NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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lunedì 9 marzo 2015

La guerra civile



Argomenti: La guerra civile e il capovolgimento dei valori. Sinistro carnevale. Tucidide. Sallustio. Platone e la democrazia degenerata. Uno scrittore cinese contemporaneo. Anche il significato delle persone può capovolgersi: Dario III, Edipo: da basilei'~ a farmakoiv.


Petronio e Lucano

Nei conflitti interni molti valori si capovolgono: lo afferma Tucidide a proposito della stavsi”di Corcira[1], quando ci fu una tranvalutazione generale e le stesse parole cambiarono il loro significato originario: "Kai; th;n eijwqui'an ajxivwsin tw`n ojnomavtwn ej”ta; e[rga ajnthvllaxan th'/ dikaiwvsei. Tovlma me;n ga;r ajlovgisto”ajndreiva filevtairo”ejnomivsqh”(III, 82, 4), e cambiarono arbitrariamente l'usuale valore delle parole in rapporto ai fatti. Infatti l'audacia irrazionale fu considerata coraggio devoto ai compagni di partito
"Le lotte civili degli anni 427-425 a Corcira rappresentano, a giudizio di Tucidide, un salto di qualità nella storia della lotta e della violenza politica in Grecia: la sequenza dei fatti è presentata intenzionalmente, nelle sue pagine, con le espressioni e i toni della patologia"[2].

"Un'audacia -  ajlovgisto" - prende il nome di coraggio, la prudenza si chiama pigrizia, la moderazione viltà, il legame di setta viene prima di quello di sangue, e il giuramento non viene prestato in nome delle leggi divine, bensì per violare le umane. Sinistro carnevale, mondo a rovescio, in cui è necessario lottare con ogni mezzo per superarsi e in cui nessuna neutralità è ammessa. Così appare, a Corcira, per la prima volta tra gli Elleni, la più feroce di tutte le guerre (Tucidide, III, 82-84)"[3].
 Nel Bellum Catilinae di Sallustio, Catone, parlando in senato dopo e contro Cesare, il quale aveva chiesto di punire i congiurati "solo”confiscando i loro beni e tenendoli prigionieri in catene nei municipi, denuncia questo cambiamento del valore delle parole: "iam pridem equidem nos vera vocabula rerum amisimus: quia bona aliena largiri liberalitas, malarum rerum audacia fortitudo vocatur, eo res publica in extremo sita est “(52, 11), già da tempo veramente abbiamo perduto la verità nel nominare le cose: poiché essere prodighi dei beni altrui si chiama liberalità, l'audacia nel male, coraggio, perciò la repubblica è ridotta allo stremo.
Il cambiamento di valore delle parole viene messo in rilievo anche da Platone quando, nell'VIII libro della Repubblica, passa in rassegna le forme costituzionali: nello stato democratico gli appetiti (ejpiqumivai) prendono possesso dell'acropoli dell'anima del giovane, poi questa viene occupata da parole e opinioni false e arroganti (yeudei'“dh; kai; ajlazovne"lovgoi te kai; dovxai 560c) le quali chiamando il pudore stoltezza (th;n me;n aijdw' hjliqiovthta ojnomavzonte"), lo bandiscono con disonore; chiamando la temperanza viltà (swfrosuvnhn [4] de; ajnandrivan), la buttano fuori coprendola di fango (prophlakivzonte”ejkbavllousi), e mandano oltre confine la misura e le ordinate spese (metriovthta de; kai; kosmivan dapavnhn) persuadendo che sono rustichezza e illiberalità (ajgroikivan kai; ajneleuqerivan 560d). E non basta. I discorsi arroganti con l'aiuto di molti inutili appetiti transvalutano pure, ma in positivo, i vizi, immettendoli nell'anima e chiamano la prepotenza buona educazione (u{brin me;n eujpaideusivan kalou'nte”), l'anarchia libertà (ajnarcivan de; ejleuqerivan), la dissolutezza magnificenza (ajswtivan de; megaloprevpeian), e l'impudenza coraggio (ajnaivdeian de; ajndreivan 560e-561). L’uomo così corrotto vive a casaccio, e la sua vita non è regolata da ordine (tavxi") né da alcuna necessità (ajnavgkh). Si capovolgono pure i rapporti umani: il padre teme il figlio, il maestro lo scolaro, i vecchi imitano i giovani, per non sembrare inameni e autoritari ( i{na dh; mh; dokw'sin ajhdei'~ mhde; despotikoiv, 563b).
Trovo un riscontro di tale cambiamento lessicale in uno scrittore cinese nostro contemporaneo, forse addirittura della mia generazione, o che per lo meno racconta storie di Cinesi della mia generazione. L’autore fa pure notare che il cambiamento del linguaggio cambia le persone: “Adesso[5] ci sono parecchie cameriere russe vestite con corsetti aderenti di pizzo e giarrettiere bianche, come se fossero uscite da quei poster della vecchia Shangai. Assolutamente sensazionali. I clienti arrivano a frotte. In particolare i giovani. Dicono che c’è un’atmosfera molto xiaozi”.
Xiaozi? Piccolo borghese?”
“Oh, sì, è un nuovo termine alla moda. Xiaozi, piccolo borghese, ma si riferisce a un consumatore alla moda, estremamente raffinato, consapevole del proprio status. E’ molto in voga tra quegli impiegati che lavorano nelle joint venture straniere. ‘Se non sei uno xiaozi non sei nessuno’”,
“Be’, certo anche il linguaggio cambia”disse Chen, “e cambia anche noi”[6].
“Durante la rivoluzione culturale “cinese d’oltremare”era un termine negativo, che si usava per descrivere persone politicamente inaffidabili legate al mondo occidentale, o a uno stile di vita borghese e dispendioso…Al giorno d’oggi “cinese d’oltremare”è un termine positivo, si riferisce a qualcuno che è ricco, pieno di successo negli affari, in contatto con l’occidente”[7].
In Italia la parola “moderato”si è transvalutata in positivo dagli anni Settanta ad oggi: allora era quasi un insulto, oggi per i più è un titolo di merito.

 Il significato delle parole dunque può essere ribaltato e pure quello delle persone: nella tragedia il re si capovolge spesso in farmakov~ : nell’Edipo re di Sofocle, per esempio, e l’Oedipus di Seneca. E non solo nella tragedia: nelle Historiae Alexandri Magni di Curzio Rufo, il re Dario III, più volte sconfitto da Alessandro Magno, captivus servorum suorum in sordidum vehiculum imponitur (5, 12, 16), prigioniero dei suoi servi[8], viene messo su una lurida carretta. Quindi i traditori lo incatenarono con ceppi d’oro “nova ludibria subinde excogitante fortuna “5, 12, 20 la fortuna trovava sempre nuove beffe.
Un ribaltamento del genere subisce Ludwig II di Baviera nel film di Luchino Visconti.

La guerra civile “è la più furiosa e la più sincera fra tutte le guerre: e gli uomini, discordi in tutto il resto, sono sempre d’accordo quando devono massacrarsi tra loro”[9] (Hist, I, 54: faciliore inter malos consensu ad bellum quam in pace ad concordiam).
Quando la guerra viene sospesa ai primi colpi, ciò avviene per viltà dei capi Hist. II, 38).
Lo straniero lo si massacra ma non lo si odia.
“L’odio, quando è vero e profondo, è domestico. Si odia lo straniero, ma quando esso è in casa nostra: perhé lo vediamo, lo conosciamo, lo sentiamo accanto a noi e sopra di noi: perché ci è vicino: perché è prossimo nostro. Altrimenti non si può odiare…“Tacito parla giustamente di rabbia (rabies, Hist. II, 38) descrivendo gli orrori delle guerre civili”
“( Marchesi, Tacito, p. 257)

“Svetonio, narrando gli avvenimenti dello stesso anno 69, racconta che Vitellio questo principe più che cinquantenne, torpido e ghiottone, mentre visitava il campo di battaglia di Bedriaco, a quelli del seguito che si rivoltavano inorriditi davanti ai cadaveri in putrefazione, disse dei cadaveri: “il cadavere del nemico ha buon odore; ma quello dei cittadini è migliore” (p. 257) “optime olere occisum hostem, et melius civem”(Vitellio, 10)

“E anche per il popolo la guerra civile-quando non importi la privazione dei comodi più volgari- può essere motivo di squisito sollazzo” (p. 257). In Hist. III, 83 Tacito racconta come entrarono i Flaviani vittoriosi in Roma nel dicembre del 69 durante la festa dei Saturnali
Aderat pugnantibus spectator populus, utque in ludrĭco certamine, hos, rursus illos clamore et plausu fovebat
Sangue e accanto bagasce e bagascioni,
-saeva ac deformis urbe tota facies: alibi proelia et volnera, alibi balineae popinaeque: simul cruor et strues corporum, iuxta scorta et scortis similes.
Una pace dissoluta, il saccheggio più bruto. Furore e gioia. Era già successo con Silla e con Cinna. C’era una disumana indifferenza - inhumana securitas- e la dissolutezza non ammetteva interruzioni e i piaceri non furono interrotti, come se ai Saturnali si fossero aggiunti altri spassi. Godevano per la sola allegrezza del pubblico male (p. 258)
Petronio nel Bellum civile[10] del Satyricon condanna l'avidità insaziabile degli imperialisti con un giudizio morale: i Romani avevano già occupato (globalizzato diremmo ora) il mondo e ancora non bastava: "orbem iam totum victor Romanus habebat,/qua mare, qua terrae, qua sidus currit utrumque. /nec satiatus erat”(119, vv. 1-3), il Romano vincitore possedeva già l'universo mondo, per dove si stende il mare, per dove le terre, per dove corrono l'una e l'altra costellazione. E non era ancor sazio.
Sentiamo ancora il vecchio Eumolpo: "si quis sinus abditus ultra,/si qua foret tellus, quae fulvum mitteret aurum,/hostis erat, fatisque in tristia bella paratis/quaerebantur opes”(119, vv. 4-7), se c'era qualche golfo nascosto più in là, se qualche terra che esportasse biondo oro, era nemica, e preparato a tristi guerre il destino, si cercavano le ricchezze.
Non è vero quanto affermano in molti, ossia che questo poemetto si limita a riproporre il repertorio mitologico virgiliano, né, tanto meno, lo fa in maniera filogovernativa, o filoimperiale, anzi è completa la condanna dell'imperialismo avido, oltre a quella, ancora più evidente, del decadimento culturale.
La condanna dell'imperialismo romano ha un seguito nelle Ultime lettere di Iacopo Ortis: "vi furono de' popoli che per non obbedire a' Romani ladroni del mondo, diedero all'incendio le loro case, le loro mogli, i loro figli e sé medesimi, sotterrando fra le gloriose ruine e le ceneri della loro patria la loro sacra indipendenza"[11]. E più avanti: “quando i Romani rapinavano il mondo, cercavano oltre i mari e i deserti nuovi imperi da devastare, manomettevano gl' Iddii de' vinti, incatenavano principi e popoli liberissimi, finché non trovando più dove insanguinare i loro ferri li ritorceano contro le proprie viscere"[12].
Quest’ultimo gesto ricorda la fine di Giocasta nell’Oedipus (vv. 1038-1039) di Seneca, o quella di Agrippina negli Annales di Tacito (XIV, 8), e rappresenta la tendenza autodistruttiva di Roma intera durante la guerra intestina: nei primi versi della Pharsalia Lucano, annuncia che comincia a cantare (canimus): "bella…plus quam civilia…iusque datum sceleri…populumque potentem/in sua victrici conversum viscera dextra “(I, vv. 1-3), guerre più che civili e il diritto dato al delitto e il popolo potente girato con la destra vincitrice dentro le sue viscere. E’ una specie di anti-Eneide.


giovanni ghiselli

inizierò a parlare di storiografia mercoledì 11 marzo a Pesaro (Università dell’età libera) e riprenderò martedì 17 alle 18, 30 nella biblioteca Scandellara di Bologna

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[1] 427-425 a. C.
[2] D. Musti, Storia greca, p. 411.
[3] M. Cacciari, Geofilosofia dell'Europa, pp. 42-43.
[4] Nelle Nuvole di Aristofane il Discorso Giusto dà inizio alla sua parte del disso;”lovgo”ricordando che la swfrosuvnh una volta era tenuta in conto come la quintessenza dell'educazione antica (vv. 961 sgg. ). Al tempo dell'ajrcaiva paideiva (v. 961) infatti la castità (swfrosuvnh, v. 962) era tenuta in gran conto: nessuno modulando mollemente la voce andava verso l'amante facendo con gli occhi il lenone a se stesso (980).
[5] Siamo negli anni Novanta del Novecento (ndr. )
[6] Qiu Xialong, Quando il rosso è nero, p. 172.
[7] Qiu Xiaolong, Visto per Shangai, p. 215.
[8] I satrapi felloni Besso e Nabarzane. Siamo nel luglio del 330 a. C.
[9] Marchesi, Tacito, p. 256
[10] Un carme di 295 esametri sulla guerra civile tra Cesare e Pompeo recitato da Eumolpo sulla via per Crotone.
[11] 28 ottobre 1797.
[12] Ventimiglia, 19 e 20 febbraro. 

1 commento:

  1. Mi piace molto. Tutto il pezzo. Condivido . La forza della parola. I nomi si adeguano al divenire e viceversa...Dio stesso si definisce VERBO. Giovanna Tocco

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