Presentazione del libro di Remo Bodei
Generazioni Età della vita, età delle cose. Editori Laterza, Roma-Bari 2014.
Presentazione del libro di Remo Bodei
Generazioni
Età della vita, età delle cose.
Editori Laterza, Roma-Bari 2014.
Prima parte: Le tre età della vita.
Quarto capitolo pp. 19-22
L’allungamento della vita umana ha mutato la
prospettiva sulla vecchiaia e anche le prospettive della vecchiaia (genitivo
soggettivo).
Con la vita umana, la vecchiaia, “specie in
Occidente”, si è cronologicamente allungata verso “un’età bis” potenzialmente
produttiva (quella che gli inglesi, riferendosi agli anziani più robusti,
definivano la green old age). La maturità, quindi, non è più “tutto” e la
vecchiaia non è più sinonimo di declino e di decrepitezza. Non raffigura più
soltanto la saggezza o la fredda anticamera della morte, ma lo stadio ormai
raggiunto da numerosi uomini e donne in relativa buona salute” ( Generazioni,
p. 19).
Del resto anche nell’antichità si danno casi
di vecchiaie gagliarde.
Nel XXXVI
libro delle sue Storie Polibio ricorda che nel secondo anno (148 a. C.) della
terza guerra punica morì, novantenne Massinissa. Il re di Numidia alleato dei
Romani viene elogiato per la sua vigoria e la sua fecondità: lasciò dieci figli,
l’ultimo dei quali aveva quattro anni e rese fertile la sua terra, secondo il
principio che la vitalità e le capacità di un re influenzano il suo popolo e
perfino la produttività della sua regione.
Difensore e anche elogiatore della vecchiaia è
Cicerone. Nel De senectute vengono portati esempi di vecchi vigorosi e
produttivi di cultura in questi casi: Platone che morì a ottant'anni "scribens
", scrivendo ancora, Isocrate che a novantatré anni compose il Panatenaico,
poi visse altri cinque anni, e il suo maestro Gorgia che compì centosette anni,
studiando e lavorando, tanto che disse:"Nihil habeo quod accusem senectutem
"(5) non ho niente da rimproverare alla vecchiaia.
Secondo l’Arpinate c'è una montatura negativa
nei confronti dell'età avanzata.
Gli indebolimenti, almeno quelli mentali, sono
dovuti alla mancanza di esercizio."At memoria minuitur ", ma la memoria
diminuisce; ebbene a questa obiezione che è un luogo comune di chi non ha mai
esercitato la memoria e degli imbecilli, l'autore risponde:"credo, nisi eam
exerceas, aut etiam si sis natura tardior ", lo credo, se non la si
esercita, o anche se sei piuttosto stupido di natura. Quindi Cicerone fa
l'esempio di Sofocle che"ad summam senectutem tragoedias fecit ", compose
tragedie fino alla vecchiaia estrema, e anzi si difese dall'accusa di demenza
senile contestatagli da un figlio che voleva venisse interdetto, leggendo l'Edipo
a Colono scritta da poco, ai giudici che naturalmente lo assolsero a pieni
voti (7).
Poco più avanti (8) il De senectute
ricorda anche Solone "qui se cotidie aliquid addiscentem dicit senem fieri
"[1],
che dice di diventare vecchio imparando ogni giorno qualche cosa; non solo, ma a
Pisistrato che gli domandò in che cosa confidasse per opporsi a lui con tanta
audacia, rispose "senectute ", nella vecchiaia (20). I piaceri che
scemano poi sono quelli volgari del corpo: “epularum aut ludorum aut
scortorum voluptates” , dei banchetti o dei giochi o delle prostitute (14)
certo non paragonabili a quelli dello spirito che invece crescono. Quanto alle
solite accuse di essere bisbetici (morosi ), ansiosi (anxii),
iracundi , difficiles, avari, questi sono difetti dei caratteri, non
della vecchiaia:"sed haec morum vitia sunt, non senectutis "(18).
Basta guardare i due fratelli
della commedia Adelphoe di Terenzio:"quanta in altero diritas,
in altero comitas! ", quanta durezza nell'uno (Demea), dolcezza nell'altro (Micione)!
Anche la vicinanza della morte non è terrificante, infatti"omnia quae
secundum naturam fiunt sunt habenda in bonis", tutto quello che avviene
secondo natura deve essere considerato tra i beni ( De senectute, 19).
E noi uomini:"in hoc sumus
sapientes, quod naturam optimam ducem tamquam deum sequimur eique paremus ",
in questo siamo saggi che seguiamo la natura ottima guida come un dio, e le
obbediamo, aveva già detto Catone il Vecchio nel prologo del Cato Maior De
senectute (2).
Se dunque il corpo dopo una certa
età “è pur sempre segnato da qualche inevitabile acciacco”, non pochi anziani
“vogliono concedersi quegli agi, quei piaceri, quel tempo libero, quei viaggi ai
quali hanno dovuto in precedenza rinunciare” (Generazioni, p. 20).
“Il ruolo e il senso della
maturità-continua Bodei-anche come punto di snodo nel ricambio delle generazioni
e nell’educazione della prole si sono attualmente ristretti e ognuno vorrebbe
forse dire di sì all’auspicio di Bob Dylan: “Forever young, forever young/ May
you stay forever young”[2].
Nell’immaginario collettivo di culture come la nostra, in cui molti sono spinti
a inseguire l’efficienza, la prestanza fisica, la gradevolezza dell’aspetto
esteriore e la soddisfazione non rinviabile dei desideri, la vecchiaia viene
spesso mascherata, negata fin quasi a comportarsi come non esistesse”.
Viene in mente la giovinezza e
follia che sembrava essere oltre i limiti naturali"(hJ
ejmh; neovth" kai; a[noia para; fuvsin dokou'sa ei\nai"[3]
) di cui si vantava Alcibiade il giovane leone allevato[4]
in casa dell'altro leone[5]
che aveva fatto di Atene la scuola dell'Ellade[6]
e del mondo occidentale. Questo antico dandy[7]
del resto aveva meno di quarant’anni quando disse tali parole che mi vengono in
mente se mi sento in ottima forma e i non pochi decenni non mi pesano troppo
come l’Etna grava sul maledetto Encelado[8].
“Guai a chi si arrende al
trascorrere del tempo, a chi alza bandiera bianca dinanzi al suo inesorabile
avanzare, a chi trascura la fitness e l’apparenza! Guai a chi non
cancella e nasconde i segni dell’età attraverso creme, lozioni, tinture,
trapianti di capelli, diete ferree, massaggi, palestre, personal trainer e
chirurgia plastica!” (Generazioni, p. 21).
Sono d’accordo sul non cedere
eroico[9]
davanti a ogni difficoltà, vecchiaia compresa, ma credo con i discepoli di
Socrate che la cosmesi migliore, cioè la più efficace sia la ginnastica.
Platone, considera la cosmesi non un'arte, ma una prassi
irrazionale, la forma di adulazione che sta sotto (uJpovkeitai),
si sostituisce, alla ginnastica, per quanto riguarda la cura del corpo, come la
culinaria è subordinata alla medicina. La cosmesi ("hJ
kommwtikhv") dunque è "kakou'rgov"
te kai; ajpathlh; kai; ajgennh;" kai; ajneleuvqero""(Gorgia
, 465b), malvagia e fallace, ignobile e servile, poiché inganna attraverso
l'apparenza i colori, la levigatezza e i vestiti, in modo da far trascurare la
bellezza naturale che si ottiene con la ginnastica, mentre con i cosmetici ci
appiccichiamo una speciosità esterna.
Nemmeno l’altro Socratico più
noto, Senofonte, considera benevolmente la cosmetica
Gran virtù della donna per Iscomaco dell' Economico di Senofonte è la
capacità dell'ordine ("tavxi"",
VIII, 3) che per gli uomini è la cosa più utile e bella. Non è invece
apprezzato il trucco poiché per gli umani il corpo umano al naturale è la cosa
più gradevole:"oiJ a[nqrwpoi
ajnqrwvpou sw'ma kaqaro;n oi[ontai hJvdiston ei\nai"(X,
7). I mezzi della cosmetica dunque sono inganni ("ajpavtai",
X, 8) che oltretutto non reggono alla prova della convivenza.
Sicché Iscomaco consiglia alla moglie di tenersi in esercizio affaccendandosi
nei lavori domestici. Infatti quelle che stanno sempre sedute con solennità si
espongono ai giudizi come quelle agghindate e ingannatrici (ta;"
kekosmhmevna" kai; ejxapatwvsa"",
Economico , X, 13).
Nei Memorabili (II, 1, 21-34) Senofonte riferisce, attraverso Socrate,
la favola esemplare di Eracle al bivio attribuita a uno scritto del
sofista Prodico di Ceo.
Sul bivio dunque ci sono due femmine umane con aspetti e con anime diverse.
L'aspetto e l'abbigliamento sono indizi di psicologie
Le due donne parlano all'eroe giovinetto incerto sulla via da prendere
indicandogli ciascuna una strada. La prima vuole adescare l' adolescente con la
promessa di una vita facile e piacevole. Questa femmina è morbida, prosperosa,
quasi opima, truccata nel colorito sì da avere l'aria di apparire più bianca e
più rossa del naturale (kekallwpismevnhn
de; to; me;n crw'ma w{ste leukotevran te kai; ejruqrotevran tou' o[nto" dokei'n
faivnesqai, II, 1, 22) impettita più
del conveniente, con gli occhi aperti, e con una veste dalle quali lampeggiava a
tutto spiano la sua bellezza ("
ejsqh'ta de; ejx h|" mavlista hJ wJvra dialavmpoi",
II, 1, 22); inoltre si osservava spesso con compiacimento: guardava se qualcun
altro la guardasse e spesso si volgeva alla sua ombra. Costei dagli amici viene
chiamata Eujdaimoniva,
Felicità, ma dai detrattori, Kakiva,
Vizio (II, 1, 27).
Viceversa la donna virtuosa, la Virtù personificata, avvisa Eracle che gli dèi
niente di buono concedono agli uomini senza fatica e impegno.
Ella era di natura nobile, ossia pura, pudica, modesta, vestita di bianco (ejsqh'ti
de; leukh'/' , II, 1, 22). Ecco dunque
una tipica disposizione maschile, o maschilista, avversa al trucco delle donne.
Questo infatti può costituire un indizio di grilli per la testa: il buon
Eufileto, il marito tradito difeso da Lisia ebbe l'impressione che il volto
della moglie adultera fosse truccato ("
e[doxe dev moi, w'j a[ndre" , to; provswpon
ejyumuqiw'sqai, ossia coperto di
yimuvqion,
una specie di biacca), sebbene il fratello le fosse morto da nemmeno trenta
giorni, ma non disse niente lo stesso ( 14).
Perfino Ovidio che è un elogiatore del cultus, la cura della persona,
mentre nell’ Ars amatoria ne dà un'interpretazione positiva quando
afferma che la sua età gli piace
quia cultus adest[10],
nei Remedia amoris mette in guardia gli spasimanti dalla fallacia
dell’acconciatura:"auferimur cultu"[11],
siamo sedotti dall'acconciatura la quale ci porta via la donna in sé (ipsa
puella[12]),
la donna come è veramente.
Ma torniamo a Bodei : “Non sempre, è vero, i risultati sono soddisfacenti o
entusiasmanti, anzi, come per altri versi ben sapeva Pirandello quando tali
rimedi non erano ancora diffusi, spesso si rivelano addirittura patetici.
Nell’esprimere pietà per le manifestazioni apparentemente più ridicole dello
sforzo di voler continuare ad apparire giovani, egli mostra, infatti, come
“quella vecchia signora” dai capelli ritinti, “tutti unti non si sa di quale
orrida manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili”,
non provi forse alcun piacere a presentarsi “come un pappagallo (…) forse ne
soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s’inganna che, parata così,
nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l’amore del
marito molto più giovane di lei”[13].
Da quando tuttavia, come accade ora che la cosmesi e la chirurgia plastica hanno
compiuto notevoli progressi, ci si ‘fa belli’ per se stessi e non solo per gli
altri, la paura di apparire come dei “pappagalli” si è attenuata fin quasi a
scomparire”” (pp. 21-22).
Pirandello distingue l’avvertimento del contrario che è il comico dal
sentimento del contrario che è l’umorismo ed è quasi un mettersi nei panni
dell’altro[14].
Sentiamo anche T. Mann sull’argomento:
“Indifferenza e ignoranza della vita intima degli altri esseri umani finiscono
per creare un rapporto affatto falso con la realtà, una specie di abbigliamento.
Dai tempi di Adamo ed Eva, da quando uno divenne due, chiunque per vivere ha
dovuto mettersi nei panni altrui, per conoscere veramente se stesso ha dovuto
guardarsi con gli occhi di un estraneo. L’immaginazione e l’arte di indovinare i
sentimenti degli altri, cioè l’empatia, il con-sentire con gli altri, è non solo
lodevole ma, in quanto infrange le barriere dell’io, è anche un mezzo
indispensabile di autopreservazione”[15].
Bodei conclude il paragrafo 4 del I capitolo
di Generazioni con queste parole: “Sbiadisce così anche la visione
relativamente più positiva della vecchiaia rispetto a quella di Aristotele, che
ne avevano i romani, per i quali essa non solo costituiva “il culmine vero e
proprio della vita umana”, a causa della saggezza e dell’esperienza accumulate[16],
ma aveva anche, nei suoi rappresentanti, nella gravitas del loro
comportamento, il largo e maestoso estuario del fiume della tradizione, che
sempre s’ingrossa grazie agli affluenti di ogni nuova generazione” (p. 22).
note:
[1]
L’Arpinate con queste parole traduce uno dei versi più famosi di Solone:
quelli con i quali il legislatore replica a Mimnermo, il quale aveva
auspicato che a sessant'anni lo cogliesse il destino di morte, senza
malattie e affanni dolorosi(fr. 6 D.). Ebbene il legislatore insorge
"contro la raffinata stanchezza pessimistica che vuol già fare punto a
sessant'anni" (JaegerPaideia , I vol., p.279) e risponde
"Ma se ora finalmente vuoi
darmi retta, togli questo verso,
e non essere invidioso,
per il fatto che ho pensato meglio di te,
e cambialo, arguto
cantore, e canta così:
ottantenne mi colga il
destino di morte".
Né incompianta mi giunga
la morte, ma ai cari
io lasci morendo dolori e
gemiti.
Invecchio imparando
sempre molte cose " (ghravskw d j
aijei; polla; didaskovmeno~ fr.22 D.).
[2]
B. Dylan, Forever young, ultima strofa: “May your hands always be
busy/May your feet always be sweet/May you have a strong foundation/When
the winds of changes shift/May your heart always be joyful/And may your
song always be sung/May you stay forever young/ Forever young, forever
young/May you stay forever young”
[3]Tucidide,
VI, 17.
[4]Cfr.
Aristofane, Rane , 1423.
[5]Pericle,
di cui Plutarco (Vita di Pericle , 3) racconta che la madre
Agariste, prossima a partorirlo, sognò di generare un leone.
[6]Tucidide,
II, 41.
[7]
Il giovane leone ateniese è
inseribile, sostiene Baudelaire, nella breve lista dei
rappresentanti del dandismo dell'antichità, "il dandismo è
un'istituzione vaga, bizzarra come il duello; antichissima, perché
Cesare, Catilina, Alcibiade ce ne forniscono degli splendidi tipi". Poco
più avanti il poeta francese dà una definizione del dandismo:" è
l'ultimo raggio di eroismo nei periodi di decadenza...è un sole
che tramonta; come l'astro che declina, è superbo, senza calore e pieno
di malinconia" (Curiosità estetiche , trad. it. in Il
Sistema Letterario , Ottocento , di Guglielmino/Grosser,
Principato, Milano, 1992, p. 1150).
[8]
Callimaco, nel prologo degli Ai[tia
scrive:
“io invece voglio essere il leggero (ouJlacuv~),
l'alato (oJ pterovei~),
oh assolutamente, affinché la
vecchiaia, affinché la rugiada, questa io canti
mangiando cibo stillante dall'etere
divino,
di
quella invece mi spogli, che mi sta sopra, peso gravoso quanto l'isola
tricuspide sul maledetto Encelado.
Non me ne curo: infatti quanti
giovani le Muse guardarono con occhio
non storto, non mettono da parte
quando sono diventati amici canuti (vv. 32-38)
[9] L'eroe
non fa niente che non stimi degno della sua natura: Achille
, cedere nescius (
Orazio, Odi , I, 6, 5- 6:" gravem /Pelidae stomachum
cedere nescii ", la funesta ira di Achille incapace di cedere. )
, non si lascia bloccare dalla
profezia di sventura del cavallo fatato
Xanto, e gli risponde:"ouj
lhvxw"( Iliade , XIX, v.
423), non cederò.
Della definizione
oraziana dell'eroe si ricorda Leopardi nel Bruto Minore:" Guerra
mortale, eterna, o fato indegno,/teco il prode guerreggia,/ di cedere
inesperto"(vv. 38-40).
[12]
Remedia amoris, v. 344.
[13] Cfr.
L: Pirandello, L’umorismo (1908), in Id. Opere, Mondatori,
Milano 1957 sgg., vol VI, Saggi, poesie e scritti vari (1960), p.
p, 127.
[14] Il
saggio L’umorismo presenta tre esempi: il primo è quello
ricordato da Bodei della “vecchia signora coi capelli ritinti, tutti
unti non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente
imbellettata e parata d'abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto
che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia
rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e
superficialmente, arrestarmi a questa prima impressione cronica. Il
comico è appunto un avvertimento del contrario”.
Ma poi interviene la riflessione
che suscita il sentimento del contrario ossia l'umorismo :"Ma se
ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia
signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un
pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente
s’ inganna che, parata così, nascondendo così le rughe e la canizie,
riesca a trattenere a sé l'amore del marito molto più giovane di lei,
ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la
riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo
avvertimento, o piuttosto più addentro:
da quel primo avvertimento del contrario, mi ha fatto passare a
questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la
differenza tra il comico e l'umoristico". Si tratta insomma di
riflettere sul dolore di chi ci farebbe ridere, di sentire con chi
soffre e provare simpatia per lui.
Il secondo esempio è tratto da
Dostoevskij: “Signore, signore! oh! Signore, forse, come gli altri, voi
stimate ridicolo tutto questo; forse vi annojo raccontandovi
questi stupidi e miserabili particolari della mia vita domestica; ma per
me non è ridicolo, perché io sento tutto ciò…”-Così grida
Marmeladoff nell’osteria, in Delitto e Castigo[14]
del Dostoevskij, a Raskolnikoff tra le risate degli avventori ubriachi.
E questo grido è appunto la protesta dolorosa ed esasperata d’un
personaggio umoristico contro chi, di fronte a lui, si ferma a un primo
avvertimento superficiale e non riesce a vederne altro che la comicità”[14].
Il terzo esempio deriva da S.
Ambrogio di Giusti: “Un poeta, il Giusti, entra un giorno nella
chiesa di S. Ambrogio a Milano, e vi trova un pieno di soldati…Il suo
primo sentimento è d’odio: quei soldatacci ispidi e duri son lì a
ricordargli la patria schiava. Ma ecco levarsi nel tempio il suono
dell’organo: poi quel cantico tedesco lento lento,
D’un suono grave, flebile,
solenne[14]
Che è preghiera e pure lamento.
Ebbene, questo suono determina a un tratto una disposizione insolita nel
poeta, avvezzo a usare il flagello della satira politica e civile:
determina in lui la disposizione propriamente umoristica: cioè lo
dispone a quella particolare riflessione che, spassionandosi dal primo
sentimento, dell’odio suscitato dalla vista di quei soldati, genera
appunto il sentimento del contrario. Il poeta ha sentito nell’inno
La dolcezza amara/Dei canti
uditi da fanciullo: il core/Che da voce domestica gl’impara,/Ce li
ripete i giorni del dolore./Un pensier mesto della madre cara,/Un
desiderio di pace e d’amore,/Uno sgomento di lontano esilio[14].
E riflette che quei soldati,
strappati ai loro tetti da un re pauroso,
A dura vita, a dura
disciplina,/Muti, derisi, solitari stanno, /Strumenti ciechi d’occhiuta
rapina,/che lor non tocca e che forse non sanno[14]
Ed ecco il contrario dell’odio
di prima:
Povera gente! Lontana da’
suoi,/In un paese qui che le vuol male[14].
Il poeta è costretto a fuggire
dalla chiesa perché
Qui, se non fuggo, abbraccio un
caporale, /Colla su’ brava mazza di nocciolo/Duro e piantato lì come un
piolo”.
[15] T.
Mann, Il giovane Giuseppe, p. 117.
[16]
H. Arendt, Between Past and Future, Harcourt Brace Jovanovich,
New York 1968 trad. It. Tra passato e futuro, Garzanti, Milano,
1999, p. 169.
come sempre ,caro Gianni , suggerisci libri belli e in tertessanti..grazie Giovanna Tocco
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