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I Capitolo
Il metodo mitico (T. S. Eliot) è un metodo comparativo.
Nel preparare questo percorso mi sono avvalso della
conoscenza degli autori, antichi e moderni, che ho maggiormente approfondito, e
della mia lunga pratica di insegnamento: insomma ho utilizzato "una lunga
esperienza delle cose moderne et una continua lezione delle antique"[1].
La ricerca di congrui e frequenti parallelismi
tra la modernità e l'antichità, affinché questa non appaia come un mondo
separato dal nostro, mi ha portato all'adozione del metodo mitico che dopo
tutto è un metodo comparativo.
In una famosa recensione[2]
all'Ulisse di Joyce[3],
T S. Eliot definiva il metodo mitico, in opposizione a quello narrativo, come
il modo di controllare, di dare una forma e un significato all'immenso panorama
di futilità e anarchia che è la storia contemporanea. "Instead of narrative method, we may now use
the mythical method ", invece del metodo narrativo possiamo ora
avvalerci del metodo mitico. Questo implica la conoscenza della tradizione e di
non poche fasce della letteratura europea.
Ancora: “In quanto opera d’arte, l’opera d’arte non può
essere interpretata; nulla c’è da interpretare; possiamo soltanto criticarla
secondo i modelli classici, paragonandola ad altre opere d’arte; e, quanto a
“interpretazione”, il compito principale è la presentazione di pertinenti fatti
storici che il lettore non è tenuto a conoscere”[4].
II capitolo.
Le rovine. Salvatore Settis: le rovine sono la cosa più viva
della storia.
Alla fine di The Waste Land [5]
Eliot afferma: "These fragments I have shored against my ruins"
(v. 430), con questi frammenti ho puntellato le mie rovine.
Le quali non
significano solo decadenza: "Le rovine sono la cosa più viva della storia,
perché vive storicamente soltanto ciò che è sopravvissuto alla sua distruzione,
ciò che è rimasto sotto forma di rovine"[6]. Secondo Salvatore Settis nella nostra civiltà domina
"il pathos delle rovine, di una frattura irreparabile che è necessario
sanare: rinascere, insomma, come condizione indispensabile della tradizione e
della memoria"[7].
III capitolo
Elogio della
tradizione e necessità della fatica. Povno~
e labor. Esiodo. Sofocle. Eracle al bivio. Orazio. Il
sogno di Alessandro Magno in Arriano.
Machiavelli e il dovere di “insudare nelle cose”. Il sudore
dei poeti. Dante e il “poema sacro”. Leopardi e il prezzo di un’opera egregia (Il Parini ovvero della gloria).
L'autore di La terra desolata in un precedente
scritto di critica[8]
aveva pure affermato che la tradizione non è un patrimonio che si eredita
ma, "if you want it, you must obtain it by great labour", se
uno vuole impossessarsene, deve conquistarla con grande fatica.
Questa è una dichiarazione topica: Esiodo dice che davanti al valore gli dei hanno posto il
sudore: "th'" d j
ajreth'" iJdrw'ta qeoi; propavroiqen e[qhkan" (Opere,
289) .
Nell'Elettra
di Sofocle la protagonista dice alla mite sorella Crisotemi: "o{ra, povnou toi cwri;" oujde;n eujtucei'''" (v. 945) , bada,
senza fatica niente ha successo.
Nei Memorabili[9]
di Senofonte, la donna virtuosa, la Virtù personificata, avvisa Eracle al bivio
che gli dèi niente di buono concedono agli uomini senza fatica e impegno: "tw'n ga;r o[ntwn ajgaqw'n kai; kalw'n oujde;n
a[neu povnou kai; ejpimeleiva" qeoiv didovasin ajnqrwvpoi"" (II, 1, 28) .
Si assiste a un eterno ritorno di questa affermazione e di
non poche altre. “Tipico atteggiamento della “cultura” greca. Una volta coniata
una forma, essa rimane valida anche in stadi ulteriori e superiori, e ogni
elemento nuovo deve cimentarsi con essa”[10].
In tutt'altro
contesto, il garrulus che attenta alla vita di Orazio gli fa: " nihil
sine magno/vita labore dedit mortalibus"[11],
niente senza grande fatica la vita ha mai dato ai mortali.
Alessandro Magno, che si riteneva discendente di Achille e
di Eracle, quando si preparava ad assediare Tiro (estate del 332 a. C.) , sognò
che Eracle stesso lo introduceva in città. L’indovino Aristandro interpretò la
visione onirica dicendo che Tiro sarebbe stata presa “xu;n povnw/…o{ti kai; ta;
tou` JHraklevou~ e[rga xu;n povnw/ ejgevnetw. Kai; ga;r kai; mevga e[rgon th`~
Tuvrou hJ poliorkiva ejfainevto”[12]
con fatica… poiché anche le imprese di Eracle erano avvenute con fatica. E in
effetti anche l’assedio di Tiro si presentava come una grande impresa.
Machiavelli nota che molti uomini attribuiscono alla Fortuna
un potere eccessivo nella vita umana e per questo ritengono “che non fussi da
insudare molto nelle cose, ma lasciarsi governare dalla sorte”.
Il segretario
fiorentino non condivide questo parere: “perché el nostro libero arbitrio non
sia spento, iudico poter essere vero che la fortuna sia arbitre della metà
delle azioni nostre, ma che ancora lei ne lasci governare l’altra metà, o
presso, a noi”. La Fortuna come certi “fiumi rovinosi…dimostra la sua potenzia
dove non è ordinata virtù a resisterle, e quivi volta li sua impeti, dove la sa
che non sono fatti li argini e li ripari a tenerla”. Dunque non bisogna
adagiarsi sulla Fortuna: “ quel principe che s’appoggia tutto in sulla fortuna,
rovina, come quella varia” (Il principe,
25) .
Le imprese di Alessandro Magno costarono grandi fatiche
anche a chi le avrebbe raccontate: Arriano racconta che dopo la distruzione di
Tebe (335) , poco prima di partire per la sua spedizione, il giovane re di
Macedonia celebrò giochi e sacrifici. Allora gli fu annunciato che la statua di
Orfeo nella Pieride ijdrw`sai xunecw`~ sudava continuamente; quindi
l’indovino Aristandro disse che cantare le gesta di Alessandro sarebbe costato polu;~ povno~
ai poeti (Anabasi di Alessandro, I, 11,
2 - 3) .
Dante mette in rilievo la grande fatica che gli è costata
l’opera grandiosa della sua Commedia: il “poema sacro/al quale ha posto mano e
cielo e terra/sì che m’ha fatto per più anni macro” (Paradiso, XXV, 1 - 3) .
Leopardi nell’Operetta morale Il Parini ovvero della gloria[13]
immagina che il poeta di Bosisio parli a un giovane “d’indole e di ardore
incredibile ai buoni studi, e di aspettazione meravigliosa”, e gli dica che
pochi sono capaci di intendere “che e quale sia propriamente il perfetto
scrivere”. Chi non intende questo “non può né anche avere la debita ammirazione
agli scrittori sommi”. La conclusione del ragionamento dunque è: “ Or vedi a
che si riduca il numero di coloro che dovranno potere ammirarli e saper lodarli
degnamente, quando tu con sudori e con disagi incredibili, sarai pure alla fine
riuscito a produrre un’opera egregia e perfetta”.
IV capitolo
Necessità della
conoscenza della Storia.
La conoscenza della tradizione richiede il senso storico: “ the
historical sense involves a perception not only of the pastness
of the past, but of its presence"[14],
il senso storico implica la percezione non solo della passatezza del passato, ma
anche della sua presenza.
Non tutti i bambini diventano persone mature. Lo afferma Cicerone
nell'Orator [15]:
"Nescire autem quid ante quam natus sis acciderit, id est semper esse
puerum. Quid enim est aetas hominis, nisi eă memoriā rerum veterum cum
superiorum aetate contexitur?" (120) , del resto non sapere che cosa
sia accaduto prima che tu sia nato equivale ad essere sempre un ragazzo. Che
cosa è infatti la vita di un uomo, se non la si allaccia con la vita di quelli
venuti prima, attraverso la memoria storica?
giovanni ghiselli
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Il 24 marzo, alle 18, 30, esporrò parti della mia
metodologia nella libreria il Catalogo di Pesaro
[1] N. Machiavelli, Il Principe
(del 1513) , Dedica al Magnifico Lorenzo De' Medici.
[3]
Del 1922.
[4]
T. S. Eliot, Il bosco sacro, p. 120.
[5] La terra desolata, del
1922.
[6]
M. Zambrano, L'uomo e il
divino, p. 228.
[7]
Salvatore Settis, Futuro del 'classico', p. 91.
[8] Tradition and the Individual
Talent (del 1919) Tradizione
e talento individuale.
[9]
Scritto socratico in quattro
libri che presenta il maestro come un uomo probo e onesto, rispettoso della
religione e delle leggi, valida guida morale nella vita pratica
[10] W. Jaeger, Paideia 1, p. 191.
[11] Sermones, I, 9, 59 - 60 -
[12]
Arriano (età di Traiano e di Adriano) , Anabasi
di Alessandro, 2, 18, 1.
[13]
Scritta nel 1824, pubblicata nel 1827.
[15]
Del 46 a. C.
Confrontare il moderno con l'antico....bello e difficile.Il contemporaneo ha il difetto di non essere ancora stato selezionato e snellito dal passare del tempo,una sfida interessante. Un invito a studiare per i giovani insegnanti. Tu, Gianni ,sei e sarai ,per me, sempre una grande guida e un esempio.Non sarò mai brava come te perchè non sono abbastanza intelligente e non studio quanto dovrei.Ti ammiro molto. Giovanna Tocco
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