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Questo capitolo è parte della conferenza EPISTEMAI. LA FISICA ANTICA E MODERNA
che terrò oggi 27 marzo alle ore 15, a Roma
nell’aula decima delle TERME DI DIOCLEZIANO
Lucrezio De rerum natura, III libro
Il libro inizia con un nuovo elogio di Epicuro, scritto propter amorem (5) e con la volontà di
imitare il profeta. Pur con la coscienza che
rimarrà molto lontano da lui come i capretti dalle tremule membra dalla
potenza di un forte cavallo
Per la parola di Epicuro diffugiunt
animi terrores (16)
Appaiono le sedes
quietae degli dèi (18) coperte da un
cielo sempre sereno che sorride con una luce largamente diffusa “inubilus aether-integit, et large diffuso
lumine ridet” (21-22)
“At contra nusquam apparent Acherusia templa” (25)
In me entrano quaedam
divina voluptas-atque horror , un brivido, poiché per la tua forza la
natura si apre ex omni parte retecta
(30) rivelatasi in ogni sua parte.
Ora chiarirà cosa siano animus
e anima. Vuole cacciare la paura
dell’Acheronte metus acherontis qui vitam turbat ab imo omnia suffundens
nigrore mortis (38-39). I miseri,
ignoranti superstiziosi, si scoprono adversis
rebus, nell’avversa fortuna, quando erompono dal cuore le vere voci et eripitur persona, manet res (58). Le
piaghe della vita come avidità e ambizione sono in gran parte nutrite dal terrore della morte “mortis formidine aluntur” (64). Infatti il disprezzo e la povertà vengono
sentiti come l’anticamera della morte. Allora per ammassare i beni gli uomini
fanno le guerre civili, le stragi e odiano e temono le mense dei consanguinei et consanguineum mensas odere timentque
(73).
Alla roba cede
tutto, la roba vince su tutto (omnia
vincit res):"alle fiere gli
armenti di Mazzarò coprivano tutto il campo, e ingombravano le strade, che ci
voleva mezza giornata per lasciarli sfilare, e il santo, colla banda, alle
volte doveva mutar strada, e cedere il passo". La roba insomma ha qualche
cosa di epico e sacro.
La religione di “la
roba”
Sentiamo Luigi
Russo su Mastro Don Gesualdo un altro personaggio verghiano che, come
Mazzarò, può per certi versi essere
visto come un epigono di Trimalchione: "La roba è l'ultima forma disperata
con cui l'uomo cerca la sua immortalità, essa è una metonimia di quel desiderio
di sopravvivenza, che c'è nel cuore di tutti gli umani. Ogni buon colpo di
zappa ha dunque il suo valore d'eternità. Le fattorie grandi come chiese, i
villaggi interi da fabbricare, le terre da coltivare, a perdita di vista,
eserciti di mietitori a giugno, grano da raccogliere a montagne, denaro a fiumi
da intascare, sono allora tanti commossi simboli dell'eterno, di quel lavoro
costruttivo che resta dopo di noi. Ebbene: tutta questa poesia e religione
della roba , che non è qui un simbolo economico ma
tutta una complessa, generosa e disperata visione del lavoro, vagheggiato per
se stesso e per la sua nascosta speranza di immortalità, viene miseramente a
crollare con la morte del protagonista.
"[1].
Molti macerat invidia (75) sempre per lo
stesso timore. Un timor che induce a
rompere i vincoli dell’amicizia e a sconvolgere la pietà. Gli uomini temono la
morte come i bambini temono il buio. Per diradare queste tenebre è necessaria naturae species ratioque (93)
L’animus o mens contiene consilium vitae regimenque (95) è il principio intellettivo e il
governo, mentre l’anima è il principio
vitale.
Sono parti dell’uomo non meno che una mano e un piede.
Quindi bisogna rifiutare il nome di armonia. La mente sta
nel petto, l’anima è sparsa per tutto il corpo. Epicuro teorizzava una yuchv distinta in un to; logikovn razionale e un to; a[logon irrazionale.
L’animus duque è il caput
che domina il corpo ed è situm media
regione in pectoris (140)
L’anima è per totum
dissita corpus (143) disseminata (dissĕro-
dissēvi-dissĭtum) e obbedisce all’animus-mens.
Paret et ad numen mentis momenque movetur (144)
Comunque l’anima è cum
animo coniuncta e risente dei turbamenti di questo. Si vede da sudore,
pallore etc. Entrambi hanno natura corporea
(161 e 167). L’animo è persubtilis, formato da corpuscoli minimi (179-180),
rotondi e assai minuti. Infatti l’animus
si muove in modo rapido. Come l’acqua si muove più velocemente del miele per
via dei corpora subtilia atque rutunda
(195).
La mobilità degli atomi è data dalla loro grandezza, dal
peso e dalla levigatezza. Gli scabri e
pesanti sono più statici-aspera et cum
pondere magno (201-202)
L’anima è costituita da particelle minuscole perparvis seminibus (216-7)
ed è intrecciata a vene, visceri, nervi.
Il morto non cambia aspetto appena ha esalato l’anima, come
non lo cambia il vino svanito.
La egestas
patrii sermonis mi rende difficile il compito ma farò di tutto
(260-261). Comunque animo anima e corpo sono connessi.
Gli atomi dell’anima sono più piccoli e meno numerosi di
quelli del corpo.
L’animus è “et dominantior ad vitam quam vis animai”
(397).
E’ l’animus che
tiene insieme l’anima e la vita. Il
coro è il vaso dell’anima (con la
quale da ora intende anche l’animus) e quando il corpo si rompe, l’anima esce e si
dissolve.
L’animus cresce e invecchia con il corpo. Quando
l’implacabile forza del tempo indebolisce le membra, claudicat ingenium, delīrat lingua, labat mens (453). Poi l’anima
si dissolve con l’animo. Dolore e malattia sono fabricatores leti (472) costruttori di morte.
Basta del vino a sconvolgere la mente. Una causa paulo durior (485) la uccide. A volte
l’anima colpita dal male si agita schiumando,
come nel salso mare fervescunt
undae (494) ribollono le onde per la forza dei venti.
La mente è di natura mortale, infatti viene curata come un
corpo malato.
Animus mortalia signa
mittit (520-521)
A mano a mano che le parti del corpo si raffredda, l’anima
esce. E pure l’animo a lei congiunto. Uscita l’anima il corpo concidit putre ruina crolla putrefatto
(584). Fuori dal corpo l’anima si dissolve
Se l’anima fosse immortale, ci ricorderemmo del tempo
precedente la nascita. Le anime sono contextae
con i corpi e non se ne possono separare
(695). I caratteri fissi degli animali dicono che le facoltà dell’anima in
accordo con la stirpe crescono con il corpo. Se le anime trasmigrassero e
quella di un cervo finisse nel corpo di un leone, vedremmo un leone vile.
Le persistenze fisiche e psichiche degli animali escludono
la metempsicosi. Se ci fosse la metempsicosi le anime farebbero a gara per
entrare nei corpi migliori. Ma cfr. il mito di Er nella Repubblica di Platone.
Il corpo mortale non può essere congiunto all’anima
immortale: mortale aeterno iungere
desipere est (800 ss.)
La morte comporta la cessazione delle sennsaziono dunque non
ci riguarda Nil igitur mors est ad nos neque pertinet hilum
Quandoquidem natura
animi mortalis habetur (830-1)
Come non sentimmo dolore nel tempo di Annibale, così dopo la
morte niente ci toccherà.
Anche se venissimo fatti di nuovo come ora, non saremo la
stessa persona interrupta semel cum sit
repetentia nostri (851)
La morte immortale ci toglie la vita mortale ma non può
essere infelice chi non esiste (868)
Non avremo più le gioie della vita ma neanche il loro desiderium, rimpianto (901)
Segue una prosopopea della natura (proswpopoiΐa) la
quale potrebbe chiedere al querulo perché si lamenti. Se la vita ti è stata
gradita perché non ti allontani come un commensale sazio della vita (cur non ut plenus vitae convīva
recedis/aequo animoque capis securam, stulte, quietem?, 938-939)
Cfr. Marco Aurelio che vuole congedarsi dalla vita con
gratitudine come un’oliva che una volta matura ( ejlaiva
pevpeiroς genomevnh ) cade al
suolo benedicendo la terra che l’ha prodotta e ringraziando l’albero che l’ha
generata (IV, 48).
Se invece tutto ciò che hai goduto è perito e la vita ti è
in odio (vitaque in offensa est) ,
perché vuoi indugiare?
Se un vecchio decrepito (grandior
iam seniorque) lamenta più del giusto (amplius
aequo) il destino di morte, la natura avrebbe ragione a gridare: “via le
lacrime, ingordo (baratre) e frena le
lagne- aufer abhinc lacrimas, baratre, et
compisce querellas,” (III, 955). Hai compiuto la vita e il tuo corpo
marcisce. Sereno arrenditi agli anni: è necessario (iam annis concede: necessest, 962)
Ci vuole materia perché crescano le stirpi future –materies opus est ut crescano postera saecla
(967). La vita non è data in possesso a nessuno ma in uso a noi tutti. Cfr.
Seneca mutua accepimus usus fructusque
noster est (Ad Marciam, 10, 2)
I tormenti cosiddetti infernali sono qui sulla terra
Tantalo rappresenta la paura degli dèi, Tizio la sofferenza
amorosa, Sisifo l’ambizione del potere, le Danaidi l’insaziabilità, Le stagioni
dell’anno ci portano frutti nec tamen
explemur vitai fructibus umquam (1007) .
La conclusione è hic
Acherusia fit stultorum denique vita (III, 1023).
Potresti dire a te stesso che anche bonus Ancus reliquit lumina (1025) e tanti re e sovrani, compreso
Serse che distese una via sul mare (viam
per mare magnum stravit, 1029) e consentì alle legioni di camminare
sull’abisso e disprezzò con i cavalli scalpitanti il fragore delle onde (1032)
Poi morì. Come Scipione belli
fulmen, Carthaginis horror che poi” ossa dedit terrae proinde ac famul infimus
esset” (1034.5)
Scienziati, artisti, Omero che conquistò lo scettro poi però
si assopì nella stessa quiete degli altri. Democrito è morto, lo stesso Epicuro
qui genus humanum ingenio superavit (1043)
e oscurò tutti, come il sole all’alba cancella gli astri, E tu la cui vita è
più o meno morta quando sei ancora vivo e vedi (1046) e consumi nel sonno la
maggior parte del tempo, e sei pieno di angosce, ti indignerai di dover morire?
L’angoscia deriva dalla non conoscenza delle cause ed è
inutile mutare luogo per placarla (cfr. Orazio, Seneca, Ovidio)
Hoc se quisque modo
fugit (1068) così ciascuno fugge se
stesso, ma non ci riesce morbi quia
causam non tenet aeger (1070)
Dovrebbero cercare di conoscere le leggi della natura
Temiamo i pericoli per questa grande e sciagurata cupidigia
della vita mala vitai tanta cupido
(1077). Eppure sappiamo che non possiamo evitare la morte. Così siamo
incontentabili di tutto e appena raggiungiamo una cosa ne vogliamo un’altra.
Una sete della vita ci affanna sempre.
giovanni ghiselli
il blog è arrivato a 224642
prego chi vuole dirmi
qualche cosa di scrivere a g.ghiselli@tin.it
piuttosto che su facebook da dove non sono capace di rispondere
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