche del corpo, e quello che era
un difetto smette di esserlo con la dilazione. Sapere aspettare serve, ma anche
l'uso intelligente delle parole è funzionale a questo scopo.
Ovidio
dunque nell' Ars amatoria presenta come astuzia da usare quello che
Lucrezio considera un errore da evitare :"Nominibus mollire licet mala:"Fusca"
vocetur,/nigrior Illyrica cui pice sanguis erit;/si paeta est, "Veneri similis";
si rava, "Minervae";/sit "gracilis", macie quae male viva sua est;/dic "habilem",
quaecumque brevis, quae turgida, "plenam";/et lateat vitium proximitate boni
" (, II, vv. 657-662), i difetti si possono attenuare con le parole: "scura" si
chiami quella che avrà vene più nere della pece illirica; se è un pò strabica,
"simile a Venere"; se è glauca, "a Minerva"; sia "gracile" quella che, del tutto
esaurita, è viva per poco, chiama "maneggevole" chiunque sia corta; quella
gonfia, "piena", e si nasconda il difetto con il pregio più vicino.
Le parole insomma servono ad avvicinare e conservare la donna.
Viceversa nei
Remedia Amoris
il poeta Peligno consiglia di
accentuare mentalmente i difetti dell'amante per tenerla lontana. Non è
difficile compiere l'una o l'altra operazione siccome è sottile il confine tra
vizio e virtù.
"Profuit adsidue vitiis insistere amicae/idque mihi factum saepe salubre fuit./"Quam
mala" dicebam "nostrae sunt crura puellae" (nec tamen, ut vere confiteamur,
erant); "bracchia quam non sunt nostrae formosa puellae" (et tamen, ut vere
confiteamur erant)/"quam brevis est" (nec erat), "quam multum poscit amantem";/haec
odio venit maxima causa meo./ Et mala sunt vicina bonis: errore sub illo/pro
vitio virtus crimina saepe tulit./ Qua potes, in peius dotes deflecte puellae/iudiciumque
brevi limite falle tuum./"Turgida", si plena est, si fusca est, "nigra" vocetur;/in
gracili "macie" crimen habere potest./Et poterit dici "petulans" quae rustica
non est;/et poterit dici "rustica", si qua proba est " (vv. 315-330), mi
ha fatto bene pensare senza tregua ai difetti dell'amante e questa pratica
ripetuta mi è stata salutare. "Quanto sono fatte male-dicevo-le gambe della mia
donna" (né tuttavia, a dire il vero, lo erano); "quanto non sono belle le
braccia della mia donna" (e tuttavia, a dire il vero, lo erano) " quanto è
corta" (e non lo era), quanto esige dall'amante", questo divenne il motivo più
grande per la mia avversione. Poi i mali stanno vicino ai beni: sottomessa a
quell'errore spesso la virtù si è presa le colpe del vizio. Per quanto puoi,
volgi in peggio le doti della tua donna e, dato il breve confine, inganna il tuo
giudizio. "Gonfia" devi chiamarla se è piena, se è scura "negra"; in quella
magra la secchezza può essere incriminata. E potrà chiamarsi "sfrontata" quella
che non è campagnola e si potrà chiamare "campagnola" se una è virtuosa.-quam
multum poscit (v. 321): ecco il difetto più odioso per l'amante poiché
l'utile è valutato più del bello e del buono. Una riflessione che si trova anche
in Machiavelli il quale consiglia al suo principe di evitare quello che anche
secondo lui è il difetto più odioso:"ma, sopra a tutto, astenersi dalla roba
d'altri; perché li uomini sdimenticano più presto la morte del padre che la
perdita del patrimonio"
[67] . Citeremo ancora
l'autore de Il Principe poiché Ovidio è il maestro, se vogliamo il
cattivo maestro, dello sganciamento di un'attività dalla morale. - et mala
sunt vicina bonis (v. 323): basta spostare un poco il punto di vista, come
quando si è in movimento, anche soltanto con la bicicletta, e si osserva un
paesaggio montuoso, perché le forme cambino e si trasfigurino. Questo avviene
non solo nel campo della percezione fisica o estetica ma anche in quello della
interpretazione morale:" Unnatural vices/are fathered by our heroism. Virtues/
are forced upon us by our impudents crimes "
[68] , afferma il
classicista Eliot, vizi innaturali hanno come padre il nostro eroismo.
Virtù ci sono imposte dai nostri impudenti delitti. Già Machiavelli aveva
indicato questa confusione di virtù magari deleterie e vizi che possono creare
il bene:"se si considerrà bene tutto, si troverà qualche cosa che parrà virtù,
e, seguendola sarebbe la ruina sua, e qualcuna altra che parrà vizio, e
seguendola, ne riesce la securtà e il bene essere suo"
[69]
. -
in peius
(v. 325)
: il pessimismo è quasi sempre legato a
frustrazioni vitali, soprattutto amorose e di salute.
Un'eco di questa svalutazione e svilimento del corpo femminile, necessario a chi
voglia liberarsi dall'irrazionale soggezione alla libidine erotica, si trova nel
Secretum del Petrarca quando S. Agostino che vuole liberare
l'animo di Francesco dai due errori più pericolosi, l'amore per la gloria e
l'amore per Laura, mette in guardia il poeta dai pericoli connessi alla bellezza
delle donne, effimera e ingannevole se non addirittura inesistente:"Pauci
enim sunt qui, ex quo semel virus illud illecebrose voluptatis imbiberint,
feminei corporis feditatem de qua loquor, sat viriliter, ne dicam satis
constanter, examinent " (III, 68), sono pochi quelli che, da quando una
volta sola abbiano assorbito quel noto veleno del piacere seducente, possono
considerare abbastanza energicamente, per non dire con sufficiente costanza, la
laidezza del corpo femminile.-rustica (vv. 329 e 330) : si ricordino le
riflessioni che abbiamo fatto sulla rusticitas che può essere cosa buona
o cattiva a seconda di come la si prende. A volte, controbatto, la seduzione
della bellezza femminile o maschile, insomma l'inganno di Cipride, porta aiuto
a chi subisce o lo infligge: così è nel poema di Apollonio Rodio dove
Fineo consiglia agli Argonauti: cercate l'aiuto della dea Cipride che inganna:
in lei infatti sta il compimento glorioso delle vostre fatiche (Argonautiche,
II, 423-424). Ma già Saffo chiede aiuto ad Afrodite invocandola come
dolovploke,
tessitrice di inganni (I D, v. 2).
Continuiamo ancora un poco con
Ovidio il quale consiglia pure di mettere in imbarazzo l'amata spingendola in
situazioni dove non si trovi a suo agio:"Quin etiam, quacumque caret tua
femina dote,/hanc moveat, blandis usque precare sonis:/ exige uti cantet, si qua
est sine voce puella; /fac saltet, nescit si qua movere manum;/barbara sermone
est, fac tecum multa loquatur;/non didicit chordas tangere, posce lyram;/durius
incedit, fac inambulet; omne papillae/pectus habent, vitium fascia nulla tegat;/si
male dentata est, narra, quod rideat, illi;/mollibus est oculis, quod fleat illa
refer " (Remedia Amoris , 331-340), anzi, di qualsiasi qualità sia
priva la tua donna, pregala continuamente con toni di lusinga che eserciti
questa: pretendi che canti, se è una ragazza senza voce; falla danzare, se è una
che non sa muovere una mano; se è rozza nel modo di esprimersi, falla parlare
molto con te; non ha imparato a toccare le corde, chiedile di suonare la lira;
cammina goffamente, falla passeggiare; i capezzoli occupano tutto il petto,
nessun reggiseno copra il difetto; se ha una dentatura brutta, raccontale
qualcosa di cui rida; se è di occhi piagnucolosi, dille qualcosa di cui pianga.-precare
(v. 332): imperativo di precor. Viene consigliata una diabolica,
sistematica distruzione della creatura oggetto di amore-odio, conseguenza dell'amare
senza bene velle e della cattiva competizione tra i sessi. Secondo
Pavese questa strategia è concepita e messa in atto sistematicamente dal "popolo
nemico" delle donne per annientare gli uomini:"Una donna che non sia una
stupida, presto o tardi, incontra un rottame umano e si prova a salvarlo.
Qualche volta ci riesce. Ma una donna che non sia una stupida, presto o tardi
trova un uomo sano e lo riduce a rottame. Ci riesce sempre"
[70] .
Torniamo a Lucrezio che, consapevole di non poter esaurire l'argomento,
ne prende un altro, sempre però con lo scopo di fornire all'innamorato accecato
i mezzi per recuperare la vista mentale e liberarsi dalla schiavitù.
"Cetera de genere hoc longum est si dicere coner./Sed tamen esto iam
quantovis oris honore,/cui Veneris membris vis omnibus exoriatur:/nempe aliae
quoque sunt; nempe hac sine viximus ante;/nempe eadem facit, et scimus facere,
omnia turpi,/ et miseram taetris se suffit odoribus ipsa/quam famulae longe
fugitant furtimque cachinnant " (IV, 1170-1176), sarebbe troppo lungo se
cercassi di dire gli altri travisamenti del genere. Ma tuttavia sia pure di
bellezza quanto vuoi sublime nel volto, una alla quale da tutte le membra venga
fuori la potenza di Venere: certo ce ne sono anche altre; certo abbiamo vissuto
senza questa in precedenza; certo fa tutte le medesime cose, e sappiamo che le
fa, di una brutta, e si affumica la disgraziata, con ributtanti suffumigi,
proprio lei, da cui le serve scappano lontano e sghignazzano di nascosto.-oris
: la bellezza (honor ) del volto è quella che si nota per prima,
soprattutto da quando si è adulti.-aliae quoque sunt : non è un buon
argomento per l'uomo che ha concentrato tutti i suoi desideri e le sue speranze
in quella forma e tutte le altre non hanno significato per lui. Catullo nel
carme 86 già menzionato nega che Quinzia sia "formosa " nonostante abbia
un fisico a posto. L'unica bella per lui è Lesbia:"Lesbia formosa est, quae
cum pulcerrima tota est,/tum omnibus una omnis subripuit veneres " (vv.
5-6), Lesbia sì che è bella, lei che è splendidissima integralmente, e da sola
ha sottratto a tutte tutte le grazie.-
B. Shaw denuncia l’illusione dell’uomo giovane che esagera la differenza tra una
giovane donna e le altre: “Like all young men, you greatly exaggerate the
difference between one young woman and another”
[71] .
hac sine
: anastrofe.-turpi : dativo di comunanza retto da eadem. E' una
costruzione frequente nella lingua greca dove il dativo sociativo è retto da
oJJ aujtov",
idem appunto.- famulae...fugitant furtimque : triplice
allitterazione. Nessuna donna, per quanto sia bella, è di uno splendore
integrale per le sue cameriere che ne conoscono gli arcana venustatis , i
segreti della bellezza si potrebbe dire utilizzando l'espressione tacitiana
imperii arcanum (Historiae I, 4), il segreto del potere.-cachinnant
: la bellezza, che toglie il fiato e il sonno all'innamorato, fa sghignazzare le
serve.
"At lacrimans exclusus amator limina saepe/floribus et sertis operit
postisque superbos/unguit amaracino et foribus miser oscula figit " ( De
rerum natura, IV, vv. 1177-1179), ma l'innamorato, versando lacrime per essere
stato messo alla porta, spesso copre di fiori e di ghirlande la soglia e unge
gli stipiti superbi di maggiorana e, disgraziato, imprime baci sui battenti.-lacrimans
exclusus : questo è un
paraklausivquron.
il lamento davanti alla porta chiusa.
I più antichi, che io sappia, si trovano nell'Antologia Palatina . Tra i
più noti quello di Callimaco a Conòpio (Zanzaretta) alla quale il poeta,
costretto a passare la notte sotto un freddo portico, augura la medesima
sofferenza e ricorda che i colori della giovinezza durano poco:"hJ
polih; de;-aujtivk& ajnamnhvsei tau'tav se pavnta kovmh
" (A. P. V, 23, vv. 5-6), la chioma canuta fra
poco ti farà ricordare tutto questo. Tale
tovpo"
ha una larga presenza nella letteratura
latina: dalla commedia all'elegia.
Si ricorderà come Properzio nell'ultima elegia del terzo libro ricordi a
Cinzia i prossimi capelli bianchi con le rughe, quindi le auguri di soffrire le
medesime pene che sta infliggendo a lui con il lasciarlo fuori dalla porta (exclusa
inque vicem fastus patiare superbos, tenuta fuori a tua volta, possa
soffrire la superba alterigia, III, 25, 15) poiché la bellezza è, si potrebbe
dire, un'arma che dopo una certa età si rivolge contro chi la impugna. E'
l'eterna consolazione del maschio: l'età si abbatte sulla donna come una
mannaia. E sull'uomo no?
Rimaniamo ancora sul
paraklausivquron. Nel Processo
di Kafka ce n'è uno molto particolare, quasi rovesciato: è infatti
un'attesa ansiosa e querula davanti a una porta aperta proprio per colui che
attende senza avere il coraggio di entrare. E' la parabola che il cappellano
delle carceri racconta a K. nel Duomo :"Davanti alla legge c'è un guardiano. A
lui viene un uomo di campagna e chiede di entrare nella legge. Ma il guardiano
dice che ora non gli può concedere di entrare. L'uomo riflette e chiede se
almeno potrà entrare più tardi. "Può darsi" risponde il guardiano, "ma per ora
no". Siccome la porta che conduce alla legge è aperta come sempre e il custode
si fa da parte, l'uomo si china per dare un'occhiata, dalla porta, nell'interno.
Quando se ne accorge, il guardiano si mette a ridere:"Se ne hai tanta voglia,
prova pure a entrare nonostante la mia proibizione. Bada, però: io sono potente,
e sono soltanto l'infimo dei guardiani. Davanti a ogni sala sta un guardiano,
uno più potente dell'altro. Già la vista del terzo non riesco a sopportarla
nemmeno io". L'uomo di campagna non aspettava tali difficoltà; la legge, pensa,
dovrebbe pur essere accessibile a tutti e sempre, ma a guardar bene il guardiano
avvolto nel cappotto di pelliccia, il suo lungo naso a punta, la lunga barba
tartara, nera e rada, decide di attendere piuttosto finché non abbia ottenuto il
permesso di entrare. Il guardiano gli dà uno sgabello e lo fa sedere di fianco
alla porta. Là rimane seduto per giorni e anni. Fa numerosi tentativi per
passare e stanca il guardiano con le sue richieste. Il guardiano istituisce più
volte brevi interrogatori, gli chiede notizie della sua patria e di molte altre
cose, ma sono domande prive di interesse come le fanno i gran signori, e alla
fine gli ripete sempre che non lo può far entrare. L'uomo, che per il viaggio si
è provveduto di molte cose, dà fondo a tutto per quanto prezioso sia, tentando
di corrompere il guardiano. Questi accetta ogni cosa, ma osserva:"Lo accetto
soltanto perché tu non creda di aver trascurato qualcosa". Durante tutti quegli
anni l'uomo osserva il guardiano quasi senza interruzione. Dimentica gli altri
guardiani e solo il primo gli sembra l'unico ostacolo all'ingresso nella legge.
Egli maledice il caso disgraziato, nei primi anni ad alta voce, poi quando
invecchia si limita a brontolare tra sé. Rimbambisce e, siccome studiando per
anni il guardiano, conosce ormai anche le pulci nel suo bavero di pelliccia,
implora anche queste di aiutarlo e di far cambiare opinione al guardiano. Infine
il lume degli occhi gli si indebolisce ed egli non sa se veramente fa più buio
intorno a lui o se soltanto gli occhi lo ingannano. Ma ancora distingue
nell'oscurità uno splendore che erompe inestinguibile dalla porta della legge.
Ormai non vive più a lungo. Prima di morire, tutte le esperienze di quel tempo
si condensano nella sua testa in una domanda che finora non ha rivolto al
guardiano. Gli fa un cenno poiché non può più ergere il corpo che si sta
irrigidendo. Il guardiano è costretto a piegarsi profondamente verso di lui,
poiché la differenza di statura è mutata molto a sfavore dell'uomo di campagna.
"Che cosa vuoi sapere ancora?" chiede il guardiano, "sei insaziabile". L'uomo
risponde:"Tutti tendono verso la legge, come mai in tutti questi anni nessun
altro ha chiesto di entrare?". Il guardiano si rende conto che l'uomo è giunto
alla fine e per farsi intendere ancora da quelle orecchie che stanno per
diventare insensibili, grida:"Nessun altro poteva entrare qui perché questo
ingresso era destinato soltanto a te. Ora vado a chiuderlo"
[72] .
"Nell'apologo, la Legge nascosta dietro la porta, la Legge che l'uomo di
campagna ricerca e che K. ignora di ricercare, rivela di attendere tutti gli
uomini e soprattutto Josef K. Così, nel processo dove finora avevamo visto solo
persecuzione e arbitrio, dobbiamo scorgere una specie di invito, che Qualcuno
gli aveva rivolto. Il peccato senza nome, il senso di colpa di cui Josef K. e
gli altri imputati sono colpevoli, è in realtà un'elezione divina: questo
peccato li rende "belli"; mentre tutti gli altri uomini, che non vivono sotto
quest'ombra, non esistono agli occhi di Dio...Il sacerdote propone a K. di
entrare nell'edificio della Legge, come fa l'uomo di campagna inebetito e quasi
cieco...La categoria dell'attesa è il cuore del mondo di Kafka: attesa di Dio,
attesa degli uomini"
[73] .
L'attesa è comunque la categoria di chi ama
una persona per un verso o per un altro non disponibile. L'attendere del resto
non è necessariamente doloroso.
Alla fine di Delitto e castigo Raskòlnikov sente di amare Sònia
riamato, che questa è la sua felicità e che nessun ostacolo di spazio né di
tempo potrà dividerli:"Erano decisi ad attendere, a pazientare. Restavano loro
ancora sette anni di quella vita...la sera di quello stesso giorno, quando le
baracche erano già state chiuse, Raskòlnikov, sdraiato sul tavolaccio, pensava a
Sònia...pensava a lei...ogni cosa, perfino il suo delitto, perfino la condanna e
la deportazione, gli parvero allora, in quel primo impulso, come fatti
esteriori, estranei, cose che non erano accadute a lui. Quella sera, tuttavia,
non gli era possibile pensare a lungo ad una sola cosa, né concentrarsi in un
solo pensiero; non riusciva a ragionare su nessun problema; poteva soltanto
sentire...Alla dialettica era subentrata la vita"
[74] .
Questa è un'attesa
sicura, o quasi, della ricompensa. Un'attesa concordata e senza angoscia. Poi
c'è l'attesa con angoscia, l'attesa con il bisogno, urgente e non condiviso, di
vedere l'altro.
Sentiamo Proust che collega l'attesa di chi ama al silenzio di chi non
ama:"Qualcuno ha detto che il silenzio è una forza: in tutt'altro senso, è una
forza terribile a disposizione di quelli che sono amati, perché accresce
l'ansietà di chi aspetta.
[75] "
Infine R. Barthes:"Sono innamorato?-Sì, poiché sto aspettando". L'altro,
invece, non aspetta mai. Talvolta, ho voglia di giocare a quello che non
aspetta; cerco allora di tenermi occupato, di arrivare in ritardo; ma a questo
gioco io perdo sempre: qualunque cosa io faccia, mi ritrovo sempre sfaccendato,
esatto, o per meglio dire in anticipo. La fatale identità dell'innamorato non è
altro che: io sono quello che aspetta ...Fare aspettare :
prerogativa costante di qualsiasi potere"
[76]
.
Torniamo a Lucrezio. superbos : la superbia è naturalmente della donna,
ma la concordanza è, per ipallage con postis=postes poiché l'escluso ha
davanti solo gli stipiti in quanto la bella non concede neppure il suo volto
sdegnoso.
Le figure retoriche non sono solo fatti meccanici.- Foribus da
foris ("porta" e , come avverbio, "fuori") imparentato etimologicamente con
il greco quvra poiché "la radice
deriva dall'indoeuropeo *dhor- che ha dato come esito in greco
qur-, in latino for-"
[77] e forum, "piazza".-miser
: è, al solito, l'innamorato non contraccambiato.
"quem si, iam admissum, venientem offenderit aura/una modo, causas abeundi
quaerat honestas,/et meditata diu cadat alte sumpta querela,/stultitiaque ibi se
damnet, tribuisse quod illi/plus videat quam mortali concedere par est " (vv.
1180-1184), ma se quello, già fatto entrare, colpisse mentre si avvicina una
sola zaffata, cercherebbe pretesti onorevoli per allontanarsi, e il lamento a
lungo meditato, preso in alto, cadrebbe, e si condannerebbe per la stoltezza,
poiché vedrebbe che le ha attribuito più di quanto è giusto accordare a una
creatura mortale.-quem : nesso relativo.-si...offenderit : la
protasi del periodo ipotetico della possibilità presenta, rispetto all'apodosi,
un'anteriorità che non è necessario rendere in italiano.-aura : la
"zaffata" anche se viene dai taetri odores (v. 1171) può essere
attribuita alla donna stessa da una disposizione contraria o vendicativa. Per
vendicarci della donna che ci fa soffrire è classico pensare che "diventerà
vecchia e brutta" e che "puzza".-alte sumpta : le lamentele sull'amore
infelice possono essere prese dalla tradizione letteraria che, come abbiamo
visto, ne è ricca.-ibi : " è scandito qui con corretio iambica
(cioè con due sillabe brevi, anziché come sillaba breve+sillaba lunga"
[78] .-plus...quam
mortali : è comunque un errore di dignità mitologica, è infatti simile al
crimine compiuto dal Prometeo incatenato di Eschilo. Anche il titano ha
amato troppo i mortali e ha concesso loro più di quanto dovevano avere. L'uomo
prima attribuisce alla donna adorata qualità divine amando anche quello che
scorre nelle sue viscere. C'è una poesia di uno dei massimi poeti del Novecento,
l'ungherese Jòzsef Attila che elogia la materia stessa di cui è fatta la
donna:"I circoli del tuo sangue/tremano senza cessazione , come cespugli di
rose./Portano l'eterna corrente,/perché sbocci l'amore sulle tue guance,/perché
sia benedetto il tuo frutto./Il sensibile terriccio delle tue viscere/è tutto
intessuto di mille radichette/che uniscono in brevi nodi/i fili sottili,
sbrogliandosi, /perché le cellule accolgano i molti succhi/e le belle propaggini
dei tuoi polmoni a foglia/sussurrino il canto della gloria loro!/L'eterna
materia percorre felice/le gallerie delle viscere lunghe/e le scorie lasciano
una ricca vita/nelle polle bollenti delle reni laboriose!/A onde si alzano in te
le valli,/tremano in te le costellazioni,/si muovono i laghi, operano
fabbriche,/s'agitano milioni di animali viventi,/insetti, /erbe lunghe,/crudeltà
e bontà:/brucia il sole e incupisce la pallescente luce polare/e trascorre nei
tuoi contenuti/l'eternità inconscia"
[79] . La donna dunque è
cosmo e dea. Poi, come il re carnevalesco, si ribalta. Lo spiega Giasone a una
giovane ierodula del tempio sull'Acrocorinto in un dialogo di C. Pavese:"Piccola
Mèlita, tu sei del tempio. E non sapete che nel tempio-nel vostro- l'uomo sale
per essere dio almeno un giorno, almeno un'ora, per giacere con voi come foste
la dea? Sempre l'uomo pretende di giacere con lei-poi s'accorge che aveva a che
fare con carne mortale, con la povera donna che voi siete e che son tutte. E
allora infuria-cerca altrove di essere dio"
[80] .
"Nec Veneres nostras hoc fallit; quo magis ipsae/omnia summo opere hos vitae
postscaenia celant/quos retinere volunt adstrictosque esse in amore,/nequiquam,
quoniam tu animo tamen omnia possis/protrahere in lucem atque omnis inquirere
risus " (vv. 1185-1189), né alle nostre Veneri sfugge questo; e tanto di più
esse con somma cura tengono nascosti i retroscena della vita a quelli che
vogliono trattenere legati nell'amore, invano poiché tu col pensiero puoi
comunque trarre tutti i trucchi alla luce e scoprire tutti gli aspetti ridicoli.-fallit
: con l'accusativo della persona cui sfugge (Veneres nostras , detto
ironicamente).-celant : etimologicamente imparentato con clam = di
nascosto, regge il doppio accusativo.-vitae postscaenia : quanto c'è
dietro l' "enorme pupazzata"
[81] della vita.-adstrictos
: l'amore secondo Lucrezio inceppa gli uomini, come la superstizione, e
denunciarne l'irrazionalità è come abbattere il mostro della religio. Le
sacerdotesse dell'amore sono le donne :"la donna ama credere che l'amore possa
tutto ,-ed è questa la sua caratteristica superstizione "
[82] .-omnis (=omnes)
risus : è la derisione del risentimento della persona frustrata dalle donne
e quindi dalla vita.
"et, si bello animost et non odiosa, vicissim/praetermittere <et> humanis
concedere rebus " (vv. 1190-1191), e, se è di spirito bello e non
disgustosa, a tua volta puoi lasciar correre e scusare le miserie umane.-si
bello animo est et non odiosa :"Nota la variatio : prima il
complemento di qualità (bello animo ; ricorda che bellus è il
diminutivo di bonus ), poi il predicato al nominativo (odiosa ; lo
stesso aggettivo al v. 1165)"
[83] .-praetermittere
: quest'appello alla comprensione della donna buona dopo che sono state dette
peste e corna sull'astuzia malvagia delle femmine umane, è tipica degli autori
misogini. In fondo bisogna pure accoppiarsi e riprodursi per non invecchiare
nella solitudine.
Alcuni classici dell'antifemminismo.
Esiodo, Semonide, Euripide, Leopardi, Schopenhauer, Weininger.
Esiodo dal quale parte la considerazione malevola delle donne, come
abbiamo visto, riconosce che l'uomo ha bisogno di questa creatura complementare
e che, se non sbaglia la scelta della compagna, può evitare i dolori infiniti.
Nella Teogonia dopo avere definito la donna "bel malanno" (v. 585) e
"inganno scosceso" (v. 589) afferma che comunque chi evita le nozze e le opere
tremende delle donne ("mevrmera e [rga
gunaikw'n, v. 603) arriva alla funesta
vecchiaia con la carenza di uno che si prenda cura di lui, e, quando muore, la
sua ricchezza se la dividono i lontani parenti. Del resto chi sceglie una buona
moglie, saggia e premurosa, compensa il male con il bene (v. 609), chi invece si
imbatte in una donna di stirpe funesta, vive con un'angoscia costante nel petto,
nell'animo e nel cuore e il suo male è senza rimedio (vv. 610-612).
Nelle poema agricolo l'autore torna sull'argomento e aggiunge che l'uomo non può
fare migliore acquisto di una moglie buona, come non c'è nulla di più
raccapricciante di una sposa cattiva (Opere , vv. 702-703).
Su questa linea si trova Semonide di Amorgo autore (nei primi anni
del VI secolo) di un Giambo sulle donne (fr. 7 D), una tra le più
famose espressioni dell'antifemminismo greco. Questo autore fa derivare le
femmine umane di vario carattere da altrettante bestie: il primo tipo discende
dal porco irsuto: sta non lavata in vesti sporche a ingrassare in mezzo
al luridume (vv. 5-6).
Il secondo deriva dalla
volpe
[84] maliziosa, esperta di tutto, non le sfugge niente,
sovverte le categorie morali ed è varia d'umore. La terza femmina proviene dalla
cagna che latra in continuazione e non basta lapidarla per farla tacere.
La quarta, figlia della terra, è pigra e pesante. La quinta deriva dal
mare ed è mutevole e capricciosa poiché il pelago è cangiante: a volte è
calma, come l'acqua marina quando d'estate è una grande gioia per i marinai, a
volte invece si infuria ed è agitata da onde di cupo fragore. Insomma una bufera
di femmina.
La sesta deriva dall'asina,
scostumata, sessualmente vorace; la settima dalla donnola, sciagurata,
disgustosa e ladra; l'ottava proviene dalla cavalla, morbida e adorna di
una folta criniera. Non sopporta i lavori domestici e si fa amico l'uomo solo
per necessità. Questa è la donna narcisista e parassitaria che passa il tempo a
pettinarsi, truccarsi, profumarsi. Una creatura del genere è uno spettacolo
bello a vedersi per gli altri, ma per chi se la tiene in casa è un male, a meno
che sia un despota o uno scettrato che di tali vezzi si gloria nell'animo. Tale
è dunque la donna adatta ai tiranni che nella cultura greco-latina sono
paradigmi negativi
[85] .
Costoro del resto hanno fama di
violentare le donne come abbiamo visto nella descrizione che Otane fa del
mouvnarco"
nel dibattito sulla migliore costituzione (
Erodoto, III, 79-84). Quella che deriva dalla scimmia è brutta e
ripugnante.
Ultimo tipo, e unico
raccomandabile, è quello che deriva dall'ape ( "ejk
melivssh" ", v. 83). Questa ha tutte le
caratteristiche della buona sposa e chi se la prende è fortunato. A lei sola
infatti non siede accanto il biasimo (mw'mo"),
grazie a lei fiorisce la prosperità, invecchia cara con lo sposo che l'ama
[86] dopo aver
generato una bella prole, diviene distinta tra tutte le donne, la circonda
grazia divina (qeivh...cavri",
v. 89) e non si compiace di star seduta tra le donne quando parlano di sesso.
Leopardi traduce questi versi (90-91) così :" né con l'altre è
solita/goder di novellari osceni e fetidi".
Del resto A Silvia la natura negò le conversazioni gentili e delicate
con altre ragazze :"né teco le compagne ai dì festivi/ragionavan d'amore" (vv.
47-48).
Dunque una possibilità di non essere cattiva per la donna c'è secondo Esiodo,
Semonide e Lucrezio. Molto più radicale nella negatività e nella certezza di non
poter trovare una buona moglie è l'Ippolito di Euripide il quale
vorrebbe che i figli si potessero generare in altro modo che passando attraverso
le donne: "O Zeus perché ponesti nella luce del sole le donne, un male
ingannatore per gli uomini? Se infatti volevi seminare la stirpe umana, non era
necessario ottenere questo dalle donne , ma bastava che i mortali mettendo in
cambio nei tuoi templi oro e ferro o un peso di bronzo, comprassero discendenza
di figli, ciascuno del valore del dono offerto, e vivessero in case libere,
senza le femmine. Ora invece quando dapprima stiamo per portare in casa quel
malanno, sperperiamo la prosperità della casa" (vv. 616-626).
Tra i classici dell'antifemminismo assoluto possiamo aggiungere qualche parola
di Schopenhauer :" Le donne sono adatte a curarci e a educarci
nell'infanzia, appunto perché esse stesse sono puerili, sciocche e miopi, in una
parola tutto il tempo della loro vita rimangono grandi bambini: esse occupano un
gradino intermedio fra il bambino e l'uomo, che è il vero essere umano...le
donne rimangono bambini per tutta la vita, vedono sempre soltanto ciò che è
vicino, rimangono attaccate al presente, scambiano l'apparenza delle cose con la
loro sostanza, e preferiscono inezie alle questioni più importanti...le donne,
in quanto sesso più debole, sono costrette dalla natura a far ricorso non già
alla forza ma all'astuzia: di qui deriva la loro istintiva scaltrezza e la loro
indistruttibile tendenza alla menzogna...per la donna una sola cosa è decisiva,
vale a dire a quale uomo essa sia piaciuta...Il sesso femminile, di statura
bassa, di spalle strette, di fianchi larghi e di gambe corte, poteva essere
chiamato il bel sesso soltanto dall'intelletto maschile obnubilato dall'istinto
sessuale: in quell'istinto cioè risiede tutta la bellezza femminile. Con molta
più ragione, si potrebbe chiamare il sesso non estetico ...Nel nostro
continente monogamico, sposare significa dividere a metà i propri diritti e
raddoppiare i doveri...Nessun continente è così sessualmente corrotto come
l'Europa a causa del matrimonio monogamico contro natura"
[87] .
In questa stessa linea il Leopardi di Aspasia , frustrato da
Fanny Targioni-Tozzetti sui sentimenti della quale precedentemente si era illuso
al punto che gli sembrava di errare "sott'altra luce che l'usata"
[88] . Dopo la morte del
poeta, Ranieri disse a Fanny che quella donna era lei ma ella protestò
dichiarando di non aver mai dato "la menoma lusinga a quel pover uomo" e anzi
precisò, ogni volta che il Leopardi accennava a cose d'amore, "io m'inquietavo,
e non volevo, né anco credevo vere certe cose, come non le credo ancora, ed il
bene che io gli volevo glielo voglio ancora tal quale, abbenché ei più non
esista"
[89] . Vediamo dunque la
vendetta dell'innamorato deluso. Rispetto al solito: diventerai vecchia e
brutta, qui la variante è: sei scema come tutte, quasi tutte le donne. Riporto
alcuni versi di Aspasia :"Raggio divino al mio pensiero apparve,/donna,
la tua beltà
[90] .... Vagheggia/il
piagato
[91] mortal quindi la
figlia/della sua mente, l'amorosa idea/che gran parte d'Olimpo in se racchiude,
/tutta al volto ai costumi alla favella/pari alla donna che il rapito
amante/vagheggiare ed amar confuso estima./or questa egli non già, ma quella,
ancora/nei corporali amplessi, inchina ed ama./ Alfin l'errore e gli scambiati
oggetti/conoscendo, s'adira; e spesso incolpa/la donna a torto. A quella eccelsa
imago/sorge di rado il femminile ingegno;/e ciò che inspira ai generosi
amanti/la sua stessa beltà, donna non pensa,/né comprender potria. Non cape in
quelle/anguste fronti ugual concetto. E male/al vivo sfolgorar di quegli
sguardi/spera l'uomo ingannato, e mal richiede/sensi profondi, sconoscuti, e
molto/più che virili, in chi dell'uomo al tutto/da natura è minor. Che se più
molli/e più tenui le membra, essa la mente/men capace e men forte anco riceve" (vv.
33 e ss.). Quel "di rado" invero lascia qualche speranza.
Un altro classico dell'antifemminismo è Sesso e carattere di O.
Weininger, morto suicida nel 1903, a 23 anni. Ne abbiamo già riferito
qualche cosa. Egli nel suo libro sostiene che la femmina umana ha sempre bisogno
della guida del maschio:" la donna s'aspetta sempre dall'uomo la delucidazione
delle proprie rappresentazioni oscure...la donna riceve la propria coscienza
dall'uomo: la funzione sessuale per l'uomo-tipo di fronte alla donna-tipo è
appunto quella di rendere cosciente l'inconscio della donna che è per lui il
completamento ideale"
[92] . Più avanti l'autore
sostiene che "la donna non possiede alcuna logica" (p. 163) Ella "non possiede
dunque il principium identitatis né il principium contradictionis
o exclusi tertii ". Allora "un essere che non comprende come A e non-A
s'escludano a vicenda, non trova nessun impedimento alla menzogna, anzi per lui
non esiste un concetto di menzogna, dato che il suo contrario, la verità, gli
rimane completamente ignota come termine di confronto" (p. 164). La donna si
realizza nell'attività sessuale e dunque ella "non pretende dall'uomo bellezza
ma pieno desiderio sessuale. Su di essa non fa mai impressione l'elemento
apollineo nell'uomo ( e perciò neppure quello dionisiaco), ma quello faunesco
nella sua massima estensione; mai l'uomo ma sempre il maschio; e in primo
luogo-non lo si può tacere in un libro sulla donna-la sua sessualità nel senso
più stretto, il phallus " (p. 258). La paura che l'uomo ha della donna
sarebbe orrore del vuoto:"Il senso della donna è dunque quello di essere
non-senso. Essa rappresenta il nulla, il polo contrario alla divinità, l'altra
possibilità nell'essere umano..E così si spiega anche quella profonda paura
dell'uomo: la paura della donna, cioè la paura di fronte alla mancanza di senso:
la paura dinanzi all'abisso allettante del nulla...la donna non è nulla, è un
vaso cavo imbellettato e dipinto per un pò di tempo" (p. 299)...Soltanto col
diventare sessuale dell'uomo la donna riceve esistenza e importanza: la sua
esistenza dipende dal phallus e questo è perciò il suo supremo signore e
dominatore assoluto. L'uomo divenuto sesso è il Fatum della donna; don
Giovanni è l'unico uomo dinanzi a cui tremi fin nel midollo delle ossa" (p.
300).
Non è nuovo del resto quanto afferma Weininger: nelle Nuvole di
Aristofane il discorso ingiusto (Lovgo"
a [diko" ) sostiene che Tetide lasciò
Peleo perché non era impetuoso (uJbristhv"
, v. 1067) e non era piacevole passare la notte con lui, mentre la donna gode a
essere sbattuta. Si noti il capovolgimento dell'
u{bri"
, la violenza, che applicata alla libidine della donna diviene un valore.
Altrettanto in Machiavelli:"Io iudico bene questo, che sia meglio essere
impetuoso che respettivo, perché la fortuna è donna; et è necessario, volendola
tenere sotto, batterla et urtarla" (Il Principe, XXV, 9).
Echi del misogino austriaco si trovano nel rimuginare di Zeno mentre osserva e
ascolta il rivale Guido provando la tentazione di ucciderlo, una voglia repressa
perché non ne scapiti il sonno:"Faceva parte della sua teoria (o di quella del
Weininger) che la donna non può essere geniale perché non sa ricordare"
[93] .
Nell'ultimo capitolo del libro (La donna e l'umanità ) troviamo uno
spiraglio, l'accenno a un remedium rispetto all'impossibilità di amare.
Il rimedio giusto è sempre la moralizzazione. "Nel coito sta il massimo
abbassamento, nell'amore la massima elevazione della donna. Che la donna
pretenda il coito e non l'amore significa che vuol essere avvilita, non
innalzata. La maggior nemica dell'emancipazione della donna è la donna stessa
(p. 334)...come deve l'uomo trattare la donna? Come vuole essere trattata essa
stessa, o come esige l'idea morale? Se la deve trattare come essa vuole, deve
accoppiarsi a lei, ché essa vuol venir posseduta; la deve picchiare, ché vuol
esser percossa; ipnotizzare, ché vuol venire ipnotizzata; deve dimostrarle con
la galanteria quanto poco ne stimi il vero valore, ché essa vuol sentirsi
complimentare, ma non venir stimata per ciò che è. Se invece vuole comportarsi
di fronte alla donna come esige l'idea morale, dovrà cercare di vedere in lei la
creatura umana che è, cercar di stimarla come tale (p. 335)...l'uomo non è in
grado di risolvere il problema etico per la propria persona se continua a negare
l'idea dell'umanità nella donna, nel momento che ne usa come d'un mezzo di
godimento" (p. 339). Una resipiscenza del genere viene in mente all'uxoricida
della Sonata a Kreutzer:" Guardai i miei figlioli, il suo volto livido e
disfatto, e per la prima volta dimenticai me stesso, i miei diritti, l'orgoglio,
e per la prima volta vidi in lei un essere umano"(p. 382). Sembra l'
a [rti manqavnw
, "ora comprendo", di Admeto nell'Alcesti di Euripide (v. 942).
I Remedia amoris di Ovidio.
I Remedia amoris come, ho già ricordato, appartengono all'ultimo
periodo della prima parte della produzione ovidiana, quella elegiaco- amorosa
che arriva al 2 d. C. Ebbene in questo poemetto di 814 versi (412 distici
elegiaci) il poeta non tocca l'argomento della moralizzazione necessaria al
benessere mentale ma insiste nel consigliare finzione e simulazione.
Invece, non del tutto a torto, Pavese sostiene:"L'amore è come la grazia di
Dio-l'astuzia non serve"
[95] .
L'Ars amatoria , l' abbiamo visto, è un poema di precettistica erotica
nel quale il praeceptor amoris (I, 17), ossia l'autore stesso, "insegna
a ricondurre tutti i momenti di una relazione d'amore alla strategia del maggior
vantaggio possibile; perfino la sofferenza non viene esclusa purché sia ridotta,
essa pure, a strumento dell'utile : per guadagnare il favore della
puella sarà bene che il corteggiatore appaia sofferente: est
tibi agendus amans imitandaque vulnera verbis ( Ars amatoria 1,
609)"
[96] , devi fare la parte
dell'innamorato e con le parole simulare le ferite.
"Tocchiamo così un punto cruciale della conversione che ha subìto l'elegia:
dall'ideologia della sincerità a quella della finzione. L'elegia aveva fatto
dell'autenticità la forma stessa del suo discorso; la didascalica ovidiana
diffida della sincerità e delle passioni incontrollabili, e raccomanda invece
l'arte di fingere. Come un attore, l'amante deve recitare il suo ruolo: est
tibi agendus amans ...Se la didascalica ovidiana costituisce la
realizzazione di questo semplice programma (alla fine risulterà che è possibile
un amore senza frustrazioni e patimenti) possiamo aggiungere che Ovidio non si
accontenta di una dimostrazione 'affermativa' (" vi insegno come si ama") ma
accetta anche la sfida di una prova in negativo ("se il vostro amore è
sbagliato, vi insegno a liberarvene")...Ciò che rispetto all'Ars
distingue i Remedia sta nelle ragioni specifiche di un'opera che si
propone come insegnamento di una terapia: si tratta di servirsi ora della
riconosciuta parzialità del mondo elegiaco per indicare l'esistenza e i vantaggi
di altri mondi verso cui uscire, in cui cercare rifugio e
guarigione...l'argomentazione didascalica dei Remedia intende aggredire
l'elegia in uno dei suoi fondamentali presupposti ideologici: il rifiuto della
vita attiva, la scelta deliberata dell'otium desidiosum
[97] . Se l'otium ,
la pigra mollezza, è alimento della malattia d'amore, la guarigione comincia già
dall'impegnarsi in una vita attiva: Remedia amoris 143 s. qui finem
quaeris amoris,/ (cedit amor rebus) res age, tutu, eris "
[98] . Di questi versi
abbiamo già dato la traduzione.
Mi sembrano cruciale anche quest' altro distico sull'otium da evitare se
si vuole guarire dall'amore:"otia si tollas, periere Cupidinis arcus,/contemptaeque
iacent et sine luce faces" (139-140), se togli di mezzo il tempo libero, si
rompono gli archi di Cupido, e le sue fiaccole rimangono a terra disprezzate e
senza luce.
L'amore ha
bisogno di tempo libero: nel
Duvskolo" di Menandro Sostrato,
l'innamorato ricco, domanda al fratello della ragazza, Gorgia è:"ma per gli
dèi, non sei mai stato innamorato di una, tu ragazzo?"(v. 341). E il futuro
cognato, che ricco non è, risponde: "Non me lo posso permettere, caro
mio"(v.342) Sostrato non ne capisce la ragione e domanda:"chi te lo impedisce?"
pensando magari al vecchio misantropo, ma Gorgia fa vedere un panorama negativo
più ampio:"il calcolo dei miei guai/che non mi dà un momento di
respiro"(343-344).
L'uxoricida della già citata Sonata a Kreutzer mette l'ozio tra le esche
ingannevoli della sua infausta passione amorosa:"Ma in realtà quel mio amore era
prodotto, da una parte, dall'affaccendata madre e dalla sarta, dall'altra-dalla
grande abbondanza di cibi che ingoiavo, e in più dalla vita oziosa che menavo"
(p. 327). Altrettanto pensa la vecchia Bovary dei grilli della nuora:"Ci
vorrebbe un'occupazione, un bel lavoro manuale! Se come tante altre fosse
costretta a guadagnarsi il pane, non avrebbe mica tanti fumi per la testa. Sai
da dove vengono? Da quel mucchio di idee balorde, dal troppo ozio in cui vive"
[99] .
Le attività raccomandate da Ovidio sono innanzitutto quelle "del foro e della
guerra, il cui rifiuto voleva dire per il poeta elegiaco rinuncia alla carriera
e alla rispettabilità" (p. 40). In una nota
[100] Conte menziona Amores I, 15, 1 ss. segnalando che
in questa elegia di Ovidio "e in genere nei luoghi elegiaci pertinenti, le
attività rifiutate si connotano negativamente (praemia militiae pulverulenta
; verbosas leges e ingrato foro ai vv. 4 ss.) ed è invece
rivendicata la positività dell'ignavia e dell'inertia (la poesia
elegiaca è detta ingenii inertis opus ); al contrario, nei Remedia
, il poeta deve impegnarsi a sottolineare la positività dei mondi che il suo
allievo deve scoprire (152 ss.), ed è adesso la scelta dell'otium a
subire la critica (quella stessa che poteva venire dai moralisti benpensanti,
dai senes severiores )".
Altra operosità raccomandata per sfuggire al tormento amoroso è quella
nell'agricoltura, " l'attività economica tradizionale del signore romano, ma che
è raccomandata come modello di vita in cui i tratti dell'utile quasi cedono di
fronte alle preponderanti attrattive estetiche che può offrire una tenuta di
campagna. E naturalmente, fra i modi di combattere l'otium , non può
mancare la passione per la caccia (e in subordine, per la pesca):
l'inconciliabilità fra Diana e Venere è una di quelle opposizioni fondamentali
che sono addirittura registrate nel codice antropologico"
[101] .
Vediamo alcuni aspetti di questo poemetto, il proemio, quindi scegliamo alcuni
"versi chiave"
"L'opera si presenta come un trattato di medicina, il cui contenuto si sviluppa
in una serie di precetti (i precedenti si collocano nel mondo greco: nel II sec.
a. C. Nicandro di Colofone aveva raccolto in esametri ricette e antidoti contro
i veleni di origine animale e vegetale). Trattazione scientifica dunque, per un
argomento considerato di pertinenza scientifica"
[102] . Il metodo e il lessico della scienza medica era stato usato,
molto prima, nella letteratura greca da Tucidide il quale pensa di potere
fare previsioni o "proiezioni", in avanti e pure all'indietro, avvalendosi
dell'analisi dei fatti umani, dei documenti, insomma di tutti i segni concreti
esistenti (tekmhvria): un modo di
procedere paragonabile a quello della contemporanea medicina ippocratica la
quale partiva dall'osservazione dei sintomi e dell'analogia di casi simili per
giungere alla diagnosi e alla prognosi.
La vicinanza della letteratura
alla scienza del resto si ripeterà più volte nella cultura europea: un caso
recente è quello verificatosi nella temperie positivistica del secondo
Ottocento, con il Naturalismo e il Verismo: Verga nella Prefazione a L'amante
di Gramigna scrive:"Caro Farina, eccoti non un racconto ma l'abbozzo di un
racconto. Esso almeno avrà il merito di essere brevissimo, e di essere
storico-un documento umano, come dicono oggi
[103] ...il semplice fatto umano farà pensare sempre; avrà
l'efficacia dell'essere stato, delle lagrime vere, delle febbri e delle
sensazioni che sono passate per la carne".
Nei primi distici troviamo un
dialogo tra il poeta e Cupido che apre il poemetto come se avesse ricevuto una
dichiarazione di guerra, un conflitto rovesciato rispetto alla topica, non solo
elegiaca, che abbiamo indicato finora: qui l'iniziativa bellica verrebbe
sottratta dall'uomo al dio Amore.
"Legerat huius Amor titulum
nomenque libelli:/"Bella mihi, video, bella parantur" ait".(vv. 1-2) Amore
aveva letto il titolo di questo libretto e il suo nome:"guerra, lo vedo-
affermò- la guerra si prepara contro di me. Il dialogo iniziale con Cupìdo si
trova anche nella prima elegia dei giovanili Amores dove il dio aveva
tolto un piede a ogni secondo verso, e aveva dardeggiato il poeta con le sue
frecce sicure facendolo bruciare, sottoponendolo al suo impero, e costringendolo
in conclusione a passare dall'esametro epico-eroico al distico dell'elegia
amorosa. Dunque dall'intenzione di celebrare le guerre in esametri Ovidio era
passato alla "maniera" di Gallo, Tibullo e Properzio accentuando la componente
callimachea, cioè ironica e letteraria. Come per il poeta di Cirene e per gli
altri alessandrini , "cultura è per lui quella vasta forma del ricordo che non
solo sa mettere spiritosamente in contatto cose fra loro distanti e divertire
con sorprendenti trovate l'ascoltatore, ma che abbraccia anche, con largo
sguardo, le varie parvenze della vita"
[104] . Lo stesso scambio di battute con il dio si trova nel
proemio degli Aitia dove Apollo parla di poetica con Callimaco e
sostiene il poeta contro i suoi detrattori. Pure l'inizio del IV libro dei
Fasti presenta un abbozzo di dialogo, nella fattispecie con Venere. -libelli:
anche Catullo chiama libellus la sua raccolta di poesie :"Cui dono
lepidum novum libellum? (1, 1), a chi dono il grazioso nuovo libretto? .
Così pure Properzio:"Fortunata meo si qua es celebrata libello! (III, 2,
17), fortunata colei che è resa famosa dal mio libretto! Si tratta comunque di
poesia erotica.-bella…bella: l'epanalessi è resa solenne
dall'echeggiamento di quella della Sibilla cumana nel VI canto dell'Eneide:"Bella,
horrida bella/et Thybrim multo spumantem sanguine cerno" (vv. 86-87),
guerre, guerre raccapriccianti vedo e il Tevere spumeggiante di molto sangue.
Sentiamo la risposta di Ovidio al rimprovero del dio:"Parce tuum vatem
sceleris damnare, Cupido,/tradita qui toties te duce signa tuli" (Remedia
Amoris, vv. 2-3), risparmia al tuo vate l'accusa di empietà, Cupido, a me
che tante volte sotto il tuo comando ho portato le insegne affidate. "Ovidio
sceglie lo schema retorico tipico della suasoria, quell'esercitazione
declamatoria scolastica che le fonti ci dicono particolarmente apprezzata dal
poeta, e che avrà la sua maggiore diffusione in età imperiale. La suasoria
è in sostanza un'orazione che viene rivolta a un personaggio famoso della storia
o del mito nel momento in cui deve prendere una decisione importante, per
spingerlo in una direzione piuttosto che in un'altra. Si struttura in tre
momenti: occorre anzitutto guadagnarsi la fiducia dell'interlocutore (conciliare),
fare poi leva sui suoi sentimenti (permovere), dare infine il proprio
insegnamento (docere)…Nei versi iniziali della sua apostrofe alla
divinità, Ovidio concretizza dunque il principio del conciliare:
rassicura il dio circa la propria fedeltà che è rimasta immutata negli anni, e
gli ricorda di avere speso tutta la vita al servizio della sua militia"
[105] .-tuum vatem: Ovidio si sente il profeta del dio
cui, fin dall'elegia proemiale degli Amores, il poeta ha lasciato un
dominio assoluto sulla propria persona:"uror, et in vacuo pectore regnat Amor"
(I, 1, 26) brucio e nel petto regna esclusivo Amore. Così fa pure Dante quando
dedica se stesso alle Muse all'inizio del Purgatorio:"Ma qui la morta
poesì resurga,/o sante Muse, poi che vostro sono" (I, 7-8).
Segue un exemplum tratto
dal V canto dell'Iliade (vv. 330 sgg. ) dove Afrodite viene ferita da
Diomede:" Non ego Tydides, a quo tua saucia mater/in liquidum rediit aethera
Martis equis" (Remedia , vv. 5-6), io non sono il Tidide ferita dal
quale tua madre tornò nel limpido etere con i cavalli di Marte.-saucia:
sintatticamente equivale a sauciata ed è l'aggettivo canonico per le
sofferenze erotiche causate dalle ferite d'amore: l'abbiamo già trovato in Ennio
(Medea exul, 9) che traduce ejkplagei's& di Euripide (Medea, 8),
in Catullo (64, 250), in Lucrezio (IV, 1048) e nell'incipit del IV canto dell'Eneide.
Ovidio lo utilizzerà ancora in questo stesso poemetto, più avanti (436),
concordandolo con turba e rivolgendosi in apostrofe alla folla ferita
degli innamorati infelici. Nell'utilizzare la tradizione il poeta deve
aggiungere il proprio genio: qui l'originalità sta nel fatto che Ovidio si
avvale di Omero inserendo una ferita non metaforica in un contesto di piaghe
dell'anima.
Il poemetto prosegue con la
rivendicazione di fedeltà dell'autore che afferma di non essersi mai sottratto
all'amore:"Saepe tepent alii iuvenes; ego semper amavi,/et si, quid faciam
nunc quoque, quaeris, amo" (7-8), spesso sono tiepidi gli altri giovani; io
sempre ho amato, e, se chiedi cosa faccio anche ora, amo.-iuvenes; ego:
l'accostamento chiastico dei due soggetti mette in rilievo l'antitesi tra i più
e il genio erotico, non solo letterario del poeta che è milite ed eroe
dell'esercito di Eros. " amo usato assolutamente in chiusura di
pentametro è anzi un tratto tipico della lingua poetica elegiaca: vedi per
esempio Catullo, c. 92, v. 4; Properzio, Elegie II, 8, 12; Ovidio Ars
amandi 3, 598 e in particolare Heroides, 5, 132: unde hoc
comperirem tam bene, quaeris, amo"
[106] , chiedi dove ho imparato questo così bene? amo. Da
quest'ultima citazione vediamo che in amore non si dà apprendimento senza
esperienza sul campo e senza una partecipazione emotiva almeno iniziale. Una
considerazione che si può ricavare anche dal successivo distico dei Remedia:"Quin
etiam docui, qua posses arte parari,/et, quod nunc ratio est, impetus ante fuit"
(vv. 9-10), anzi ho perfino insegnato con quale arte ti si possa conquistare, e
quella che è ora una teoria, prima fu slancio.-docui: Ovidio ribadisce la
sua funzione di professore dell'amore, una specie di Diotima di Roma .-ratio…impetus:
l'elaborazione teorica è preceduta dall'intuizione, lo qumov" , abbiamo visto
nella Medea di Euripide (v. 1079), prevale sui bouleuvmata, e i
ragionamenti non sono altro che sentimenti travestiti. Ovidio insomma non ha
tradito passando dall'Ars ai Remedia: l'amore va cercato quando dà
piacere, fuggito quando infligge dolore.
"Nec te, blande puer, nec
nostras prodimus artem,/nec nova praeteritum Musa retexit opus./Si quis amat
quod amare iuvat, feliciter ardens/gaudeat et vento naviget ille suo; at si quis
male fert indignae regna puellae,/ne pereat, nostrae sentiat artis opem" (vv.
11-16), non tradisco te, grazioso fanciullo, né la nostra arte, né una Musa
nuova ha disfatto la tela precedente. Se uno ama ciò che dà piacere amare, goda
ardendo con successo e navighi con il vento favorevole; ma se uno sopporta male
la tirannide di una ragazza indegna, per non morire provi l'aiuto della mia
arte.-blande: l'aggettivo qualifica tutta l'atmosfera che circonda Eros:
più avanti esso viene attribuito allo stesso genere elegiaco (v. 379) e
all'amante quando, ancora in buoni rapporti, scriveva (v. 717).-prodimus:
Ovidio non ha cambiato campo poiché quello che ora consiglia di evitare non è
amore ma distruzione.-retexit: da retexo, nel senso di "disfo la
tela" con allusione a Penelope che ingannava i proci.
"Con il suo inganno Penelope arresta
l'inesorabilità del tempo: oggi è uguale a ieri, a giudicare dal lavoro del
telaio. Penelope inganna i pretendenti prolungando una situazione, quella del
giorno in cui partì Ulisse, annullando il tempo nella misura in cui disfà quello
che ha tessuto. L'inganno di Penelope viene concluso da Ulisse al suo ritorno
che prende i pretendenti in una "rete dai mille fori" (Od. XXII 386)"
[107] . Ovidio negando
questo verbo vuol dire che non inganna.-feliciter: Nella poesia erotica
felix , contrapposto a miser, è colui che ha successo in amore e
quindi può gioire del suo ardore amoroso e lasciarsi andare spiegando le vele al
vento favorevole. Abbiamo già trovato più volte la metafora della navigazione
per indicare l'amore e anche altri aspetti della vita. Abbiamo anche visto che
felix è imparentato, anche etimologicamente, con femina né
potrebbe essere altrimenti.-indignae regna puellae: bisogna
liberarsi dal dispotismo dell'amore quando la tiranna non è meritevole, cioè
quando la puella, invece di accrescere la gioia e potenziare la vita, è
portatrice di morte. Infatti l'aiuto di Ovidio serve a salvarsi la vita (pereat)
da un dispotismo che può mietere vittime. L'accostamento tra l'amore indegno e
il perire si trova già nella X Bucolica:"Indigno cum Gallus amore
peribat" (v. 10). In quel caso la donna indegna era una meretrice di nome
Citeride che piantò il padre dell'elegia latina per seguire Antonio nelle
Gallie.
Vittorio Alfieri nella
Vita racconta il suo dolore disperato alla scoperta dell'indegnità
dell'amante perché già prima di amare lui ella avea amato un palafreniere che
stava a casa del marito. "Il mio dolore e furore, le diverse mie risoluzioni, e
tutte false e tutte funeste e tutte vanissime ch'io andai quella sera facendo e
disfacendo, e bestemmiando, e gemendo, e ruggendo, ed in mezzo a tant'ira e
dolore amando pur sempre perdutamente un così indegno oggetto; non si possono
tutti questi affetti ritrarre con le parole: ed ancora vent'anni dopo mi sento
ribollire il sangue ripensandovi".
Avrebbe dovuto leggere il nostro
poemetto nel quale seguono due exempla di suicidio:"Cur aliquis laqueo
collum nodatus amator/a trabe sublimi triste pependit onus?/ Cur aliquis rigido
fodit sua pectora ferro?/Invidiam caedis pacis amator habes" (vv. 17-20),
perché un innamorato annodatosi un laccio al collo è rimasto sospeso a
un'altissima trave, funesto fardello? Perché un altro si è trafitto il petto con
l'inflessibile ferro? Tu amante della pace raccogli l'odiosità della strage.-
laqueo collum (acc. di relazione) nodatus: lett.= annodato nel collo
con un laccio. Il nodum del laccio che pende da un'alta trabes si
trova nel suicidio della regina Amata alla fine dell'Eneide: "et nodum
informis leti trabe nectit ab alta" (XII, 603), e attacca a un'alta trave il
nodo di una morte deforme. Conte suggerisce questo modello epico che a sua volta
può averne uno tragico nel suicidio "deforme" di Giocasta nell'Edipo re:"
poi vedemmo la donna impiccata/ e avviluppata in lacci ritorti" (vv. 1263-1264).
Altro suicidio sconcio, in quanto conseguente a una violenza pedofila è quello
della bambina Matriosa^ che ne I demoni di Dostoevskij si impicca in "un
minuscolo ripostiglio, una specie di pollaio" dopo che il suo viso aveva
espresso "una disperazione che era impossibile di vedere sul viso di una
bambina" (p. 448 ). Questa è una delle più terribili tra quelle sofferenze di
bambini delle quali Ivan Karamazov dice:" E se le sofferenze dei bambini hanno
servito a completare la somma delle sofferenze necessarie per acquistar la
verità, io dichiaro fin d'ora che tutta la verità presa insieme non vale quel
prezzo"
[108] .-ferro: richiama il suicidio di Didone (Eneide
IV, 663-666) del quale si è già detto.-caedis: genitivo oggettivo.
"Qui, nisi desierit, misero
periturus amore est,/desinat, et nulli funeris auctor eris" (21-22), chi, se
non avrà smesso è destinato a morire di amore infelice, smetta e per nessuno tu
sarai causa di morte.-desierit…desinat: poliptoto.-funeris auctor:
Ovidio insiste sul concetto che Amore non deve essere causa di morte ma di vita.
"Et puer es, nec te quicquam
nisi ludere oportet:/lude; decent annos mollia regna tuos" (vv. 23-24), sei
un fanciullo e a te nulla conviene se non giocare: gioca; ai tuoi anni si
addicono governi dolci.-ludere…lude: altro poliptoto. In effetti a Eros
non può mancare questa componente. Il verbo ludo , come il sostantivo
ludus derivano dalla radice indoeuropea *loid- che ha dato come esito
in latino lud- e in greco loid(or)-
da cui loidorevw , "insulto". Il
significato del verbo greco non è estraneo al latino ludibrium,
derisione, e all'italiano ludibrio. Si vede dunque che la radice ha una
componente negativa che può sempre affiorare. Ma finché prevale la positiva, non
tanto a lungo di solito, conviene valorizzarla e godersela:"Garzoncello
scherzoso,/cotesta età fiorita/ è come un giorno d'allegrezza pieno…"
[109] .
L'amore dunque viene collegato
alla pestis e alla rovina ma anche al gioco. Afrodite dea dell'amore è
anche dea del gioco.
Quando è passato il momento buono
del ludus e del iocus allora è tempo di rimpianti, come si sa, e
come si legge in Catullo:"Ibi illa multa tum iocosa fiebant,/quae tu volebas
nec puella nolebat. Fulsere vere candidi tibi soles " (8, 6-8),
lì allora accadevano quei molti meravigliosi
giochi/che tu volevi né la ragazza rifiutava./Davvero hanno brillato radiosi i
soli per te.
"Nam poteras uti nudis ad bella
sagittis,/sed tua mortifero sanguine tela carent" (vv. 25-26), infatti
avresti potuto servirti per la guerre di frecce vere, ma le tue armi non hanno
il sangue della morte. Questi versi presenti in quasi tutti i codici sono stati
espunti da diversi editori. Li lascio perché ribadiscono l'idea di fondo che
Amore è collegato alla vita, alla salute, alla gioia non alle ferite né morte,
checché ne dicano alcuni, pure autorevoli. Vero è che in certi casi solo morendo
si capisce quanto forte sia il collegamento tra l'amore e la vita e quanto sia
doloroso avere perduto l'occasione di amare le altre creature viventi nel breve
tempo a noi concesso. Questo è l'insegnamento che ci dà Tolstoj attraverso i
pensieri del principe Andrej ferito a morte a Borodino:"La commiserazione,
l'amore per i fratelli, per coloro che ci amano; l'amore per coloro che ci
odiano, l'amore per i nemici, sì, quell'amore che Dio ha predicato sulla terra,
che mi ha insegnato la principessina Mar'ja e che io non capivo; ecco perché mi
dispiaceva di lasciare la vita, ecco quello che ancora mi restava, se fossi
vissuto. Ma adesso è troppo tardi. Lo so!"
[110] .-poteras: falso condizionale che esprime
irrealtà come fanno i tempi storici in greco.-nudis sagittis: i dardi di
Amore invece sono metaforici e non feriscono il corpo. Chi è intelligente e
morale non ne viene ferito in alcun modo.
"Vitricus et gladiis et acuta dimicet hasta/et
victor multa caede cruentus eat;/tu cole maternas, tuto quibus utimur, artes,/et
quarum vitio nulla fit orba parens" (vv. 27-30), il tuo patrigno combatta
con spade e lancia acuminata ed esca vincitore insanguinato per molta strage; tu
coltiva le arti materne, delle quali ci serviamo senza pericolo, e per colpa
delle quali nessuna madre viene privata dei figli.-Vitricus: è Marte in quanto
amante di Venere. Il dio combatte con armi vere e nude che provocano stragi;
tuttavia, come sappiamo dall'inno a Venere del De rerum natura perfino questo
dio sanguinario può essere vinto dalle feritr metaforiche dell'amore (I, 34).-maternas…artes:
sono quelle della seduzione, fondamentalmente due: la bellezza dell'aspetto e
quella della parola. Odisseo aveva soprattutto la seconda, Giasone la prima,
Alcibiade le aveva entrambe.-tuto quibus utimur: chi è devoto di Venere e Amore
si trova al sicuro rispetto alla guerra. Lo afferma anche Tibullo:"Quisquis
amore tenetur , eat tutusque sacerque/qualibet; insidias non timuisse decet!"
(I, 1, 29-30), chiunque sia occupato da amore, vada in qualsiasi luogo sicuro e
intoccabile; gli conviene non prendersi paura delle insidie. Similmente
Properzio:"nec tamen est quisquam, sacros qui laedat amantes (III, 16, 11), né
tuttavia c'è alcuno che tocchi i sacri amanti. Non certo i santi sacerdoti
dell'Antonio e Cleopatra che, come abbiamo visto, benedicevano la regina nella
sua lussuria. -orba parens: è una sommessa maledizione della guerra che stronca
le giovani vite, una delle tante.-
"effice, nocturna, frangatur ianua rixa/ et tegat
ornatas multa corona fores;/fac coeant furtim iuvenes timidaeque puellae/
verbaque dent cauto qualibet arte viro,/et modo blanditias rigido, modo iurgia,
posti/dicat et exclusus flebile cantet amans" (vv. 31-36), fai in modo che
le risse notturne infrangano la porta e che molte corone coprano i battenti
addobbati; fai incontrare di nascosto i giovani e le timide ragazze ed esse
ingannino con qualsiasi mezzo l'amante sospettoso, e all'uscio inflessibile
l'amante dica ora parole carezzevoli ora invettive e, chiuso fuori, canti
compassionevolmente.-effice…frangatur…tegat: costruzione paratattica
senza ut.-multa corona: la violenza delle risse, del resto non
omicide, è attenuata dalle ghirlande di fiori. "il nesso multa corona
rimanda anche, per antifrasi, a multa caede del v. 28"
[111] .
verbaque dent:" dare verba è
espressione del sermo cotidianus comico satirico equivalente come senso a
decipere, "ingannare" (per esempio Terenzio, Eunuchus, v. 24 e
Orazio, Satire I, 3, v. 22)"
[112] .-cauto…viro: è il marito o l'amante sospettoso.
Appartiene, vedremo, a questa categoria L'eterno marito descritto da
Dostoevskij come predestinato alle corna.-rigido…posti: abbiamo già detto
che l'inflessibilità della porta chiusa davanti all'innamorato è in realtà
quella della donna insensibile alle sofferenze dello spasimante. Rigidus
evoca il freddo dell'animo della donna che non apre: deriva infatti dalla radice
rig-/frig su cui si formano pure rigeo , "sono rigido" per il
freddo e frigus , "freddo". In Amores I, 6, 17 i claustra
(le serrature) sono definiti inmitia (spietate) e alla fine dell'elegia
l'addio è rivolto ai battenti crudeli con la soglia insensibile ("Vos quoque,
crudeles rigido cum limine postes" , v. 73).-flebile: neutro
avverbiale, molto comune in greco.
"His lacrimis contentus eris sine
crimine mortis:/non tua fax avidos digna subire rogos." (vv. 37-38),
ti accontenterai di queste lacrime senza la colpa della morte: la tua fiaccola
non è adatta ad andare sotto ai roghi ingordi.-fax: abbiamo già detto
dell'ambivalenza simbolica della fax e della taeda nella storia di
Didone. Qui possiamo aggiungere che nell'Agamennone di Eschilo una
funzione del genere la assume il tappeto rosso, la
via coperta di porpora (
porfurovstrwto" povro",
v. 910) fatta stendere dalla regina per il re vincitore. Questo oggetto
rosso-sangue è simbolico: da una parte è segno di lusso eccessivo, come noterà
lo stesso Atrìde, dall'altra prefigura il sanguinoso assassinio del re.
"Haec ego; movit
Amor gemmatas aureus alas/et mihi "propositum perfice" dixit opus" (vv.
39-40), queste parole io; Amore aureo scosse le ali adorne di gemme e mi rispose
"porta a termine l'opera promessa".-movit…gemmatas…alas: Amore dà l'
assenso in tutto il suo fulgore (aureus) e avalla il piano di lavoro del
suo fedele.
Il poeta quindi
impiega questa ispirazione in pro dei lettori :"Ad mea, decepti iuvenes,
praecepta venite,/quos suus ex omni parte fefellit amor./Discite sanari, per
quem didicistis amare; una manus vobis vulnus opemque feret " (vv. 41-44),
venite alle mie lezioni, giovani raggirati, quelli che da qualsiasi parte
l'amore ha ingannato. Imparate a essere risanati da quello per cui avete
imparato ad amare; una sola mano vi porterà la ferita e l'aiuto.-decepti:
si può dire delle illusioni di Amore quanto afferma Gorgia della tragedia: essa
crea un inganno nel quale chi inganna è più giusto di chi non inganna, e chi è
ingannato è più saggio di chi non viene ingannato: "oJv
te ajpathvsa" dikaiovtero" tou' mh; ajpathvsanto" kai; oJ ajpathqei;" sofwvtero"
tou' mh; ajpathqevnto""
[113] .-sanari: come
si è detto, Ovidio vuole assimilare il suo poemetto a un trattato di medicina.
Questo verbo verrà ripreso, vedremo, nell'ultimo verso.-amare:
l'accostamento di questa attività alla passività di sanari mostra come
anche il tenerorum lusor amorum accosti l'amore alla malattia che ha
bisogno di precetti curativi.-vulnus: ecco che infatti torna la solita
calunnia dei poeti. Ma, abbiamo sentito la lucidità del principe Andrej in
Guerra e pace, l'amore è vita .
"Terra salutares
herbas eademque nocentes/nutrit et urticae proxima saepe rosa est " (vv.
45-46), la terra nutre erbe salutari e pure quelle nocive e spesso la rosa è
vicinissima all'ortica.-terra: la similitudine della terra alla donna che
abbiamo visto ci dà conto di come dall'una e dall'altra si possano trarre frutti
diversi, anche contrapposti. In ogni caso il raccoglitore che sbaglia non può
incriminare la Grande Madre che offre.
"Vulnus in
Herculeo quae quondam fecerat hoste,/vulneris auxilium Pelias hasta tulit "
(vv. 47-48), l'asta Pelia che una volta aveva inferto una ferita nel nemico
figlio di Ercole, portò aiuto alla ferita.- Herculeo hoste: Ovidio
procede con un exemplum tratto dal mito dopo quello ricavato dalla
natura. L'Eraclide in questione è Telefo che la lancia di Achille, ricavata dal
legno di un frassino del Pelio, monte della Tessaglia
[114] , prima ferì poi risanò. Come dire che l'amore è un'arma a
doppio taglio.
"Sed quaecumque
viris, vobis quoque dicta, puellae,/credite; diversis partibus arma damus" (vv.
49-50), ma tutto quanto è detto per gli uomini, è detto anche per voi, ragazze,
credete; noi offriamo le armi alle fazioni opposte.-vobis quoque: è
l'obiettività epica applicata al campo erotico; Ovidio vuole evitare l'accusa
di parzialità.-arma: armi, beninteso, non cruente.
"E quibus ad
vestros si quid non pertinet usus,/attamen exemplo multa docere potest./Utile
propositum est saevas extinguere flammas/nec servum vitii pectus habere sui
" (vv. 51-54), e se tra queste qualcuna non è adatta ai vostri bisogni, tuttavia
può insegnare molto con l'esempio. Proposito utile è spengere le fiamme crudeli
e non avere il cuore schiavo della sua malattia.-exemplo: l'esempio
fornisce l'elemento concreto alla didassi.-saevas flammas: sono quelle
distruttive; infatti il fuoco è, pure lui, ambivalente e può essere anche
purificatore.-vitii…sui: la malattia del cuore è l'emotività eccessiva.
Seguono esempi di
amori pessimi che gli amanti avrebbero evitato se avessero ascoltato i precetti
del maestro. Così Fillide, Didone, Medea, Tereo, Pasife, Fedra, Menelao e
Scilla, che per amore di Minosse mandò in rovina suo padre Niso, avrebbero
risparmiato tanto dolore se avessero utilizzato le lezioni di Ovidio che si
sente il nocchiero della navigazione erotica:"Me duce damnosas, homines
compescite curas;/rectaque cum sociis me duce navis eat " (vv. 69-70), sotto
la mia guida, umani, domate le ansie nocive; sotto la mia guida la nave proceda
diritta con l'equipaggio. Per una pratica corretta dell'amore è indispensabile
la lettura del poeta il quale si definisce difensore della libertà con
riferimento al fatto che un rapporto erotico malato, ossia privo di bene
velle, diviene una tirannide del più forte:"Publicus assertor dominis
suppressa levabo/pectora:vindictae quisque favete suae " (vv. 73-74),
pubblico liberatore solleverò i cuori oppressi dai tiranni: ciascuno favorisca
la sua liberazione.-Publicus assertor : l'espressione appartiene
all'ambito giuridico e designa l'assertor libertatis il quale toccava lo
schiavo con la bacchetta di affrancamento (vindicta) davanti a un
magistrato e al dominus e lo poneva in libertà.- dominis suppressa:
Ovidio è un liberatore come l'Epicuro di Lucrezio che affrancò la vita umana
quando giaceva "in terris oppressa gravi sub religione" (De rerum
natura , I, 63), schiacciata in terra sotto l'opprimente superstizione.
"Te precor
incipiens; adsit tua laurea nobis,/carminis et medicae, Phoebe, repertor opis;
tu pariter vati, pariter succurre medenti; utraque tutelae subdita cura tuae est"
(vv. 75-78), ti invoco all'inizio; mi assista il tuo alloro, Febo, inventore
della poesia e della medicina; tu vieni in aiuto sia del poeta sia del
guaritore; l'una e l'altra cura sono soggette alla tua tutela.-Te…tua…tu…tuae:
anafora (con poliptoto) dei pronomi personali e degli aggettivi possessivi,
tipica del linguaggio della preghiera.-Phoebe: Febo Apollo viene invocato
come guaritore anche dal Coro nella Parodo dell'Edipo re (v. 154). Qui il
vates Ovidio assume una funzione simile a quella del
mavnti"
Tiresia nelle tragedie di Sofocle. "Conclude il proemio didascalico una
preghiera ad Apollo, che troverà una precisa corrispondenza nell'epilogo (vv.
811-814)"
[115] .
Ora procediamo
facendo una scelta di versi particolarmente significativi.
Se l'amore può
diventare una malattia anche grave, bisogna capire presto quale legame
diventerà deleterio e togliergli il tempo:"Nam mora dat vires: teneras mora
percoquit uvas/et validas segetes, quae fuit herba, facit " (vv. 83-84),
infatti il tempo fornisce le forze: il tempo fa maturare bene le uve acerbe e
rende spighe rigogliose quella che era erba. Il tempo porta a maturazione i
frutti dei campi e pure quelli della sventura, dunque, prima di offrire il collo
a un giogo amoroso bisogna prevederne gli sviluppi:"Quale sit quod amas,
celeri circumspice mente,/et tua laesuro subtrahe colla iugo " (vv.
89- 90), abbraccia con rapido sguardo la qualità di quello che ami, e togli via
il collo da un giogo che potrà ferirti.
E' importante individuare in fretta la malattia
poiché in amore, come in ogni attività, è decisiva l'intelligenza del tempo:"Principiis
obsta: sero medicina paratur /cum mala per longas convaluere moras "
(vv. 91-92), opponiti agli inizi, tardi si procura la medicina quando il male si
è rafforzato attraverso lunghi indugi.-convaluere=convaluerunt, perfetto
arcaico di convalesco. Insomma: antiquus amor cancer est, un
vecchio amore è un cancro, come leggeremo tra poco nel Satyricon ( 42,
7).
Quindi Ovidio usa il paragone con la ferita (vulnus v. 101) che va
medicata subito. Le cure del medico della malattia amorosa, lo stesso terapeuta
Ovidio, comunque non mancheranno nemmeno ai malati cronici. Segue il
tovpo"
della passione incendio che va spento appena divampato, oppure quando le sue
forze si sono oramai esaurite (vv. 117-118). Si tratta di cogliere il momento
opportuno, secondo il precetto posto da Isocrate nel manifesto della sua scuola
:"tw'n kairw'n mh; diamartei'n"(
Contro i sofisti , 16), non fallire le occasioni. Anche la medicina è più
o meno l'arte di cogliere il momento giusto:"Temporis ars medicina fere est
" (v. 131). Perciò, suggerisce Ovidio, continuando ad assimilare l'amore a una
malattia e la propria cura a quella del medico, quando ti sembrerà di essere
medicabilis (136), curabile dalla mia arte, fugias otia (v. 137),
evita gli ozi, poiché questi invitano all'amore:"haec ut ames faciunt "
v. 138). Abbiamo già detto di questa diagnosi e riportato alcuni versi. Aggiungo
l'esempio mitico che viene allegato: quello di Egisto la cui attività seduttiva
nei confronti della donna sposata Clitennestra è descritta e biasimata da Omero
nel III canto dell'Odissea : Nestore racconta che mentre gli eroi della
guerra troiana erano laggiù a compiere molte imprese, quello se ne stava
tranquillo nella parte più sicura (eu [khlo"
mucw'/ , v. 263) di
Argo che nutre cavalli e molto cercava di sedurre con le parole (qevlgesken
e [pessin, v. 264 )
[116] la moglie di Agamennone la quale dapprima
rifiutava l'indegno misfatto poiché aveva un'anima nobile ed era sorvegliata da
un aedo di fiducia del suo sposo, ma alla fine cedeva (vv. 265-272).
L'interpretazione di Ovidio non è troppo diversa da quella di Omero:"Quaeritis
Aegisthus quare sit factus adulter;/in promptu causa est; desidiosus erat "
(vv. 161-162), volete sapere perché Egisto divenne adultero? il motivo è a
portata di mano: non aveva nulla da fare. Gli altri Greci infatti facevano la
guerra e ad Argo non c'erano processi a impegnarlo. Dunque:"Quod potuit, ne
nil illic ageretur, amavit " (v. 167), fece quello che poté per non stare là
senza far niente: fece l'amore. Anche Madame Bovary divenne adultera
poiché si annoiava:"per lei, ecco, l'esistenza era fredda come un solaio esposto
a settentrione, il silenzioso ragno della noia tesseva e ritesseva la tela
nell'ombra, in ogni cantuccio del suo animo" (p. 36).
Un bel diversivo che ricrea la
mente abbattuta dall'amore sono i campi e e il desiderio di occuparsene :"
rura quoque oblectant animos studiumque colendi (v. 169). Segue la
descrizione di una campagna più amena che faticosa:"Poma dat autumnus;
formonsa est messibus aestas;/ver praebet flores; igne levatur hiemps " (vv.
187-188), l'autunno dà la frutta; l'estate è bella per le messi; la primavera
offre fiori; l'inverno è alleviato dal fuoco.
Non è detto però, che la natura
bella allontani i pensieri d'amore o mitighi il dolore dell'assenza della
creatura amata, né nella realtà effettuale, né nella poesia.
Petrarca nel sonetto già
citato (CCLXVI) ci dice che il paesaggio ridente non molcisce l'affanno ma
contrasta con il suo stato d'animo e ne esulcera il dolore per la perdita di
Laura:"Ridono i prati, e 'l ciel si rasserena;/Giove s'allegra di mirar sua
figlia;/l'aria et l'acqua et la terra è d'amor piena;/ogni animal d'amar si
riconsiglia./Ma per me, lasso, tornano i più gravi/sospiri, che del cor profondo
tragge/quella ch'al ciel se ne portò le chiavi;/et cantar augelletti, et fiorir
piagge/e 'n belle donne honeste atti soavi/sono un deserto, et fere aspre et
selvagge" (CCCX ,vv. 5-14). La corrispondenza paesaggio stato d'animo insomma
può definirsi per analogia, come nel sonetto XXVIII "Solo et pensoso i più
deserti campi" (XXXV), ma anche per opposizione come nei versi citati sopra.
Tornando ai Remedia di
Ovidio, una volta che il piacere della campagna ha cominciato a incantare
l'animo, Amore se ne va annullato con le ali indebolite (vv. 197-198).
Segue il consiglio di praticare la
caccia, esercizio consigliato da diversi altri autori, Senofonte, Polibio,
Machiavelli p. e., per altre ragioni: principalmente quella di tenere in
esercizio il fisico
[117] . Un aiuto per dimenticare può venire anche da un lungo
viaggio senza voltarsi indietro: se l'amore è una guerra sia guerra scitica
[118] , o partica: "tempora nec numera nec crebro respice
Romam,/sed fuge; tutus adhuc Parthus ab hoste fuga est " (vv. 224-225). non
contare i giorni e non voltarti spesso a guardare Roma, ma fuggi, ancora il
Parto si mette al riparo con la fuga.
Già Properzio aveva
affermato l'opportunità della ritirata altrove per salvarsi dalla pena amorosa:"Magnum
iter ad doctas proficisci cogor Athenas/ut me longa gravi solvat amore via./Crescit
enim assidue spectando cura puellae:/ipse alimenta sibi maxima praebet
Amor./Omnia sunt temptata mihi, quacumque fugari/ possit; at ex omni me premit
ipse deus./…Unum erit auxilium: mutatis Cinthya terris/Quantum oculis, animo tam
procul ibit amor./ Nunc agite, o socii, propellite in aequore navem "III,
21, 1-6; 8-10), sono costretto a partire per un grande viaggio verso la dotta
Atene perché un lungo tragitto mi liberi da quest'amore opprimente. Cresce
infatti continuamente osservandola il tormento della ragazza: Amore si fornisce
da solo l'alimento più grande. Le ho tentate tutte, da qualunque parte si
potesse mettere in fuga; ma da ogni parte mi opprime lo stesso dio…resterà solo
un rimedio: mutato luogo, Cinzia, quanto dagli occhi tanto lontano andrà Amore
dal cuore. Ora avanti, compagni, spingete nel mare la nave.
Da questi autori dunque è stato
ribaltato il topos dell'inutilità della mutatio locorum che si trova
in Orazio :"Caelum, non animum, mutant qui trans mare currunt/strenua
nos exercet inertia " (Epistole, 1, 11, 27-28) , cambiano il cielo,
non lo stato d'animo quelli che corrono al di là del mare, un'irrequieta
indolenza ci tiene in ansia; quindi Seneca scriverà:" Animum debes
mutare, non caelum. Licet vastum traieceris mare, licet, ut ait Vergilius noster,
"terraeque urbesque recedant"
[119]
, sequentur te quocumque perveneris vitia " (Ep. a
Lucilio , 28, 1), l'animo devi cambiare, non il cielo. Anche se avrai
attraversato il mare immenso, anche se, come dice il nostro Virgilio, "terre e
città si allontanano", dovunque sarai giunto ti seguiranno i vizi. E ancora:"
Nullum tibi opem feret iste discursus; peregrinaris enim cum adfectibus tuis et
mala te tua sequuntur…Quid ergo? animum tot locis fractum et extortum
credis locorum mutatione posse sanari? Maius est istud malum quam ut gestatione
curetur ...Nullum est, mihi crede, iter quod te extra cupiditates, extra
iras, extra metus sistat " (Ep. a Lucilio , 104, 17-19), questo
correre qua e là non ti porterà nessun vantaggio; infatti vai in giro con le tue
passioni e i tuoi vizi ti seguono… che dunque? credi che l'animo in tanti luoghi
ferito e slogato possa sanarsi col cambiar luogo? Il male è troppo grande per
essere guarito con una passeggiata...Non c'è viaggio, credimi, che ti metta al
riparo dalle passioni, dall'ira, dal timore. Tra i contemporanei il già citato
Galimberti dubita che il viaggiare da turisti possa davvero scuoterci
l'anima:"La gente viaggia (diceva Orazio:"Non è cambiando il cielo che si cambia
animo") probabilmente per un bisogno di evasione, per dare una scossa alla
propria condizione psicologica. Evasione vuol dire "uscir fuori", ma non mi pare
che nei viaggi si esca davvero fuori". Infatti è tutto prenotato, codificato,
previsto. "Del viaggio perdiamo dunque l'ultimo scrigno segreto che potrebbe
offrirci: lo spaesamento"
[120] .
Ovidio al contrario pensa che
cento distrazioni (centum solacia ) avranno la forza di allontanare
l'affanno. Ma non devi avere fretta di tornare, ammonisce, altrimenti "inferet
arma tibi saeva rebellis Amor/quidquid et afueris, avidus sitiensque redibis,/et
spatium damno cesserit omne tuo " (vv. 246-248), Amore pronto a ricominciare
la guerra ti porterà contro le armi crudeli, e nonostante tutto il tempo nel
quale sarai stato lontano, tornerai bramoso e assetato e lo spazio attraversato
andrà perduto con tuo danno.
Gli incantesimi della magia non
servono, altrimenti Medea e Circe avrebbero avuto successo. La via del
veneficio è vecchia:"Ista veneficii vetus est via " (v. 251, con
l'allitterazione che sembra soffiare e spazzar via gli incantesimi sulfurei). La
terapia giusta sono i versi sacri (sacrum carmen ) del poeta Ovidio
ispirato da Apollo (v. 252).
La figlia del Sole non chiese
molto a Ulisse: solo un differimento della partenza:"Ne properes, oro;
spatium pro munere posco "(v. 277), ti prego di non avere fretta, domando un
poco di tempo per dono, e gli propose un amore con la pace nella quale solo lei
aveva ricevuto ferita:"hic amor et pax est, in qua male vulneror una "(v.
283), e gli promise il dominio sulla sua isola:"totaque sub regno terra
futura tuo est " (v; 284). Intanto l'amante preparava la partenza.
"Ardet et
adsuetas Circe decurrit ad artes;/nec tamen est illis adtenuatus amor./
Ergo, quisquis opem nostra tibi poscis ab arte,/deme veneficiis
carminibusque fidem " (vv. 287-290), brucia Circe e ricorre ai consueti
incantesimi, né tuttavia da quelli è attenuato l'amore. Quindi, chiunque tu sia
che chiedi aiuto all'arte nostra, togli fiducia ai veneficii e alle formule
magiche.
E' questo il motivo dei
favrmaka usati soprattutto dalle
donne ma non sempre efficaci.
Nel IV canto dell'Odissea Elena getta nel vino un farmaco quale
antidoto al dolore, all'ira, e oblio di tutti i mali (vv. 220-221). L'aveva
avuto in Egitto la cui terra produce farmaci, molti buoni e molti tristi
mescolati ("favrmaka, polla; me;n
ejsqla; memigmevna, polla; de; lugrav",
v. 230).
La donna è non di rado maga ed esperta di
droghe. Questo
favrmakon
di Elena non sembra creare effetti permanenti
poiché chi la prende si anestetizza per un giorno ("ejfhmevrio"",
v. 223). Buoni sono i favrmaka
(v. 718) contro la sterilità promessi a
Egeo da Medea la nipote di Circe, terribile maga esperta di "kaka;
favrmak& e
favrmaka luvgr&"
[121] farmachi cattivi e
tristi, forieri di oblio.
La donna antica
viene spesso accusata di essere una maga o una sporcacciona come le Cretesi
Pasife e sua figlia Fedra.
Christa Wolf presenta una Circe calunniata dal potere, bella e
sofferente quanto Medea:"Incontrammo la donna sulla riva, si lavava in mare i
capelli rossi fiammanti e la veste bianca, le leggemmo sul viso solcato,
tremendo, che sembrava sapere chi stava arrivando…anche lei era stata scacciata,
quando col suo gruppo di donne era seriamente insorta contro il re e la sua
corte, che aizzarono la gente contro Circe, le addossarono crimini da loro
stessi commessi e riuscirono ad affibbiarle la fama di maga malvagia, a
toglierle qualsiasi fiducia, al punto che lei non riuscì a fare nulla,
assolutamente più nulla"
[122] .
Simeta ne Le incantatrici
di Teocrito vuole avvincere l'uomo che le sfugge (II, v. 3) con filtri
(favrmaka)
degni di Circe, di Medea, e dell'assai meno conosciuta maga Perimede (vv.
15-16). Nel prepararli chiede l'assistenza di Ecate. Interessante
l'interpretazione che dà Menalca, un pastore poeta dell'idillio IX di Teocrito,
degli uomini stregati dai filtri di Circe: sono quelli indifferenti alle Muse (vv.
35-36) che vengono trasformati in bestie dal beveraggio (potw'\'\\\'/
, v. 36) della maliarda.
Queste sono streghe o maghe, denominazioni non necessariamente vituperose:"Persarum
lingua magus est qui nostra sacerdos " si difende dall'accusa di esserlo
Apuleio nel De Magia (25), nella lingua dei Persiani è mago quello
che nella nostra il sacerdote. Nel romanzo dello stesso autore del resto ci sono
maghe terribili come quella ostessa anziana ma alquanto graziosa che mutò un suo
amante fedifrago in un castoro "quod ea bestia captivitati metuens ab
insequentibus se praecisione genitalium liberat "
[123] , poiché questo
animale, temendo di essere preso, si libera dagli inseguitori con il recidersi i
testicoli. Comunque queste donne, maghe o streghe o sacerdotesse, o addirittura
mezze dèe, propinano quasi sempre droghe le quali portano dimenticanza all'uomo
che per un motivo o per l'altro non deve ricordare. Si sottrae a tali
incantesimi Odisseo il quale sa bene che, se ricordare è dolore, pure
dimenticare è dolore, ed evita le droghe e costruisce la sua identità sulla
pienezza della coscienza. Donna di droghe è anche lady Macbeth, " fra le
figure tratteggiate da Shakespeare la più imponente e quella che meglio ispira
un ammirato terrore"
[124] . Questa donna resa assassina dall'ambizione le usa per coprire
il delitto addormentando i servi posti a guardia del re da assassinare:" I
have drugged their possed " (II, 1), io ho drogato le loro bevande.
Quindi Ovidio consiglia di fissare
la mente sui difetti e i misfatti della donna scellerata (sceleratae facta
puellae , v. 299) e su tutti gli svantaggi (omnia damna , v. 300)
conseguenti: è avida (avara , 302), ha avuto tanti regali e non si
accontenta mai del bottino, tradisce i giuramenti, mi ha fatto giacere tante
volte davanti alla porta, ama altri e sdegna di essere amata da me , le notti
che non dà a me le gode un venditore ambulante (institor , v. 306).
Fa qui capolino il locus
della donna che preferisce l'uomo rude, il gladiatore o lo zingaro, alla
persona civile. Lo ritroveremo in Giovenale che nella VI satira nota come
per la matrona romana adultera il nome e la funzione di gladiator sia un
segno di bellezza e supremazia, anche se quel bruto ha la faccia sfregiata, una
protuberanza nel naso e gli occhi lacrimosi per un acre malum :"Sed
gladiator erat; facit hoc illos Hyacinthos,/hoc pueris patriaeque, hoc praetulit
illa sorori/atque viro: ferrum est quod amant " (vv. 110-112), ma era un
gladiatore, e questo li rende dei Giacinti, questo coso ha preferito colei ai
figli e alla patria, questo alla sorella e al marito: è il ferro che amano.
Evidentemente gli uomini della classe dirigente erano diventati troppo molli.
Ovidio prosegue consigliando di
mettere in rilievo i difetti fisici dell'amata, trovandoli anche quando non ci
sono. Una parte (vv. 315-340) l' abbiamo già vista confrontandola con i versi
di Lucrezio. Procediamo con i più significativi tra i distici che seguono.
Gioverà anche vedere la donna al naturale arrivando all'improvviso di mattina:"Auferimur
cultu: gemmis auroque teguntur/omnia; pars minima est ipsa puella sui " (vv.
343-344), siamo sedotti dall'acconciatura: tutti i difetti sono coperti dalle
gemme e dall'oro; la donna in sé, è una una parte minima di sé.-ipsa puella
: con questo stilema platonico (aujto; oJ;,
auto; tov) applicato all'amore Ovidio intende distinguere non tanto
l'anima della donna dal suo corpo quanto il suo vero aspetto da tutto l'apparato
esteriore. Comunque anche qui come in Gorgia 465b la cosmesi è una forma
di adulazione e di inganno.
Infatti, prosegue Ovidio, "Saepe,
ubi sit quod ames, inter tam multa, requiras:/decipit hac oculos aegide dives
Amor " (vv. 345-346), spesso tra tante contraffazioni uno può chiedersi dove
sia ciò che ama: Amore arricchito con questo scudo inganna gli occhi.-tam
multa : sono gli orpelli dell'apparato esterno e della cosmesi che inganna (decipit
). Platone nel luogo citato sopra la definisce
ajpathlhv , ingannevole appunto. Si
ricorderà che altrove Ovidio non accusa né denuncia il cultus, ma in
questo contesto ogni mezzo è valido per demistificare e svilire la donna.
Un mezzo demistificatorio è quello
di arrivare all'improvviso:"improvisus ades: deprendes tutus inermem; infelix
vitiis excidet illa suis " (vv. 347-348), presentati inaspettato: tu, al
sicuro, la sorprenderai disarmata; quella, disgraziata, cadrà per i suoi
difetti.-tutus : l'uomo che invece si è preparato.-inermem : il
termine ( formato da in e arma ) allude alla guerra: questi versi
potrebbero entrare anche nel tovpo"
Eros/Eris.
Esiste però una forma sine arte
decens (v. 350), una bellezza elegante senza trucco ed essa fallit
multos , inganna molti. Volendo spiegarla, questa potrebbe essere la
bellezza naturale potenziata, o conservata, dalla ginnastica e dalla
consapevolezza di sé. L'attrazione esercitata da tale forma potrebbe non
essere fallace. Comunque Ovidio, come Lucrezio, consiglia di avvicinarsi al
volto della domina "compositis cum linit ora venenis " (v. 351),
quando si spalma il volto con intrugli pestiferi, che hanno l'odore stercorario
delle mense di Fineo insozzate dalle Arpie:"Illa tuas redolent, Phineu,
medicamina mensas " (v. 355), quegli intrugli hanno il cattivo odore delle
tue mense, Fineo. Le donne dunque sono come Arpie che insozzano; come le Erinni
appartengono alla categoria dei mostri femminili vendicatori e vengono chiamate
anche "cani del grande Zeus"
[125] . E' tipico dell'immaginario mitico dei Greci
attribuire a figure femminili i tratti dell'alterità più mostruosa. Diamo
un'occhiata a questi mostri che possono accostarsi all'immagine della donna tubo
di scarico e simboleggiano tanto la paura quanto il risentimento del maschio
verso la femmina umana degradata a semibestiale:"Virginei volucrum voltus,
foedissima ventris/proluvies uncaeque manus et pallida semper/ora fame " (Eneide
, III, 216-218), i volti degli uccelli sono da ragazza, schifosissimo è il
flusso del ventre, adunche le mani e pallidi sempre i volti per fame. Sentiamo
anche Dante:"Quivi le brutte Arpie lor nido fanno,/che cacciar delle Strofade i
Troiani/con tristo annunzio di futuro danno./ Ali hanno late, e colli e visi
umani,/piè con artigli, e pennuto il gran ventre;/fanno lamenti in su li alberi
strani" (Inferno, XIII, 10-15). E' notevole che l'uccello con volto di
donna è un mostro, mentre la donna o l'uomo con qualche cosa di ornitologico nel
volto è nobile e bello, come abbiamo visto in Proust
[126] .
Non potrà che derivarne nausea
allo stomaco. Anche perché la donna che usa tale
"orribile manteca" ed è "tutta goffamente
imbellettata e parata d'abiti giovanili " il più delle volte ha grossi
difetti da nascondere: è brutta e vecchia come quella di Pirandello.
Quindi l'autore si difende dai
detrattori secondo la censura dei quali la sua Musa è sfacciata ("quorum
censura Musa proterva mea est ", v. 362). L'apologia della Musa licenziosa
si trova già in Catullo che si difende contrapponendo la pietas e la
castitas della sua vita ai versiculi molliculi :"
me ex versiculis meis putastis,/quod sunt molliculi, parum pudìcum./ Nam castum
esse decet pium poetam/ipsum, versiculos nihil necessest " (16, 3-6), mi
consideraste, dai miei versi leggeri, poiché sono lascivi, poco casto. In
effetti si addice al pio poeta come persona essere puro, che lo siano i suoi
teneri versi non è necessario.
Su questa linea Marziale scriverà:"lasciva est nobis pagina, vita proba
"(I, 4, 8), la mia pagina è licenziosa, la vita onesta.
Ovidio piuttosto attacca il livor dei detrattori del genio. L'invidia
attacca i poeti sommi:"Ingenium magni livor detractat Homeri "(v.
365), l'invidia deprezza il talento del grande
Omero, come ha cercato di infamare il capolavoro di Virgilio:"Et tua
sacrilegae laniarunt carmina linguae "(v. 367),
e lingue sacrileghe dilaniarono i tuoi carmi.
Insomma il livor cerca di colpire le cime:"Summa petit livor;
perflant altissima venti,/summa petunt dextra fulmina missa Iovis "(vv.
369-370), l'invidia mira verso l'alto; i venti
soffiano sulle vette più alte, i fulmini scagliati dalla destra di Giove mirano
alle sommità.
L'invidia
degli uomini nei confronti del genio.
Il tovpo"
dell'invidia è molto diffuso in letteratura: Erodoto attribuisce questo
sentimento certo non alto perfino agli dèi
[127] .
Lo stesso ostracismo secondo Plutarco
è un'istituzione con la quale gli Ateniesi cacciavano in esilio quelli tra i
cittadini che superavano gli altri per fama e potenza, e con questo placavano
l'invidia più che la paura:"paramuqouvmenoi
to;n fqovnon ma'llon hj; to;n fovbon"
[128] .
Molti uomini politici vennero colpiti dall'invidia, ma anche non pochi poeti se
ne lamentano.
All'invidia dei detrattori
Telchìni deve replicare Callimaco nel prologo degli Aitia , e,
ancora più esplicitamente il poeta di Cirene ribatte ai colpi degli invidiosi
con alcuni esametri dell'Inno II ad Apollo : l' Invidia disse di
nascosto agli orecchi di Apollo ("oJ Fqovno"
jApovllwno" ejp& ou [ata lavqrio" ei'jpen", v. 100):" non ammiro il
cantore che non canta temi grandi quanto il mare".
Apollo respinse l'Invidia con il
piede "to;n Fqovnon wJpovllwn podiv t& h [lasen",
v. 103) e parlò così:"grande è la corrente del fiume di Assiria, ma
molta/lordura della terra e molta spazzatura trascina sull'acqua./ Le api
portano l'acqua a Demetra non da ogni parte
ma quella che pura e incontaminata
zampilla/da sacra sorgente piccola vena, fiore sublime".
Il grande fiume pieno di scorie
simboleggia il grande poema e può alludere a Le Argonautiche di
Apollonio Rodio.
Tornando alla invidia tra i potenti della terra, in Tacito l'invidia di
Tigellino architetta la rovina di Petronio, "elegantiae arbiter ",
principe del buon gusto della corte di Nerone. Il despota "nihil amoenum et
molle adfluentia putat, nisi quod ei Petronius adprobavisset ", niente
considerava piacevole e raffinato in quell'abbondanza, se non ciò che Petronio
gli avesse approvato, "unde invidia Tigellini quasi adversus aemulum et
scientia voluptatum potiorem "
[129] , di qui l'invidia di
Tigellino come contro un rivale più capace nella conoscenza dei piaceri.
Tigellino è il famigerato prefetto del pretorio succeduto a Burro fatto
ammazzare da Nerone nel 62 d. C. A lui che cercava accuse di adulterio contro
Ottavia presso le ancelle di lei una, incalzata, rispose "castiora esse
muliebria Octaviae quam os eius" (Annales , XIV, 60), che era più
casto il sesso di Ottavia che la sua bocca.
Nell' incipit dell'Agricola lo storiografo afferma che aveva riflettuto
sull'invidia in generale, chiamandola, con l'ignoranza del bene, vizio comune ai
piccoli e ai grandi stati: "vitium parvis magnisque civitatibus commune
".
Dante individua questo vizio soprattutto nelle corti:" La
meretrice che mai dall'ospizio/di Cesare non torse li occhi putti,/ morte
comune, delle corti vizio",
[130]
.
A. Schopenhauer in Parerga e paralipomena dà una definizione
efficace di questo sentimento meschino :" alla gloria dei meriti di alta specie
si oppone l'invidia ; l'invidia che vi si oppone fin dai primi passi,
perfino quando si tratta di meriti di infimo grado e non si ritira fino
all'ultimo; perciò appunto l'invidia contribuisce parecchio a peggiorare il
corso del mondo, e Ariosto con ragione definisce la vita come
L'invidia è appunto l'anima
dell'alleanza dovunque fiorente e tacitamente stipulata, senza previa intesa, di
tutti i mediocri contro il singolo individuo eccellente di qualsiasi specie"
[132] . L'invidia di Salieri per il genio di Mozart è stata
resa celebre dal film Amadeus di Forman. Alle spalle c'è un microdramma
di Puskin (1799-1837) del quale cito alcune parole: "Sono invidioso.
Invidio; con tormento,/Profondamente, invidio. O cielo! dunque/Dov'è giustizia,
quando il sacro dono,/Quando il genio immortale non compenso/D'amore ardente,
non di dedizione,/
Di sudori, di zelo, è, di preghiere./Ma illumina la testa d'un ozioso/
La Zambrano definisce l'invidia "il male sacro tra tutti", quello "che di fronte
al Dio assoluto grida non serviam, e che nell'uomo sarà l'invidia
fraterna, "la prima forma di parentela"
[134] .
Ovidio continua la sua apologia. Ogni genere ha il suo metro e i suoi argomenti:
una cosa è l'epica con le sue guerre eroiche cantate in esametri; un registro
magniloquente ha la tragedia, ai coturni della quale si addice lo sdegno (Grande
sonant tragici: tragicos decet ira cothurnos, v. 375); la commedia tratta il
quotidiano; il giambo, sia quello veloce, sia lo scazonte che allunga l'ultimo
piede
[135] , può essere brandito quale arma contro i nemici. L'elegia è
un'altra cosa ancora :"blanda pharetratos elegeia cantet Amores/et levis
arbitrio ludat amica suo "(vv. 379-380), l'elegia carezzevole canti gli
Amori faretrati e l'amica leggera vi giochi a suo capriccio. La contraddizione e
il dolore scoppiano quando ci si innamora della levis amica ,
dell'adultera, dell'etera, in genere della donna all'inizio comoda siccome non
dà responsabilità: allora le responsabilità vorremmo prendercele ma quel tipo di
donna non si presta e non è prendibile. Allora l'elegia diventa flebile.
A Omero non si confà Cidippe, all'elegia non si addice Andromaca ma Taide, e
l'arte di Ovidio è quella di Taide:"Thais in arte mea est: lascivia libera
nostra est;/nil mihi cum vitta; Thais in arte mea est " (vv. 385): Taide è
nella mia arte: la mia dissolutezza è sfrenata, io non ho niente in comune con
le bende sacre: Taide è nella mia arte. Viene ribadito il nome e la presenza
dell'etera per antonomasia, dopo l'Eunuchus di Terenzio.
Ovidio qui si proclama quasi cantore di prostitute. Se la sua poesia è
conseguente al proposito e coerente con il genere, l'invidia dovrà crepare:"Rumpere,
Livor, edax: magnum iam nomen habemus;/maius erit, tantum, quo pede coepit, eat
" (vv. 389-390), crepa invidia vorace, abbiamo già un nome grande; sarà più
grande se solo va avanti col ritmo con cui ha iniziato.-rumpere :
imperativo del passivo mediale rumpor .-edax : la radice deriva
dall'indoeuropeo *ed- da cui discendono pure il greco
[esqivw<
*ed-qivw
l' italiano inedia, l'inglese to eat , il tedesco essen .
Il Sulmonese si vanta di essere il
Virgilio dell'elegia, quindi, affermata questa sua preminenza nel genere,
riprende la strada dei consigli per salvarsi dalla tirannide dell'amore (vv.
395-398). Il primo precetto del ciclo scabroso è stravagante, bizzarro e poco
condivisibile: prima di incontrare la tua signora vai con un'altra:"gaudia ne
dominae, pleno si corpore sumes,/ te capiant, ineas quamlibet ante velim;/quamlibet
invenias, in qua tua prima voluptas /desinat; a prima proxima segnis erit "
(vv. 401-404), per evitare che il piacere della tua donna ti afferri se lo
prenderai con tutte le forze, vorrei che prima tu entrassi in un'altra
qualsiasi; trovane una qualunque in cui il tuo primo piacere si sfoghi; dopo il
primo, il successivo sarà fiacco.- a prima : sottintende
voluptate .
E' un consiglio non solo immorale
ma anche grossolanamente sbagliato: la donna è attirata dal desiderio
dell'uomo, se non prova una ripugnanza iniziale per lui.
La scarsa potenza certamente non
la lusinga, e l'impotenza la disgusta, la fa andare via. Quindi il consiglio può
essere valido per allontanare una donna, non certo per evitare di amarla, se è
vero che in questa partita a scacchi amiamo chi fugge.
Il tema dell'impotenza e quello
del piacere. Un assaggio di Satyricon con una briciola di Epicuro.
Restando nel campo della
letteratura si può pensare alla Circe del Satyricon la quale, il giorno
dopo avere sofferto l'offesa dell'impotenza sessuale di Encolpio, " hesternae
scilicet iniuriae memor ", evidentemente ricordandosi l'affronto del
giorno prima, cerca di umiliarlo a sua volta dicendogli:"quid
est-inquit-paralytice? ecquid hodie totus venisti? " (131), come va
paralitico? forse che oggi sei venuto tutto intero?
Rinnovatosi l'affronto, la donna
fece fustigare Encolpio-Polieno il quale poi a sua volta rivolge un'invettiva al
pene disertore:" erectus igitur in cubitum hac fere oratione contumacem
vexavi" quid dicis- inquam-omnium hominum deorumque pudor? nam nec nominare
quidem te inter res serias fas est" (132), drizzatomi quindi sul gomito,
maltrattai il renitente più o meno con questo discorso: "cosa dici-faccio-
vergogna degli uomini e degli dèi? infatti non è possibile nemmeno nominarti tra
le cose serie".
Segue un attimo di pentimento per
avere litigato con quella parte del corpo che nemmeno si dovrebbe menzionare,
quindi Encolpio, soprannominato Polieno, come Odisseo dalle Sirene, si
giustifica ricordando Ulisse appunto, nonché Edipo:"quid? non et Ulixes cum
corde litigat suo, et quidam tragici oculos suos tamquam audientes castigant?
", e che? Ulisse non litiga con il suo cuore
[136] e certi personaggi della tragedia non sgridano i
propri occhi come se li ascoltassero? Di conseguenza "podagrici pedibus suis
male dicunt, chiragrici manibus, lippi oculis, et qui offenderunt saepe digitos,
quicquid doloris habent, in pedes deferunt ", i podagrosi insultano i loro
piedi, i malati di chiragra le mani, i cisposi gli occhi, e quelli che hanno
urtato spesso le dita, attribuiscono ai piedi tutti i dolori che hanno.
Seguono quattro distici elegiaci
con l'apologia dell'argomento scabroso che abbiamo già visto in Catullo, Ovidio
e Marziale:"quid me constricta spectatis fronte Catones,/damnatisque novae
simplicitatis opus?/sermonis puri non tristis gratia ridet,/qodque facit populus,
candida lingua refert./nam quis concubitus, Veneris quis gaudia nescit?/quis
vetat in tepido membra calere toro?/ipse pater veri doctus Epicurus in arte/iussit
et hoc vitam dixit habere tevlo"
" (Satyricon , 132), perché mi guardate con la fronte corrugata, Catoni,
e condannate un'opera di schiettezza inaudita? Qui ride il fascino non
accigliato di uno stile pulito, e una lingua semplice riporta i fatti del
popolo. Infatti chi ignora gli accoppiamenti, chi le gioie di Venere? chi vieta
che le membra ardano in un letto tiepido? Lo stesso dotto Epicuro padre della
verità nella sua filosofia lo ha insegnato e ha detto che la vita ha questo
scopo.-constricta...fronte Catones : è il motivo già catulliano del
rumoresque senum severiorum/omnes unius
aestimemus assis " (5,
2-3), le maldicenze dei vecchi troppo seri valutiamole tutte un soldo soltanto
Che poi, in rebus gestis, significa:"Vivamus mea Lesbia atque amemus
" (5, 1), prendiamoci la vita, mia
Lesbia e facciamo l'amore.
Il tovpo"
si trova anche in Seneca, ma
attribuito alle cattive voci delle sirene che lodano i vizi, quindi sono da
respingere : istos tristes et supercilios alienae vitae censores, suae hostes,
publicos paedagogos , assis ne feceris (Ep. 123, 11), questi austeri
e accigliati censori della vita altrui, nemici della propria, questi pubblici
pedagoghi non stimarli un soldo.- novae simplicitatis : abbiamo detto che
la simplicitas è il segno della nobiltà.-gratia : il fascino
dello stile, sia nello scrivere sia nell'agire sta nella schiettezza e nella
mancanza di affettazione.-quodque facit..refert : c'è una bella
espressione di Tucidide che mette in rilievo questa equivalenza delle parole e
delle azioni riferite dalle parole ed è
ta; e [rga tw'n pracqevntwn (I,
22, 2), tra gli eventi bellici
[137] le azioni :
"La mentalità greca arcaica-scrive Canfora- pone sullo stesso
piano la parola e l'azione. Tale modo di concepire la parola come "fatto" è vivo
anche nella tradizione storiografica, che rivela, anche in questo, la propria
matrice epica. Vi è un assai noto passo di Tucidide, dove lo storico, nel
descrivere il proprio lavoro e la materia trattata, adopera un'espressione quasi
intraducibile: ta; e [rga tw'n pracqevntwn
(I 22 2). Si dovrebbe tradurre "i fatti dei fatti", che in italiano non
dà senso...Lì vi è invece una distinzione: la categoria generale degli "eventi"
(ta; pracqevnta) comprende sia le
"azioni" (e [rga) che le "parole" (lovgoi),
delle quali si è appena detto nel periodo precedente...La parola
infatti-scriverà secoli dopo Diodoro- la parola retoricamente organizzata, è
l'elemento che distingue gli inciviliti dai selvatici, i Greci dai barbari."
[138] .-tevlo":
Epicuro stesso spiega il significato di questo scopo che è il piacere: non
quello dei dissoluti che sempre giacciono nel godimento, come ritengono alcuni
che fraintendono la dottrina, ma "to; mhvte
ajlgei'n kata; sw'ma mhvte taravttesqai kata; yuchvn" (Epistola a
Meneceo , 131), non soffrire nel corpo e non essere turbati nell'anima.
Questa vita piacevole in effetti non è generata da banchetti né da godimenti di
fanciulli, di donne, di pesci ma da un
nhvfwn logismov" (132), un calcolo lucido che indaghi le cause ed elimini
le false opinioni ed ogni motivo di turbamento.
La conclusione del capitolo
(132) del Satyricon è "nihil est hominum inepta persuasione falsius
nec ficta severitate ineptius ", niente è più falso di una convinzione che
gli uomini hanno a sproposito, né più inopportuno di una severità
falsa.
Ovidio poi supera del tutto la
barriera del pudore ("et pudet et dicam ", v. 407, mi vergogno eppure lo
dirò) e suggerisce al lettore-discepolo un'altra stravaganza sessuale: aggancia
la donna nella posizione che pensi meno si addica alla donna. Non è difficile
ottenerlo poiché le femmine sono disposte a qualsiasi indecenza. E prosegue:"Tunc
etiam iubeo totas aperire fenestras/turpiaque admisso membra notare die " (vv.
411-412), ti consiglio anche di spalancare le finestre e di osservare in piena
luce le parti sconce.
Il protagonista de Il fuoco,
l'imaginifico Stelio Effrena anticipa con il pensiero la visione cruda, quasi
ripugnante, dell'attempata attrice Foscarina messa a confronto con la giovane
cantante Donatella Arvale :" Ed egli, con una strana angoscia su cui passava
quasi un'ombra di orrore, evocò l'immagine dell'altra:-avvelenata dall'arte,
carica di sapere voluttuoso, col gusto della maturità e della corruzione nella
bocca eloquente, con l'aridezza della vana febbre nelle mani che avevano
spremuto il succo dei frutti ingannevoli, con i vestigi di cento maschere sul
viso che aveva simulato il furore delle passioni mortali. In quella notte
alfine, dopo il lungo desiderio intermesso, egli doveva ricevere il dono di quel
corpo non più giovane, ammollito da tutte le carezze e rimasto ancora
sconosciuto per lui"
[139] .
La somma di questi consigli
maligni porterà alla demolizione della "nemica". Serve comunque a disamorarsi,
vedere le brutture della donna, fino alle estreme, quasi irriferibili, a detta
del maestro Ovidio il quale prosegue con tale precettistica: quando poi il
piacere è giunto alla meta, quando l'amante ti pesa al punto che vorresti non
avere mai toccato una donna e ti sembra che non ne toccherai più:"tunc animo
signa, quodcumque in corpore mendum est,/luminaque in vitiis illius usque tene
" (vv. 417-418), allora imprimiti nell'animo ogni difetto che c'è nel corpo,
tieni continuamente lo sguardo fisso nelle sue imperfezioni
Segue il consiglio, già presente
in Meleagro, di non limitarsi a una sola amante.
In un epigramma il poeta
consiglia a Filocle di averne otto nello stesso momento così da poter fare
un'insalata di ragazzi (Antologia Palatina, XII, 95).
Ma il tema della pluralità delle
amanti è sviluppato meglio da Properzio
[140] che, in II, 22, già menzionata, si giustifica per
essere un uomo mollis in omnes ( v. 13), tenero con tutte le donne.
La natura ha assegnato a ciascuno
un suo difetto, afferma:"mi fortuna aliquid semper amare dedit" (18), a
me la sorte ha dato quello di amare sempre e non sarò mai cieco davanti alle
belle, o invidioso:"numquam ad formosas, invide, caecus ero" (v. 20).
Dalla giustificazione dunque il poeta è passato alla rivendicazione: chi lo
biasima lo fa per invidia. E chi sostiene che fare molto l'amore indebolisce,
non se ne intende:"nullus amor vires eripit ipse suas" (28), nessun amore
di per sé toglie le forze. Parole sante e autorizzate da exempla: Giove
giacque con Alcmena per due notti, "nec tamen idcirco languens ad fulmina
venit" (27), né tuttavia per questo tornò languido ai suoi fulmini. E' un
bell'ossimoro concettuale languens ad fulmina che accosta, negandola, la
fiacchezza moscia dell'uomo scarico alla potenza infuocata e diritta del
fulmen come simbolo fallico. Ugualmente Achille ed Ettore non si
afflosciavano dopo i convegni amorosi con Briseide e Andromaca, anzi, avrebbero
potuto distruggere questo la flotta, quello le mura. Properzio è come il Pelide
e il fiero Ettore. Anzi è come il cielo che ha bisogno della luce solare e di
quella lunare:"sic etiam nobis una puella parum est" (36), così anche per
me una ragazza non è abbastanza. E' più piacevole e più sicuro:"nam melius
duo defendunt retinacula navim,/tutius et geminos anxia mater alit" (41-42),
infatti due ormeggi assicurano meglio la nave e una madre ansiosa alleva con
maggior sicurezza due figli.
Che l'amore per le donne, per
tutte le donne, sia in ogni caso sano e vitale lo leggiamo in una delle ultime
pagine de La coscienza di Zeno, una pagina chiave, tra le più dense di
significato:"In mezzo a quel verde rilevato tanto deliziosamente da quegli
sprazzi di sole, seppi sorridere alla mia vita ed anche alla mia malattia. La
donna vi ebbe un'importanza enorme. Magari a pezzi, i suoi piedini, la sua
cintura, la sua bocca, riempirono i miei giorni. E rivedendo la mia vita e anche
la mia malattia le amai, le intesi! Com'era stata più bella la mia vita che non
quella dei cosiddetti sani, coloro che picchiavano e avrebbero voluto picchiare
la loro donna ogni giorno salvo in certi momenti. Io, invece, ero stato
accompagnato sempre dall'amore. Quando non avevo pensato alla mia donna, vi
avevo pensato ancora per farmi perdonare che pensavo anche alle altre. Gli altri
abbandonavano la donna delusi e disperando della vita. Da me la vita non fu mai
privata del desiderio e l'illusione rinacque subito intera dopo ogni naufragio,
nel sogno di membra, di voci, di atteggiamenti più perfetti"
[141] .
Ora torniamo a Ovidio:"Hortor
et ut pariter binas habeatis amicas/fortior est, plures si quis habere potest
" (Remedia amoris, vv. 441-442), vi consiglio di avere contemporaneamente
due amanti per volta, è più forte uno se può averne diverse. Può succedere
addirittura, anzi succede spesso, aggiungo, che l'amante serva a riconquistare
l'amore del coniuge, moglie o marito, assaliti dal timore di perdere il compagno
fino a quel momento trascurata. Gli adulteri, anzi gli amanti degli adulteri,
non poche volte hanno il merito di salvare le coppie stanche.
Svevo dà il suggerimento
opposto:"Un'amante in due è l'amante meno compromettente"
[142] .
Ovidio fa esempi mitici di amori
nuovi che scacciano amori vecchi: a Tereo sarebbe piaciuta la bella moglie "sed
melior clausae forma sororis erat " (v. 460), ma era più bello l'aspetto
della sorella rinchiusa. Un paradigma non troppo felice a dire il vero, poi
altri assai meno noti. "Il nuovo catalogo di exempla mitici è redatto
all'insegna del preziosismo, sia nella scelta dei miti-alcuni dei quali poco
diffusi-sia nelle soluzioni lessicali"
[143] .
Quindi l'autore, con buon gusto,
sente il peso dell'erudizione neanche tanto calzante e si affretta a
sintetizzare:"Quid moror exemplis quorum me turba fatigat?/Successore novo
vincitur omnis amor " (vv. 461-462), perché perdo tempo con esempi di cui la
calca mi stanca? ogni amore viene vinto da uno nuovo che gli succede. Poi però
gli viene in mente un exemplum più noto, efficace, e tale che gli
consente un motto arguto: quello di Agamennone il quale, costretto da Calcante a
lasciare Criseide, nel prendersi la somigliante e quasi omonima Briseide,
avrebbe detto:"Est-ait Atrides-illius proxima forma,/et, si prima sinat
syllaba, nomen idem " (vv. 475-476), ce n'è una-disse l'Atride-vicinissima a
lei per bellezza, e, se la prima sillaba lascia fare, il nome è il medesimo.
La seconda moglie in effetti di
solito assomiglia alla prima anche se è più giovane. E' quasi una legge.
Achille me lo deve consentire,
continua Agamennone, poiché sono re: se restassi senza donna, Tersite potrebbe
prendere il mio posto. La storia dell'Atride capo della spedizione troiana in
sé è assai tragica e notissima non solo per l'Iliade ma anche per la
sua frequente presenza nella tragedia.
Ebbene Ovidio utilizza una vicenda
del genere per consigliare di ridere sopra le perdite e i fallimenti, se non si
vuole accrescere il dolore con il dolore e il danno con il danno.
"Ergo adsume novas auctore
Agamennone flammas,/ut tuus in bivio distineatur amor./Quaeris ubi invenias?
Artes tu perlege nostras:/plena puellarum iam tibi navis erit " (vv.
485-488), quindi, sotto l'esempio autorevole di Agamennone, accogli nuove
fiamme, perché il tuo amore si divida ad un bivio. Chiedi dove si trovano? Leggi
attentamente la mia Ars : subito la tua nave sarà piena di ragazze.-auctore
, come il Discorso Ingiusto delle Nuvole di Aristofane utilizza
Zeus per autorizzare l'adulterio, così Ovidio si avvale di Agamennone, senza
dare peso alla sua brutta fine.-in bivio : in questo bivio, diversamente
da quello di Eracle, non è necessario scegliere, anzi si devono seguire, a
turno, entrambe le strade.-navis : di solito è allegoria dello stato, qui
sembra rappresentare la domus dei sogni del libertino.
La barca quale simbolo di uno
stato d'animo ondeggiante sui flutti delle contraddizioni conseguenti all'amore
si trova nel sonetto CI del Canzoniere di Petrarca:" O viva
morte, o dilectoso male,/come puoi tanto in me, s'io nol consento?/ Et s'io 'l
consento, a gran torto mi doglio./Fra sì contrari vènti in frale barca/mi trovo
in alto mar senza governo,/sì lieve di saver, d'error sì carca/ch'i' medesmo non
so quel ch'io mi voglio,/e tremo a mezza state, ardendo il verno" (CXXXII,
7-14).
Ovidio quindi suggerisce varie
simulazioni: fingiti freddo quando ardi come se fossi dentro l'Etna, fingiti
sano (et sanum simula , 493) perché non si accorga se hai qualche dolore,
e ridi quando dovresti piangere. Insomma:"Quod non est, simula positosque
imitare furores;/sic facies vere quod meditatus eris " (vv. 497-498), fingi
quello che non è, e simula che i furori siano deposti, così farai davvero quello
che avrai meditato.-simula : l'amante deve essere dunque grande
simulatore e dissimulatore di qualsiasi cosa, come il Catilina di Sallustio e il
principe di Machiavelli per il quale " non può… uno signore prudente né debbe
osservare la fede, quando tale osservanzia gli torni contro" . Forse pure Ovidio
potrebbe aggiungere "se li uomini fussino tutti buoni, questo precetto non
sarebbe buono , ma poiché sono tristi e non la osserverebbero a te, tu ancora
non l'hai ad osservare a loro"
[144] .
"Intrat amor mentes usu,
dediscitur usu;/qui poterit sanum fingere, sanus erit " (vv. 503-504),
l'amore entra nel pensiero con l'abitudine, con l'abitudine si disimpara; chi
potrà fingersi guarito, sarà guarito.-usu...usu : l'amore e i pensieri
d'amore, come tutte le altre attività umane, dipendono dalla pratica.-sanum
fingere : la maschera con il tempo diventa volto. A volte non è nemmeno
necessario tenerla a lungo:" Non bisogna mai dire per gioco che si è
scoraggiati, perché può accadere che ci pigliamo in parola"
[145] .
Seguono consigli sul comportamento
da tenere davanti alla "ianua clausa "( Remedia amoris, v.
506), la porta chiusa. Ovidio si pone fuori dal
paraklausivquron topico: esorta
l'amante respinto a sopportare:"feres./Nec dic blanditias nec fac convicia
posti/nec latus in duro limine pone tuum./Postera lux aderit; careant tua verba
querelis,/et nulla in vultu signa dolentis habe ./ Iam ponet fastus, cum
te languere videbit;/hoc etiam nostra munus ab arte feres " (vv. 506-512),
sopporta, non dire parole carezzevoli e non fare cagnara con l'uscio, e non
stendere il fianco sulla dura soglia. Verrà il giorno seguente; le tue parole
siano senza lagnanza, e non avere in volto nessun segno di uomo dolente. Subito
deporrà la superbia quando ti vedrà poco teso; anche questo dono ricaverai dalla
mia arte.-nec...nec : Ovidio utilizza il
tovpo" del lamento davanti alla
porta chiusa in maniera anomala. Questi loci possono essere impiegati,
al pari di strumenti sintattici o lessicali, in contesti vari e con significati
diversi.-languere : sembra che Ovidio stimi graditi e interessanti per le
donne il languore e l'indifferenza, mentre secondo altri punti di vista la donna
è molto attirata dal desiderio priapesco. Lo vedremo nel Satyricon.
Del resto l'autore sa che le
persone sono varie e dunque:"Nam quoniam variant animi, variabimus artes;/mille
mali species, mille salutis erunt " (525-526), infatti siccome sono vari i
caratteri, varieremo i consigli; mille sono le forme del male, mille saranno
quelle della guarigione. Il poeta consiglia quella "flessibilità", che ora è
tanto di moda nel campo lavorativo. Corrisponde nella sfera erotica a quella che
Guicciardini chiama "discrezione". In certi casi può essere risolutiva la
sazietà, fino alla noia:" Taedia quaere mali: faciunt et taedia finem "
(v. 539), cerca la noia del male, anche la noia pone la fine.
Altre volte può essere utile far
cessare la diffidenza:"Fit quoque longus amor, quem diffifentia nutrit;/hunc
tu si quaeres ponere, pone metum " (vv. 543-544), diventa lungo anche un
amore che la diffidenza nutre; se vorrai deporlo, metti via il timore. In questo
caso chiaramente si amava non la persona ma la diffidenza e il sospetto
suscitati da lei. La paura di perdere una donna è un grande incentivo a
volerla:"Plus amat e natis mater plerumque duobus,/pro cuius reditu, quod
gerit arma, timet " (vv. 547-548), tra due figli la madre di solito ama più
quello sul cui ritorno, siccome è in guerra, ha timore.
Quod sequitur, fugio; quod fugit, ipse sequor
.
E' questo il
tovpo" dell'amore che insegue chi
fugge e scappa da chi lo insegue. Tale locus ha un' ampia presenza
nella poesia amorosa e, probabilmente, pure nell'esperienza personale di ciasuno
di noi: Teocrito nel VI idillio paragona Galatea che stuzzica Polifemo
alla chioma secca che si stacca dal cardo quando la bella estate arde:"kai;
feuvgei filevonta kai; ouj filevonta diwvkei" (v. 17), e fugge chi ama e
chi non ama lo insegue. Nell'XI idillio lo stesso Ciclope si dà il consiglio di
non inseguire chi fugge ma di mungere quella presente (75), femmina ovina o
umana che sia.
Abbiamo anche qui l'ironia
teocritea che deriva dalla consapevole dissonanza tra l'elemento popolare e
quello raffinato letterario. Teocrito è, come Callimaco, un rappresentante di
una poesia cosiddetta postfilosofica:"Post-filosofici sono questi poeti, nel
senso che non credono più nella possibilità di dominare teoreticamente il mondo,
e nell'esercizio della poesia, a cui Aristotele aveva ancora riconosciuto un
carattere filosofico, si allontanano scetticamente dall'universale e si
rivolgono con amore al particolare"
[146] . Lo stesso Snell qualche capitolo prima aveva ricordato
che nel V secolo era comunque già avvenuto "quel distacco fra il mondo della
storia e quello della poesia" codificato da Aristotele quando afferma "che la
poesia è più filosofica della storia poiché la poesia tende all'universale, la
storia al particolare"
[147] (p. 141). La poesia postfilosofica dunque non
racconta più l'universale. Post-filosofica o almeno postilluministica sarebbe
anche quella di Goethe:" Callimaco e Goethe si trovano entrambi ad una svolta
storica; al tramonto di una più che secolare cultura illuministica che ha
dissolto le antiche concezioni religiose, quando è venuto a noia anche il
razionalismo e incomincia a sorgere una nuova poesia significativa. Ma
l'evoluzione del mondo antico segue una via così diversa da quella del mondo
moderno, che Callimaco, e con lui tutto il suo tempo, si dichiara per la poesia
minore, delicata, mentre Goethe, interprete anch'egli dei suoi contemporanei, dà
la preferenza alla poesia patetica, interiormente commossa"
[148] .
"Un epigramma di Callimaco
(Anth. Pal. 12, 102) liberamente
tradotto per l'occasione in versi latini, è in Orazio il ritornello caro
a questi incontentabili stolti:" Come il cacciatore insegue la lepre nella neve
e non la prende quando è a portata di mano, così fa anche l'amante che dice: "Meus
est amor huic similis: nam/transvolat in medio posita et fugientia captat "
(Sermones , 1, 2, 107s.). Ed è proprio questo epigramma di Callimaco che
fornisce ad Ovidio (in un componimento degli Amores tutto
impegnato a redigere il codice della perfetta relazione galante) il motto che
può rappresentare emblematicamente la tormentata forma dell'amore elegiaco:
quod sequitur, fugio; quod fugit, ipse sequor (2, 20, 36)"
[149] , evito ciò che mi
segue, seguo ciò che mi evita.
E' questo un luogo comune dell'amore, o, forse, della non praticabilità
dell'amore.
Sentiamo qualche altra testimonianza. Nella commedia La locandiera (del
1753) Goldoni fa dire alla protagonista, Mirandolina, in un
monologo."Quei che mi corrono dietro, presto mi annoiano" (I, 9).
Una situazione analoga troviamo ne Il giocatore di Dostoevskij
dove il protagonista dichiara il suo amore a Polina in questi termini:"Lei sa
bene che cosa mi ha assorbito tutto intero. Siccome non ho nessuna speranza e ai
suoi occhi sono uno zero, glielo dico francamente: io vedo soltanto lei
dappertutto, e tutto il resto mi è indifferente. Come e perché io l'amo non lo
so. Sa che forse lei non è affatto bella. Può credere o no che io non so neppure
se lei sia bella o no, neanche di viso? Probabilmente il suo cuore non è buono e
l'intelletto non è nobile; questo è molto probabile"
[150] .
Proust
nel V e terzultimo volume della Ricerca, conclusa negli ultimi mesi di
vita (tra il 1921 e il 1922) esprime lo stesso concetto:"Qualsiasi essere
amato-anzi, in una certa misura, qualsiasi essere-è per noi simile a Giano: se
ci abbandona, ci presenta la faccia che ci attira; se lo sappiamo a nostra
perpetua disposizione, la faccia che ci annoia"
[151] .
L'analogia con il cacciatore può essere estesa a quella con il raccoglitore di
fiori. Il fiore raccolto non è più amabile. Molto note sono le ottave
dell'Orlando furioso:"La verginella è simile alla rosa,/ch'in bel giardin
su la nativa spina/mentre sola e sicura si riposa,/né gregge né pastor se le
avicina;/l'aura soave e l'alba rugiadosa,/l'acqua, la terra al suo favor
s'inchina:/gioveni vaghi e donne innamorate/amano averne e seni e tempie
ornate.//Ma non sì tosto dal materno stelo/rimossa viene, e dal suo ceppo
verde,/che quanto avea dagli uomini e dal cielo/favor, grazia e bellezza, tutto
perde./La vergine che 'l fior, di che più zelo/che de' begli occhi e de la vita
aver de',/lascia altrui còrre, il pregio ch'avea inanti/perde nel cor di tutti
gli altri amanti" (I, 42-43).
Meno noti sono forse il sentimento e la riflessione di Vrònskij dopo che ha
realizzato il suo sogno d'amore con Anna Karenina:"Lui la guardava come
un uomo guarda un fiore che ha strappato, già tutto appassito, in cui riconosce
con difficoltà la bellezza per la quale l'ha strappato e distrutto"
[152] .
Gozzano,
su questa linea, sospira con ironia:" Il mio sogno è nutrito d'abbandono,/di
rimpianto. Non amo che le rose/ che non colsi"
[153] .
Sentiamo infine C. Pavese:"Ma questa è la più atroce: l'arte della vita
consiste nel nascondere alle persone più care la propria gioia di esser con
loro, altrimenti si perdono"
[154] .
Altro rimedio atto a deporre l'amore è quello, suggerito al poeta da Cupido in
sogno, di porre mente ad altri tormenti:"ad mala quisque animum referat sua:
ponet amorem/omnibus illa deus plusve minusve dedit " (vv. 559-560),
ciascuno volga l'attenzione ai propri guai: deporrà l'amore, a tutti più o meno
il dio ne ha dati. Ne vengono elencati alcuni, dal denaro prestato, al padre
severo (durus pater, 563) al figlio sotto le armi (filius miles)
alla figlia da sposare (filia nubilis, v. 571). "Et quis non causas
mille doloris habet?/Ut posses odisse tuam, Pari, funera fratrum/debueras oculis
substituisse tuis " (vv. 572-574), e chi non ha mille cause di sofferenza?
Per potere odiare la tua amante, Paride, avresti dovuto metterti davanti agli
occhi le morti dei fratelli. E' questo il sistema di scacciare un dolore con un
altro dolore cui si può rispondere con un sarcasmo usato da Pavese due giorni
prima di uccidersi:"chiodo schiaccia chiodo, ma quattro chiodi fanno una croce"
[155] . Del resto i dolori e i desideri per essere superati vanno
attraversati moralmente, e non repressi, altrimenti esplodono più tardi nella
follia, come succede al protagonista della Morte a Venezia di T. Mann,
la cui "rigida, disciplinata integrità" non lo tutela dall'esplosione degli
"istinti oscuri" che anzi lo travolgono e lo stendono:"Si abbandonò su una
panchina; stravolto aspirò il profumo notturno degli alberi. "Ti amo!" sussurrò
lasciando cadere le braccia, riverso, sopraffatto, assalito da ricorrenti
brividi. Era la formula stereotipa del desiderio: assurda in quel caso,
grottesca, turpe, ridicola, e tuttavia sacra e venerabile"
[156] .
Il consiglio successivo è "loca sola caveto " (v. 579), guardati dai
luoghi solitari. Gli amici, perfino la folla aiutano a dimenticare.
Fillide, Arianna e la catena
letteraria.
Segue l'esempio di Fillide
( 591-608) , un altro caso di donna abbandonata trattato anche altrove da
Ovidio. Possiamo soffermarci un poco su questa "vaga donzella", come la chiamerà
il Parini, e ampliare con lei la tipologia della ragazza abbandonata.
La seconda delle Heroides
è una lettera di Fillide, principessa tracia, a Demofoonte il figlio di Teseo
che trovò ospitalità presso di lei, poi l'abbandonò, come aveva fatto il padre
con Arianna la quale se ne duole nella X delle Heroides .
Il lamento di Fillide rinfaccia a
Demofoonte gli spergiuri e la rottura della fides :" Iura, fides ubi
nunc commissaque dextera dextrae,/quique erat in falso plurimus ore deus? "
(Heroides , II, 31-32), dove sono ora i giuramenti, la fede promessa, la
destra stretta alla destra, e tutti gli dèi che si trovavano nella tua bocca
bugiarda?
La fanciulla spera che Demofoonte,
al cospetto di Teseo che fu non solo il seduttore di Arianna ma anche un
vincitore di mostri, venga ricordato soltanto per questa impresa non nobile:
avere ingannato una fanciulla:"Fallere credentem non est operosa puellam/gloria;
simplicitas digna favore fuit./Sum decepta tuis et amans et femina verbis;/di
faciant laudis summa sit ista tuae " (Heroides , II, vv. 63-66), non
è gloria produttiva ingannare una fanciulla credula; la semplicità doveva essere
degna di protezione. Sono stata ingannata dalle tue parole in quanto innamorata
e in quanto donna: gli dèi facciano che questo sia il colmo della tua gloria.
Infine la ragazza minaccia il
suicidio la cui responsabilità dovrà ricadere sul seduttore, tanto che sul
sepolcro dovrà essere scritto:"Phyllida Demophoon leto dedit hospes amantem/ille
necis causam praebuit ipsa manum " (Heroides , II, vv. 147-148),
Demofoonte da ospite ha fatto morire Fillide che lo amava; egli fornì il motivo
della morte, lei stessa la mano.
Ebbene nei Remedia Amoris
Ovidio, tornando sull'argomento, sostiene che Fillide fu uccisa dalla
solitudine:"Certa necis causa est; incomitata fuit "(v. 592), la causa
della morte è certa: rimase senza compagne. Vagava come la schiera barbara delle
menadi che ogni tre anni festeggia Bacco, ma da sola.
La solitudine in generale è vista
più negativamente dagli antichi che dai moderni.
Fondamentale su questo argomento mi sembra una
riflessione di Kierkegaard
che prende spunto dal
Filottete di Sofocle il quale,
abbandonato su un'isola deserta, si lamenta di essere
movno"
(v. 227),
e [rhmo"…ka
[filo" (v. 228) solo, abbandonato e
senza amici. Ebbene ill filosofo danese, in Enten Eller, nota che" il
mondo antico non aveva la soggettività riflessa in sé. Benché si muovesse
liberamente, l'individuo restava nell'ambito delle determinazioni sostanziali,
nello stato, nella famiglia, nel fato… La riflessione di Filottete non si
sprofonda in se stessa, ed è tipicamente greco che egli si dolga che nessuno sia
a conoscenza del suo dolore. Si ha qui una grande verità, e proprio qui si vede
anche la differenza con il vero e proprio dolore riflessivo, che sempre desidera
d'esser solo con il suo dolore, e che nella solitudine di questo dolore cerca
sempre un nuovo dolore"
[157] . La fuga
nell'interiorità veramente è già una necessità in Seneca il quale, costretto a
ritirarsi negli "studia...in umbra educata "
[158] , consiglia :"fuge
multitudinem, fuge paucitatem, fuge etiam unum " (epist., 10, 1 ), evita la
folla, evita la compagnia di poche persone e anche quella di una sola.
Altrettanto
decisamente Nietzsche esprime il punto di vista dell'uomo strutturalmente solo e
desocializzato :"C'è da dir male anche di chi soffre per la solitudine-io
ho sempre e solamente sofferto per la "moltitudine"
[159] .
La Zambrano
chiama questa attitudine "individualismo moderno" che "ci ha abituati a credere
di vivere da soli". Eppure "nella vita umana non si rimane soli eccetto negli
istanti in cui la solitudine si fa, si crea. La solitudine è una conquista
metafisica, perché nessuno sta solo, ma deve riuscire a creare la solitudine
dentro di sé, nei momenti in cui è necessaria per la crescita. I mistici parlano
di solitudine come di qualcosa per la quale bisogna passare, punto di partenza
della "ascesi", cioè, della morte, di quella morte che, secondo loro, bisogna
morire prima dell'altra, per vedersi, alla fine, in un altro specchio. La
visione del prossimo è specchio della propria vita; ci vediamo vedendolo. E la
visione del simile è necessaria proprio perché l'uomo ha bisogno di vedersi. Non
sembra che esista nessun animale che necessiti di contemplare la sua figura
nello specchio. L'uomo cerca di vedersi. E vive appieno quando si guarda, non
nello specchio morto che gli restituisce la propria immagine, ma quando si vede
vivere nello specchio vivo del simile. Soltanto vedendomi nell'altro mi vedo
realmente, soltanto nello specchio di un'altra vita simile alla mia acquisisco
la certezza della mia realtà"
[160] .
La ragazza di Tracia è modellata
su quella cretese, e, più in generale, sul tipo della donna abbandonata che
abbiamo visto:"Perfide Demophoon!" surdas clamabat ad undas,/ruptaque
singultu verba loquentis erant" (Remedia Amoris ,vv. 597-598),
perfido Demofoonte! gridava alle insensibili onde, e le parole di lei erano
rotte dai singhiozzi. Il vocativo perfide lo abbiamo già trovato nel
lamento dell'Arianna di Catullo (64, 132), in quello della Didone virgiliana (Eneide
, IV, 305) che è pure assimilata a una menade (Eneide, IV, 300). Abbiamo
indicato la presenza dell' epiteto ingiurioso in bocca alla figlia di Minosse
pure nei Fasti (III, 473). Ovidio presenta Arianna, l'archetipo della
ragazza abbandonata, anche nella X delle Heroides dove la figlia di
Minosse, trovatasi sola sulla riva del mare, grida al traditore:"Quo fugis?…Scelerate
revertere Theseu!/Flecte ratem! Numerum non habet illa suum! " (vv. 37-38),
dove fuggi? torna indietro scellerato Teseo, volgi la nave che non ha il numero
completo! In questa lettera il canonico perfide è indirizzato al
lectulus , il giaciglio traditore (v. 60). Pure nell'Ars Amatoria
c'è un'Arianna che piange davanti alle onde e grida parole simili a quelle di
Fillide:"Thesea crudelem surdas clamabat ad undas "(I, 529), proclamava
la crudeltà di Teseo alle onde che non ascoltavano, e piangeva, senza tuttavia
diventare più brutta per le sue lacrime:"non facta est lacrimis turpior illa
suis " (v. 532). La variante delle lacrime belle che attireranno Dioniso non
impedisce a Ovidio l'uso dell'aggettivo topico:"Perfidus ille abiit:quid mihi
fiet?" ait;/"Quid mihi fiet?" ait; sonuerunt cymbala toto/litore et attonita
tympana pulsa manu" (Ars Amatoria, I, 534-536), quel traditore se n'è
andato. Cosa sarà di me? dice, cosa sarà di me?, dice; risuonarono i cembali su
tutta la spiaggia e tamburelli battuti da mani frenetiche.
Ho ripreso il
tovpo" già trattato per mostrare
ancora una volta il funzionamento della catena letteraria; anzi aggiungo una
nota della Lazzarini la quale sostiene che "l'archetipo della iunctura
perfide Demophoon è probabilmente Callimaco, Aetia 556 Pf. nymphie
Demophoon, adike xene ("perfido Demofoonte, ospite traditore)"
[161] . Ricordo pure un'eco dal bel suono presente ne Il
Giorno del Parini il quale utilizza una versione del mito data da Servio (In
Verg. Buc. 5, 10) secondo cui la ragazza si impiccò e fu trasformata in un
mandorlo privo di foglie che nacquero quando Demofoonte tornò :"e qual ti
porge/il macinato di quell'arbor frutto/che a Ròdope fu già vaga donzella,/e
chiama in van sotto mutate spoglie/Demofoonte ancor Demofoonte"
[162] .
Adesso però è già tempo di
tornare ai Remedia Amoris .
E' bene dunque evitare i luoghi
isolati poiché questi incrementano la furia amorosa:"augent secreta furores"
(v. 581); dopo l'esempio di Fillide, devono temere le solitudini tanto gli
uomini feriti dalle padrone dei loro cuori, quanto le ragazze ferite dagli
uomini:"Phyllidis exemplo nimium secreta timete,/laese vir a domina, laesa
puella a viro" (vv. 607-608). Un'altra cosa da evitare è il contagio
amoroso:"facito contagia vites" (v. 613). L'imperativo futuro conferisce
una sanzione legale alla prescrizione. Ho già ricordato che Proust userà la
metafora del "bacillo virgola"
[163] ; ebbene secondo Ovidio il germe patogeno può essere
preso anche dal contatto con altri innamorati. Per argomentare questa tesi il
poeta fa seguire un verso che rivela come l'amore di cui egli tratta sia solo
corporale e quindi i suoi precetti servano probabilmente a evitare quella
"ossessione carnale" che Benedetto Croce trovava in D'Annunzio:"haec etiam
pecori saepe nocere solent"(v. 614), questo (cioè il contagio, contagia
) suole nuocere anche al bestiame. Ma soprattutto bisogna evitare la vicinanza
della domina, altrimenti succederà come a un tale che sembrava guarito:"vulnus
in antiquum rediit mala firma cicatrix/successumque artes non habuere meae "
(v. 623-624), la cicatrice poco solida tornò all'antica ferita e le mie arti non
ebbero successo. Il maestro d'amore si comporta come un medico che rimprovera il
paziente poiché questo non ha seguito le sue prescrizioni. Poi torna
l'assimilazione dell'uomo innamorato all'animale in foia:"non facile est
taurum visa retinere iuvenca;/fortis equus visae semper adhinnit equae" (vv.
633-634), non è facile trattenere il toro quando ha visto una giovenca; il
cavallo vigoroso nitrisce sempre verso la cavalla vista. E' il tema che abbiamo
già trattato dell'amor omnibus idem, e, forse, nel nitrito quasi
automatico del cavallo eccitato, cè il ricordo dell'episodio erodoteo (III, 86)
della conquista del regno persiano da parte di Dario. Insomma se vuoi
emanciparti dalla domina , evita tutto quello che te la fa venire in
mente. Non nominarla nemmeno per dire che non l'ami più:"et malim taceas quam
te desisse loquaris;/qui nimium multis "non amo" dicit, amat" (vv. 647-648),
preferirei che tu tacessi piuttosto che dire di avere smesso; chi a troppa gente
dice "non amo", ama. Questo è uno dei loci della poesia amorosa
risalente a Catullo:"verbosa gaudet Venus loquella"(55, 20), Venere gode
di un parlare prolisso. Parlare spesso di una persona, perfino farlo in maniera
ingiuriosa è, infatti, segno d'amore:"irata est;hoc est, uritur et loquitur"
(Catullo, 83, 6), ce l'ha con me; ossia brucia e parla.
L'amore insomma deve finire per
esaurimento, a poco a poco (paulatim, Remedia Amoris, 649) :"lente
desine, tutus eris" (650), smetti lentamente, sarai salvo. Seguono versi (655-658)
che abbiamo già citato a proposito della non opportunità di odiare chi
pure amiamo o abbiamo amato: questa è cosa scellerata (scelus, v. 655),
brutta e vergognosa:" turpe vir et mulier, iuncti modo, protinus hostes"
(v. 659), è indecente che un uomo e una donna, fino a poco prima uniti, subito
dopo divengano nemici. Così il misei'n-filei'n
viene rifiutato non solo sincronicamente ma anche in una successione di momenti
diversi. Oltre essere turpe questo odi et amo non è produttivo, e
non è indicativo di emancipazione dall'amore:"Saepe reas faciunt et amant"
(v. 661), spesso le accusano e amano. Senza contare le relazioni e i matrimoni
che finiscono in tribunale con danni di tutti i generi:"Tutius est aptumque
magis discedere pace/nec petere a thalamis litigiosa fora./Munera, quae dederas,
habeat sine lite iubeto;/esse solent magno damna minora bono" (vv. 669-672),
è più sicuro e più conveniente separarsi in pace, e non passare dal talamo ai
processi del foro. I doni che le avevi fatto, lascia che se li tenga senza
contesa; di solito le perdite sono inferiori a un bene grande. Che è poi quello
di evitare giudici e avvocati il cui motto è da sempre:"dum pendet, rendet
". Bisogna imparare a diventare indifferenti agli artifici, alle lusinghe,
alle speranze cui siamo sensibili poiché piacciamo a noi stessi:"Desinimus
tarde, quia nos speramus amari; dum sibi quisque placet, credula turba sumus
" (vv. 685-686), smettiamo tardi poiché speriamo di essere amati; finché
ciascuno di noi piace a se stesso, siamo una massa di creduloni.
Su questo punto voglio confutare
Ovidio. Con parole mie posso dire che se uno non piace a se stesso non solo non
può piacere agli altri, ma nemmeno gli altri possono piacergli. Aggiungo,
guidato da W. Jaeger, che Aristotele, nell'Etica Nicomachea , (IX 8)
esprime un alto apprezzamento della filautiva, cioè dell'amore di sé che non è
triviale egoismo, al contrario. "Le parole stesse d'Aristotele c'insegnano senza
equivoco possibile ch'egli ha invece l'occhio rivolto anzitutto, per l'appunto,
ad atti del più eccelso eroismo morale: chi ama se stesso deve essere
instancabile nell'adoprarsi in pro degli amici, sacrificarsi per la patria,
cedere volonteroso denaro, beni ed onore "facendo suo il Bello in se
stesso…Invero vivere breve tempo in somma gioia sarà preferito, da chi sia
animato da tale amor di sé, ad una lunga esistenza in pigra quiete. Egli vivrà
piuttosto un anno solo per uno scopo elevato, che non condurre una lunga vita
per nulla. Compirà piuttosto un'unica magnifica e grande azione, che non molte
insignificanti"
[164] . In queste parole è espressa la fondamentale concezione della
vita dei Greci, nella quale ci sentiamo loro affini d'indole e di razza:
l'eroismo"
[165] .
Un'altra insidia da cui dobbiamo
guardarci secondo Ovidio è quella delle lacrime femminili:"Neve puellarum
lacrimis moveare caveto;/ut flerent, oculos erudiere suos" (vv. 689-690), e
bada di non farti commuovere dalle lacrime delle ragazze; hanno ammaestrato i
loro occhi a piangere (moveare=movearis, erudiere=erudierunt).
E' questo un altro luogo comune
della diffidenza verso le donne. Lo troviamo nel Coriolano di Shakespeare
quando Tullo Aufidio, comandante dei Volsci, dice:" Per qualche goccia di
lacrime di donna che sono a buon mercato come le bugie, egli ha venduto il
sangue e la fatica della nostra grande impresa. Perciò deve morire" (V, 6).
Eppure le lacrime vanno rivalutate
poiché testimoniano, al pari dei sorrisi, dell'unità del genere umano:"l'unità
cerebrale dell'Homo sapiens si manifesta nell'organizzazione del suo cervello,
unico in rapporto agli altri primati; c'è infine un'unità psicologica e
affettiva: certo, le risa, le lacrime, i sorrisi sono modulati diversamente,
inibiti o esibiti a seconda delle culture, ma, malgrado l'estrema diversità di
queste culture e dei modelli di personalità imposti, risa, lacrime, sorrisi
sono universali e il loro carattere innato si manifesta nei
sordo-muti-ciechi dalla nascita, che sorridono e piangono senza aver potuto
imitare nessuno"
[166] .
Le lacrime manifestano commozione
e la creano. Alcuni autori hanno simpatia per le lacrime: Euripide è
stimolato a comporre dal carattere patetico del soggetto: al drammaturgo
ateniese, come a Virgilio
[167] , interessano le situazioni che grondano pianto. Il piangere,
come scarso controllo delle situazioni, come uscita dalla realtà, può essere
consolatorio :"come sono dolci le lacrime per quelli che vivono male (wJ"
hJdu; davkrua toi'" kakw'" pepragovsi
)/e i lamenti dei pianti e una musa che narri il dolore
" afferma il coro delle Troiane
(vv. 608-609).
La razionalità viene sopraffatta dal patetico e dal pianto che può essere pure
piacevole:"avanti, ridesta lo stesso lamento/solleva il piacere che viene dalle
molte lacrime (a [nage poluvdakrun
aJdonavn)", si esorta Elettra
nella tragedia euripidea di cui è eponima (vv. 125-126).
Nell'Elena
Menelao che ha ritrovato Elena dichiara il suo amore e la sua felicità con il
pianto: "le mie lacrime sono motivo di gioia: hanno più/dolcezza che
dolore"(654-655).
La
confusione e la mescolanza dei sentimenti, la voluttà delle lacrime è
reperibile pure in D'Annunzio: Tullio Hermil, ebbro di sentimenti buoni e
amorosi per Giuliana prima di scoprirla impura, ne beve le lacrime con felice
voluttà:"-Oh, lasciami bere- io pregai. E, rilevandomi, accostai le mie labbra
ai suoi cigli, le bagnai nel suo pianto"
[168] .
Il pentametro del distico
successivo dei Remedia Amoris ricorda un'immagine dell'Edipo a
Colono:"Artibus innumeris mens oppugnatur amantum,/ut lapis aequoreis
undique pulsus aquis" (vv. 691-692), l'animo di chi ama è assalito da
innumerevoli artifici, come uno scoglio battuto da tutte le parti dalle onde
marine. Nel III Stasimo dell'ultima tragedia di Sofocle, il coro, dopo
un'affermazione di sapienza silenica con relativo rifiuto di tutta la vita e
della vecchiaia in particolare, paragona l'anziano profugo cieco colpito da
sciagure terribili a una scogliera boreale che battuta dalle onde da tutte le
parti viene percossa d'inverno ( "pavntoqen
bovreio" w{" , ti" ajkta;-kumatoplh;x ceimeriva klonei''''tai" Edipo
a Colono, 1240-1241).
Segue il consiglio del silenzio:"Qui
silet, est firmus; qui dicit multa puellae/probra, satisfieri postulat ille sibi"
(697-698), chi tace è saldo; chi muove molti rimproveri alla sua fanciulla,
pretende giustificazioni. Nell'amore l'unica giustificazione è l'amore stesso e
la medesima cosa si può dire per il non amore.
Bisogna evitare tutte le
occasioni di ricaduta: non rileggere le lettere:"scripta cave relegas blandae
servata puellae;/constantis animos scripta relecta movent" (717-718),
guardati dal rileggere gli scritti messi da parte della ragazza quando era
carezzevole; gli scritti riletti commuovono anche animi forti. Infatti gli
scritti del passato esprimono stati d'animo passati. Ovviamente constantis=constantes.
Segue un'immagine che potremmo definire "protobarocca" poiché Ovidio consiglia
di fare bruciare l'ardore amoroso interno da un fuoco divoratore esterno:"Omnia
pone feros-pones invitus-in ignes/et dic "Ardoris sit rogus iste mei" (vv.
719-720), getta tutto nel fuoco divampante, lo getterai contro voglia, e di'
:"questo sia il rogo del mio ardore.
Per rendere più concreta
l'immagine e spiegare che non è impossibile buttare nelle fiamme una parte di se
stessi, Ovidio ricorre a un esempio mitico: quello di Altea la quale gettò nel
fuoco la vita del proprio figliolo Meleagro, ossia un tizzone spento dalla cui
conservazione dipendeva il proseguimento della vita del giovane che aveva fatto
infuriare la madre uccidendone il fratello. Una specie di contaminatio
tra Medea e Antigone. Altro rischio di ricaduta sta nella vicinanza delle
immagini che vanno allontanate:"Si potes et ceras remove; quid imagine muta/carperis?
hoc periit Laudamia modo" (vv. 723-724), se puoi allontana anche le
immagini; perché ti lasci afferrare da un muto ritratto? in questo modo morì
Laodamia. Questa donna, rimasta vedova del marito Protesilao , primo caduto tra
i Greci sbarcati a Troia, cercò di consolarsi della perdita con un manichino
di cera che abbracciava di nascosto. Quando il padre se ne accorse e gettò quel
funereo surrogato nel fuoco, la donna lo seguì. Un altro mito di amore e morte.
Se ne trova un'eco nell'Alcesti di Euripide quando Admeto promette alla
sposa morente che non prenderà in casa un'altra femmina umana in carne ed ossa
ma si farà costruire una bambola simile a lei e la abbraccerà nel loro letto
invocando il suo nome:"yucra;n mevn, oi'Jmai,
tevryin" (v. 353), gelida gioia, credo.
Anche i luoghi dell'amore perduto
bisogna evitare:"Et loca saepe nocent; fugito loca conscia vestri/concubitus;
causas illa doloris habent./"Hic fuit; hic cubuit; talamo dormiimus illo;/ hic
mihi lasciva gaudia nocte dedit"./ Admonitu refricatur amor vulnusque novatum/scinditur;
infirmis culpa pusilla nocet" (vv. 725-730), anche i luoghi spesso -fanno
male; evita i luoghi consci della vostra unione; quelli conservano motivi di
dolore. " Qui è stata; qui si è stesa; in quel letto abbiamo dormito; qui mi ha
dato gioie in una notte sfrenata". Dal ricordo viene ravvivato l'amore e la
ferita rinnovata si riapre; ai malati fa male un errore pur piccolo.
-nocent...nocet: pure
questo termine, etimologicamente imparentato con nex, necis ,
"uccisione", con pernicies, rovina, e con il greco
nevku"
, morto,
nevkuia , evocazione dei morti,
richiama l'idea insistente della negazione della vita sempre presente in questo
rimpianto," vano pascolo d'uno spirito disoccupato"
[169] .-loca conscia: i luoghi al corrente delle nostre azioni
o dei nostri pensieri echeggiano i fatti di cui sono stati testimoni.
Leopardi attribuisce la coscienza delle sue notti travagliose al letto dove
le passava:"sul conscio letto, dolorosamente/alla fioca lucerna poetando…" (Le
Ricordanze, vv. 115-116), con un nesso però che risale piuttosto ad
Apuleio il quale fa dire a un personaggio del suo romanzo:"gratabule,
inquam, animo meo carissime, qui mecum tot aerumnas exanclasti, conscius
et arbiter quae nocte gesta sunt…" ( Metamorfosi, I, 16), lettuccio,
dico, carissimo all'animo mio, che con me tante tribolazioni hai sopportato,
conscio e giudice di quanto è stato fatto questa notte.-gaudia…vulnusque
novatum scinditur : è un'operazione contraria a quella del
tw''''''''// pavqei mavqo" ossia
della ferita che deve fiorire" in tanta luce"
[170] : la gioia, non
autentica, non profonda, solo epidermica, si capovolge in ferita.
Segue il rapporto cenere-fuoco-amore. Questa volta però leggiamolo prima in un
moderno: il protagonista de Il piacere (del 1889) si sente
ravvivato dalla visione di "Donna Maria…per Andrea quella signora alta e
ondulante sotto il mantello di viaggio e velata, di cui egli non vedeva che la
bocca e il mento, ebbe una profonda seduzione. Tutto il suo essere, illuso in
quei giorni da una parvenza di liberazione, era disposto ad accogliere il
fascino dell' "eterno feminino". Appena smosse da un soffio di donna, le
ceneri davano faville"
[171] .
Ora vediamo quello che potrebbe essere il modello dell'immagine dannunziana:"Ut,
paene extinctum cinerem si sulphure tangas, /vivet et e minimo maximus ignis
erit,/ sic, nisi vitaris quidquid renovabit amorem,/ flamma redardescet, quae
modo nulla fuit" (vv. 731-734), come se attizzi con lo zolfo la cenere quasi
spenta essa si ravviverà e da un piccolissima scintilla verrà una grandissima
vampa, così, se non avrai schivato tutto ciò che rinnovellerà l'amore, la fiamma
che poco prima era sparita di nuovo divamperà.-vitaris=vitaveris.
Nemmeno il poeta di Sulmona che dall'esilio definirà se stesso " tenerorum
lusor amorum"
[172] , lieto cantore dei teneri amori, riesce a trovare sempre
qualche cosa di festoso nella fiamma erotica. Segue un'affermazione di stampo
platonico: la ricchezza è un'occasione per l'amore sregolato il quale ne viene
nutrito:"divitiis alitur luxuriosus amor " (v. 746). Vengono fatti gli
esempi delle famose cretesi lussuriose, Pasife e Fedra, che se fossero state
povere come Ecale e Iro non sarebbero arrivati ai noti eccessi:"Nempe quod
alter egens, altera pauper erat " (v. 748), evidentemente poiché uno era
povero, e l'altra possedeva poco. Ecale é la vecchietta che, nell' omonimo
epillio di Callimaco, diede ospitalità a Teseo, e Iro il pitocco di Itaca steso
da Odisseo.
Un platonismo applicato all'eros, si diceva: infatti il filosofo, nel Gorgia,
denuncia il potere, e quindi anche la ricchezza ad esso congiunta, come
occasione per fare il male e pone i tiranni tra i grandi criminali incurabili
(ajjjjnivatoi, 525c) poiché
hanno commesso i delitti più atroci e non espiabili. Costoro, non potendo più
redimersi, servono come paradeivgmata,
esempi negativi per gli altri, stando sospesi nel carcere dell'Ade. Tra questi
contromodelli ci sarà il despota Archelao
[173] e quanti altri, tiranni, re, dinasti e politici,
sono portati dal loro stesso potere a delinquere gravemente. Per avallare questa
affermazione è chiamato in causa Omero che ha rappresentato Tantalo, Sisifo e
Tizio "ejn {{Aidou to;n ajei; crovnon
timwroumevnou""(525e), puniti nell'Ade per sempre: questi erano appunto
re e dinasti; mentre Tersite, e chiunque altro sia stato malvagio da privato
cittadino ("ijdiwvth"")
non ha avuto occasione di fare tanto male, e per questo si può considerare più
fortunato dei potenti dai quali provengono "oiJ
sfovdra ponhroiv" (526a) quelli malvagi assai.
Non per questo Ovidio consiglia la
povertà:"Non habet unde suum paupertas pascat amorem;/non tamen hoc tanti
est, pauper ut esse velis" (vv. 749- 750), la povertà non ha nulla con cui
possa nutrire l'amore; tuttavia questo fatto non è tanto importante da voler
essere povero. Sembra che il poeta propenda per quella teoria della classe media
che abbiamo indicato in Euripide.
Ovidio procede esortando a non
frequentare i teatri finché ci si vuole liberare dall'amore :" Enervant
animos citharae lotosque lyraeque/et vox et numeris bracchia mota suis"
(753-754), stremano la volontà le cetre il flauto e le lire e il canto e le
braccia mosse secondo i ritmi impressi. Si ricorderà che nell'Ars (I, 89
) il poeta aveva consigliato il predatore erotico di andare a caccia soprattutto
nei teatri, ma in quel contesto la condizione spirituale dell'allievo era
diversa, e il maestro deve dare prova di flessibilità nell'interesse del
discepolo. Questo è così preminente che Ovidio arriva, pur controvoglia, a
sconsigliare i poeti d'amore:"Eloquar invitus; teneros ne tange poetas"
(v. 757). Segue una rassegna di questi poeti teneri che inteneriscono
l'animo quando questo al contrario si deve indurire. Li conosciamo quasi tutti;
possiamo ripassarli nella prospettiva ovidiana.
"Callimachum fugito; non est
inimicus Amori;/et cum Callimacho tu quoque, Coe, noces./Me certe Sappho
meliorem fecit amicae,/nec rigidos mores Teia musa dedit./Carmina quis potuit
tuto legisse Tibulli,/vel tua, cuius opus Cynthia sola fuit?/Quis poterit lecto
durus discedere Gallo?/Et mea nescio quid carmina tale sonant" (vv.
759-766), evita Callimaco; non è ostile all'amore; e con Callimaco anche tu fai
danni, poeta di Cos. Certamente Saffo mi ha reso più generoso con l'amica, né la
musa di Teo ha prescritto costumi severi. Chi ha potuto leggere le elegie di
Tibullo restando al sicuro, o le tue la cui occupazione fu la sola Cinzia? Chi
potrà allontanarsi insensibile dopo avere letto Gallo? Anche le mie poesie
echeggiano un non so che di simile.-fugito: il solito imperativo futuro
delle prescrizioni e delle massime.-inimicus amori : Callimaco non
è contrario all'amore ma certamente la sua poesia non è incline al pathos
erotico, come nota Snell. L'autore de La cultura greca e le origini del
pensiero europeo prende in considerazione alcuni epigrammi del poeta di
Cirene, tra cui quello già citato (Anth. Pal. XII, 102) del suo amore
che, come il cacciatore, insegue chi fugge mentre passa oltre chi gli giace
disteso davanti. Un altro epigramma emblematico (A. P. XII, 134) è quello
in cui il poeta nota i segni dell'amore doloroso di un commensale per vederci il
proprio:"fwro;" dj j i [cnia fw;r e [maqon",
io ladro, riconosco le tracce del ladro.
"Egli descrive dunque l'amore altrui solo per
poter confessare il proprio…Per mezzo di questa forma indiretta Callimaco ha
evitato l'espressione patetica "io amo"; la confessione ne risulta ironicamente
spezzata, e sembra che la dichiarazione d'amore gli sia sfuggita per caso"
[174] .-Coe: il poeta di Cos è Filita (IV-III sec. a.
C.) ritenuto con Callimaco maestro della nuova poesia alessandrina. Properzio
invoca insieme i mani dei due poeti perché lo lascino entrare nella loro selva
sacra (III, 1, 1-2).-Teia musa: è quella di Anacreonte, nato a
Teo, nella Ionia, e vissuto all'incirca tra il 570 e il 485 a. C. Frequentò i
tiranni Policrate di Samo e Ipparco di Atene.-rigidos mores: infatti
nell'opera di Anacreonte prevale la cavri"
, la grazia:"cariventa mevn g jjjj
ajeivdw, cariventa d j oi\\\\\\\'jda\\\\\\\ ( manca accento
circonflesso) levxai (fr. 32 D., v.
2), canto cose piacevoli, parole piacevoli so dire.
Contro l'irrigidimento mentale, o
morale o presunto tale, usa una bella immagine Emone nell'Antigone quando
cerca di indurre il padre a una maggiore flessibilità, intesa come mitezza
[175] :"Tu vedi presso le
correnti gonfie come,/quanti tra gli alberi si piegano, salvano i rami, /mentre
i renitenti sono annientati con le stesse radici"
(vv. 712-714) . Gli fa eco H. Hesse:" L'universale torrente delle
forme, quello che Dio aspirava insieme con l'altro, ovvero che Dio espirava,
continuava a scaturire. Klein vedeva esseri che si opponevano alla corrente e
tra paurose convulsioni si inalberavano procurandosi orrendi dolori: eroi,
delinquenti, pazzi, pensatori, amanti, religiosi"
[176] .
-Tibulli: il poeta
nell'elegia proemiale (I, 19) in effetti si presenta, in contrapposizione al
guerriero Messalla Corvino, suo amico e protettore del resto, come un servo
legato e umiliato da Delia:"me retinent vinctum formosae vincla puellae,/et
sedeo duras ianitor ante fores" (vv. 55-56), mi trattengono legato le catene
della bella fanciulla, e siedo come portiere davanti ai duri battenti.-tua (sott.
carmina): di Properzio.-Cyntia sola fuit: echeggia le
dichiarazioni dello stesso poeta nel monovbiblo" , il primo dei quattro libri di
elegie, pubblicato nel 28 a. C. "Tu mihi sola domus, tu, Cynthia, sola
parentes (I, 11, 23) , tu sola sei per me, Cinzia, la casa, sola i genitori,
e, nell'elegia successiva i già citati vv. 19-20 che escludono tutte le altre
donne. Siccome questi tovpoi amorosi si ripetono, in tutti i tempi, a vari
livelli, ricordo una canzone di amore struggente, molto in voga nei primi anni
sessanta, L'uomo del banjo, che faceva:" è lei la prima e l'ultima, che
cosa mai ci avrà?/ è lei la più difficile che solo male mi fa!". Nihil novi
sub sole !.-lecto…Gallo: ablativo assoluto. E' il primo elegiaco del
canone di Quintiliano che attribuisce grande credito a questi poeti:"elegia
quoque Graecos provocamus"( Institutio oratoria, X, 10, 93), anche
nell'elegia sfidiamo i Greci. Noi lo conosciamo attraverso la mediazione di
Virgilio, della quale si è già parlato, e per pochi versi che contengono già le
parole chiave dell'elegia latina:domina, servitium amoris, nequitia "che
definisce uno dei caratteri distintivi di questa vita vissuta con sofferenza
contro i valori portanti della morale quiritaria"
[177] .
Conte avverte che l'attribuzione a
Gallo di otto dei nove versi, trovati di recente, è dubbia; "ma certo questi
frammenti papiracei ci consegnano un'immagine di Gallo vicina a quella
tramandataci da Virgilio, e sembrano confermare la sua importanza come mediatore
fra neoterismo ed elegia augustea"
[178] . Ovidio nei Tristia, ricapitolando la sua vita,
riconoscerà a Gallo il primo posto nell'elegia, almeno in ordine di tempo:"Vergilium
vidi tantum, nec avara Tibullo/tempus amicitiae fata dedere meae./Successor fuit
hic tibi, Galle, Propertius illi,/quartus ab his serie temporis ipse fui" (
IV, 10, 51-54), Virgilio lo vidi soltanto, né il destino avaro concesse tempo
per la mia amicizia a Tibullo
[179] . Egli successe a te Gallo e Properzio a lui, quarto dopo
questi in ordine di tempo fui io.- nescio quid : è il vago e l'indefinito
che ogni poesia deve avere. Lo ha chiarito Leopardi che del resto non è un
estimatore di Ovidio: sostiene sia un poeta che descrive piuttosto che
dipingere come Virgilio o scolpire come Dante
[180] e che "si lasciava trasportare dalla sua vena e copia, con
poco uso della lima, siccome p. lo stile, così p. la lingua"
[181] . E più avanti:"ei non ha maggior intento né più grave, anzi a
null'altro mira, che descrivere, ed eccitare e seminare immagini e pitturine, e
figure, e rappresentare continuamente" (p. 3480). Io credo che il pur
grandissimo recanatese non avesse gli strumenti extraletterari per capire
Ovidio.
Altro motivo di sofferenza, anzi
il più grande, è la gelosia causata dalla presenza di un rivale:" aemulus est
nostri maxima causa mali" (v. 768). Di questa piovra del cervello abbiamo
già detto; il rimedio suggerito da Ovidio è quello di non figurarsi alcun rivale
e di pensare che lei dorma sola nel letto:" At tu rivalem noli tibi fingere
quemquam/inque suo solam crede iacere toro" (vv. 769-770). Sappiamo da
Saffo, e dall'esperienza. che difficilmente la donna lo fa volentieri: "E'
tramontata la luna/e le Pleiadi; è a metà/
La presenza di un rivale, di un
altro amante o pretendente, rende più cara e preziosa la donna. Vengono fatti,
al solito, esempi tratti dal mito: Oreste si innamorò di Ermione quando questa
aveva cominciato a essere di Pirro, figlio di Achille, ed Elena divenne cara a
Menelao, che era andato a Creta senza di lei, quando Paride la portò a Troia.
Achille piangeva (flebat Achilles, v.777) come gli fu tolta Briseide. Il
pianto dell'eroe Achille, biasimato da Platone
che considera indegni di lettura le lacrime e i lamenti del figlio di Tetide,
dovunque si trovino rappresentati
[184] , viene interpretato
da Ovidio come segno della potenza dolorifica insita nella gelosia che dunque va
evitata. I suggerimenti contro questo mostro sono tanti. Il Sulmonese consiglia
di scappare a gambe levate dal covo della donna quando si è trovata la forza di
lasciarla, facendo come Ulisse con i Lotofagi e le Sirene:" Illo Lotophagos,
illo Sirenas in antro/ esse puta; remis adice vela tuis" (789-790), pensa
che in quell'antro ci siano i Lotofagi e le Sirene; ai tuoi remi aggiungi le
vele. La forza del pensiero insomma deve controbattere e superare quella
dell'istinto e dell'emotività. Altrimenti si potrebbe finire come Medea.
Pavese consiglia un altro pensiero contro il "mostro dagli occhi verdi":"
Perché essere geloso? Lui non vede in lei quel che vedo io-probabilmente non
vede nulla. Tanto varrebbe esser geloso di un cane o dell'acqua della piscina.
Anzi, l'acqua è più all-pervading di qualunque amante"
[185] . E, diversi anni dopo:"Una donna, con gli altri, o fa sul
serio o scherza. Se fa sul serio, allora appartiene a quell'altro e basta; se
scherza, allora è una vacca e basta"
[186] .
Del resto ne Il mestiere di vivere troviamo scritto pure:" Chi non è
geloso anche delle mutandine della sua bella, non è innamorato".
La guarigione completa, conclude Ovidio, ci sarà quando potrai dare un bacio al
rivale:"oscula cum poteris iam dare, sanus eris" (v. 794), probabilmente
poiché ti ha liberato da un grave peso.
Quindi Ovidio passa ai cibi accentuando la componente medica del resto sempre
presente nel suo poemetto:"Daunius an Libycis bulbus tibi missus ab oris/an
veniat Megaris, noxius omnis erit " (797-798), la cipolla della Daunia o
mandata dalle coste libiche o importata da Megara sarà sempre nociva. In questa
prospettiva, ribaltata rispetto a quella del viagra o alle pratiche cui si
sottopone Encolpio contro l'impotenza, nocivo significa eccitante.
Tale è anche la rucola:"Nec minus erucas aptum vitare salaces,/et quicquid
Veneri corpora nostra parat " (799-800), e non è meno opportuno evitare la
rucola afrodisiaca e tutto quanto dispone il nostro corpo a Venere.-salaces,
da salax, connesso a salio, salto, significa propriamente "che fa
saltare". "La radice deriva dall'indoeuropeo *sal- che ha dato come esito
in greco aJl-,
in latino sal-"
[187] . In greco salto si dice
a{llomai.
Nell'Ars amatoria, che condivide l'impianto didascalico dei Remedia
amoris ,ma vuole insegnare il contrario, Ovidio consiglia gli
stessi e altri cibi afrodisiaci a chi non deve risparmiare i lombi:"bulbus et,
ex horto quae venit herba salax/ovaque sumantur, sumantur Hymettia mella/quasque
tulit folio pinus acuta nuces" ( II, 422-424), si prenda la cipolla, e la
rucola eccitante che viene dall'orto, le uova e si prenda il miele dell'Imetto e
i pinoli che produce il pino dalle foglie aghiformi.
La cipolla (bolbov"
) è con le conchiglie e le lumache, tra
gli ingredienti principali anche del
povto" aJduv"
(v. 17), il magnifico banchetto che svela l'amore di Cinisca nel XIV idillio di
Teocrito.
La cipolla e la rucola anche da Marziale sono messi tra gli afrodisiaci che
peraltro non aiutano Luperco abbandonato dalla mentula:"sed nihil
erucae faciunt bulbique salaces" (III, 75, 3), niente ti fanno la rucola e
le cipolle eccitanti.
Veniamo quindi al vino:" Vina parant animum Veneri, nisi plurima sumas/
et stupeant multo corda sepulta mero./Nutritur vento, vento restinguitur ignis;/lenis
alit flammas, grandior aura necat./Aut nulla ebrietas, aut tanta sit, ut tibi
curas/eripiat; si qua est inter utrumque nocet " (vv.805-808), il vino
dispone l'animo a Venere, se non ne prendi troppo e non vengono intontiti i
sensi sepolti dal molto vino. Viene nutrito dal vento, dal vento viene pure
spento il fuoco; una lieve brezza alimenta le fiamme, un vento più grande la
spenge. O non ci sia l'ebbrezza o sia così grande da portarti via gli affanni,
se una si trova a metà, ti fa male.-Vina: Una riflessione sugli effetti
erogeni del vino si trova ne L'asino d'oro di Apuleio. Il
curiosus protagonista Lucio, preparandosi a un incontro amoroso con
l'ancella Fotide, ricevuta in dono un'anfora di prezioso vino invecchiato,
vini cadum in aetate pretiosi, invita l'amante a bere insieme il liquido
di Bacco elogiandolo come il miglior viatico per percorrere una lunga rotta
sulla barca di Venere:"Ecce-inquam,-Veneris hortator et armĭger Liber advenit
ultro! Vinum istud
hodie sorbamus omne, quod nobis restinguat pudoris ignaviam et alacrem vigorem
libidinis incutiat. Hac enim sitarchĭa
navigium Veneris indĭget sola, ut in nocte pervigili et oleo lucerna et vino
calix abundet " (II, 11), ecco,
dico, che stimolatore e armigero di Venere arriva Libero spontaneamente !
Beviamocelo tutto oggi questo vino che spenga in noi la viltà del pudore e
susciti un focoso vigore di libidine. In effetti la barca di Venere ha bisogno
soltanto di questo approvvigionamento in modo che, durante la notte di veglia,
la lucerna sia piena d'olio e la coppa di vino.
Anche il portiere del castello di Macbeth , una specie di portiere
dell'inferno come ipotizza di essere con ironia sofoclea
[188] , disquisisce, intorno agli effetti del bere sulla libidine:
la provoca e la sprovoca; provoca il desiderio ma ne porta via l'esecuzione.
" Therefore, much drink may be said to be an equivocator with lechery ",
perciò bere molto si può denominare colui che rende equivoca la lascivia: la
crea e la distrugge; la spinge innanzi e la tira indietro; la persuade e la
scoraggia; "makes him stand to, and not stand to", la mette in piedi e
non la tiene su, insomma la equivoca col sonno e dandole una smentita la
pianta (II, 3). In questo monologo, "di un fine umorismo lucianesco…occorrono
certe allusioni a fatti contemporanei, che allora, cioè quando Shakespeare
scriveva il Macbeth
[189] , dovevano essere a
common topic
[190] , o, come diremmo noi, sulla bocca di tutti, e che ci riportano
a quell'anno"
[191] (1606). Chiarini fa l'esempio della parola equivocator
usata due volte nel monologo e che allude alla dottrina gesuitica dell'equivocazione
invocata da Enrico Garnet, superiore dell'ordine dei gesuiti processato nel 1606
appunto per l' accusa di avere partecipato alla congiura delle polveri (gunpowdwer
plot) ordita dai cattolici, nel 1605, contro Giacomo I.
Si può aggiungere e precisare che bere alcolici, in quantità non eccessiva, può
disinibire in certi casi o, in altri, fare obliare la scarsa attrazione sentita
in condizione di lucidità per un partner che non ci piace.
Siamo giunti all'epilogo:" Hoc
opus exegi: fessae date serta carina/;/ contigimus portus quo mihi cursus erat./
Postmodo reddetis sacro pia vota poetae,/carmine sanati femina virque meo"
(vv. 811-814), ho portato a termine quest'opera: offrite corone alla nave
stanca; abbiamo toccato il porto cui era diretta la rotta. In seguito renderete
le dovute grazie al sacro poeta, uomini e donne risanati dalla mia poesia.-exegi:
ricorda exegi monumentum, ho portato a
termine un monumento, di Orazio (Carmina, III, 30,1).-carinae:
torna ancora la metafora della navigazione.-sanati :" l'ultimo verso con
il significativo sanati recupera alla struttura superficiale l'impronta
di trattato medico e sembra rispondere al v. 43 del proemio didascalico,
discite sanari per quem didicistis amare"
[192] .
A questa didattica dell'amore
ovidiana voglio aggiungere alcuni suggerimenti presi, oltre che dall'esperienza,
da autori moderni, consigli che possono essere sintetizzati da una riflessione
di Musil: se da un lato può essere vero che "la morale non esiste perché
non la si può dedurre da qualcosa di stabile" e quindi "vi sono soltanto delle
regole per l'inutile conservazione di condizioni transitorie", come afferma
Ulrich il protagonista de L'uomo senza qualità, è altresì vero quello che
aggiunge subito dopo:"sostengo che non vi è profonda felicità senza morale
profonda"
[193] .
Quindi la guarigione dalla pena
amorosa richiede non solo le Pieridi come asserisce Teocrito all'inizio
dell'idillio XI (vv. 1-3), o quell' abbraccio e quello stendersi insieme con i
corpi nudi suggerito da Longo Sofista,
[194] ma una moralizzazione del rapporto.
In altre parole, è bene osservare
la persona amata, come se fosse un meraviglioso fenomeno naturale, senza volere
né cambiarla né possederla; si tratta di rispettarla nel senso etimologico
suggerito da Fromm:" Rispetto non è timore né terrore; esso denota, nel
vero senso della parola (respicere =guardare), la capacità di vedere una
persona com'è, di conoscerne la vera individualità. Rispetto significa
desiderare che l'altra persona cresca e si sviluppi per quello che è. Il
rispetto, perciò esclude lo sfruttamento; voglio che la persona amata cresca e
si sviluppi secondo i suoi desideri, secondo i suoi mezzi, e non allo scopo di
servirmi"
[195] . E ancora: se amo una persona "io la rispetto, cioè
(secondo il significato etimologico di re-spicere ) io la guardo come
essa è obiettivamente e non travisata dai miei desideri o dalle mie paure. La
conosco, sono penetrato oltre la sua apparenza fino al fondo del suo essere e ho
collegato me stesso con lei dal profondo del mio essere"
[196] .
La sofferenza amorosa, se viene
compresa, può essere produttiva, comunque va superata.
Certo, dalla donna che ci fa
soffrire si impara anche.
Su questo possiamo sentire
Proust:"Una donna di cui abbiamo bisogno,
che ci fa soffrire, trae da noi serie di sentimenti ben più profondi, ben
altrimenti vitali di quanto possa fare un uomo superiore che ci interessi. Resta
da sapere, secondo il piano su cui viviamo, se davvero ci sembra che il
tradimento col quale ci ha fatto soffrire una donna sia ben poca cosa in
confronto delle verità che ci ha rivelate, verità che la donna, paga d'aver
fatto soffrire, non avrebbe potuto comprendere...Facendomi perdere il mio tempo,
facendomi soffrire, forse Albertine mi era stata più utile, anche sotto
l'aspetto letterario, di un segretario che avesse messo in ordine le mie
"scartoffie". Tuttavia, allorché un essere è così mal conformato (e può darsi
che nella natura un tal essere sia proprio l'uomo) da non poter amare senza
soffrire, e da aver bisogno di soffrire per imparare certe verità, la vita d'un
tale essere finisce col riuscire ben spossante!"
[197] .
L'amore maturo significa un'uscita da questo stato di squilibrio. Alla fine
dell'amore di Swann troviamo un suggerimento per la guarigione.
Vediamo:" appena Swann se la poteva raffigurare senza orrore, appena rivedeva
bontà nel suo sorriso...il suo amore ridiventava soprattutto un gusto delle
sensazioni dategli dalla persona di Odette, del piacere che provava
nell'ammirare come uno spettacolo o nell'interrogare come un fenomeno, l'alzarsi
di uno sguardo, il formarsi d'un suo sorriso, l'emissione d'un tono di voce" (p.
322).
Amare una persona rispettandola dunque significa osservarla senza la pretesa di
cambiarla, contemplarla come si può fare con un paesaggio o un tramonto.
Una soluzione del genere si trova ne La Noia di Moravia:"insomma,
lei non volevo più possederla bensì guardarla vivere, così com'era, cioé
contemplarla, allo stesso modo che contemplavo l'albero attraverso i vetri della
finestra"
[198] .
Anche il protagonista di Un Amore di Buzzati arriva alla
comprensione e alla compassione per la ragazza che l'ha fatto soffrire siccome
gli ha rivolto contro l' intenzione che lui aveva di usarla, osservandola
sine ira et studio :" dal sonno di lei così abbandonato e confidente viene a
lui un senso di pietà e di pace, una specie di invisibile carezza"
[199] .
La Zambrano suggerisce di uscire dalla caverna del proprio io per il
superamento dell'amore come invidia dell'altro. "ben presto nell'amore l'altro
si trasforma in uno. L'invidia, invece, conserva ostinatamente l'alterità
dell'altro, senza permettergli di raggiungere la purezza dell'uno. E mantenendo
l'altro, l'avidità aumenta sino alla frenesia…la differenza tra l'invidia e
l'amore sembra trovarsi nella visione: l'amore vede l'altro come uno; l'invidia
vede ciò che potrebbe essere uno come l'altro…L'invidioso, che sembra vivere
fuori di sé, è un individuo immerso nel proprio intimo: invidere, già
nella sua composizione, dichiara il dentro che c'è in quel guardare l'altro.
Guardare e vedere un altro non fuori, non dove l'altro sta realmente, ma in un
dentro abissale, un dentro allucinato che si confonde con la solitudine, dove
non trova il segreto che ci fa sentire noi stessi"
[200] .
L'invidia si supera trovando la propria identità:"se cerchiamo l'identità di
essere qualcuno al di sopra e al di là di quello che ci accade e di quello che
viviamo, allora non potrà nascere l'invidia. Perché l'invidia è passione
dell'altro, passione dell'identità dell'altro, passione della libertà
dell'altro, nella propria vacillante unità e libertà"
[201] .
Concludiamo il capitolo con l'antistrofe del
terzo Stasimo dell'Antigone :
Greco
"Tu anche dei giusti le non più giuste/menti trascini alla rovina:/tu
anche questa contesa consanguinea/di uomini hai scatenato;/e vince il desiderio
vivace/degli occhi della fidanzata bella nel letto/e siede accanto nella
gestione delle grandi /leggi: ineluttabile infatti/gioca la dea Afrodite" (vv.
791-800).
-ajdivkou":
prolettico. Le menti giuste traviate dall'amore diventano ingiuste solo quando
l'amore è malato. Si può pensare alla gelosia: "the green-eyed monster, which
doth mock/ the meat it feeds on "
[202] , il mostro dagli occhi verdi che si fa beffe del cibo
di cui si pasce.-e [cei" taravxa":
forma perifrastica costituita da e [cw
e dal participio aoristo di taravssw,
simile al nostro passato prossimo.-xuvnaimon:
ipallage che sottolinea ulteriormente la consanguineità sempre notata da
Sofocle.-blefavrwn: indica
gli occhi.-eujlevktrou:
composto di euj e
levktron, "letto" per indicare le gioie che possono sconvolgere la
razionalità e l'equilibrio fino a creare attriti o addirittura guerra tra i
consanguinei. Il sostantivo è formato sulla radice
lec-/loc-
con la quale si formano anche a [loco" ,
compagna di letto, moglie, e lovco"
, "agguato".
Da questa etimologia possiamo
vedere la doppia valenza della donna: accogliente e soccorrevole oppure
nemica e letale. Tale ambiguità del linguaggio si può notare anche
confrontando a [loco" con
a [koiti" , "moglie", colei che
dorme insieme, da aj copulativo+
kei'mai, "giaccio", formato sulla
radice kei-/koi-
su cui si forma keimhvlion, "oggetto
riposto", "tesoro". La sposa dunque può esssere un agguato, un tesoro, e altre
cose ancora: si ricorderanno la rete (Agamennone, 1116) e l'inganno
scosceso (Teogonia , 589 e Opere , 83). Diverse tra le grandi
tragedie hanno a che fare con il letto il quale non poche volte è il mobile più
importante del palazzo, come nota Kott a proposito dell'Alcesti.
. Nelle Trachinie di Sofocle c'è una presenza quasi ossessiva del talamo
nuziale:"ejxaivfnh" sf& oJrw'-to;n
JHravkleion qavlamon eijsormwmevnhn",
subito la vedo lanciarsi sul talamo di Eracle (vv.912-913); "oJrw'
de; th;n gunai'ka demnivoi" toi'" JHrakleivoi"",
vedo la donna nel letto di Eracle...(v.915-916); "kaqevzet&
ejn..mevsoisin eujnathrivoi"", sedeva
in mezzo al letto coniugale (v.918); "wj'
levch te kai; numfei'& ejmav", o letto
e mia stanza nuziale(v.920). Nell'Alcesti, dove la coppia"funziona", c'è
un vero e proprio culto del letto: qui l'eroina muore affermando la sua fedeltà,
prima che allo sposo, a questo vero e proprio feticcio domestico:"prodou'nai
ga;r s& ojknou'sa kai; povsin-qnh/skw",
non volendo tradire te e lo sposo/muoio(vv.180-181). -pavredro":
apposizione di iJvmero". E'
formato da paravvvvv - e
eJvdra, "sede" la cui "radice deriva
dall'indoeuropeo *sed - che ha dato come esito in greco
eJd-/sd-
(>z-), in latino sed- "
[203] .- iJvmero"
è il desiderio per una persona presente. Platone spiega molto chiaramente la
differenza tra questo termine e povqo":"himeros
indica il desiderio diretto verso un partner che è presente, ovvero il desiderio
che sta per essere soddisfatto, pothos , invece, il desiderio nei
confronti di un assente, ovvero il desiderio che soffre di non potersi appagare:
il rimpianto, la nostalgia
[204] "
[205] .
Il pastore Dafni nell'Idillio
VIII di Teocrito mette il povqo"
di un uomo per una tenera fanciulla tra i mali spaventosi del mondo: come
l'inverno per gli alberi, l'arsura estiva per le acque, il laccio per gli
uccelli, le reti per gli animali selvatici (vv. 56-59). -qesmw'n:
Il Desiderio appunto è una delle grandi leggi del mondo: essa riguarda uomini e
ferae pecudes
[206]
, gli animali selvaggi, ognuno dei quali segue la dea
dell'amore cupide dovunque ella voglia condurlo.-a
[maco": torna, circolarmente, l'invincibilità dell'amore la cui dea
( jAfrodivta è forma dorica
per jAfrodivth) del resto non
infligge solo guerre e ferite ma sa anche elargire ludi e giochi. Aristofane
infatti afferma che Qewriva, la
festa, odora di grembi di donne che corrono sui campi:"o
[zei...kovlpou gunaikw'n diatrecousw'n eij" ajgrovn", (Pace , v.
536). In questo Stasimo, volendo si può trovare un'anticipazione del
tovpo" del servitium amoris.
P. Fedeli ci riferisce che alcuni studiosi (Copley e Stroh) ritengono "che il
motivo nella formulazione tibulliana e properziana sia tipicamente romano"
mentre un altro (Murgatroyd) "giunge alla conclusione che il motivo è attestato
sin dall'Antigone di Sofocle. Il Murgatroyd, però, non si è preoccupato
di distinguere se lo stato di servitium si riferisca alla condizione
dell'uomo oppure a quella della donna e se, in questo caso, rifletta lo stato di
totale dedizione della moglie nei confronti del marito nella società greca; non
si preoccupa, infine, di considerare se si tratti di esempi generici di
schiavitù nei confronti del dio Amore piuttosto che nei confronti della persona
amata"
[207] .-ejmpaivzei:
da questo stasimo si vede che l'amore può essere causa di rovina ma anche fonte
di gioco:"Afrodite è più dea del gioco che dell'amore, in un certo modo è la
divinità dell'amore-passione. Tutti i disegni neoclassici lo hanno compreso, e
hanno anche inteso l'amore come gioco"
[208] .
note:
[1]
I. Dionigi, La Natura Delle Cose , p. 82
[2]
Dall'Introduzione di G. B. Conte a Lucrezio
La Natura Delle Cose , p.17.
[3]
I. Dionigi, op. cit., p. 127.
[5]
Conte, Scriptorium classicum , 5, p. 17.
[6]
All'ombra delle fanciulle in fiore, p.
80.
[7]
E. Fromm,
L'arte d'amare , p. 43.
[8]
Per una
spiegazione e breve rassegna di tale metafora e allegoria vedi il mio
commento all' Antigone , Loffredo 2001, pp. 62-63.
[9]
Non potresti vederne una che tenti qualche
novità, sostiene Prassagora. Subito prima aveva usato la metafora
nautica:"to; de; koinovn w{sper Ai
[simo" kulivndetai" (Ecclesiazuse, v. 208), lo Stato
invece beccheggia , come Esimo. Questo era probabilmente uno zoppo in
vista.
[10]
Tra le onde e la guerra.
[11]
L'arcipelago, p. 41.
[12]
G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5, p. 51.
[13]
G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5, p. 52.
[14]
Conte, Scriptorium classicum 5, p. 16.
[15]
G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5, p. 52
[16]
Lucrezio, La Natura Delle Cose , commento
di Ivano Dionigi, p. 409.
[17]
G. Berto, La cosa buffa , p. 79.
[18]
Adelchi , atto IV.
[19]
G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5,
p. 53.
[20]
Pitica VII, vv. 95-96.
[21]
Marìa Zambrano, L'uomo e il divino , p.
139. La vida es sueño (1635) è il capolavoro di Calderòn de la
Barca (Madrid 1600-1681).
[22]
G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5, p. 54.
[23]
F. Kafka, Il castello , p. 84.
[24]
G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5, p. 54.
[25]
Lucrezio, La Natura Delle Cose, commento
di I. Dionigi, p. 410.
[26]
G. B. Conte, op. e p. citate sopra.
[27]
G. B. Conte, op. e p. citate sopra.
[28]
E. Fromm, L'arte d'amare , p. 35.
[29]
Il mestiere di vivere , 15 ottobre 1940.
[30]
G. B. Conte, op. e p. citate sopra.
[31]
La quiete dopo la tempesta , v. 32.
[32]
Parerga e paralipomena , Tomo II, p. 414.
[33]
Parerga e paralipomena , Tomo II, p. 665 ss.
[34]
L'anello di Clarisse , p. 198.
[35]
Il mestiere di vivere , 25 dicembre, 1937.
[36]
W. Reich, L'assassinio di Cristo , p. 66.
[37]
M. Detienne-J. P. Vernant,
Le astuzie dell'intelligenza nell'antica Grecia , p. 3 e sgg.
[38]
Apollonio Rodio, Argonautiche, II, 75.
[40]
Cent'anni di solitudine , p. 237.
[41]
G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5, p. 56.
[42]
La strada di Swann , p. 394.
[43]
G. Ugolini, Lexis , p.369.
[44]
I. Dionigi, La Natura Delle Cose , p. 413.
[45]
L. Tolstoj, Resurrezione (del 1899),
p. 47.
[46]
G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5, p. 56.
[47]
I. Dionigi, La Natura Delle Cose , p. 413.
[48]
Sei personaggi in cerca d'autore ( parte
prima).
[50]
Atto secondo. Cechov è vissuto tra il 1860 e il 1904.
Il gabbiano è del 1895.
[52]
Il mestiere di vivere , 17 gennaio 1938.
[53]
Cfr. il già citato Agamennone di Eschilo,
v. 1116.
[54]
C. Pavese, Il mestiere di vivere , 26 aprile,
1936.
[55]
W. Jaeger,
Paideia , p.72
[56]
G. B. Conte (introduzione di), Ovidio Rimedi contro
l'amore.
[57]
Mozart-Da Ponte, Le nozze di Figaro , IV, 8.
[58]
Cfr. Ovidio, Ars Amatoria , II, 123-124.
[59]
F. Kafka, Il castello , p. 296 ss.
[60]
G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5, p. 58.
[61]
Antigone (del 1942), p. 78.
[62]
Molière, Il misantropo , II, 4.
[63]
I. Dionigi, op. cit., p. 414.
[64]
G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5, p. 59.
[65]
I. Dionigi, op. cit., p. 415.
[66]
F. Dostoevskij, Delitto e castigo , pp. 531 e
sgg.
[67]
Il Principe , 17.
[68]
Gerontion , vv. 47-49).
[69]
Il Principe , 15.
[70]
Il mestiere di vivere , 3 agosto 1937.
[71]
Major Barbara, Act III.
[72]
F. Kafka, Il processo ,
IX capitolo, pp. 220-221.
[73]
P. Citati, Kafka , pp. 157-158.
[74]
F. Dostoevskij, Delitto e castigo , p. 620.
[75]
I Guermantes , p. 128.
[76]
Frammenti di un discorso amoroso , p. 42
[77]
G. Ugolini, Lexis , p. 245.
[78]
G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5, p. 60.
[79]
Ode, 4 , in Lirica ungherese del '900 .
[80]
Dialoghi con Leucò, Gli Argonauti .
[81]
L. Pirandello, Lettera alla sorella Lina , 31
ottobre 1886.
[82]
F. Nietzsche, Di là dal bene e dal male , p.
200.
[83]
G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5, p. 61.
[84]
Si ricorderà "son
volpi vezzose" de Le nozze di figaro .
[85]
Cfr. G. Ghiselli, Sofocle, Antigone , pp.
121-130.
[86]
G. Leopardi traduce"In carità reciproca...ambo i
consorti dolcemente invecchiano".
[87]
Parerga e paralipomena Tomo II, p. 832 e ss.
[88]
G. Leopardi, Il pensiero dominante , v. 104.
[89]
Citazione tratta da Giacomo Leopardi, Canti
, p. 231.
[90]
Nota il platonismo.
[91]
Nota il tovpo"
della ferita amorosa.
[92]
Sesso e carattere , p. 124.
[93]
I. Svevo, La coscienza di Zeno, p. 170.
[94]
A game of chess (una partita a scacchi
appunto) è il titolo della II sezione de La terra desolata di
Eliot e allude proprio alla mancanza di schiettezza e moralità dei
rapporti umani.
[95]
Lettere, Bocca di Magra, agosto 1950.
[96]
G. B. Conte, introduzione a Ovidio Rimedi contro
l'amore , p. 32.
[97]
Ozio neghittoso. Conte aggiunge in nota "di
quello che era un motivo catulliano (51, 16 s. Otium, Catulle, tibi
molestum est;/otio exsultas nimiumque gestis ) l'elegia aveva fatto
uno dei temi ricorrenti che corrispondono alla sua scelta fondamentale
per la nequitia , e spesso con essa coincidono.
[98]
G. B. Conte, introduzione a Ovidio Rimedi
contro l'amore, p. 39.
[99]
Madame Bovary, p. 104.
[100]
G. B. Conte, introduzione a Ovidio Rimedi contro
l'amore , n. 39, p. 52.
[101]
G. B. Conte, introduzione a Ovidio Rimedi contro
l'amore , p. 40.
[102]
G. B. Conte, Scriptorium classicum 2, p.
173.
[103]
con riferimento alla poetica del naturalismo e a Zola
che intendeva utilizzare nella letteratura il metodo sperimentale delle
scienze avvalendosi appunto di documenti. Tucidide nel Proemio
presenta il suo metodo di lavoro con il verbo
xunevgraye che propriamente
significa "compose una suggrafhv,
ossia un'opera condotta sui documenti".
[104]
Snell, La cultura greca e le origini del
pensiero europeo, Il giocoso in Callimaco , p. 382.
[105]
G. B. Conte, Scriptorium classicum 2, p.176.
[106]
G. B. Conte, Scriptorium classicum 2, p.
176.
[107]
C. Miralles, Come leggere Omero p. 82.
[108]
F. Dostoevkij, I fratelli Karamazov, p.
318.
[109]
G. Leopardi, Il sabato del villaggio, vv.
43-45.
[110]
L. Tolstoj, Guerra e pace, p.1228.
[111]
G. B. Conte, Scriptorium classicum 2, p. 180.
[112]
G. B. Conte, Scriptorium classicum 2,p.180.
[113]
In Plutarco, de glor. Ath. 5 p. 348 C
[114]
Quello da cui Giasone "spinse nel mar gli
abeti,/ e primo corse a fendere/ co' remi il seno a Teti" (V. Monti ,
Al signor di Montgolfier, vv. 2-4)
[115]
Ovidio, Rimedi contro l'amore, a cura di
C. Lazzarini, p. 133.
[116]
Per un commento a questi versi vedi il mio Ulisse,
il figlio, le donne, i viaggi, gli amori , con la scheda "Il
seduttore intellettuale. Egisto" .
[117]
Cfr. la scheda su "La caccia" appunto nel mio
Storiografi Greci , Loffredo, Napoli, 1998, p. 193-196.
[118]
Nel IV libro delle Storie Erodoto
racconta la fallita spedizione di Dario contro gli Sciti
descrivendo i costumi di questo popolo e il loro modo di guerreggiare:
facevano terra bruciata e si allontanavano , una strategia non molto
diversa da quella dei Russi descritti da Tolstoj che in Guerra e pace
definisce ancora " piano di guerra scitica" quello "mirante ad attirare
Napoleone nelle regioni interne della Russia" (p. 1031).
[119]
Eneide III, 72, quando i Troiani si
allontanano dalla Tracia.
[120]
La lampada di Psiche , p. 48 e p. 51.
[121]
Odissea , X, 213 e 236.
[122]
Medea, p. 103.
[124]
A. C. Bradley, op. cit., p. 399.
[125]
Per le Arpie cfr. Apollonio Rodio,
Argonautiche, II, 289; poi Virgilio, Eneide, III, 225-258 e
Dante, Inferno, XIII, 64-66. Per le Erinni cfr. le Eumenidi
di Eschilo, vv.130-132.
[126]
I Guermantes, p. 82.
[127]
Una scheda su questo argomento si trova nel mio
Storiografi Greci .
[128]
Plutarco, Vita di Alcibiade , 13.
[129]
Tacito, Annales , XVI, 18.
[130]
Inferno , XIII, vv. 64-66.
[131]
Orlando furioso , IV, 1.
[132]
TomoII, p. 61O.
[133]
Mozart e Salieri .
[134]
L'uomo e il divino, p. 241.
[135]
Sostituendolo con un trocheo o uno spondeo.
[136]
Odissea , XX, 17 sgg.
[137]
Poco sopra l'autore tra gli eventi aveva
considerato i lovgoi, i
discorsi.
[138]
L. Canfora, L'agorà: il discorso suasorio in Lo
spazio letterario della Grecia antica , I, 1, p. 385.
[139]
G. D'Annunzio, Il fuoco, p. 108.
[140]
Del quale pure abbiamo letto dichiarazioni di
fedeltà oltre la vita.
[141]
Svevo, La coscienza di Zeno, p. 461.
[142]
La coscienza di Zeno, p. 331.
[143]
Ovidio, Rimedi contro l'amore , a cura di
Caterina Lazzarini, p. 154.
[144]
Il Principe, XVIII.
[145]
C. Pavese, Il mestiere di vivere, 5
agosto 1940.
[146]
Bruno Snell, La cultura greca e le origini
del pensiero europeo , p. 372.
[147]
Aristotele, Poetica , 1451b.
[148]
Snell, La cultura greca e le origini del pensiero
europeo , p. 371.
[149]
G. B. Conte, introduzione a Ovidio rimedi contro
l'amore , p. 43.
[150]
F. Dostoevskij, Il giocatore, p. 42.
[151]
M. Proust, La prigioniera,
p. 183.
[152]
L. Tolstoj, Anna Karenina, p. 366.
[153]
Cocotte, vv. 67-69.
[154]
Il mestiere di vivere, 30 settembre 1937.
[155]
Il mestiere di vivere, 16 agosto 1950.
[156]
T. Mann, La morte a Venezia, pp. 62-63 e
p. 118.
[157]
Il riflesso
del tragico antico nel tragico moderno, Tomo secondo, p24 e
pp.33-34.
[158]
Tacito, Annales , XIV, 53.
[159]
Ecce homo (del 1888), p. 37.
[160]
L'uomo e il divino, p. 262.
[161]
Ovidio Rimedi contro l'amore , p. 163.
[162]
G: Parini, Il Mattino , vv.267-271.
[163]
La strada di Swann , p. 363.
[164]
Etica Nicomachea, IX, 8, 1169a 18 ss.
[165]
W. Jaeger, Paideia, 1,
p. 47.
[166]
E. Morin, op. cit., p. 74.
[167]
Cfr. :" sunt lacrimae rerum et mentem
mortalia tangunt" (Eneide, I, 462), ci sono lacrime per le
sventure e le vicende mortali toccano il cuore.
[169]
G. D'Annunzio, Il Piacere, p. 40.
[171]
G. D'Annunzio, Il piacere, p. 155.
[172]
Tristia, IV, 10, 1.
[173]
Tiranno di Macedonia dal 413 a. C.
[174]
Il giocoso in Callimaco, in La cultura greca
e le origini del pensiero europeo, p. 379.
[175]
Ora invece significa facoltà di licenziare
arbitrariamente.
[176]
H. Hesse, Klein e Wagner , p.
162.
[177]
G. B. Conte, Scriptorium classicum, 2, p.
104.
[178]
G. B. Conte, Scriptorium classicum, 2, p. 104.
[179]
Morì nel 19 (come Virgilio) o nel 18 a. C.
[180]
Zibaldone, 2523.
[181]
Zibaldone, 3063.
[182]
La divisione della locuzione mezzanotte ha forse
influito sull'espressione di Leopardi "è notte senza stelle a mezzo il
verno"(Aspasia , 108)
[183]
Orazio (in Sat . I, 5, 82-83) utilizzerà, in un
contesto ironico, il luogo saffico:"hic ego mendacem stultissimus
usque puellam/ad mediam noctem expecto ", qui io sono tanto stupido
da aspettare fino a mezzanotte una ragazza bugiarda.
[184]
Repubblica , 388b.
[185]
Il mestiere di vivere, 21 febbraio 1938.
[186]
27 dicembre 1946.
[187]
G. Ugolini, Lexis , p. 109.
[188]
Egli esordisce dicendo: questo si chiama bussare
per davvero! Se un uomo fosse portiere dell'inferno (if a man were
porter of hell-gate) avrebbe l'abitudine antica di girare la chiave
(II, 3). Non "possiamo fare a meno di sentire che nel far finta di
essere il portiere dell'inferno egli è terribilmente vicino alla verità"
(Bradley, op. cit., p. 424).
[189]
Regnò sulla
Scozia dal 1040 al 1057.
[190]
A proposito dei nostri
tovpoi!
[191]
Cino Chiarini (a cura di) Macbeth , p.
XII.
[192]
Ovidio Rimedi contro l'amore , p. 175.
[193]
R. Musil, L'uomo senza qualità , p. 846.
[194]
Le avventure pastorali di Dafni e Cloe,
II, 7.
[195]
L'arte d'amare , p. 43.
[196]
E. Fromm, Psicanalisi della società
contemporanea , p. 40.
[197]
M. Proust, Il tempo ritrovato , pp. 239 e 242.
[198]
Moravia, La Noia , Bompiani, Milano, 1984, p.
345.
[199]
D. Buzzati, Un Amore , Mondadori, Milano, 1965,
p. 250.
[200]
L'uomo e il divino pp. 258-259.
[201]
M. Zambrano, L'uomo e il divino p. 264.
[202]
Shakespeare, Otello , III, 3.
[203]
G. Ugolini, Lexis , p. 186.
[204]
Platone, Cratilo , 240a-b.
[205]
J. P. Vernant, L'individuo, la morte, l'amore ,
p. 120.
[206]
Lucrezio, De rerum natura , 15.
[207]
Lo spazio letterario di Roma antica, 1,
p. 168.
[208]
M. Zambrano, L'uomo e il divino, p. 244.
se l'amore è una superstizione voglio essere superstiziosa. Giovanna Tocco
RispondiEliminaHo letto un commento online di una giornalista di Califonia che rivela come trova un fidanzato (Mr.Right) 2 mesi dopo la rottura del suo ex fidanzato.
RispondiEliminaMando un messaggio di posta elettronica per contattare lo stesso Dr.Amiso perché ho queste potenti intenzioni che le cose funzioneranno per me, credevo nelle testimonianze che siano prove della vita reale. Mi sono reso conto che sarebbe bello condividere qui perché so che ispirerà anche altri.
abbastanza fortunato per me mi sono imbattuto nel contatto via e-mail Dr.Amiso in un post sul blog. Oggi testimonio con gioia e felicità al mondo ... questo è uno dei momenti più gioiosi della mia vita. Dr. Amiso, il Grande Incantesimo d'Amore, ha pranzato un incantesimo per mio conto per recuperare il mio ex marito con il suo incantesimo di magia e incantesimo d'amore.
Sono sposato da oltre 6 anni ed è stato così terribile perché mio marito mi stava davvero tradendo e stava cercando il divorzio, ci siamo lasciati prima di 3 mesi fa e siamo tornati di nuovo dopo tanto chiedere l'elemosina con simpatici doni d'amore.
Adoro mio marito così tanto. Non avrei potuto fare nulla per ferirlo o farlo star male più ... volevo solo che tornasse ad amarmi per sempre. oggi viviamo entrambi felici insieme. Lo amo così tanto. Il punto è che è stato il mio primo amore (almeno è quello che sembra).
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